-
Scuola condannata
per licenziamento “gay” mai avvenuto
(di Andrea Zambrano)
Il titolo è di quelli sparati a sei colonne: “Scuola cattolica condannata a risarcire un’insegnante licenziata perché lesbica”. E il circo mediatico ieri non ha fatto altro che rilanciare la notizia come se fosse l’ultima tappa del cammino dei diritti dell’uomo nel nome della non discriminazione. Approda ad una sentenza, che non mancherà di far discutere e soprattutto di sollevare inquietanti interrogativi sulla libertà di educazione degli istituti paritari, la vicenda del presunto licenziamento di una insegnante dell’Istituto Sacro Cuore di Trento a causa di una sua altrettanto presunta inclinazione omosessuale. Anche la Nuova BQ negli anni scorsi aveva raccontato la storia, mettendo tra l’altro in evidenza alcuni dettagli sfuggiti ai giornali mainstream.
Ma con la sentenza del giudice del lavoro di Rovereto di ieri possiamo ragionare su uno scatto in avanti della Giustizia che si frappone tra l’autonomia di un istituto privato paritario e le rivendicazioni di un gruppo ben organizzato secondo la consueta tecnica radicale del caso pilota.
25mila euro. Tanto l’Istituto Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Trento dovranno risarcire alla voce danni patrimoniali e non, alla docente. Ma non solo lei è stata beneficiaria della sentenza. Anche la Cgil di Trento e l’associazione radicale Certi diritti riceveranno dall’istituto cattolico 1.500 euro a testa. La decisione del giudice si basa sul fatto che «la presunta omosessualità dell’insegnante nulla aveva a che vedere con la sua adesione o meno al progetto educativo della scuola», ma anche che la docente «ha subito una condotta discriminatoria tanto nella valutazione della professionalità, quanto nella lesione dell’onore». E siccome la decisione della scuola ha danneggiato non soltanto l’insegnante, ma anche ogni potenziale lavoratore interessato a quella cattedra, ecco che il risarcimento, simbolico, è stato esteso anche al sindacato rosso in rappresentanza di un del tutto ipotetico “lavoratore discriminato ignoto”.
Esulta il legale della donna, l’avvocato Alexander Schuster, il quale ribadisce come la decisione del giudice del lavoro fissi un punto di non ritorno: “I datori di lavoro di ispirazione religiosa o filosofica non possono sottoporre i propri lavoratori a interrogatori sulla loro vita privata o discriminarli per le loro scelte di vita. L’uso di contraccettivi, scelte come la convivenza, il divorzio, l’aborto, sono decisioni fra le più intime che una persona può compiere e non possono riguardare il datore di lavoro”. Messa così, tra interrogatori e scelte intime, la logica porterebbe a pensare che la cosa possa avere un senso e in ultimo una sua giustizia, con la scuola a giocare la parte della Gestapo e la vittima dall’altra parte.
Ma come spesso accade, anche nelle pieghe di questa storia si intravvedono alcuni fili lasciati dai giornali e dal giudice inspiegabilmente su un binario morto.
Tutto nasce il 16 luglio 2014 quando la direttrice dell’istituto suor Eugenia Liberatore convoca l’insegnante in scadenza di contratto per discutere del rinnovo. La docente ha riferito di essere stata convocata per parlare di alcune voci sentite sul suo conto. Sempre la docente ha riferito che la religiosa le avrebbe fatto pressioni per smentire o confermare la sua tendenza omosessuale perché “ci sono dei bambini da tutelare”. Da lì si è arrivati al licenziamento. Che però non era tale dato che il contratto era scaduto. Quindi sarebbe stato più corretto parlare di mancato rinnovo, ma per la causa questo può essere ben tradotto in licenziamento.
Andò davvero così? Purtroppo non potremo mai saperlo perché la suora nel frattempo è morta e il processo che è approdato sul tavolo del giudice del lavoro ha visto la maestra da un lato e la persona che veniva accusata di discriminazione assente per avvenuto decesso. Ciononostante le dichiarazioni sulle quali si è basata la sentenza sono quelle della docente e non della suora che non ha potuto così difendersi.
Tanto più che la religiosa, successivamente intervistata, aveva sempre detto di aver approcciato la donna con rispetto, per chiarire quelle che erano le voci che sentiva sul suo conto. Ma il tentativo di approccio con la donna naufragò di fronte alla sua reazione.
Anche perché la vicenda sembrava risolta dopo l’intervento tanto della Provincia quanto del Ministero della pubblica istruzione. La prima avviò un’indagine pochi mesi dopo, che approdò ad un esito negativo. La Provincia, guidata da una giunta di centrosinistra, confermò i finanziamenti all’Istituto perché «non ci sono elementi per mettere in discussione la parità scolastica dell’istituto religioso Sacro Cuore di Trento». Ma anche il Ministero, che aveva minacciato provvedimenti seri nei confronti della scuola se fossero emersi elementi che confermassero quelle accuse, non ha fatto sapere mai nulla in merito. Venne coinvolto persino il ministro Stefania Giannini, poi la cosa finì nel dimenticatoio perché evidentemente a carico della religiosa non emerse nessuna violazione del diritto del lavoro. Dunque né la Provincia né il Ministero si fecero carico della richiesta di reintegro dell’insegnante.
Ma nel frattempo l’insegnante aveva portato lo scottante caso davanti al giudice del lavoro e sempre nel frattempo la suora era passata a miglior vita dopo essere stata presa di mira sui giornali come omofoba e annessi moderni vituperi.
Ieri la sentenza che tocca un passaggio molto delicato sul quale non sarà difficile per i Radicali, che sanno sfruttare certi casi pilota, porre il tema del controllo delle scuole paritarie. Il giudice infatti ha preso in esame la cosiddetta clausola di salvaguardia prevista nel decreto legislativo 2016/2003 per le cosiddette organizzazioni di tendenza. Si tratta cioè, e qui siamo di fronte ad una scuola di ispirazione religiosa, di una clausola a tutela delle scuole cattoliche o di qualunque altra associazione religiosa secondo la quale, si legge all’articolo 3 comma 5 «non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell’ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività».
Il tribunale però ha sottolineato che “nel caso qui in esame è stata perpetrata una discriminazione per orientamento sessuale e non per motivi religiosi”. E pazienza se lo stesso giudice riconosce che “l’orientamento sessuale di un’insegnante» è «certamente estraneo alla tendenza ideologica dell’Istituto».
Però la stessa legge, poco prima, all’articolo 3, comma 3, recita testuale: “Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell’ambito del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima”.
Insomma: come giustificare ai fini di questa legge la sentenza di ieri?
Tanto più che ancor oggi la vittima è definita dalla stampa “presunta omosessuale”, dunque è impossibile capire se il giudice abbia accertato o no la sua inclinazione, cosa che pure sarebbe decisiva, come pure accadde alla madre superiora durante il colloquio. Ma il principio è passato e adesso ci si potrà “sguazzare” liberamente: non rientra nei compiti educativi di una scuola scegliersi, come una qualunque iniziativa privata, i propri insegnanti come meglio crede.
La sentenza ha tutta l’aria di essere eminentemente politica. E non solo per la presenza di un’associazione radicale e della Cgil. Ma anche perché la docente ha puntato su un avvocato specializzato sul tema dei diritti Lgbt. Sul sito dell’università di Trento si può scorrere il curriculum dell’avvocato Alexander Schuster, nel quale figurano numerosi incarichi come ideatore e coordinatore di progetti su orientamento sessuale e identità di genere. Progetti cofinanziati molto spesso dalla Commissione Europa con cifre ingenti che raggiungono anche i 500 e i 600mila euro.
Resta la domanda di fondo: sulla base della sentenza di ieri quanto spazio rimane alla libertà d’educazione, per continuare ad essere esercitata nel rispetto delle libertà altrui? Domande alle quali forse un giudice potrebbe rispondere ribaltando la decisione nel caso la scuola, che ha preferito non commentare, scegliesse per il ricorso. In ogni caso: per la vera libertà, di educazione, di impresa e di religione, quella di ieri è stata una giornata nera.
da:
[osservatoriogender.famigliadomani.it]
-
La rivolta di un cardinale cinese.
Dopo l'umiliazione degli ucraini uniti a Roma, si apre un’altra ferita nella chiesa?
L’ex arcivescovo di Hong Kong: “Se il Vaticano si accorderà con Pechino, dovremo seguire la nostra coscienza”
di Matteo Matzuzzi | Il Foglio 02 Luglio 2016
Roma. Il cardinale Joseph Zen Ze-kiun, arcivescovo emerito di Hong Kong, si appella ai cattolici cinesi affinché contemplino l’idea di non considerare valido l’eventuale accordo che la Santa Sede potrebbe raggiungere con le autorità di Pechino, se riterranno che l’agreement “sia contrario al principio di fede”. Il porporato salesiano lo scrive sul suo blog personale, attaccando “i filogovernativi” e “gli opportunisti della chiesa” auspicanti che Roma firmi al più presto “un accordo per legittimare l’attuale situazione anomala”. Zen parte dal presupposto che ogni intesa possibile – che appare probabile, se si leggono le pur prudenti dichiarazioni degli ultimi mesi rese dai principali tessitori del negoziato vaticani – porterà la firma del Papa. Se pace sarà, insomma, lo si dovrà al via libera di Francesco. Di conseguenza, prosegue il cardinale cinese, bisognerà obbedire “a tutto ciò che egli dirà”. Però, aggiungeva, “il criterio ultimo per giudicare come comportarci è la coscienza” e quindi “se secondo la coscienza il contenuto di un accordo è contrario al principio di fede, non va seguito”.
Zen è sempre stato contrario a ogni intesa con Pechino, perché essa significherebbe chiaramente una capitolazione dinanzi ai desiderata dei vertici comunisti che hanno costretto per decenni i cattolici del paese alla clandestinità. Il lavorIo diplomatico procede, lo scorso ottobre il segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin – conoscitore come pochi altri del dossier cinese, avendo avuto un ruolo non indifferente nella preparazione della Lettera ai cattolici cinesi promulgata da Benedetto XVI nel 2007 – ammetteva che “non è la prima volta che una delegazione del Papa si reca a Pechino, fa parte di un certo percorso in vista di una normalizzazione dei rapporti e il solo fatto di poterci parlare è significativo”. Zen, solo pochi mesi prima, aveva detto che “avevo sempre avuto fiducia in Parolin, fino a quando non ho saputo che anche lui era a favore di un accordo che in questa fase sarebbe stato solo una resa incondizionata”. A Pechino, proseguiva, “non c’è volontà di dialogo. Vogliamo sacrificare la nomina e la consacrazione dei vescovi per un dialogo fasullo?”. Il punto dolente è proprio la nomina dei vertici episcopali, che la Santa Sede considera propria prerogativa mentre il governo ritiene essere affare di politica interna. La Lettera firmata da Joseph Ratzinger, a tal proposito, era chiara nell’indicare la linea da seguire: “La dichiarata finalità di attuare i princìpi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della chiesa è inconciliabile con la dottrina cattolica, che fin dagli antichi Simboli di fede professa la chiesa una, santa, cattolica e apostolica”.
Che la questione sia delicata e quanto mai attuale lo dimostra quanto accaduto nelle ultime settimane a Shanghai, con il vescovo ausiliare Taddeo Ma Daqin che, dopo quattro anni di arresti domiciliari per essersi pubblicamente dimesso dall’Associazione patriottica nel momento – fu arrestato il giorno stesso dell’ordinazione – in cui ha pubblicato un articolo confessando i suoi errori ed elogiando “il ruolo insostituibile nello sviluppo della chiesa in Cina” rivestito dall’Associazione, emanazione diretta del Partito comunista. Vi sono dubbi, anche tra chi conosce mons. Ma Daqin, sul fatto che il ravvedimento sia genuino e non, piuttosto, indotto dalle autorità. C’è chi, ad esempio, sostiene che il presule abbia deciso di “umiliarsi” per il bene della diocesi, così da poter tornare a occuparsene in modo attivo e da uomo libero. Conservando nell’intimità la propria indiscussa fedeltà al Papa e manifestando in modo pubblico e visibile il sostegno all’organismo di controllo governativo.
A ogni modo, ha scritto Bernardo Cervellera, direttore di Asia News (portale del Pontificio istituto per le missioni estere), la vicenda pone ulteriori interrogativi: “L’articolo (del vescovo Ma Daqin, ndr) pieno di elogi sperticati verso l’Associazione patriottica, vanifica quanto Benedetto XVI aveva stabilito nella sua Lettera ai cattolici cinesi”.
Lo stupore più grande in molti cinesi, aggiunge Cervellera, “è dovuto al silenzio del Vaticano”, al punto che da più parti se ne chiede un intervento. Il voltafaccia di mons. Ma Daqin, poi, rappresenterebbe “un fallimento della politica vaticana verso la Cina, secondo quanto osserva Cervellera riportando le dichiarazioni rese ad Asia News da un “professionista di Pechino”. In sostanza, “se l’articolo pubblicato è di mons. Ma Daqin, dobbiamo dire che il Vaticano ha fallito nella sua politica, che cercava il rapporto con il governo ma affermava che l’Associazione patriottica è inconciliabile con la dottrina cattolica. Se non è stato lui a scriverlo, allora è un gesto forzato e di persecuzione, che però nessuno denuncia, nemmeno la Santa Sede”.
[Continua - clicca su Leggi tutto]
-
Sembra incredibile, ma c'è ancora qualche vescovo che ha il coraggio di dire che l'islam è una religione di guerra e violenza, e che si propone di dominare il mondo: si teme però che tali vescovi vengano presto rimossi.
Invece, dopo la strage, altri vescovi sono corsi nelle moschee: il musulmano interpreta questi gesti come il riconoscimento della sua superiorità rispetto al cristianesimo, e bisogno di sottomettersi alla sua religione.
Ci si dimentica delle parole di chi l'islam lo conosce bene:
"Il Corano permette al musulmano di nascondere la verità al cristiano e di parlare e agire in contrasto con ciò che pensa e crede. Il Corano dà al musulmano il diritto di giudicare i cristiani e di ucciderli con la jihad (guerra santa). Ordina di imporre la religione con la forza, con la spada".
Così, svelando qualcosa che non è certo un segreto, si è pronunciato mons. Raboula Antoine Beylouni, vescovo di Curia di Antiochia dei Siri nell'aula del Sinodo 2010, a Roma.
_____
Dacca, i vescovi ora attaccano l'islam: "Secoli di guerre per Allah"
Una parte dell'episcopato italiano si schiera contro il mito dell'islam religione di pace. Ma ci sono forti divisioni all'interno della Cei
Claudio Cartaldo - il Giornale - Lun, 04/07/2016 - 09:30
In questo caso il coro non è all'unisono. Stona. E' malamente diviso in due parti, col rischio di dare adito a chi pensa che nella Chiesa italiana ci sia uno scontro in corso tra l'ala progressista, vicina a Papa Francesco, e quella più tradizionalista.
Quest'ultima, dopo ogni attentato islamico che insanguina l'Europa, non teme di dire la verità. Alcuni Vescovi non temono di sollevare dubbi riguardo il "mito dell'islam religione di pace", che tanti buonisti vogliono far passare.
Dopo Dacca, l'attacco dei Vescovi all'islam
Ebbene, anche dopo la strage di Dacca, questa parte più defilata del vescovato italiano è tornata a farsi sentire. Il capofila di questa frangia (non organizzata) può essere considerato il vescovo di Ferrara, monsignor Luigi Negri, che a pochi giorni dall'attentato a Charlie Hebdo disse che era necessario "opporsi nettamente alle religioni nelle quali la violenza è teorizzata e indicata come atto pratico". Ovvero l'islam e il suo Corano.
Ma non c'è solo Negri. Come riporta il Resto del Carlino, il vescovo di Ascoli Piceno, Giovanni d'Ercole, smonta la teoria dell'islam religione di pace. E lo fa ricordando a quelli che si dimentiano la storia, che in nome di Allah i musulmani hanno fatto conquiste, distrutto civiltà cristiane, insediato l'Occidente. "Non voglio dire - afferma al Carlino - che ci sia unc erto buonismo nell'immagine che viene offerta della fede coranica. Credo, però, che sia importante ragionare a partire da una certa freddezza storica. Quella che ci porta a ricordare come nei secoli si siano avuti conflitti orditi da musulmani, in nome del loro credo, che hanno determinato la distruzione di fiorenti terre cristiane in Nord Africa, Asia minore e anche Europa". "Con l'emergere della furia terroristica - conclude - non si può negare il rischio di un ritorno al passato".
Sulla stessa linea anche il vescovo di Imola, Tommaso Ghirelli: "E' fanatismo religioso" - attacca - ma va detto che i terroristi "separano accuratamente gli ostaggi musulmani dagli altri". Quindi inutile dire che l'islam non c'entra. C'entra eccome. E' anzi il centro del problema. E' il problema. E infatti Ghirelli, due anni fa, disse chiaramente che se i musulmani non cambiano posizioni "dovrebbero avere il coraggio di allontanarsi dalle nostre terre, perché nessuno vuole avere nemici in casa". E infatti oggi aggiunge che gli "imam debbano investire di più nell'opera di isolamento e denuncia degli integralisti. Non possono limitarsi a dire che ci devono pensare la polizia e le forze dell'ordine. Così scadono nell'irresponsabilità e immaturità civile".
-
Buongiorno amici. Sono stati probabilmente barbaramente uccisi, mutilati e sgozzati, i 7 italiani che si trovavano insieme a una ventina di ostaggi massacrati dai terroristi islamici dell'Isis a Dacca nel Bangladesh.
Rezaul Karim, padre di uno degli ostaggi, ha detto che "gli assalitori non si sono comportati male con i connazionali del Bangladesh. Controllavano la religione degli ostaggi. Chiedevano a ognuno di recitare versetti del Corano. Quelli che li conoscevano venivano risparmiati, gli altri torturati".
Cari amici, in queste ore tragiche per l'atroce uccisione dei nostri connazionali, esigiamo quantomeno da chi ci governa di smetterla di ripetere che i terroristi islamici non hanno a che fare con l'islam. Se hanno ucciso barbaramente, mutilandoli e sgozzandoli con il machete, solo i non musulmani che non sono stati in grado di recitare i versetti del Corano, e se invece hanno lasciato vivi e liberi solo i musulmani, come si fa a dire che non hanno nulla a che fare con l'islam?
di Magdi Cristiano Allam 02/07/2016
_____
Ai musulmani che ci condannano per 2 secoli di Crociate, ricordiamo che in Europa da 14 secoli continuiamo a subire la violenza dell'islam
Mi pare che sia arrivato il momento di mettere i puntini sulle “i”. E il titolo scelto per questa puntualizzazione anticipa molto sinteticamente una questione che dovrebbe essere chiarita una volta per tutte. Va detto a questo proposito che sta per essere diffuso a livello mondiale un film sulle Crociate, prodotto da “Al Jazeera Documentary Channel". Il direttore del canale tv citato, Ahmed Mahfuz, precisa che lo scopo del film è quello di diffondere “la versione araba delle Crociate” e su tale intento non abbiamo il benché minimo dubbio.
Molti dubbi invece li abbiamo su un'altra affermazione del suddetto direttore, il quale, per motivare ulteriormente l’esigenza di produrre quel film, sostiene che “l’argomento delle Crociate è conosciuto solo dal punto di vista occidentale”. Il che dimostra due cose: la prima è che Mahfuz probabilmente ignora la ricca letteratura e storiografia occidentale sulle Crociate, connotata da una lettura critica del fenomeno, non di rado fieramente avversa ai “crociati”, e la seconda è che “un punto di vista dell’Occidente” unico ed ufficiale non esiste ma esistono “vari punti di vista” che afferiscono a differenti “letture” storiche o ideologiche del fenomeno.
Quindi sarebbe opportuno che il Mahfuz precisasse qual è secondo lui il punto di vista “occidentale”, perché la cosa sommamente ci incuriosisce. E ancor più ci incuriosisce dopo che la Chiesa Cattolica, col Documento “Nostra Aetate”, redatto mezzo secolo fa in occasione del Concilio Vaticano II, ha preso di fatto, anche se in modo indiretto, le distanze dalle Crociate allo scopo apparente di promuovere un dialogo con l’islam. Tentativo, questo , quanto mai improduttivo poiché l’atteggiamento cristianofobo dell’islam mostra una crescita inarrestabile. Cosa che rende ulteriormente dubbia, in termini di efficacia e anche di opportunità, la richiesta di "perdono per le Crociate” che papa Giovanni Paolo II, che fu fra l’altro oggetto di un attentato da parte di un musulmano turco, formulò il 12 marzo 2000, ribadendo con ciò il nuovo corso conciliare, ma questa volta nel contesto di una più ampia ammissione di colpe della Chiesa.
A quanto pare anche questa iniziativa del papa polacco non ha sortito esiti positivi. Il film di Al Jazeera pare quindi volto a sostenere una campagna di attacco all’Occidente cristiano. Va infatti denunciato l’uso martellante e viepiù insistito del termine “Crociati" a titolo di insulto o giudizio infamante contro l’intero mondo cristiano, così com’è oggi , a distanza di ben otto secoli da quei fatti.
Ma è incontestabile che il periodo storico in cui si svolsero le Crociate è ricompreso nell’arco di due secoli scarsi, grosso modo fra gli ultimi anni dell’11° secolo e quelli finali del 13°, cioè fra il 1099 e il 1272. Un periodo, questo, a sua volta incluso in quell’epoca storica, convenzionalmente definita come “Medioevo”, e che anche nelle vicende crociate inevitabilmente vive e interpreta nello spirito e nei fatti quello che il termine “medievale” ha assunto come giudizio di valore storico, connotato oggi da negatività, sommando alla definizione cronologica un’accezione valoriale spregiativa. Peraltro, come va doverosamente ricordato, è sommamente erroneo generalizzare quel giudizio su ogni e qualsiasi evento di quel periodo, poiché nel Medioevo iniziano e allignano processi e trasformazioni che preludono e preparano l’era moderna.
Ma tant’è: medioevale significa medioevale e le Crociate sono vicende medioevali. Ne consegue che certa cristianofobia del nostro tempo, dissimulando il suo evidente filoislamismo, è tenacemente aggrappata ad una critica strumentale contro quel periodo del medioevo cristiano, che più che al passato appartiene al “trapassato remoto”.
Per altro verso la cristianofobia odierna ignora o peggio tace in merito a quello che da 1400 anni accade e continua ad accadere attorno a noi, per le responsabilità dell’espansionismo islamista. Continuano così a perpetrarsi in pieno 21° secolo vicende e fatti di gravità tale da mostrare chiaramente come il Medioevo, finito per la maggior parte della popolazione mondiali, continua nelle peggiori forme in una parte del mondo islamico. Mentre la storia delle Crociate è limitata a due secoli e conclusa ormai da otto, continuano tutt’oggi le guerre e gli eccidi connessi all’espansionismo islamista, ivi comprese le sue specifiche espressioni terroristiche che, nell’arco temporale di 14 secoli, riesumano ancora ai giorni nostri il peggior Medioevo che sia possibile immaginare.
La guerra scatenata dallo “Stato islamico”, noto come ISIS o IS o Daesh o Califfato, con le sue assurde manifestazioni di barbarie e di terrorismo di ispirazione strettamente coranica, ripropone ad una attonita platea mondiale decapitazioni, sgozzamenti in massa e crocifissioni. E poiché la ferocia islamica non conosce limiti, per l’uccisione di migliaia di innocenti si inventano sempre nuovi e crudeli espedienti, cui nemmeno nel più “buio” Medioevo pare si fosse usi ricorrere. Si sa così, e i filmati degli eccidi vengono impunemente diffusi via internet, di vittime condannate ad essere bruciate vive rinchiuse in gabbie di ferro o di gabbie immerse nell’acqua per provocare l’annegamento dei prigionieri in esse rinchiusi, mentre gli omosessuali vengono fatti precipitare nel vuoto dal tetto dei palazzi, o impiccato o lapidati, come gli adulteri o presunti tali.
Le vittime vengono scelte fra i cristiani o comunque fra persone di fede non islamica, non risparmiando i supplizi e le esecuzioni nemmeno ai bambini. Come se non bastasse, a conferma dell’ “interminabile e redivivo Medioevo islamista”, nel “Califfato”, prospera il mercato delle “schiave sessuali”, scelte fra le prigioniere catturate nelle aree geografiche temporaneamente occupate dall’ISIS. Questo succede oggi: altro che Crociate!
Le cartine sottoriportate mostrano quanto il peso guerresco delle Crociate sia assai inferiore alla diffusa aggressività dell'islam storicamente documentata e riferita ad oltre un millennio di assalti o guerre di conquista musulmane condotte contro il mondo non-islamico. Ma il reale aspetto delle "guerre crociate" potrebbe essere in vari casi meno truce di quello che certa narrazione storica ci ha trasmesso. Non si può escludere infatti che la narrazione sia stata "adattata" o "curvata", in epoche di molto successive ai fatti, alle esigenze di immagine o di propaganda politica, delle parti a confronto. Come accade sempre nei confronti di narrazioni controverse, ogni vicenda storica andrebbe riconsiderata e verificata risalendo a documenti storici originali di riconosciuta validità.
Assai interessante a questo riguardo è un libro da poco edito da Einaudi di Paul M. Cobb , "La conquista del Paradiso- Una storia islamica delle Crociate". L'autore, esperto conoscitore dell'arabo e di storiografia araba antica, rifacendosi e traducendo cronache arabe dell'epoca, svela una realtà in buona parte diversa da quella a noi nota. A parte la Crociata sostanzialmente incruenta condotta da Federico II di Svevia e conclusasi con un accordo con la controparte per garantire l’accesso dei pellegrini cristiani ai Luoghi Santi, è noto che in alcune crociate si formarono alleanze "strane" fra cristiani e musulmani per battere comuni nemici in quell'area mediorientale allora frantumata in regni, califfati, emirati in permanente e confuso conflitto interno non specificamente religioso. La minuziosa ricerca di Cobb, partendo, va ribadito, da fonti arabe dell'epoca, fornisce una descrizione della divisione interna del mondo islamico di allora, tutta basata su interessi economici concreti, giochi di potere e scontri guerreschi, spesso tra musulmani di fazioni contrapposte, in cui sovente anche il confronto interreligioso (fra sunniti e sciiti, fra cristiani e musulmani) assume occasionalmente un valore secondario, a fronte di opposte esigenze di supremazia politica, commerciale, territoriale, per il controllo di vie di comunicazione e porti.
In molti casi la presenza dei "Franchi", come vengono genericamente indicati i Crociati in riferimento ad una loro consistente componente, in quelle terre è vista anche da fazioni o tribù arabe come un'opportunità per buoni affari. In conseguenza di ciò, il Jihad viene proclamato o sospeso secondo convenienza. L' ideale religioso, esaltato in certa storiografia postuma, come "puro ed eroico" o "barbaro e sanguinario" secondo punti di vista interessati, viene ridimensionato o ridisegnato, in riferimento a specifici fatti, dalla ricerca di Cobb, che appare quanto mai dettagliata e realistica. Dall’opera di Cobb emerge quindi confermato e assodato in tutta chiarezza come le Crociate vadano viste e contestualizzate in quel lontano periodo storico, ormai perso nella notte dei tempi e di quei tempi realtà ed espressione coerente.
Ai giorni nostri parrebbe umoristico pretendere che i romani d’oggi chiedessero perdono per la conquista della Gallia, condotta da Giulio Cesare nel 1° secolo a.C. Parimenti oggi si manifesta come evidentemente assurdo, strumentale e provocatoria la campagna di odio islamista contro il mondo cristiano, definito con intento malevolo “crociato”, mentre in almeno tre continenti, Europa, Asia e Africa, continua ancora ai giorni nostri una ultramillenaria “crociata al contrario” condotta dall’islamismo integralista contro un Occidente vile e sottomesso, senza più orgoglio, ragione e valori. Non ci colga impreparati quindi la nuova offensiva islamista antioccidentale: i fatti e gli argomenti per rispondere all’attacco certo non ci mancano.
di Vittorio Zedda 29/06/2016
-
Gandolfini e la Leopolda della Lega, il Family day e la politica
Da Libertà e Persona
Tra qualche giorno, il 25, Massimo Gandolfini, portavoce del Family day, sarà ospite alla Leopolda della Lega, in quel di Parma.
Così come in passato era stato ospite ad un convegno di Magna Carta, organizzato da Gaetano Quagliariello, Eugenia Roccella ed altri parlamentari di Idea.
La notizia, purtroppo, ha destato qualche polemica, quando avrebbe dovuto accolta per quello che è: un bellissimo segnale.
Se la politica si accorge del popolo del Family day, questo non può che essere positivo.
Soprattutto perchè a chiedere un contributo al suo portavoce sono state due realtà, Idea e Lega, che davvero si sono battute contro la legge Scalfarotto e contro la legge Cirinnà.
E che erano presenti in modo ufficiale allo stesso Family day (si ricordino i gonfaloni di Veneto, Liguria e Lombardia).
Nessuno strumentalismo, dunque, nè da parte di chi ha invitato, nè da parte di chi ha ricevuto l’invito.
Massimo Gandolfini, infatti, non è mai stato uomo di partito; ha tenuto ai margini, il più possibile i partiti dal Family day, con l’intento di farne un evento di tutti; epperò sa bene che con loro bisogna dialogare, perchè le leggi si fanno in parlamento.
Il suo ruolo di uomo super partes, che va dove viene invitato a spiegare le ragioni della famiglia, è importantissimo.
Perchè così facendo dichiara esplicitamente che coloro che hanno a cuore certi valori possono avere un ruolo all’interno di realtà diverse (esclusi Pd e M5S, con cui ogni dialogo è impossibile).
Anche la scelta di tenere il Comitato Difendiamo i nostri figli schierato su una battaglia politica di scopo, come in tante occasioni hanno fatto, sul versante opposto, i radicali, è molto intelligente.
Serve infatti a mantenere mobilitato il popolo della famiglia, su un obiettivo potenzialmente comune, non divisivo, e nello stesso tempo essenziale.
Per ribadire un concetto: se vi sono scelte in cui si può marciare divisi, ve ne sono altre che vanno fatte tutti assieme.
Si può difendere e promuovere la famiglia lavorando nei partiti in cui questo è possibile; si deve difendere e promuovere la famiglia impedendo che il rovesciamento della Costituzione affidi un potere dittatoriale a chi della famiglia e della vita è un nemico giurato.
Gli attacchi a Gandolfini, però, purtroppo, non vengono solo da Renzi.
Anche personalità che hanno dato un indubbio contributo al Family day, lo hanno attaccato, in questi giorni, sia per la sua scelta riguardo al referendum, sia per la sua presenza alla Leopolda di Parma.
Questi attacchi vengono condotti in nome di un purismo e di un protagonismo, terribilmente nocivi.
Nessuna persona e nessun partito ha il monopolio del Family day; chi sino a ieri ha militato nel Pd o in altri partiti di centro, come il candidato sindaco del coraggioso PDF di Bologna, continui la sua meritoria battaglia e la strada intrapresa, ma senza ergersi a unico rappresentante dell’unica, presunta, scelta giusta possibile.
-
Divorzi. Aborti. Droga diffusa nelle scuole. Scristianizzazione della Diocesi. Abusi liturgici. Invasione islamica sempre più aggressiva e arrogante.
Ma la priorità è un'altra.
"Un luogo di culto agli islamici".
Intesa tra Sala e Scola per la costruzione della moschea
Faccia a faccia tra il neo sindaco e il cardinale di Milano.
"Il dialogo interreligioso sia portatore di integrazione vera".
E concordano sulla costruzione della moschea
Sergio Rame - Sab, 25/06/2016
Asse tra Palazzo Marino e la Diocesi di Milano per garantire il diritto di culto a tutti i fedeli, dunque anche ai musulmani.
Il neo sindaco Giuseppe Sala e il cardinale Angelo Scola hanno concordato sulla necessità di lavorare per garantire alla comunità islamica la costruzione di una moschea nel capoluogo lombardo.
Questa mattina, durante la seconda uscita pubblica del neo sindaco, Sala è andato a trovare Scola alla curia milanese.
Sul tavolo l'emergenza casa, le periferie e la povertà.
Nel faccia a faccia non poteva mancare il nodo moschea.
"Ci siamo impegnati - ha detto Sala, parlando a fianco del cardinale di Milano - a lavorare insieme, ad aiutarci e sostenerci affinché il dialogo interreligioso sia portatore di integrazione vera".
I due hanno, infatti, concordato sul fatto che "un luogo di culto deve essere garantito a tutti, nel rispetto di regole chiare e nella trasparenza, per aver modo di controllare quel che avviene all'interno di questo centro di preghiera".
Come già promesso in campagna elettorale Sala vuole, infatti, premere l'acceleratore per dare il via libera alla costruzione della moschea a Milano.
Durante l'incontro in curia, Sala ha ringraziato il cardinale e la Chiesa cattolica per "tutto quello che hanno fatto per tenere le fila di questo dialogo fra le fedi e non farlo scemare".
Sindaco e arcivescovo sono, infatti, d'accordo sul fatto che "si presti attenzione e sostegno alle fasce più povere della popolazione nelle periferie, anche alle popolazioni immigrate".
"È necessaria - ha sottolineato Scola - una proposta che garantisca sicurezza e nello stesso tempo non rinunci all'accoglienza".
Da: Il Giornale.
Clicca su Leggi tutto per la fondamentalista islamica nella giunta del Comune di Milano.
-
Scuola cattolica condannata per discriminazione sessuale dalla Diocesi di Padova: qui accanto Mons. Claudio Cipolla, già prete di strada, in ascolto solo dei poveri e degli ultimi, recentemente nominato dal Santo Padre.
Don Giovanni Ferrara,
sacerdote cattolico di Padova,
diffamato dal “Mattino”
e allontanato dalla Diocesi
di Paolo Deotto, per riscossacristiana.it
Quando ci si occupa di informazione, la regola minima di correttezza sarebbe dire la verità, oppure, quando non si è certi di ciò che si dice, spiegare con chiarezza che si stanno riportando voci, opinioni, tutte cose, insomma, da verificare.
Naturalmente se non ci si occupa di informazione, ma si ha solo l’intento (o l’incarico) di colpire qualcuno, allora la verità diventa un optional e si possono pubblicare anche tante balle. Non a caso il vecchio Lenin ci insegnava che “E’ verità tutto ciò che giova alla causa del partito”.
È molto istruttivo, per capire l’aria che tira, leggere l’articolo, che riportiamo in calce, del Mattino di Padova di oggi, che dà la notizia del trasferimento a Roma di Don Giovanni Ferrara, corredandola di affermazioni di fantasia. Ossia, di falsità.
Riassumiamo in breve la vicenda.
I lettori di Riscossa Cristiana ricordano il caso di Don Giovanni Ferrara, di cui ci occupammo per la prima volta il 27 luglio dello scorso anno, con l’articolo Quando un parroco rischia grosso? Quando ha la pretesa di essere un prete cattolico.
Don Ferrara, parroco di Sant’Ignazio di Loyola a Padova, era già da tempo nel mirino di quella nuova e singolare generazione di “cattolici” che, ansiosi di vivere in perfetta concordia col mondo, lo rimproveravano, ad esempio, perché “pregava troppo” o “faceva pregare troppo”.
Ma forse questo terribile difetto sarebbe stato perdonabile se Don Giovanni Ferrara a un certo punto non avesse preso la decisione di ospitare nei locali della parrocchia una scuola parentale, nata dall’iniziativa di alcuni genitori che non si rassegnavano al fatto di consegnare i propri figli alla scuola pubblica (o paritaria), che li avrebbe indottrinati ben bene su quel complesso di porcherie che va sotto il nome di “teoria del gender”.
La diocesi di Padova aveva già proclamato il suo incondizionato consenso e la sua cordiale e assoluta collaborazione con la governativa autorità che aveva appena partorito quel pastrocchio di legge denominata “Buona Scuola”. La bontà assoluta e il totale rispetto della libertà di educazione erano garantiti… da chi? Dalla stessa ministra che aveva apposto la sua riverita firma alla legge, la signora Stefania Giannini. Insomma, garanzia rilasciata dallo stesso produttore, e per favore nessuno rompa le scatole. Al proposito è molto istruttivo rileggere la comunicazione del 18 agosto 2015 della diocesi di Padova (clicca qui).
Insomma, il parroco di Sant’Ignazio veniva a rompere l’armonia e la collaborazione col mondo, che, come è noto, è uno dei dogmi della neochiesa.
E per dimostrare quanto era cattivo Don Ferrara, la stampa iniziava a far circolare una voce: la scuola materna della parrocchia, dopo lunghi anni di attività, chiudeva i battenti. E perché accadeva ciò? Perché il temibile parroco aveva deciso di sostituirla con la scuola parentale.
Su questo equivoco, o meglio su questa clamorosa balla, si era molto giocato.
La realtà è un’altra. La scuola materna non ce la faceva più per il motivo più semplice: i costi eccessivi. La decisione non sorprese nessuno, tantomeno le famiglie, che erano a conoscenza della situazione, che si trascinava da anni.
Scrivevamo (clicca qui) il 22 agosto 2015: la decisione di chiudere la scuola è stata presa dal Parroco su indicazioni precise della FISM-federazione italiana scuole materna (che tiene la contabilità della scuola e le offre consulenza su qualsiasi settore) e con l’autorizzazione scritta della Curia di Padova.
Nessuno ha mai smentito questa precisazione, né poteva farlo, perché si trattava della semplice verità.
Inoltre va precisato che la scuola parentale in ogni caso non avrebbe “scacciato” la scuola materna (se quest’ultima avesse potuto continuare la sua attività), perché la parrocchia di Sant’Ignazio dispone di numerosi locali, più che sufficienti per entrambe la scuole.
Ora Don Giovanni Ferrara è liquidato. O meglio, “lascia la comunità di Sant’Ignazio per andare a Roma per gli studi di pastorale della salute”, come ci informa con scarno comunicato “La difesa del popolo”, settimanale diocesano di Padova (clicca qui).
Il compito del killer se lo assume Il Mattino di Padova, che pubblica un articolo che si può definire diffamatorio, poiché attribuisce falsamente a Don Giovanni Ferrara colpe che questi assolutamente non ha.
Leggete l’articolo: subito si dice che il parroco di Sant’Ignazio era “contestato da una larga parte dei fedeli per aver chiuso la storica scuola materna parrocchiale e averla sostituita, di fatto, con una scuola parentale”.
È falso. È diffamatorio. Abbiamo scritto sopra i motivi della chiusura della scuola materna e le modalità con cui questa tale chiusura era avvenuta. Ripetiamoli: La scuola materna non ce la faceva più per il motivo più semplice: i costi eccessivi. La decisione non sorprese nessuno, tantomeno le famiglie, che erano a conoscenza della situazione. Scrivevamo (clicca qui) il 22 agosto 2015: la decisione di chiudere la scuola è stata presa dal Parroco su indicazioni precise della FISM-federazione italiana scuole materna (che tiene la contabilità della scuola e le offre consulenza su qualsiasi settore) e con l’autorizzazione scritta della Curia di Padova.
In chiusura, il breve e velenoso articolo ribadisce la bugia e l’arricchisce con una bugia accessoria: “I locali (della scuola materna, ndr) sono stati destinati a una scuola parentale no-gender.
È falso. È diffamatorio. Come già detto, c’era lo spazio per entrambe le scuole.
Ma nella chiusura dell’articolo è espresso chiaramente il motivo di tanta cattiveria: la scuola parentale è “no-gender”.
Appunto. E si torna alla sciagurata realtà quotidiana: se fai qualcosa per difendere i giovani dalle porcherie che vanno sotto il nome di gender, può accaderti di tutto.
Anche di essere diffamato a mezzo stampa, come nell’articolo del Mattino, che qui di seguito riportiamo:
-
In una segnalazione pubblicata su Il Piccolo, Marina Del Fabbro, presidente dell’associazione cattolica insegnanti medi parla a sproposito dei cosiddetti “principi non negoziabili”. Diamo il nostro contributo per rimettere le idee a posto.
Senza principi non negoziabili non si va da nessuna parte.
Una discussione con Marina Del Fabbro
Ho letto su Il Piccolo del 22 giugno a pag. 36 la segnalazione di Marina del Fabbro, presidente dell’associazione cattolica degli insegnanti medi di Trieste, dal titolo “Con i principi non negoziabili non andiamo da nessuna parte”.
Poiché, invece, la linea di Vita Nuova è di consenso e appoggio alla dottrina dei principi non negoziabili, tema su cui siamo intervenuti molte volte, mi permetto qualche osservazione.
Leggendo la segnalazione della Professoressa Del Fabbro, mi sono subito chiesto se essa abbia letto due importanti libri scritto dall’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi. Mi riferisco a “Il Cattolico in politica”, che contiene un capitolo dedicato proprio ai principi non negoziabili, e “A compromesso alcuno. Fede e dottrina dei principi non negoziabili”.
Non credo che li abbia letti, perché in essi avrebbe trovate ampie risposte ai problemi che ella pone e una trattazione approfondita e articolata che avrebbe resa inutile la pubblicazione della suddetta segnalazione.
La tesi della professoressa è che “tutti hanno i loro valori non negoziabili” e che proprio per questo c’è la politica, per dialogare e arrivare ad un compromesso.
Quindi, c’è una pluralità di valori non negoziabili – quelli dei cattolici e quelli degli altri – e proprio questo rende interessante e utile la politica. Viceversa c’è invece solo lo scontro.
La tesi suddetta è inaccettabile, per una serie di motivi, tutti molto gravi.
La presenza nella società di diversi valori non negoziabili per le coscienze dei loro portatori non rende automaticamente tutti quei valori oggettivamente non negoziabili.
La professoressa intende i valori solo dal punto di vista soggettivo. Il valore, però, indica qualcosa di apprezzabile oggettivamente, non prodotto della volontà e dalla coscienza ma guida della volontà e della coscienza.
Noi non difendiamo i nostri valori perché sono nostri, ma perché sono veri. Non perché ci piacciono ma perché noi vogliamo piacere ad essi.
Insomma nel ragionamento della Professoressa Del Fabbro manca il fondamento dei valori che è la legge morale naturale (per il laico) e l’ordine del creato (per il credente). I valori di questo ordine non sono desideri o aspirazioni o diritti soggettivi, sono espressione della realtà delle cose.
Se i valori fossero quello che la professoressa suppone, allora la politica sarebbe completamente abbandonata al relativismo, ad un dialogo tra uguali nel quale tutti i valori in campo hanno la stessa dignità.
Ma una tale concezione della politica è terrificante.
Ci sono infatti valori sedicenti tali che sono in realtà disvalori. E dovrebbe essere la politica a decidere quale è un vero valore e quale no? Cosa sacrificare nell’uno o nell’altro caso?
Una simile politica sarebbe onnipotente e, cosa veramente paurosa, sulla base di nessun fondamento se non il dialogo e la discussione. Una politica totalitaria senza motivi per esserlo.
Vuole la professoressa chiamare ugualmente valore aiutare una donna ad abortire o aiutarla ad accogliere la vita?
Vuole chiamare ugualmente valore mettere un bambino fatto nascere da una madre surrogata nelle mani di due persone dello stesso sesso e invece concepirlo tra mamma e papà che poi lo allevano dentro una coppia naturalmente eterosessuale?
Vogliamo delegare tutto questo al dialogo e alla discussione politica?
Vogliamo affidare alla discussione politica di stabilire cos’è vita e cos’è morte?
Cos’è uomo e cosa no?
Per avere senso la politica deve avere dei limiti, come ogni altra cosa del resto.
C’è poi un altro punto molto preoccupante.
La professoressa parla dei valori “dei cattolici”, sostenendo che ci sono anche i valori “degli altri”.
Ma i valori dei cattolici hanno una pretesa, ossia quella di non essere “dei cattolici” ma di tutti, ossia di essere veri.
Veri perché esprimono l’ordine delle cose, la legge morale naturale.
Condivisibili quindi da tutti.
Qui si si apre il dialogo, perché c’è una base per farlo. La base consiste in qualcosa di oggettivo che diventa termine di confronto nel dialogo, affinché esso non si avviti a vuoto su se stesso. Il dialogo ha senso se c’è una istanza che dà ragione all’uno o all’altro dei dialoganti: questa istanza è la ragione stessa capace di conoscere l’ordine naturale delle cose.
Ma è proprio quello che la professoressa nega accettando come aventi pubblica dignità tutti i cosiddetti valori, e quindi il dialogo diventa impossibile. In altri termini: è proprio sostenendo l’esistenza di principi non negoziabili che è possibile il dialogo politico, altrimenti c’è posto solo per la logica degli interessi. Questo è noto già da molto tempo, almeno dalla polemica di Socrate contro i Sofisti nel V secolo avanti Cristo.
Ci possono essere valori in conflitto tra loro tra i quali bisogna mediare?
Certamente.
Tra lavorare per guadagnare il sostegno della famiglia e conservare la salute bisogna arrivare ad un compromesso. Tra stare in ufficio o far giocare il figlio nella sua cameretta – ambedue valori – si deve trovare una conciliazione.
Però ciò è possibile quando i valori sono positivi, cioè espressi in una formula morale indicano un bene.
Non è mai possibile quando indicano un male.
Non ci può essere mediazione tra il bene e il male. Uccidere è sempre male.
Non si può, con la scusa del compromesso e del dialogo, trattare per la riduzione del numero delle settimane oltre le quali si può interrompere una gravidanza.
La professoressa Del Fabbro non fa nessuna distinzione tra precetti morali positivi (che indicano un bene da fare) e negativi (che indicano un male da evitare) che è uno degli elementi fondamentali di ragione e di rivelazione della morale.
I primi sono di vario genere e si può discutere per trovare la giusta misura.
Ma con i secondi no: essi sono sempre un male e davanti ad essi la politica si deve fermare.
Sfortunato il popolo la cui politica non ha limiti da non oltrepassare.
da: Vita Nuova, periodico della Diocesi
-
La Chiesa che si condanna alla peggiore mondanizzazione
by Corrado Gnerre · 24 giugno 2016
Ho ascoltato la breve, ma incisiva, omelia di don Pusceddu (vedasi:
[https:] ).
Omelia ormai diventata famosa perché, “sbattuta” sui media, ha provocato una tale reazione che si parla ormai di oltre 30.000 firme rivolte a papa Francesco affinché si prendano provvedimenti contro il sacerdote.
Ebbene, l’omelia (come potete aver modo di ascoltare), non ha nulla di scandaloso, è condivisibile, e soprattutto risponde pienamente a quello che deve essere il dovere di ogni cattolico, in particolar modo di ogni sacerdote e pastore: predicare la Verità e difendere il gregge da lupi che vorrebbero diffondere gli errori più nefasti.
Intanto il vescovo di Cagliari, monsignor Miglio, è intervenuto, ma non per difendere il sacerdote come era suo dovere, bensì per imporgli il silenzio.
Un atto del genere non solo è un tradimento alla Verità, ma è un ulteriore segno di una pericolosissima deriva, che sembra ormai inarrestabile nella Chiesa contemporanea. Mi riferisco alla deriva di una completa “mondanizzazione”.
Sono tempi, questi, in cui sentiamo “belle parole” contro la ricchezza, contro le tentazioni di potere che minaccerebbero tanti ambienti ecclesiali…
Eppure, mai come in questi tempi, la Chiesa, dai vertici fino al basso, sta patendo la peggiore mondanizzazione che possa esistere.
La mondanizzazione più pericolosa, infatti, non è farsi condurre da un’auto di lusso né tantomeno soggiornare tra arazzi e dipinti rinascimentali, bensì “acconciarsi” alla mentalità del mondo, aver paura del suo giudizio e ridursi al silenzio.
Ubbidire al mondo, piuttosto che lavorare per la sua salvezza.
Ma è mai possibile che non si riesce a capire che con questo atto monsignor Grillo non costringe al silenzio un suo sacerdote ma se se stesso?
Scrivo queste cose nella festa di san Giovanni Battista e mi chiedo: cosa farebbe monsignor Miglio se avesse tra i suoi il Battista, ridurrebbe anch’egli al silenzio?
San Giovanni Battista la cui predicazione era troppo “escludente”.
San Giovanni Battista che non sapeva giudicare tenendo presente i casi particolari.
San Giovanni Battista che pretendeva ammonire l’errante e rammentargli il triste destino della dannazione eterna.
San Giovanni Battista espressione di un cristianesimo troppo “ideologico”, “rigoroso”, poco “misericordioso” e “integrista”.
Ma dove stiamo andando?
Che il Signore e Maria Santissima ci rendano quanto prima la grazia di far sì che nella loro Chiesa possa risplendere pienamente – e senza vergogna alcuna! – la Verità nella sua bellezza e integrità.
[Clicca su Leggi tutto per il commento di "Notizie ProVita"]
-
Soli?
Il Timone - N° 154 - giugno 2016
Egregio Gianpaolo Barra,
[...] mi scusi se le porgo una domanda che forse le creerà qualche imbarazzo. Ma è una domanda che faccio a me da tanto tempo e finora non ho trovato risposta: non le sembra che in questi tempi noi cattolici che crediamo ancora all'urgenza di difendere i "principi non negoziabilI" siamo stati abbandonati dai nostri pastori? Mi trema la mano, dico la verità, mentre scrivo: a me sembra, a partire da Papa Francesco e passando per tanti vescovi e tanti preti, che i nostri pastori ci abiano abbandonato in questa battaglia. [...]. Scusi lo sfogo, ma tenere dentro queste cose mi fa male e se lei mi aiutasse a capire mi farà un gran piacere. Con immensa stima.
G.B. - e.mail
Caro amico,
ho tagliato l'elenco lunghissimo di esempi che lei porta a sostegno della sua impressione. Sono così tanti e ben dettagliati (contando le battute, si potrebbe quasi riempire un mezzo dossier del Timone) da rendere comprensibile l'eventuale passaggio dalla semplice impressione alla fondata certezza.
Che il Santo Padre Francesco e molti vescovi ci stiano indicando una nuova strada, nella quale la prorità di promuovere e difendere i cosiddetti "principi non negoziabili" non occupa più il primo posto, mi sembra un dato di fatto innegabile.
E che gran parte dei nostri pastori – duole dirlo – abbiano letteralmente abbandonato al proprio destino quei cattolici la cui vocazione è testimoniare Cristo anche contrastando quella rivoluzione antropologica che, distruggendo vita, famiglia e libertà di educazione, è un segno visibile dell'odio preternaturale a Dio e alla sua creazione, chi può negarlo?
Non basta, forse, l'esempio del “Family day” di gennaio scorso e della “Marcia per la vita” dello scorso maggio, completamente – o quasi – abbandonate a sé stesse?
Per quanto mi riguarda, allontano da me – a prezzo di qualche fatica, lo confesso – la tentazione di ergermi a giudice di chicchessia dei nostri Pastori. A loro, non a me, lo Spirito Santo ha affidato il compito di guidarci. Di questo risponderanno nel giorno del giudizio.
La constatazione di quello che lei, caro amico, giudica una sorta di abbandono non ci faccia però perdere né l'amore per il Successore di Pietro e i vescovi in comunione con lui, né – ci sia ben chiaro almeno questo – l'impegno a non deflettere di un solo millimetro dalle verità della fede che il Magistero perenne della Chiesa, fondato su sacra Scrittura e sacra Tradizione, ci ha insegnato, comandandoci di metterl e in pratica, e che sono tutte ben delineate nel Catechismo della Chiesa cattolica.
Da qui non ci muoviamo, venisse pure un angelo dal cielo a dirci che adesso è tutto cambiato.
Gianpaolo Barra
Fondatore de: Il Timone, rivista di apologetica
-
L'arcivescovo ungherese:
"L'immigrazione porta all'islamizzazione dell'Europa"
In occasione di una conferenza ha spiegato che l'Islam ha come chiaro obiettivo quello di esportare i propri valori.
E che in questo momento i flussi stanno fungendo da vettore per questo loro fine
di Robert Favazzoli
L'immigrazione è un veicolo che rischia di portare all'islamizzazione dell'Europa. A dirlo è Gyula Márfi, arcivescovo di Veszprém, una delle principali autorità ecclesiastiche dell'Ungehria.
In occasione di una conferenza dal titolo 'Problemi demografici nel Mediterraneo nel 19° e 20° secolo' non ha usato mezzi termini.
“Penso che la migrazione prevalentemente non abbia cause, ma scopi specifici" ha detto.
"Chi parla solo di cause mente o si sbaglia. La sovrappopolazione, la povertà o la guerra hanno solo un ruolo di secondo o di terzo grado nella migrazione.”
“Presso le famiglie musulmane nascono 8-10 bambini prevalentemente non per amore ma perché loro si ritengono esseri superiori e il Jihad impone loro di conquistare in qualche modo tutto il mondo” ha poi continuato.
“Nella Shari’ah possiamo leggere che il mondo è costituito dal Dar al-Islam e dal Dar al-Harb, cioè territorio di guerra che in qualche modo va occupato. Questo è scritto, i musulmani devono solo impararlo a memoria. Discuterne è vietato, loro eseguono solo ciò che devono fare".
Secondo l'arcivescovo l'attualo obiettivo degli islamici sarebbe quello di consuistare l'Europa, che non è pronta a rispondere all'attacco. “Momentaneamente lo scopo è quello di occupare l’Europa, dove momentaneamente tutti credono ciò che vogliono, ma generalmente nessuno crede niente. Questo è un terreno ideale da conquistare per l’islam”.
L'arcivescovo ha poi aggiunto che nessun continente può sopravvivere a lungo senza un’ideologia forte e che bisognerebbe accorgersene e prendere seriamente in considerazione il fatto che la migrazione ha come scopo finale l’islamizzazione dell’Europa.
“Bianka Speidl, un’esperta di islam, recentemente ha riferito che ad una conferenza tenuta sull’islam a Londra un professore musulmano americano ha chiesto scusa per gli atti terroristici con cui mettono in cattiva luce l’islam. Gli universitari musulmani presenti in grande numero gli hanno fischiato come risposta. Bisogna meditarci e considerarlo”.
“Se l’Europa diventa Dar al-Islam, allora essa cesserà di esistere. Questo lo dobbiamo considerare, come accettare l'idea che ciò porterebbe alla fine della libertà e dell’uguaglianza”.
-
Il Padre Gabriele Roschini OSM è stato il più grande e il miglior mariologo del XX secolo: scrisse ca. 900 opere (la principale: "Il capolavoro di Dio") ed è da alcuni considerato il "supporto teologico" all'ultima definizione dogmatica relativa all'Assunzione del B. V. Maria.
L'eBook
"La vita di Maria"
che da oggi è scaricabile gratuitamente
cliccando su:
[www.totustuus.it]
è sia un'opera spirituale che scientifica poichè, mentre confuta i numerosi errori biblici e teologici sparsi dai nemici della Vergine Santa, ne fa splendere la sua santità.
Con l'occasione, vi ricordiamo il link dal quale è possibile scaricare un file Excel con l'elenco degli oltre 300 eBook scaricabili gratuitamente:
[www.totustuus.it]
_____
Infine, un riassunto delle notizie segnalate negli ultimi 30 giorni:
1. Esempi da seguire:
Comunione ai divorziati: il cardinale Burke difende il Papa
card. Robert Sarah: in prima linea
Il caso: un "quasi vescovo", abbandonato da tutti ma rimasto fedele a Maria
Card. Caffarra: Il Magistero incerto si interpreta in continuità col precedente
Cardinali coraggiosi: il leone Cañizares
2. Nemici della Chiesa
Marco Pannella: un nemico della Cristianità
Pannella: campione dell'odio contro la famiglia e la vita
ISLAM: violenze nei centri d’accoglienza
Chi odia San Giovanni Paolo II?
3. Politica e Dottrina Sociale
Dopo la Cirinnà. Che fare?
Popolo della Famiglia: tutto già finito... ?
Matrimoni omosessuali: reazione cattolica ingarbugliata
Cattolici e disastro elettorale
4. Autodemolizione
Diaconesse: scivolone di una direttrice dell'Osservatore Romano
Comunione e Liberazione. Perchè è scomparsa?
Il disastro della catechesi parrocchiale
Azione cattolica: cattolici che non disturbano
Spagna come Italia: emorragia di religiosi
La TV dei Vescovi o gay.tv?
Diocesi Cuneo. Sindrome giovanilistica clericale?
La TV dei Vescovi o gay.tv?
Chiesa di Bologna: in marcia verso la povertà!
5. Magistero
Card. Burke: la Amoris laetitae non è Magistero
Rémi Brague: il paragone papale tra Corano e Vangelo
Amoris laetitiae: la confusione aumenta
Amoris laetitiae: Mons. Livi parla
Povera e invidiosa? Egualitaria e avida?
Convivenze-matrimoni: confusione-disorientamento?
-
-
Ci sono episodi che fanno pensare che la Chiesa, o almeno qualcuno in essa, soffra di pulsioni autolesionistiche. Combinate però a impulsi di potere centralizzante.
di Marco Tosatti per La Stampa
E’ di questi giorni la notizia che la Chiesa di Bruxelles, guidata dal neo arcivescovo Jozef De Kesel, creatura di quel card. Danneels gran consigliere del Pontefice, e coinvolto pesantemente in casi di protezione di abusi su minori, ha deciso di non dare più ospitalità alla Fraternità dei Santi Apostoli.
La Fraternità, operante da tre anni, era stata creata il 7 aprile del 2013 da monsignor André-Joseph Léonard, e in tre anni ha attirato 27 membri, sei sacerdoti e 21 seminaristi.
Tutto questo in un Belgio, e in un’Europa, in cui il cristianesimo, per non parlare delle vocazioni, stanno scomparendo.
La Fraternità è nata avendo come modello una sacerdote francese, padre Michel-Marie Zanotti-Sorkine, della cui vita avventurosa potete leggere qui.
Alla Fraternità sono state affidate due parrocchie, e il nuovo arcivescovo riconosce che funzionano: del nuovo arcivescovo: “La Fraternità riesce a sensibilizzare i giovani alla bellezza della vocazione e al ministero del sacerdozio diocesano”.
La Fraternità punta molto sulla vita comunitaria e “bisogna sottolineare quanto questa opzione fondamentale sia preziosa per la vita di un prete”.
Ma il nuovo arcivescovo, forse in opposizione all’opera del suo predecessore, ha deciso che la Fraternità dovrà abbandonare la diocesi e il Paese, perché molti suoi sacerdoti sono francesi. Per i dettagli leggete la storia completa su Tempi .
Ma sembra quasi che le troppe, tante vocazioni diano fastidio.
Non si può non pensare al caso dei Francescani dell’Immacolata, fiorentissimo, che – secondo alcuni – si vorrebbero distruggere nella loro identità, per convogliarli in ordini storici in sofferenza di vocazioni.
Una congregazione commissariata senza motivazioni chiare, e bersagliata (soprattutto il suo fondatore) da una campagna mediatica di denigrazione e accuse non provate, forse manovrate da qualcuno all’interno della congregazione stessa.
Così come era pieno di seminaristi e vocazioni il seminario della diocesi di Ciudad del Este, al confine con l’Argentina, il cui vescovo, Rogelio Ricardo Livieres Plano, fu dimesso, senza chiare motivazioni, e senza aver potuto parlare con il Papa, e morì un anno più tardi, nell’agosto del 2015.
Ed era ricca di seminaristi – a differenza del resto della Spagna – la diocesi di Saragozza, il cui vescovo, Manuel Ureña Pastor, era appunto accusato di essere troppo largo nell’accogliere vocazioni. “Ma se uno bussa alla mia porta, e non c’è motivo per mandarlo via, perché non devo accoglierlo?” diceva.
Il suo vero problema, a quel che pare, era di non essere “allineato” con i vescovi progressisti, che indicano al Pontefice scelte e strategie in Spagna.
Decisioni che, se accompagnate da documenti come quello della Congregazione per i Religiosi sui nuovi istituti diocesani e il potere dei vescovi , fanno pensare a un desiderio oscuro di tarpare le ali allo Spirito.
-
All'offesa contro la religione, i cattolici rispondono in forze, con la preghiera. Il card. Cañizares, recentemente attaccato, spiega che è suo compito dire la verità, anche se “politicamente scorretta”.
Valencia. Dopo i manifesti blasfemi, migliaia di cattolici in piazza per la Vergine
19 giugno 2016 - Federico Cenci per
[https:]
La Chiesa militante è ancora viva. Lo hanno dimostrato non con sterili profluvi di parole, ma con una testimonianza visibile e massiccia, scandita dalla preghiera, i migliaia di cattolici scesi in strada a Valencia, giovedì scorso, ad onorare Maria Santissima.
Si sono riuniti nel tardo pomeriggio in Piazza della Vergine, rispondendo così alla convocazione del loro Arcivescovo, il card. Antonio Cañizares Llovera, di un atto di riparazione nel quale si è pregato il Santo Rosario, seguito da una Messa celebrata nella Cattedrale della città.
Il porporato ha deciso di mobilitare in questo raduno spirituale i fedeli della diocesi dopo che, nei giorni scorsi, sui muri della città spagnola erano apparsi dei manifesti blasfemi, che ritraevano un bacio tra la Virgen de los Desamparados e la Virgen de Montserrat (due Madonne particolarmente venerate a Valencia e in Catalogna) con la frase “Contro la sacra oppressione. Ama come ti pare”.
La sacrilega rappresentazione era stata affissa per pubblicizzare un “gay pride” nella città. Anche la Conferenza episcopale spagnola era intervenuta con una nota, nella quale si evidenzia che un simile manifesto “va ad alimentare una spirale che attenta contro il libero esercizio della libertà religiosa, così come la libera predicazione del Vangelo in una società pluralista”.
Spirale che aveva conosciuto appena qualche giorno prima un’altra tappa. Il card. Cañizares aveva osato criticare una legge in discussione nel Parlamento della Comunidad Valenciana, la quale, se approvata, obbligherebbe le scuole statali a svolgere corsi di educazione sessuale a bambini anche piccoli, prevedendo persino il cambio di sesso nei confronti dei minori, mediante percorsi farmacologici e chirurgici, anche senza il permesso dei genitori.
Contro Cañizares si era scatenato un fuoco di fila mediatico, come ha riportato ZENIT. La procura di Valencia ha aperto un fascicolo a seguito della denuncia presentata da alcuni gruppi lgbt nei suoi confronti, le toghe hanno confermato di aver avviato l’esame e che entro sei mesi decideranno se procedere o archiviare il caso. L’Arcivescovo di Valencia rischia una pena fino a tre anni, tale è la massima punizione prevista dalla legge per il reato di “incitamento all’odio”.
Malgrado la dura accusa ricevuta, il card. Cañizares giovedì scorso è apparso sereno, intento a rispondere con la preghiera a chi predica ostilità avvelenando il clima sociale e offendendo la sensibilità religiosa.
Egli ha precisato che questo atto di riparazione è offerto “per l’unità e la convivenza”, pertanto non va confuso con un “gesto politico o di protesta”. I fedeli – ha proseguito – si recano a pregare senza brandire alcun vessillo e senza ostentare sigle, ma “semplicemente mantenendo il senso religioso che questo atto richiama”.
L’Arcivescovo di Valencia ha chiesto di pregare per le vittime di Orlando, così come per tutte le vittime di violenze e terrorismo. Inoltre “per tutti coloro che sono perseguitati o maltrattati a motivo della loro fede, per la cessazione di ogni violenza contro la persona umana e la sua dignità”.
Ha sottolineato poi che rendere omaggio alla Virgen de los Desamparados – la cui statua è stata portata in processione – è un gesto in favore di tutti, nessuno escluso, perché questa Madonna “è parte della nostra identità culturale”, anche se taluni vorrebbero cancellarla a colpi di ideologia.
Non è mancato, nella sua omelia, un riferimento proprio all’ideologia gender. Ha ribadito che si tratta della “peggiore di tutte le ideologie della storia”, perché ha la pretesa di eliminare il concetto di “creazione” a beneficio di un’autodeterminazione dell’uomo nei confronti della propria natura.
Ha rilevato che, se avesse timore ad esprimersi così, lui sarebbe “un cattivo vescovo”. Per questo continuerà ad insegnare la verità, “anche se alcuni non lo tollerano”, alludendo a “gruppi politici o poteri economici”. Con riferimento alla legge la cui critica gli è costata la gogna pubblica, il cardinale ha invitato i cattolici a fare obiezione di coscienza.
“Devo andare controcorrente anche se questo è politicamente scorretto, come ha fatto Gesù”, ha soggiunto, ricevendo gli applausi scroscianti dei fedeli accalcati nella Cattedrale. Al termine della celebrazione, l’Arcivescovo Cañizares ha impiegato molto tempo per uscire, giacché in tanti lo hanno avvicinato per manifestargli il loro sostegno e la filiale obbedienza. A concelebrare insieme a lui, come riferisce l’agenzia spagnola AciPrensa, c’erano quasi cento sacerdoti, tra i quali alcuni vescovi.
-
Lo scorso 16 giugno Papa Francesco ha utilizzato due espressioni che, da una prima lettura e avulse dal contesto del discorso, potrebbero sembrare contraddittorie. Infatti, se da un lato ha sostenuto che alcune coppie conviventi sarebbero un "matrimonio vero", dall'altro lato, ha detto che una convivenza senza il sacramento del matrimonio "è una sfida, chiede lavoro".
Peraltro, gli organi di informazione sono solleciti a diffondere questo genere di esternazioni o contraddizioni, che potrebbero non tanto informare quanto disorientare il Popolo di Dio.
Di fronte a questo genere di informazioni per un cattolico è necessario conservare immutata la fede e la fedeltà ai Romani Pontefici.
A questo fine, proponiamo un elenco di equivoci e relative chiarificazioni redatto dal vaticanista Sandro Magister: sarà utile per comprendere che non tutto quanto dice un Pontefice è Magistero. Ci aiuterà anche a tornare a fare costante riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica che contiene riassunte tutte le verità della fede cattolica.
Infine, per capire cosa sia Magistero e cosa, invece, opinione personale, rimandiamo all'insuperato studio "Dall'opinione al dogma", scaricabile gratuitamente da www.totustuus.it.
__________
Equivoci, gaffe, vuoti di memoria, leggende metropolitane. Un elenco degli errori nei discorsi di Francesco. Il più disastroso in Paraguay
di Sandro Magister
1. [Preti pedofili] "Come aveva detto Benedetto XVI, la tolleranza deve essere zero": così papa Francesco nella sua intervista a "La Croix" del 16 maggio scorso, a proposito degli abusi sessuali sui minori.
Ma se si ripercorrono tutti gli scritti e i discorsi di papa Joseph Ratzinger, la formula "tolleranza zero" proprio non la si trova. Mai. E nemmeno qualche formula equivalente.
Eppure essa ritorna nelle cronache vaticane come un mantra, l'ultima volta pochi giorni fa, il 4 giugno, in occasione dell'uscita del motu proprio per la rimozione dei vescovi colpevoli di "negligenza" nel trattare i casi di abuso.
Ma mentre Francesco l'ha fatta propria più volte, ad esempio nella conferenza stampa del volo di ritorno dalla Terra Santa, attribuirla – come ha fatto – anche a Benedetto XVI non corrisponde a verità.
Ed è l'ultima delle non poche inesattezze che costellano l'eloquio pubblico dell'attuale papa.
*
2. [Non conflitto ma opportunità] La penultima inesattezza è del 24 aprile, durante la visita che papa Francesco improvvisò a Villa Borghese, nel centro di Roma, ai focolarini riuniti in una manifestazione in difesa della natura.
Disse il papa, nel suo discorso improvvisato: "Una volta qualcuno mi ha detto – non so se è vero, se qualcuno vuole può verificare, io non ho verificato – che le parola 'conflitto' nella lingua cinese è fatta da due segni: un segno che dice 'rischio', e un altro segno che dice 'opportunità'. Il conflitto, è vero, è un rischio ma è anche una opportunità".
In realtà questa immaginaria traduzione ad effetto della parola cinese "weiji" è un artificio oratorio inventato in Occidente. Fu lanciata per la prima volta da John Kennedy in un discorso a Indianapolis del 12 aprile 1959 e da lì in avanti ripresa numerose volte da lui e da altri leader politici americani, da Nixon ad Al Gore a Condoleezza Rice, diventando ricorrente anche nella stampa popolare di lingua inglese e non.
*
3. [Divorziati risposati] Una terza imprecisione è nella conferenza stampa del 16 aprile di quest'anno sul volo di ritorno dall'isola di Lesbo.
Nel rispondere al fuoco di fila delle domande sulla "Amoris laetitia", Francesco indicò nel cardinale Christoph Schönborn l'interprete giusto del documento. E nel tesserne l'elogio – "è un grande teologo" e "conosce bene la dottrina della Chiesa" – aggiunse: "Lui è stato segretario della congregazione per la dottrina della fede". Cosa non vera, perché di questa congregazione Schönborn è stato ed è solo membro.
Inoltre, in quella stessa conferenza stampa, Francesco replicò con un inverosimile "Io non ricordo quella nota" a una domanda sulla cruciale nota 351 della "Amoris laetitia", quella che prospetta "l'aiuto dei sacramenti" ai divorziati risposati.
*
4. [Matrimoni omosessuali] Con un altro implausibile "Io non ricordo bene quel documento" Francesco rispose anche alla domanda se la nota dottrinale della congregazione per la dottrina della fede del 2003 che vieta ai parlamentari cattolici di legalizzare le unioni tra persone dello stesso sesso "ha ancora un valore".
Questo durante la conferenza stampa sul volo di ritorno dal Messico, il 17 febbraio 2016. E proprio mentre in Italia una legge di quel tipo era sul punto di essere approvata.
*
5. [Anticoncezionali] Nella stessa conferenza stampa sul volo dal Messico a Roma, altro passo falso, questa volta con Paolo VI a farne le spese.
Disse papa Francesco: "Paolo VI – il grande! – in una situazione difficile, in Africa, ha permesso alle suore di usare gli anticoncezionali per i casi di violenza". E aggiunse che "evitare la gravidanza non è un male assoluto, e in certi casi, come in quello che ho menzionato del beato Paolo VI, [ciò] era chiaro".
Due giorni dopo, anche padre Federico Lombardi ritirò fuori la stessa storia, in un'intervista alla Radio Vaticana fatta con l'intento di raddrizzare ciò che era andato storto nelle dichiarazioni del papa riprese dai media, che sul via libera agli anticoncezionali avevano già cantato vittoria:
"Il contraccettivo o il preservativo, in casi di particolare emergenza e gravità, possono anche essere oggetto di un discernimento di coscienza serio. Questo dice il papa. […] L’esempio che [Francesco] ha fatto di Paolo VI e della autorizzazione all’uso della pillola per delle religiose che erano a rischio gravissimo e continuo di violenza da parte dei ribelli nel Congo, ai tempi delle tragedie della guerra del Congo, fa capire che non è che fosse una situazione normale in cui questo veniva preso in considerazione".
In realtà che Paolo VI abbia esplicitamente dato quel permesso non risulta per niente. Nessuno è mai stato capace di scovare una sola sua parola in proposito.
Eppure questa leggenda metropolitana continua a stare in piedi da decenni e puntualmente ci sono cascati anche Francesco e il suo portavoce.
Come veramente si svolse quella vicenda è stato ricostruito per filo e per segno in questo servizio di www.chiesa: > Paolo VI e le suore violentate in Congo. Ciò che quel papa non disse mai
*
6. [Regimi non marxisti] Sesto e più disastroso errore: quello in cui è caduto Francesco ad Asunción l'11 luglio 2015, nel discorso ai rappresentanti della società civile del Paraguay, con in prima fila il presidente Horacio Cartes e le altre autorità del paese.
Lì il papa a un certo punto improvvisò, abbandonando il testo scritto: "Ci sono cose, prima di concludere, a cui vorrei fare riferimento. E in questo, poiché ci sono politici qui presenti, c'è anche il presidente della Repubblica, lo dico fraternamente. Qualcuno mi ha detto: 'Senta, il tale si trova sequestrato dall'esercito, faccia qualcosa!'. Io non dico se è vero o non è vero, se è giusto o non è giusto, ma uno dei metodi che avevano le dittature del secolo scorso era allontanare la gente, o con l'esilio o con la prigione; o, nel caso dei campi di sterminio, nazisti o stalinisti, la allontanavano con la morte. Affinché ci sia una vera cultura in un popolo, una cultura politica e del bene comune, ci vogliono con celerità giudizi chiari, giudizi limpidi. E non serve altro tipo di stratagemma. La giustizia limpida, chiara. Questo ci aiuterà tutti. Io non so se ciò qui esiste o meno, lo dico con tutto rispetto. Me lo hanno detto quando entravo, me lo hanno detto qui. E che chiedessi per non so chi… non ho sentito bene il nome".
Il nome che Francesco non aveva "sentito bene" era quello di Edelio Murinigo, un ufficiale sequestrato da più di un anno non dall'esercito regolare del Paraguay – come invece il papa aveva capito – ma da un sedicente "Ejército del pueblo paraguayo", un gruppo terrorista marxista-leninista attivo nel paese dal 2008.
Eppure, nonostante la dichiarata ed enfatizzata sua ignoranza del caso, Francesco non temette di utilizzare i pochi e confusi dati da lui malamente raccolti poco prima per accusare l'incolpevole presidente del Paraguay addirittura di un crimine assimilato ai peggiori misfatti nazisti e stalinisti.
Onore al presidente Cartes per la signoria con cui lasciò cadere nel vuoto l'impressionante pubblico affronto.
*
7. [Aggiornamento dei movimenti ecclesiali] Altro errore, la citazione immaginaria che Francesco ha messo in bocca al musicista Gustav Mahler nel discorso – zeppo di rimproveri – rivolto a Comunione e liberazione il 7 marzo 2015: "Il riferimento all’eredità che vi ha lasciato don Giussani non può ridursi a un museo di ricordi, di decisioni prese, di norme di condotta. Comporta certamente fedeltà alla tradizione, ma fedeltà alla tradizione – diceva Mahler – 'significa tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri'. Don Giussani non vi perdonerebbe mai che perdeste la libertà e vi trasformaste in guide da museo o adoratori di ceneri".
Ogni volta che il papa fa una citazione, la squadra che dà poi forma ufficiale ai suoi discorsi la correda con il riferimento al testo da cui è tratta. Ma in questo caso ciò non è avvenuto. Perché non poteva avvenire.
In nessuno scritto di Mahler, infatti, si ritrova la frase citata da Francesco.
Va però notato che pochi giorni prima, nel concludere gli esercizi spirituali d'inizio Quaresima ai quali anche il papa aveva partecipato, il predicatore incaricato, il carmelitano Bruno Secondin, aveva costruito l'ultima sua meditazione proprio su quella citazione attribuita a Mahler anche da altri prima di lui e ormai entrata nell'uso corrente, sebbene senza riscontro nella realtà.
*
8. [Curia Romana e Spirito Santo] E infine un'altra frase carissima a Jorge Mario Bergoglio ma di autore immaginario: "Ipse harmonia est".
La prima volta che la citò fu il 15 marzo 2013, due giorni dopo che era stato eletto papa, nel discorso rivolto ai cardinali reduci dal conclave: "Io ricordo quel Padre della Chiesa che definiva lo Spirito Santo così…".
Anche allora l'ufficio vaticano che si occupa di mettere in bella copia i discorsi del papa e di corredarli di riferimenti bibliografici si arrovellò per trovare chi e dove avesse detto quella frase. Ma non ci riuscì. La massima andò agli atti senza padre, senza madre, senza genealogia.
Ma Francesco non si diede per vinto e venti mesi dopo tornò a citare la massima attribuendogli lui una paternità: "Ipse harmonia est', dice san Basilio". E anche questa volta essa finì agli atti senza la nota a piè di pagina, perché nessuno riuscì a scovare dove san Basilio avesse detto quelle parole.
Era il 22 dicembre 2014, e il discorso era quello poi divenuto famoso delle quindici "malattie" sbattute in faccia ai cardinali e vescovi di curia.
-
Svolta "misericordiosa" anche a Bologna; la priorità va a: dialogo con l'islam, lotta all'omofobia, celebrazione della CGIL e accoglienza a immigrati e carcerati.
Il plauso del "Manifesto - quotidiano comunista": dalla nuova pastorale sembrano scomparsi divorzio, aborto, droga e valori non negoziabili.
Il nuovo arcivescovo di Bologna, insediatosi nel dicembre 2015, procede con decisione a rendere la Chiesa felsinea più povera:
- E' di pochi giorni fa il riconoscimento come difensore della "dignità dell'uomo, dei diritti della persona" rivolto alla più dura delle organizzazioni sindacali comuniste, la Fiom-CGIL.
- Nella stessa occasione, Mons. Zuppi schiera i cattolici nella "lotta contro l'omofobia"
- Prima storica visita di un Vescovo bolognese a una moschea: "costruiamo ponti" con chi fa guerra da 1.500 anni.
- A tal fine la Diocesi ha un grande bisogno di un "Sì alla moschea e feste musulmane nelle scuole".
- Misericordia e comprensione anche verso Marco Pannella, promotore dei maggiori attacchi verso la fede cattolica negli ultimi 40 anni.
- Nuova destinazione per le finanze diocesane: sostegno a chi occupa le case altrui e potenziamento dell'accoglienza di immigrati
- Misericordia senza condizioni anche per chi è colpevole di reati.
- E per il ballottaggio elettorale, nessun riferimento ai "valori non negoziabili".
E i fedeli? Plaudono all'arcivescovo emerito Card. Caffarra e al Card. Biffi:
Dibattito fra mons. Caffarra e l'ex prete di strada, Zuppi, sulla figura del cardinal Biffi
Bologna, duello fra arcivescovi
Una Chiesa più povera di cultura è solo più ignorante
di Alessandra Nucci
«Una chiesa più povera di dottrina non è più pastorale ma solo più ignorante». Sono parole scandite con sorridente vigore da Carlo Caffarra, cardinale emerito di Bologna, e scatenano uno scroscio di applausi spontanei molto significativi. Siamo nella sala dello Stabat Mater dell'Archiginnasio di Bologna, per la presentazione di Ubi Fides Ibi Libertas [Ed.Cantagalli 2106] libro commemorativo nel primo anniversario della scomparsa del cardinale Giacomo Biffi.
Sono presenti, assieme per la prima volta, l'attuale arcivescovo di Bologna, mons. Matteo Maria Zuppi e, appunto, l'arcivescovo emerito, Cardinal Caffarra, che ha potuto lasciare la guida della diocesi soltanto l'ottobre scorso, due anni dopo aver raggiunto l'età pensionabile.
Il moderatore, il giornalista Paolo Francia, aveva introdotto l'evento come una disfida fra il principe della Chiesa, qual è il cardinal Caffarra, e «il principe laico di Bologna», Fabio Roversi Monaco, rettore del nono centenario dell'Alma Mater e padre del museo della città, Genus Bononiae. Ma gli applausi all'etichetta di «ignorante» assestata da Caffarra alla «Chiesa più povera di dottrina» segnalano piuttosto l'inizio di un derby fra i due leader della diocesi, cordiali e distesi entrambi ma così diversi da rappresentare il carattere delle due diverse Bologne che convivono da settant'anni in un'unica città.
«Si assiste a una progressiva delegittimazione della cultura», sale sul ring l'emerito. «In nome di un impegno supposto più pastorale. Ma una Chiesa più povera di dottrina non è più pastorale, è solo più ignorante, e quindi più soggetta alle pressioni del potente di turno». È chiara a tutti, e sottolineata dal battimani, la sfida alla Chiesa di Bergoglio, di cui mons. Zuppi è chiaramente figlio.
Ma non basta. Nell'epoca degli altolà all'evangelizzazione, a rischio proselitismo, e regnante papa Francesco, che è arrivato di recente a paragonare la propagazione dell'islam con la spada, predicata da Maometto, con il comando missionario di Gesù, Caffarra ricorda anche che «l'impegno precipuo di Giacomo Biffi era di annunciare a tutti, compresi i musulmani, lo splendore della verità». Per concludere infine focalizza l'importanza della tradizione, come definita da T.S. Eliot: «È il momento presente del passato».
Dal suo angolo, anche il padrone di casa Zuppi scende in campo sul terreno della tradizione, invitando a guardarsi dalla tentazione alla «conservazione», sia individuale sia collettiva. Anche le sue sono accuse indirette: «La tradizione non è solo fissità», «La tradizione non deve pensare solo per stereotipi» dice, e soprattutto: «La tradizione non è paura delle differenze». In conclusione un'apertura: «Si eredita qualcosa che è stato seminato da altri, è questo il vero senso della tradizione».
La celebrazione cade in un momento particolarissimo per la città di Bologna, sia sul piano laico (che domenica vede un inedito ballottaggio per il sindaco) sia sul piano religioso, per l'ancor recente insediamento dell'«ex-prete di strada» assurto a guida di una Curia che per taluno è stata la più conservatrice d'Italia, in una città un tempo vetrina del più potente partito comunista d'occidente.
Così ognuno ha capito il duello di ingegni intorno alla figura oggi più nota fra i successori di San Petronio, Caffarra giocando in casa e Zuppi, che il cardinal Biffi non lo ha conosciuto, sulla base di letture e con frequenti riferimenti all'ex-segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, seduto in prima fila. Nel contributo al testo infatti Bersani si dichiara grato per la «sorridente brutalità» biffiana, la cui sferza influì sui suoi anni da presidente della Regione.
La leale contesa non si chiude qui, perché l'11 luglio, alla messa per l'anniversario della morte di Giacomo Biffi, l'arcivescovo in carica ha offerto all'emerito (cioè Caffarra) di tenere lui l'omelia, e l'emerito ha accettato.
-
La “Chiesa povera” dal Vaticano II a papa Francesco
di Roberto de Mattei
I documenti di Papa Francesco, secondo il giudizio prevalente dei teologi, costituiscono delle generiche indicazioni di carattere pastorale e morale, prive di significativa qualità magisteriale. È questa una delle ragioni per cui tali documenti vengono discussi in maniera più libera di quanto sia mai accaduto con i testi pontifici.
Tra le analisi più penetranti di questi testi, va segnalato lo studio di un filosofo dell’università di Perugia, Flavio Cuniberto, dal titolo Madonna Povertà. Papa Francesco e la rifondazione del cristianesimo (Neri Pozza, Vicenza 2016), dedicato in particolare alle encicliche Evangeli Gaudium (2013) e Laudato sì (2015). L’esame a cui il prof. Cuniberto sottopone i testi è quella dello studioso che cerca di comprenderne le tesi di fondo, spesso celate da un linguaggio volutamente ambiguo ed ellittico. Sul tema della povertà, Cuniberto porta alla luce due contraddizioni: la prima di natura teologico-dottrinale, la seconda di carattere pratico.
Per quanto riguarda il primo punto egli osserva che papa Francesco, in contrasto con quanto si desume dal Vangelo, fa della povertà una condizione più materiale che spirituale, per trasformarla quindi in una categoria sociologica. Questa esegesi traspare, ad esempio, dalla scelta di citare, per il discorso sulle Beatitudini, Luca 6, 20 e non il più preciso Matteo 5, 3 (che usa il termine di «pauperes spiritu», ossia coloro che vivono umilmente dinanzi a Dio).
Ma la povertà sembra essere allo stesso tempo un male e un bene. Infatti, osserva Cuniberto, «se la povertà come miseria materiale, esclusione, abbandono, è indicata fin dall’inizio come un male da combattere, per non dire il male dei mali, ed è perciò l’obiettivo primario dell’azione missionaria», il nuovo significato cristologico che gli attribuisce Francesco «ne fa contemporaneamente un valore e anzi il valore supremo ed esemplare». Si tratta, sottolinea il filosofo perugino, di un complicato groviglio. «Perché combattere la povertà e sradicarla quando è al contrario un “tesoro prezioso”, e addirittura la via verso il regno? Nemico da combattere o tesoro prezioso?» (pp. 25-26).
Il secondo nodo riguarda le “cause strutturali” della povertà. Supponendo che essa sia un male radicale, papa Bergoglio sembra individuarne la causa essenziale nella “disuguaglianza”. La soluzione indicata per estirpare questo male sarebbe quella marxista e terzo-mondista della redistribuzione delle ricchezze: togliere ai ricchi e dare ai poveri. Una redistribuzione ugualitaria che passerebbe attraverso una maggiore globalizzazione delle risorse, non più riservata alle minoranze occidentali, ma estesa a tutto il mondo. Ma alla base della globalizzazione sta la logica del profitto, che da una parte viene criticata e dall’altra viene proposta come via per vincere la povertà. Il supercapitalismo, infatti, per alimentarsi, ha bisogno di una platea di consumatori sempre più estesa, ma l’estensione su larga scala del benessere, finisce per alimentare le disuguaglianze che si vorrebbero eliminare.
Il libro del prof. Cuniberto merita di essere letto accanto a quello di uno studioso napoletano don Beniamino Di Martino, su Povertà e ricchezza. Esegesi dei testi evangelici (Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2013). Il libro è molto tecnico e don Di Martino smonta, attraverso una rigorosa analisi dei testi, le tesi di una certa teologia pauperista.
L’espressione «contro l’avidità non contro la ricchezza» riassume, secondo l’autore, l’insegnamento dei Vangeli che egli analizza. Ma da dove nasce la confusione teologica, esegetica e morale tra povertà spirituale e povertà materiale? Non si può ignorare il cosiddetto “Patto delle Catacombe”, sottoscritto il 16 novembre del 1965 nelle Catacombe di Domitilla a Roma, da una quarantina di Padri conciliari che si impegnavano a vivere e lottare per una Chiesa povera e ugualitaria.
Il gruppo aveva tra i suoi fondatori il sacerdote Paul Gauthier (1914-2002), che aveva partecipato all’esperienza dei “Preti operai” del cardinale Suhard, condannata dalla Santa Sede nel 1953, e poi, con l’appoggio del vescovo di cui fu teologo in Concilio, mons. Georges Hakim, aveva fondato in Palestina la famiglia religiosa de I compagni e le compagne di Gesù carpentiere. Gauthier era accompagnato dalla sua compagna di lotta Marie-Thérèse Lacaze, che divenne la sua convivente quando lasciò il sacerdozio.
Tra coloro che appoggiarono il movimento furono mons. Charles M. Himmer, vescovo di Tournai (Belgio), che ospitava le riunioni nel Collegio belga di Roma, dom Helder Camara che era ancora vescovo ausiliare di Rio e poi divenne vescovo di Recife, e il card. Pierre M. Gerlier, arcivescovo di Lione, in stretti contatti con il card. Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, che si faceva rappresentare dal suo consigliere Giuseppe Dossetti e dal suo vescovo ausiliare mons. Luigi Bettazzi (cfr. Il patto delle Catacombe. La missione dei poveri nella Chiesa, a cura di Xabier Pizaka e José Antunes da Silva, Edizioni Missionarie Italiane 2015).
Mons. Bettazzi, l’unico vescovo italiano oggi vivente presente al Vaticano II, fu anche l’unico italiano ad aderire al “Patto della Catacombe”. Bettazzi, oggi 93enne, partecipò a tre sessioni del Vaticano II e fu vescovo di Ivrea dal 1966 al 1999, quando si dimise per limiti di età.
Se Dom Helder Camara fu il “vescovo rosso” brasiliano, mons. Bettazzi entrò nella storia come il “vescovo rosso” italiano. Nel luglio del 1976, quando sembrava che il comunismo potesse prendere il potere in Italia, Bettazzi scrisse una lettera all’allora segretario del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer, al quale riconosceva la tendenza a realizzare: «un’esperienza originaria di comunismo, diversa dai comunismi di altre nazioni», e chiedeva di «non osteggiare» la Chiesa, ma di «stimolarne», piuttosto «l’evoluzione secondo l’esigenza dei tempi e le attese degli uomini, soprattutto dei più poveri, che forse voi potete o sapete più tempestivamente interpretare». Il leader del PCI rispose al vescovo di Ivrea con la lettera Comunisti e cattolici: chiarezza di princìpi e basi di intesa pubblicata su Rinascita del 14 ottobre 1977.
In questa lettera Berlinguer negava che il PCI professasse esplicitamente l’ideologia marxista, come filosofia materialistica ateistica, e confermava la possibilità di un incontro tra cristiani e comunisti sul piano della “de-ideologizzazione”. Non si tratta di pensare allo stesso modo, ma di fare insieme la stessa strada – affermava in sostanza Berlinguer – nella convinzione che marxisti non si è nel pensiero, ma si diviene nella prassi.
Il primato marxista della prassi è penetrato oggi nella Chiesa come assorbimento della dottrina nella pastorale. E la Chiesa rischia di divenire marxista nella prassi anche falsando il concetto teologico di povertà.
La vera povertà è il distacco dai beni di questa terra, in modo che essi servano alla salvezza dell’anima e non alla sua perdizione. Tutti i cristiani devono essere distaccati dai beni, perché il Regno dei Cieli è riservato ai “poveri in spirito”, ed alcuni di essi sono chiamati a vivere una povertà effettiva, rinunciando al possesso e all’uso dei beni materiali. Ma questa scelta ha valore perché è libera e non viene imposta da nessuno.
Le sette eretiche, fin dai primi secoli, hanno preteso invece di imporre la comunione dei beni, al fine di realizzare in questa terra una utopia ugualitaria. Su questa linea si pone oggi chi vuole sostituire alla categoria religiosa dei poveri in spirito quella sociologica dei materialmente poveri. Mons. Luigi Bettazzi, autore del volumetto La chiesa dei poveri dal concilio a Papa Francesco (Pazzini 2014) ha ricevuto, il 4 aprile 2016, la cittadinanza onoraria di Bologna e potrebbe ricevere la porpora da papa Francesco, sotto il cui pontificato secondo lo stesso ex-vescovo di Ivrea, si è sviluppato il Patto delle Catacombe, «come un seme di frumento messo sotto la terra e cresciuto pian piano fino a dare i suoi frutti».
-
Cristo è rock? L'ennesimo scempio (a)liturgico a Cuneo
(Riflessioni di un giovane studente pubblicate dal blog messainlatino.it)
Vinadio è un ridente paese della Valle Stura, tra le Alpi Marittime e Cozie, a pochi chilometri dal confine francese, nel territorio della Diocesi di Cuneo.
Qui tutto è circondato dalla bellezza maestosa delle montagne; al centro del paese si erge lo straordinario Forte Albertino, capolavoro di ingegneria militare voluto da Carlo Alberto nel 1834 a difesa delle valli circostanti.
Ecco il luogo scelto per l'infausto evento che si è tenuto sabato 4 giugno: per l'ennesima volta il gruppo della Pastorale Giovanile della Diocesi di Cuneo ha proposto come momento culmine dell'Anno Pastorale, e in attesa della GMG, una fantomatica Messa “rock”.
Sì, proprio quella… e pensare che siamo nel 2016, non nei lontani anni Settanta!
Speravamo di non dover più dare risonanza a simili deprecabili fatti, ma purtroppo la storia si ripete, come ad Albiano (TN) nel 2012 ed in molte altre diocesi italiane.
L'iniziativa ha goduto di ampia risonanza a livello diocesano, a cominciare da una massiccia campagna di promozione sui cosiddetti social networks, fino alle pagine della locale stampa “cattolica”.
Le voci contrarie, come sempre in questi casi, sono state prontamente zittite da coloro che, pur professando liberalità, si dimostrano intransigenti e chiusi ad ogni forma di confronto con opinioni diverse dalle loro e con tutto ciò che possa essere tacciato di eccessiva “cattolicità”.
Chiunque conosca minimamente la situazione ecclesiale piemontese, marcata da anni di progressismo sfrenato e senza regole, saprà benissimo delle difficoltà che si incorrono nel professare la fede cattolica nella sua integrità, quando si tenta di smontarla quotidianamente e di far passare per buono soltanto l'eterodosso.
*
Come sempre in questi casi, non mancano potenti mezzi organizzativi: uno spot promozionale (come se ci fosse bisogno di questo per invitare ad una Messa!) è stato caricato su YouTube ed è già tutto un programma.
Così sentenzia lapidariamente un commento al video: “Questo spot non ha nulla di religioso”. Eppure l'eco a livello diocesano non sembrava sufficiente, quindi è intervenuta la Pastorale Giovanile della CEI a promuovere la celebrazione sul suo sito internet e a livello nazionale, in barba ad anni di Magistero Papale e di documenti sulla Sacra Liturgia: se addirittura il sito ufficiale della Chiesa Italiana ha creduto di dover dare risonanza a tale spettacolo, siamo messi proprio male.
*
Il card. Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, interviene spesso (e molti interventi sono puntualmente ripresi da Messainlatino.it) a difesa della giusta interpretazione della liturgia e contro ogni abuso, ma pare che il clero modernista non faccia caso a certi discorsi, pronto com'è a tirare sempre dalla propria parte il Santo Padre e avendo dimenticato (o mai imparato) anni di insegnamenti sulla liturgia che ci sono stati impartiti da San Giovanni Paolo II (come non pensare in modo particolare all'istruzione Redemptionis Sacramentum), da Benedetto XVI-Joseph Ratzinger, prima da cardinale e poi da papa col costante esempio nella prassi liturgica, e non da ultimo da Francesco, che ha voluto al Culto Divino una persona autorevole in materia come il card. Sarah.
*
Sarebbe salutare che certi sacerdoti meditassero su questa affermazione del cardinale Prefetto, rilasciata durante un'intervista per l'Osservatore Romano (12 giugno 2015): “Attuare la liturgia non è dunque altro che attuare l’opera di Cristo. La liturgia è nella sua essenza 'actio Christi': l’'opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio" (n. 5).
È Lui il grande sacerdote, il vero soggetto, il vero attore della liturgia (cfr. n. 7).
Se questo principio vitale non viene accolto nella fede, si rischia di fare della liturgia un’opera umana, un’autocelebrazione della comunità.”
A giudicare dalle fotografie pubblicate sulla pagina Facebook dell'evento, possiamo affermare che questa Messa “rock” è stata proprio un'autocelebrazione, non tanto della comunità, che pure è accorsa attirata forse da un senso di “novità provincialotta” (cit.), quanto dei sacerdoti che hanno organizzato l'evento, non disdegnando danze e sceneggiate che nulla hanno a che vedere con la liturgia, ma che possono definirsi semplicemente delle pagliacciate.
Perché, se la locandina appositamente preparata per sponsorizzare la Messa dice che la “bellezza è rock”, beh a noi sembra che ben poca bellezza traspaia da queste immagini.
O allora i nostri canoni di bellezza sono diversi e non siamo sufficientemente “rock” per comprenderli.
*
Non si illudano gli organizzatori, che avranno a loro favore il numero impressionante di persone giunte per l'occasione (sono stati organizzati addirittura dei viaggi in pullman): chiediamoci piuttosto quanti di quei giovani frequenteranno almeno una tantum, per non osare dire assiduamente, la Santa Messa domenicale nelle loro parrocchie d'origine?
Quantità non è sempre sinonimo di qualità.
Eppure, a ben pensarci, quei fedeli che hanno partecipato magari con fede all'evento non ne possono nulla se sono stati così tratti in inganno da pastori tramutati in lupi, che inculcano ai semplici una fede, e in questo caso un senso della liturgia, a buon mercato.
D'altra parte spesso è il clero che sradica il desiderio del sacro che alberga nei cuori dei fedeli, relegando in un angolo quel Cristo che definiscono irruente come il rock, per fare spazio all'uomo, all'io e ai suoi capricci.
*
I giovani meritano di più di questa gente: meritano sacerdoti che comincino a prenderli sul serio, che non si limitino ad offrire solo cose basse ed in linea con la moda del momento, ma li spingano alla ricerca delle realtà ultraterrene.
Finché non si abbandonerà quest'ottica terrena, che poi altro non è che la “mondanità” contro la quale quotidianamente si scaglia il Santo Padre, ecco che il Forte Albertino sarà forse pieno in occasione della Messa “rock”, ma le chiese resteranno tristemente vuote la domenica mattina e i seminari diocesani abbasseranno le serrande per mancanza di manodopera.
Che non sia questo il desiderio di taluni?
AP
-
Ho visto anche io la trasmissione su TV2000, e sono rimasto basito. Mentre scorreva la trasmissione mi assaliva lo sconforto, lo smarrimento. In un primo momento ho pensato che fosse stato tutto inutile.
Tutto! Fosse stato tutto vano muoversi in questi due anni ad incontrare le persone, a discutere di gender, partecipare e preparare incontri pubblici, centinaia di telefonate, sopportare spese e sacrifici per organizzare pullman per il primo Family Day (contro il gender) ed il secondo (contro il matrimonio omosessuale).
E allora? Ho pensato che fosse stato tutto illusorio se l’emittente della CEI, quella dei vescovi italiani, alle dirette dipendenze di mons. Galantino, segretario della CEI, mette in onda una trasmissione sull'amore omosessuale, che viene, dunque, sdoganato.
di Sabino Paciolla
Fonte: CulturaCattolica.it
La trasmissione:
[https:]
La trasmissione si chiama “Il diario di papa Francesco”; sul maxi schermo, che fa da sfondo allo studio, figura il papa che apre la Porta Santa; in studio tre giovani omosessuali, un prete ed una suora di una associazione “di frontiera”; un conduttore che “conduce le danze”; ciascuno con in mano la copia di pagine della esortazione apostolica AMORIS LAETITIA.
Il conduttore che inizia dicendo che si parlerà dell’AMORIS LAETITIA insieme agli ospiti omosessuali. Il genitore di uno dei giovani scrive che non vi è alcuna differenza tra l’amore di suo figlio per il suo compagno, e quello tra un uomo ed una donna.
Il sacerdote, partendo dal passo della Amoris Laetitia n. 250, afferma che l’esortazione “insiste che non è possibile continuare con una ingiusta discriminazione nei confronti di queste persone, vanno accolte, vanno accolte, a partire dalla loro identità, da quello che sono, dalla loro esperienza. Probabilmente non abbiamo ancora compreso, come Chiesa, l’esperienza dell’amore che può sorgere tra due persone omosessuali, stiamo cercando di capire che cosa significa, lo possiamo chiamare amore o no, vediamo, ma lo dobbiamo mettere sul tavolo, discuterlo.” (…) “Non possiamo noi, a partire da qualche principio teologico, dire questo è amore o questo non è amore. Dobbiamo sentire le loro esperienze, ascoltarli, dire che cosa vivono quando sono in coppia, quando vivono dalla mattina alla sera insieme, come se fossero famiglia, PERCHÉ PROBABILMENTE SONO FAMIGLIA. Allora noi che cosa abbiamo da dire a queste esperienze? Dobbiamo solo portare delle regole? Delle norme che dicono: voi non state vivendo quello che in realtà vediamo, ma è in realtà una illusione? Non possiamo andare avanti così. Non è questo quello che dice l’Amoris Laetitia, non è questo quello che dice il Papa”.
In questo crescendo rossiniano: “Come Chiesa, non abbiamo ancora compreso”, “stiamo cercando di capire”, “dobbiamo discuterlo”, “probabilmente sono famiglia”… che cosa si potrebbe concludere? Che l’amore omosessuale E’ FAMIGLIA?
Il passo dell’AMORIS LAETITIA, il n. 250, citato nella trasmissione a sostegno del matrimonio omosessuale dice: “Nei riguardi delle famiglie si tratta invece di assicurare un rispettoso accompagnamento, affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita”. Attenzione, dice testualmente, la “volontà DI DIO nella loro vita”, non quella degli uomini. Non quella che io mi costruisco a mia immagine e somiglianza.
Che cosa c'entra il modo di trattare l'argomento "amore omosessuale" di questa trasmissione con il catechismo della Chiesa cattolica?
Cosa c'entra il messaggio di questa trasmissione con la sapienza millenaria della Chiesa?
Dove è finito il catechismo che, al n. 2331, dice « Dio creò l'uomo a sua immagine; [...] maschio e femmina li creò » (Gn 1,27); « Siate fecondi e moltiplicatevi » (Gn 1,28). Al 2335 dice: “L'unione dell'uomo e della donna nel matrimonio è una maniera di imitare, nella carne, la generosità e la fecondità del Creatore”. Al 2336 dice: “Gesù è venuto a restaurare la creazione nella purezza delle sue origini. Nel discorso della montagna dà un'interpretazione rigorosa del progetto di Dio: « Avete inteso che fu detto: "Non commettere adulterio" (Mt 5,27-28) (“atti impuri” nella nuova formulazione catechistica).
Al 2357 dice: “La Tradizione ha sempre dichiarato che « gli atti di omosessualità sono INTRINSECAMENTE DISORDINATI ». Sono CONTRARI ALLA LEGGE NATURALE. Precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. IN NESSUN CASO POSSONO ESSERE APPROVATI”.
Al 2361 dice: ”La sessualità si realizza in modo veramente umano solo se è parte integrante dell'amore con cui l'uomo e la donna si impegnano totalmente l'uno verso l'altra fino alla morte ».
Infine san Paolo ci ammonisce: "Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Egualmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento. E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne" (Romani 1, 26-28).
In quindici minuti di trasmissione viene "fatta fuori" la tradizione millenaria della Chiesa; viene "sbriciolata" la Familiaris Consortio di san Giovanni Paolo II. E questo è il segno di un dramma che stiamo vivendo!
Perché illudere quei giovani? Perché far loro un discorso sentimentale, evitando di andare alla verità del significato dell’amore? Quando (ad esempio) si parlerà di “paternità” e “maternità”, cosa si dirà a quei giovani? Gli si dirà la verità che dice il Catechismo? Quella che al n. 2378 recita: “Il figlio non è qualcosa di dovuto, ma un dono. Il « dono più grande del matrimonio » è una persona umana. Il figlio non può essere considerato come oggetto di proprietà: a ciò condurrebbe il riconoscimento di un preteso « diritto al figlio»”. Perché la verità bisogna dirla, se l’amore omosessuale è intrinsecamente sterile, allora si apre la strada della “fabbricazione” dei figli, e si dovrà dunque ammettere un immaginato « diritto al figlio».
Ho ovviamente un grande rispetto per gli omosessuali, poiché a tutte le persone è stata donata la stessa dignità, e sono dunque contro qualsiasi discriminazione.
Ma sentire in trasmissione il sacerdote dire: “Non possiamo noi, a partire da qualche principio teologico, dire questo è amore o questo non è amore” ma “DOBBIAMO DISCUTERLO”, senza che qualcuno lo contraddica, con tutto il rispetto per la persona del sacerdote, ma questo discorso non potrebbe prestare il fianco ad una critica di "protestantesimo"?,
Fu proprio don Giussani a dire che "il mio parere è che certa teologia cattolica ha assunto accenti protestanti. Da dove nasce questo spirito protestante? Dalla riduzione del cristianesimo a parola (non più Dio che si fa carne, ndr.) (…) Se il cristianesimo fosse solo Parola di fronte al problema “Qual è l’ultima cattedra per interpretare questa Parola?” non si potrebbe che rispondere come ha risposto l’epoca moderna: la coscienza individuale. Questo è il protestantesimo" (da “L’io, il potere, le opere”, pag. 206).
Dicevo all’inizio che mentre scorreva la trasmissione sono stato preso dallo scoramento. Mi è però di conforto il ricordo delle parole di Paolo VI dette a Jean Guitton, l’8 settembre 1977, pochi mesi prima di morire: "C'è un grande turbamento in questo momento nel mondo della Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di san Luca: "Quando il Figlio dell'Uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla Terra?".
Capita che escano dei libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, che gli episcopati tacciano, che non si trovino strani questi libri. Questo, secondo me, è strano. Rileggo talvolta il Vangelo della fine dei tempi e constato che in questo momento emergono alcuni segni di questa fine. Siamo prossimi alla fine? Questo non lo sapremo mai. Occorre tenersi sempre pronti, ma tutto può durare ancora molto a lungo. Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all'interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia".
Paolo VI parlava di libri, oggi, purtroppo, dovremmo aggiungere “trasmissioni”.