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Nell’ultimo anno e mezzo 341 case appartenenti a Congregazioni religiose hanno chiuso definitivamente le porte per mancanza di vocazioni, e a causa dell’età elevate dei religiosi rimasti.
Tradotto in altri termini, ogni giorno e mezzo ha visto la scomparsa, in qualche luogo della Spagna, di un punto di vita religiosa.
Marco Tosatti
In generale gli edifici restano chiusi, in attesa di un compratore, vengono dati in affitto per attività diverse; ma non mancano i casi di “occupazione” abusiva.
E’ raro che le case restino aperte, per finalità religiose diverse da quelle precedenti. I religiosi seguono la tendenza di abbandonare i paesi e di raggrupparsi in città o località di maggiore importanza; ma talvolta non si salvano neanche le case religiose delle città maggiori, e l’arrivo di religiosi e religiose da altri continenti – Africa, Asia e America Latina – non sembra influire sul fenomeno di chiusura.
Per vedere in dettaglio i dati di questa emorragia, che colpisce ordini femminili e maschili, ma i primi con maggiore virulenza, cliccate su questo sito, Religion en liberdad . Su 341 chiusure, 270 riguardano le suore, mentre 71 hanno come protagonisti sacerdoti e frati.
Fra gli ordini femminili, il più colpito è quello delle Figlie della carità di San Vincenzo de’ Paoli: 23 residenze chiuse a Madrid, le Canarie, Majorca, Castiglia, la Mancha, Leòn, Catalogna, Galizia, Andalusia e Comunità valenziana.
In pratica, una residenza al mese ha chiuso i battenti.
Subito dopo le francescane (16 residenze) e le domenicane, (14 residenze).
Invece fra gli ordini maschili il triste primato delle chiusure spetta ai domenicani (14 residenze) seguiti dai Fratelli de la Salle (8 residenze). I gesuiti hanno chiuso cinque residenze in Spagna.
Anche alla luce di questa situazione, che certamente non è isolata né unica in Europa e in America Latina, appaiono singolari, a dir poco, le nuove direttive emanate dalla Congregazione per i religiosi in materia di Istituti di vita religiosa diocesani, che tendono a limitare la libertà dei vescovi nell’approvare nuove forme di vita religiosa, sottoponendoli a un esame obbligatorio della Congregazione stessa.
Quasi che restringendo il flusso che va di sua natura in una certa direzione, si possa ridare linfa alle Congregazioni tradizionali, in evidente debito di ossigeno e di carisma.
tratto da:
[www.lastampa.it]
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[E in America Latina il risultato è uguale: clicca su Leggi tutto]
Brasile, i muscoli dei Reborn
La Chiesa cattolica brasiliana sta perdendo la sfida nei confronti delle nuove Chiesa evangeliche. Che hanno portato a sfilare a San Paolo 340 mila persone nel giorno del Corpus Christi, in una "Marci per Gesù"
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Dalla galassia postconciliarista l'odio verso il Papa santo e mariano
NOI SIAMO CHIESA: WOJTYLA E RATZINGER? NO.
FRANCESCO? SI’, MA…
di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 8 giugno 2016
Il movimento internazionale "Noi siamo Chiesa" (International Movement We Are Church IMWAC) è dal 1996 la punta dell'iceberg nel dissenso infraecclesiale. Diffuso in ca. 40 paesi e tutti i continenti, godendo di una forte e non visibile influenza sui media e su vescovi e sacerdoti, svolge un'opera intesa modificare tendenze, mentalità e idee (si veda:
[www.we-are-church.org] ).
La sua sezione italiana ha festeggiato a Milano il 28 maggio i vent’anni di ‘Noi Siamo Chiesa’.
Proponiamo
- una trentina i messaggi augurali per un anniversario che si celebra “in una situazione che nella nostra Chiesa è ben più favorevole di prima”
- una sintesi della lunga e approfondita riflessione del coordinatore nazionale Vittorio Bellavite
SPUNTI INTERESSANTI SU PAPA FRANCESCO E ALTRO DAI MESSAGGI AUGURALI INVIATI DA TUTTA ITALIA (E DA LUGANO)
Prima di passare a qualche citazione di passi significativi dell’ampia relazione di Vittorio Bellavite, un accenno ai messaggi augurali pervenuti. Sono una trentina, tra i quali quello di Pax Christi.
Dalla Comunità cristiana di S. Paolo fuori le Mura: “Giunga un augurio non tanto di lunga vita, quanto che NSC possa un giorno diventare inutile perché la sua missione di pungolo alla Chiesa cattolica, e a quella italiana in particolare, possa essere giunta a compimento”.
Da “Preti Operai” (Roberto Fiorini): “Anche se per decenni interi l’impulso conciliare poteva sembrare affossato, nella realtà una resistenza era all’opera come la brace sotto la cenere. Quello che per decenni era silenziato o ridotto a un sussurro ora possiamo gridarlo dai tetti. Ed è questo che dobbiamo fare. Uno degli effetti di papa Francesco è stato quello di sdoganare un linguaggio legittimandolo nell’ambito della Chiesa. Quando dice che ‘questa economia uccide’ oppure ‘Vorrei una Chiesa povera per i poveri’ dà voce a quanto per decenni usciva dai nostri convegni e dalle nostre esperienze”.
Da “Città dell’uomo”(associazione fondata da Giuseppe Lazzati, Luciano Caimi): “Oggi possiamo ben dire che sotto il potente impulso di papa Francesco, autentico dono del Signore non solo per i credenti, ma per l’intera umanità di questo ingarbugliatissimo inizio di Millennio, la Chiesa cattolica ha effettivamente incominciato a intraprendere un lungo viaggio riformatore che riguarda sì le strutture, ma soprattutto i cuori e le menti, gli stili e i comportamenti”.
Da “Dialoghi” (Lugano, Enrico Morresi): “Dialoghi, rivista libera di cristiani liberi della Svizzera italiana, ritiene ‘Noi Siamo Chiesa’ un segno dei tempi. Una Chiesa veramente evangelica non avrebbe bisogno di essere svegliata da chi deve parlare ad alta voce per farsi sentire. Ma fino a quando i masssmedia continueranno a dare la parola al cardinale Bagnasco invece che al Popolo di Dio, la presenza di ‘Noi Siamo Chiesa’ sarà ancora e sempre necessaria”.
Dal gesuita Felice Scalia (Messina): “La strisciante opposizione di due pontificati al Vaticano II non si può dire che abbia trovato un’Italia dormiente, ma pigra sì, sonnacchiosa, acritica, incline ad amare la pace degli uomini molto più che la verità dello Spirito. ‘Noi Siamo Chiesa’ è stato svegliarino, voce chiara, pungolo alle coscienze dei credenti, pur in toni rispettosi, diretti a far emergere il Vangelo, e mai con posizioni di prevaricazioni sulla gerarchia”.
Da Raniero La Valle (già senatore della ‘Sinistra indipendente’): “Mi pare che le cose (almeno in spe!) siano radicalmente cambiate con la Chiesa di papa Francesco. Mettere come chiave di tutto la misericordia vuol dire uscire dallo schema della Chiesa configurata dal diritto, che include/esclude, cataloga, riconosce o nega appartenenza. La Chiesa di Francesco dice lei per prima che noi siamo Chiesa, e non solo i laici (comprese le donne), ma i musulmani, gli indù, i copti, quelli dei centri sociali; il ‘popolo di Dio’, quello a cui si lavano i piedi, dentro l’eucarestia pasquale: non solo i credenti, è l’umanità tutta intera”.
Da Beppino Englaro (Lecco, padre di Eluana): “Grazie di cuore per il vostro attento e notevole contributo in molti incontri riguardanti libertà e diritti fondamentali di Eluana. Buon lavoro e i miei complimenti per tutto quello che state facendo per la libertà e laicità delle nostre istituzioni”.
Dal Teatro Officina (Milano, Massimo De Vita): “Le aperture che si stanno verificando sotto il pontificato di papa Francesco erano impensabili per la maggioranza delle persone. ‘Noi Siamo Chiesa’ ha avuto la forza, che è dei profeti, di dire ciò che era inaudito. E ora le nostre orecchie sentono, i nostri occhi vedono”.
Da “ww.ildialogo.org” (Monteforte Irpino, Giovanni Sarubbi): “Oggi abbiamo una Chiesa prigioniera dei propri statuti, delle proprie teologie, dei propri ministri di culto, dei propri ‘funzionari di Dio’, che sfruttano il bisogno di accoglienza, di misericordia, di aiuto che soprattutto ipoveri e gli oppressi hanno, per impinguare se stessi. E i casi di cronaca continui di preti ladri, di ordini religiosi preda del dio denaro e spesso contigui con associazioni criminali, dicono di quanta distanza c’è fra le cose che pure dice oggi papa Francesco ed il corpo reale della Chiesa di cui egli è a capo”.
ALCUNI PASSI SIGNIFICATIVI (SPESSO SUCCOSI) DALL’AMPIA RELAZIONE DI VITTORIO BELLAVITE (COORDINATORE NAZIONALE) SU ‘PASSATO E PRESENTE DI ‘NOI SIAMO CHIESA’
Su Giovanni Paolo II: Nella Chiesa ci siamo trovati di fronte a una guida che, per trentacinque anni, ha considerato il Concilio in linea di continuità con la storia della Chiesa. Noi siamo stati e siamo per la linea opposta, quella che sostiene che il Concilio è stata una vera svolta. Il contrasto con le posizioni di Giovanni Paolo II ha segnato i primi dieci anni di ‘Noi Siamo Chiesa’.
Su Benedetto XVI/1: All’elezione di papa Ratzinger scrivemmo subito: ‘Speravamo in una svolta nella nostra Chiesa, rischiamo ora una pesante continuità, un messaggio di chiusura, di rigidità dottrinale, pastorale e disciplinare’. I fatti ci hanno dato ragione. Non prevedevamo però la deriva nella mala gestione con Bertone protagonista. Non prevedevamo addirittura il Papa con Bush nei giardini della Casa Bianca e poi Bush nei Giardini vaticani.
Su Benedetto XVI/2: L’eurocentrismo e l’ossessione per il relativismo sono state le linee portanti di un pontificato fermo sul piano dottrinale e incapace di gestire il Vaticano e che ha trovato, come molti dicono, il suo momento migliore quando l’11 febbraio 2013 il Papa ha dato le dimissioni. Era quanto avevamo auspicato. E’ stata una desacralizzazione del Papato, aldilà di quelle che fossero le vere intenzioni di Benedetto XVI che devono ancora essere chiarite.
Rovesciamento di prospettiva: L’approccio alle ‘questione’ pastorale nell’impegno per la riforma della Chiesa ha costituito il dna di ‘Noi Siamo Chiesa’, rovesciando l’attenzione tradizionale alle norme, ai ‘valori non negoziabili’, a una morale fondata sulla casistica, valida in ogni tempo e dovunque.
Le nostre radici: Le nostre radici non sono solo il Concilio e ‘il suo spirito’. Qui Vittorio Bellavite cita tra gli altri Antonio Rosmini, Alessandro Manzoni, Ernesto Buonaiuti, Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati, Giorgio La Pira, Primo Mazzolari, Davide Turoldo, Ernesto Balducci, Mario *censura*inetti, Lorenzo Milani, Maria di Campello, Mario Rossi, Tonino Bello.
Abbiamo scritto ai vescovi, ma senza risposta salvo eccezioni: L’impegno costante lungo venti anni è stato quello di cercare di essere ascoltati. Quante volte abbiamo scritto ai vescovi per proporre, denunciare, chiedere di studiare i problemi senza che il sistema ecclesiastico pretendesse di risolverli col comodo principio d’autorità e in nome dello Spirito Santo! Non abbiamo praticamente mai ottenuto risposte, ma ricordo il vescovo di Brescia (ci ha mandato un saluto per questo nostro incontro), soprattutto voglio ricordare Loris Capovilla che è tornato proprio ieri al Padre. L’ho incontrato più volte negli ultimi anni a Sotto il Monte, ha ascoltato con estrema attenzione e più volte le nostre proposte, manifestandosi veramente come uomo del Concilio e disponibile al dialogo senza alcuna pregiudiziale.
Questioni sollevate: Ecco alcune delle questioni più importanti che abbiamo sollevato: i diritti umani nella Chiesa col padre Castillo e la fine della repressione della libera ricerca teologica, la funzione della donna nella Chiesa, il sistema di nomina dei vescovi facendo proposte (…), il problema della povertà (o almeno della sobrietà) della Chiesa e nella Chiesa (…). Solo ora cominciamo a vedere qualche risultato (per esempio sulla gestione delle risorse; sulla fine, a quanto pare, di interventi contro i teologi…)
Contro la ‘fabbrica dei santi’: Abbiamo anche espresso il nostro fastidio, che è proprio di tutta l’area ‘conciliare’, nei confronti della ‘fabbrica dei santi’. Troppi i santi, a volte con tutta evidenza personaggi discutibili, quasi sempre chierici o monache o suore: è un sistema che continua, che è parte – ben lo sappiamo – della religiosità popolare, ma al quale non si può tutto concedere, perché a volte non si tratta più neanche di devozione ma di vera e propria superstizione. Non abbiamo condiviso – lo abbiamo detto molto esplicitamente – la canonizzazione di quasi tutti i papi perché ciò significa santificare lo stesso papato. Abbiamo partecipato all’intervento del nostro fratello Abate Franzoni contrario alla canonizzazione di Giovanni Paolo II che era stata avviata alla sua morte con il ‘Santo subito’ di tutta l’ala fondamentalista della Chiesa. E Romero, bloccato per anni dalla Curia Romana, era già stato dichiarato santo dal popolo delle Americhe, mentre – dopo che papa Francesco ha sbloccato il processo canonico – non c’è stato niente di meglio che proclamarlo santo ‘per la fede’ e non santo ‘per la giustizia’ come invece egli era stato.
Campagna contro il gender…peccato sia avallata dalle parole di papa Francesco: Da due anni, in una parte del tessuto associativo del mondo cattolico, è iniziata la campagna contro il ‘gender’ (che consisterebbe nel subdolo tentativo di ridurre o anche annullare la differenza tra maschio e femmina, organizzato – a mo’ di complotto – da una forte lobby gay). Dopo aver ragionato a lungo, alla fine abbiamo diffuso lo scorso 15 gennaio un argomentato testo che dice: Il gender non esiste, la differenza sessuale invece sì chiedendo che finisca la campagna e che ‘inizi nelle scuole un dialogo vero sulle grandi questioni dell’educazione dei giovani all’affettività’. Siamo amareggiati che questa campagna sia avallata dalle parole di papa Francesco, che, sommessamente, ipotizziamo non essere molto informato delle sue caratteristiche, almeno nel nostro Paese.
Divorziati risposati: La nostra proposta era antica. Il matrimonio che non sia più fondato sul consenso, che si sia concluso in una rottura definitiva, non esiste più, non è più sacramento. (…) Delle conclusioni di papa Francesco nella Amoris laetitia abbiamo scritto che mette da parte una morale fatta di casistica, di norme astratte valide sempre e comunque nel tempo e nello spazio. Ora tocca al popolo cristiano aprire del tutto la porta che papa Francesco ha permesso fosse socchiusa. Tutti l’hanno capito: anche se in modo tortuoso la porta aperta riguarda in particolare i divorziati risposati. Si accetta in pratica, sottovoce, il comportamento che è già praticato da un numero consistente di cattolici divorziati e risposati che si accostano all’Eucaristia sulla base di una scelta di coscienza.
L’era Ruini-Bagnasco: Dopo la fine del partito cattolico è iniziato nel nostro Paese il periodo della presenza diretta dell’episcopato nei confronti delle istituzioni. (…) Dietro il paravento di non scegliere formalmente degli schieramenti, l’era Ruini-Bagnasco, all’ombra del ‘Progetto culturale’, si è impegnata in interventi diretti su questioni specifiche ritenute di grande importanza. (…) La gestione Bagnasco non si è differenziata, se non per qualche aspetto formale, da quella Ruini. Quest’ultima è stata tutta politica (…), supponente e addirittura peggiorativa degli aspetti arretrati del papato di Giovanni Paolo II.
Unioni civili, cavallo di battaglia, no referendum, no obiezione di coscienza: Le questione delle unioni civili è stata il cavallo di battaglia dell’ingerenza clericale nei confronti dei vari progetti sostenuti in Parlamento. (…) Ora è passata, con una evidente forzatura nei modi dell’iter parlamentare, la legge sulle unioni civili. Essa è, nonostante tutto, un passo avanti e fa parte di un tentativo di modernizzazione che ora deve entrare in vigore nella gestione concreta di tipo amministrativo e, soprattutto, nell’opinione diffusa. Le ipotesi di organizzare nei suoi confronti l’obiezione di coscienza e un possibile referendum abrogativo, gestito dalla parte fondamentalista del mondo cattolico, ci trova naturalmente dall’altra parte della barricata.
Rapporti con le autorità ecclesiastiche (Avvenire, Nicora, Martini): Il 16 gennaio 1996 in conferenza-stampa viene presentato a Roma l’Appello dal Popolo di Dio. Il giorno dopo, rispondendo a un lettore, l’ Avvenire lo stronca senza pubblicare una riga del testo dell’Appello. Nel febbraio mons. Nicora, allora vescovo di Verona, manda una lettera più che pesante a tutti i suoi parroci invitandoli ad allontanare dalle chiese chi osasse chiedere adesioni. Nel gennaio 1997 a mons. Gaillot, ospite a Milano di NSC, la Curia non concesse la possibilità di celebrare in una chiesa (…); il card. Martini non lo ricevette come egli aveva chiesto.
Il quotidiano Avvenire: Ubbidiente alle direttive è stato il quotidiano cattolico, protagonista di un silenzio assordante nei confronti di ogni posizione ‘diversa’ e naturalmente, in particolare, di NSC. Il quotidiano dei vescovi, che può aver meriti per qualche campagna (per esempio sul gioco d’azzardo) o per certe pagine culturali, ha una grande capacità di manipolazione delle notizie ‘diverse’ da quelle suggerite dal vertice episcopale. E così certe informazioni sulla realtà cattolica non di regime si leggono molto meglio sulla stampa laica, perché sono taciute o ‘nascoste’ sul quotidiano che dovrebbe essere aperto a tutto quanto c’è nella realtà ecclesiale del nostro Paese.
Vescovi ‘amici’ di NSC: I nostri amici sono tre vescovi in pensione: Luigi Bettazzi, Raffaele Nogaro e Giuseppe Casale.
La Cei e NSC: Ci sono sempre delle eccezioni a una pratica ventennale. Nell’ottobre del 2007 il card. Bagnasco ha ricevuto il sottoscritto, dopo che l’incontro era stato da noi richiesto (…) E’ stato un contatto sostanzialmente formale, senza alcun seguito. (…) Nello scorso novembre NSC ha potuto essere presente, sempre su nostra richiesta, con il solo coordinatore nazionale, all’incontro della Chiesa italiana a Firenze. Abbiamo volantinato i nostri punti di vista, ascoltato e parlato e, alla fine, scritto quel che avevamo capito. Poco dopo abbiamo scritto a mons. Galantino se poteva esserci un seguito a questa nuova presenza. Ad oggi non abbiamo avuto risposta.
Martiniani, ma con prudenza/I non-rapporti con il card. Martini: Un aspetto particolare dei nostri rapporti con le autorità ecclesiastiche è stato quello dei rapporti col card. Martini. Anzi dei non rapporti. Ho già avuto modo di chiarire pubblicamente che, nonostante lettere e testi e altro, non abbiamo mai potuto interloquire direttamente. Abbiamo male sopportato lo sgarbo del mancato incontro con mons. Gaillot. Anche dopo le dimissioni abbiamo cercato un contatto. Da quello che abbiamo capito, egli era talmente sotto pressione da Roma – perché accusato di essere il cardinale che proteggeva il dissenso – che non poteva permettersi niente nella nostra direzione. Questa situazione poco piacevole non ci ha impedito di considerarci, in un certo senso e con prudenza, martiniani.
Papa Francesco/1: In poco tempo ha dimostrato quali energie ci fossero nella Chiesa. E’ semplice e facilmente condivisibile riassumere i punti di vista sui quali i cristiani ‘conciliari’ si riconobbero in Bergoglio, tutti quasi all’opposto di prima: il mondo dal sud del mondo, non dalla Baviera; la pastorale e non la dottrina come priorità (…); l’attenzione agli ‘ultimi’; lo schieramento terzomondista in politica internazionale; la fine della repressione verso le opinioni ‘diverse’ (…); il problema dell’ambiente (…); un Giubileo della Misericordia che, almeno nelle sue intenzioni, vuole essere lontano dalle devozioni e dalle indulgenze; il rilancio dell’ecumenismo (che era dormiente); il nuovo rapporto con l’islam, cancellando l’incidente di Ratisbona. E altro ancora a partire dal tentativo in corso di fare pulizia nei Sacri Palazzi e di dare nuove prospettive alla Chiesa italiana bloccata da gestioni negative. (…) Ci fu il convincimento che potevamo trovarci di fronte a una svolta, ma che le resistenze sarebbero state molto forti. E’ quello che constatiamo ogni giorno.
Papa Francesco/2: Ma è tutto semplice? Noi abbiamo mantenuto naturalmente la nostra libertà di giudizio; la riforma non trova ostacoli solo in una vasta area dell’apparato ecclesiastico, ma è anche frenata da atti del Papa, o che li subisca o che facciano parte della sua anima ‘tradizionale’. Ne elenchiamo alcuni sui quali abbiamo espresso le nostre opinioni. Condizione della donna nella Chiesa: Francesco ne parla, ma pare che sia un problema che non conosca bene e comunque ben poco ha fatto (ma se si andrà avanti per il possibile diaconato femminile, il Papa avrà fatto un passo storico). La ‘fabbrica dei santi’: tutto continua come prima. Le nomine dei vescovi: cambia la qualità (…) ma il metodo è sempre lo stesso. La riforma della Curia: per ora non va avanti niente se non l’accorpamento del settore delle comunicazioni e del settore laici-famiglia (il problema è che bisogna decentrare e non razionalizzare la Curia). La mancanza di contatti con l’area ‘conciliare’: finora ci sono stati solo pochi contatti individuali e il nostro incontro internazionale Council 50 è stato ignorato, nonostante il Papa ne fosse al corrente e noi fossimo in Piazza San Pietro all’Angelus ad aspettare di essere salutati. Ogni altro nostro tentativo di comunicazione è stato vano.
‘Noi Siamo Chiesa oggi’/Le cifre: La presenza di gruppi che in modo permanente si esprimono come Noi siamo Chiesa è molto limitata ed è soprattutto al Nord. (…) Le adesioni (o come aderente o come simpatizzante) oscillano tra le 150 e le 200. Il sito ha una media di 130 accessi al giorno e contiene 1594 testi che vi sono stati inseriti dal 1999 a oggi. Facebook ha più di 1500 iscritti.
‘Noi Siamo Chiesa oggi’/Decollo mancato: Ciò premesso è evidente che non siamo decollati. Il nostro è un piccolo movimento, che può avere grandi ragioni ma che proprio piccolo. (…) I giovani presenti nel nostro movimento sono pochi, anche la presenza femminile dovrebbe essere maggiore.
‘Noi Siamo Chiesa’/Per il domani: Per il nostro domani elenco, senza priorità, alcune questioni aperte (…) : scarsità di giovani nel nostro movimento, problemi di bioetica (eutanasia), insegnamento della religione, libertà religiosa in Italia, carenza di clero e unità pastorali, attuazione del Concilio Vaticano II e del suo spirito o auspicio di un Vaticano III, il modo e il tempo della preghiera personale e comunitaria, i prossimi 500 anni della Riforma di Lutero, il nostro rapporto con la politica italiana, identità di NSC e politica delle reti.
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Proposte per non continuare a prenderci in giro
by Massimo Viglione · 9 giugno 2016
I risultati del primo turno delle amministrative del 2016 stanno dando adito a dibattiti all’interno del mondo cattolico “pro-family”, a causa dell’evidente insuccesso del partito di Adinolfi. C’è chi difende comunque la scelta e vuole che si continui nel progetto, chi invece lo definisce un fallimento e propone altre vie o comunque un ripensamento generale.
Premetto che, personalmente, non solo non credo ai partiti, ma credo che la democrazia moderna, figlia della Rivoluzione Francese e del liberalismo, sia la causa prima della nostra rovina e lo strumento principale utilizzato dalle forze del male per attuare la devastazione odierna: e pertanto tutto quello che dirò deve essere inteso alla luce di questo mio pensiero. Ma siccome in questo mondo viviamo, questa è la situazione in cui ci troviamo, lasciamo perdere per il momento le grandi questioni metapolitiche e gli ideali supremi e guardiamo lucidamente in faccia alla realtà delle cose come essa oggi si presenta. Parlerò schiettamente.
I due strumenti immediati utilizzati dalle forze del male per imporre l’immensa sovversione dissolutoria nella società italiana sono i partiti e i media. Noi cattolici non controlliamo né gli uni né gli altri. Pertanto, rebus sic stantibus, fondare partiti può servire a poco, serve solo a illudere chi soffre, a creare sfogatoi di future speranze annichilite, e, al massimo, a far far carriera a un limitatissimo numero di persone, senza alcun vantaggio reale alla grande causa per cui tutti ci battiamo, in quanto, queste pochissime persone, pur volendo ammettere (con non poca fatica) che poi non tradiranno coloro che li hanno votati, saranno poche gocce nell’oceano della partitocrazia (e della superfinanza che tutto controlla, per non parlare del potere delle lobby internazionali), e non potranno fare quasi nulla di concreto per cambiare le cose, in quanto il loro peso politico reale sarà sempre limitatissimo e sarà facile che vengano controllati o almeno isolati. Anzi, è fortemente probabile che siano loro stessi, al fine della sopravvivenza politica, ingoiati dal meccanismo mediatico e partitocratico. Abbiamo tanti esempi del passato e del presente a conforto di questa preoccupazione.
Ma se anche si volesse fondare un partito, non si fa con un blitz improvviso che lascia tanti altri – con cui si era condiviso un progetto importante – al palo, cominciando a correre senza un fischio d’inizio, senza un coinvolgimento generale, senza un piano condiviso, perché così l’impressione che si lascia è quella di voler fare i furbacchioni e battere sul tempo gli altri in una gara per affermarsi al comando. Che sia stata questa o meno l’intenzione, è innegabile che la sensazione data non può essere diversa da quanto detto. E ciò non facilita certo la fiducia delle persone.
Ma ovviamente non è questo il problema principale. Il problema principale è il fatto che se si vuole creare un partito politico, specie se lo si fa dal nulla e senza l’appoggio dei media e senza i soldi necessari, non ci si può assolutamente ridurre a un solo tema, per quanto giusto e impellente sia. Questo è il nodo da cui molti vogliono fuggire ma dal quale in realtà non si sfugge. Un partito non può essere un contenitore di persone che si battono per un ideale solo. Un partito deve rispondere a ogni – almeno grande – problema della società odierna, se vuole avere speranza di diffusione popolare. Se si vogliono conquistare i consensi di ampie fasce della società, e quindi togliere i voti ai grandi partiti, è necessario non ridursi a parlare solo di famiglia, morale, gender (per quanto fondamentali e vitali siano tali problematiche), ma anche dei problemi creati dall’ideologia immigrazionista, dell’islamizzazione della società, della miseria avanzante per milioni di famiglie che non sanno più come arrivare alla fine del mese (e se mancano i soldi per vivere, la gente non si mette a preoccuparsi del gender o di altro), del ruolo devastante dell’Unione Europea, il Moloch che tutto sovrasta e dirige, di una giustizia che manda in libertà i delinquenti e in galera gli italiani che si difendono, e si potrebbe continuare a lungo con gli esempi.
Non solo: per ciascuno di questi problemi, non basta la denuncia: occorre fornire soluzioni. E le soluzioni devono essere condivise e per essere condivise devono essere adeguate e ben spiegate.
Inoltre, la questione dei leader. Se noi combattiamo il gender e l’omosessualismo, ovvero le istanze prime per cui primariamente trova significato e scopo l’esistenza del PD (e tutta la sinistra odierna, compreso i Cinque Stelle) e abbiamo come leader una persona che non solo viene da quel mondo (pazienza, tutti possiamo sbagliare) ma ribadisce pubblicamente che egli rimane un uomo di sinistra che guarda al PD… beh, è come denunciare di avere l’influenza ma al contempo uscire tutti sudati e scoperti quando tira vento freddo… ci stiamo prendendo in giro da soli. E questo vale anche per coloro che ancora ci vengono a proporre il “sostegno” dei politici democristiani o si preoccupano di obbedire a quelle gerarchie ecclesiastiche odierne che chiaramente simpatizzano con chi noi dobbiamo combattere. Ci stiamo prendendo in giro da soli. Volete ancora tutti essere presi in giro? Non basta ancora? I veri leader del nostro futuro saranno coloro che hanno spezzato per sempre il cordone ombelicale con il mondo politico del passato, responsabile, direttamente o indirettamente, al 100% dello sfascio odierno a tutti i livelli, per proiettarsi in un vero e concreto cambiamento per la salvezza totale della società italiana.
Ma infine: ci riusciremo mai a fare il partito? Non a costituirlo, questo lo può fare chiunque in qualsiasi momento, come abbiamo visto, basta andare dal notaio e pagare; si può anche arrivare a prendere qualche migliaio di voti; ma, intendo dire, a creare un partito che possa avere realmente la possibilità di imporsi nella vita politica italiana con un consenso di popolo tale che gli permetta di attuare gli ideali che vuole difendere e condurre in parlamento e nei media le battaglie necessarie.
Detto in altri termini: ci vogliamo prendere ancora in giro?
Per influire nella politica occorre avere milioni di voti, occorre essere protagonisti nei media (non ricevere qualche sporadico invito tra altri alligatori di professione pronti ad azzannarci al collo ogni secondo), occorre essere presenti ovunque nel territorio e per questo occorrono centinaia o migliaia di persone pienamente impegnate. Come e quando otterremo tutto questo, se non siamo nemmeno capaci di fare autocritica e ammettere a noi stessi queste primissime e banalissime considerazioni appena fatte?
Una grande “rete” di associazioni unite
E allora? Non dobbiamo fare nulla? Io non ho la soluzione in tasca, e, del resto, nessuno ce l’ha, altrimenti tutti la seguiremmo. Forse, dico forse, sarebbe più utile creare una grandissima “rete” (mi si passi la bruttissima espressione tipicamente sinistrorsa) di tante associazioni locali che agiscono sul territorio tramite convegni, conferenze, attività locali di difesa effettiva del bene e di lotta al male, attività di formazione politica e culturale invitando coloro che sono in grado di arricchire in maniera corretta gli altri in tal senso, trovando modi e sistemi di ricerca di fondi finanziari ma, soprattutto, che organizzino costantemente momenti di preghiera comune, affinché non si dimentichi mai che “senza di Me non potete fare nulla” e non si cada ingenuamente nell’attivismo del tutto umano e politicizzante che è poi una delle cause essenziali del fallimento di ogni attività sociale da parte dei buoni.
Questa “rete” di associazioni locali collegate e in contatto non solo sarebbe possibile da realizzare (in quanto lo sforzo umano ed economico sarebbe delocalizzato e inoltre già esistono decine e decine di associazioni sul territorio che meritevolmente si adoperano in tal senso), ma potrebbe svolgere quel lavoro – tanto basilare quanto imprescindibile – di preparazione culturale delle persone per renderle maggiormente disponibili alla comprensione del problema del gender – e di tutti gli altri problemi sopra elencati e di altri ancora – senza la quale ben difficilmente noi potremo aumentare i consensi. Insomma, quello che voglio dire è che per agire veramente e concretamente nella società italiana dobbiamo prima compiere l’immenso sforzo di parlare agli italiani e di convincerli delle nostre denunce e quindi proporre loro alternative (politiche, economiche, morali), serie per un radicale cambiamento di rotta.
Cari amici, la verità è che l’italiano della porta accanto, il nostro vecchio compagno di classe che ogni tanto risentiamo, nostro zio, del gender non sa ancora nulla e se sa qualcosa non vuole sapere perché non vuole fastidi, né mentali né morali né operativi. Se noi prima non spezziamo questa catena di ignoranza e omertà, potremo fondare tutti i partiti che vogliamo che non servirà a nulla. Milioni e milioni di italiani non sono con noi non perché nemici del bene, ma perché non ancora pronti, non ancora consapevoli: noi dobbiamo prepararli prima, poi possiamo proporre loro alternative politiche.
Il punto chiave: la necessaria formazione per poter guidare gli altri
Ma per preparare gli italiani, occorre anzitutto che i primi ad essere preparati, ad avere una formazione piena a corretta, siano i leader di questo movimento.
Non ci si improvvisa persone preparate. Uomini al servizio della Politica, e non politici.
Non si tratta ovviamente di cultura spicciola, ma di chiarezza di idee, di preparazione politica, storica, scientifica, economica, bioetica, giuridica e anche e forse soprattutto teologica, corretta. Alcuni di questi leader si occuperanno proprio specificamente della formazione pubblica degli italiani con scritti, libri, articoli, conferenze, convegni, ecc., ognuno nel suo campo di professionalità. Altri avranno i compiti più politici e organizzativi. Altri cureranno il rapporto fondamentale con i media. Altri dovranno occuparsi dell’attività fondamentale del reclutamento di fondi finanziari. Ma tutti devono essere preparati: nessun soldato, tanto meno cavaliere, può essere un buon combattente se non ha la giusta e puntuale preparazione al combattimento.
Non deve accadere che qualcuno non si senta rappresentato da un leader per le scempiaggini che dice o che fanno i suoi uomini in ottemperanza al buonismo dilagante. “Con il buonismo non si va da nessuna parte”, dice un noto giornalista appena epurato… E noi che facciamo? I buonisti, come il noto pazzesco caso di Napoli… O sentiamo dire incongruenze inaccettabili.
Queste decine e decine di associazioni locali si dovrebbero poi tenere in contatto continuo – anche tramite i mezzi informatici odierni – per conoscersi, organizzare eventi sempre più grandi (non tanto altri circhi massimi, che sono prove di forza ma ai quali partecipa chi è già convinto delle buone idee e che possono essere utili solo in prossimità di elezioni o referendum) destinati a propagare tra la gente gli scopi delle nostre battaglie e la formazione corretta dei nostri ideali, fornirsi l’un l’altra formazione e chiarezza di idee nei vari settori dell’azione politica e sociale (bioetica, economia, politica, cultura, apologetica e anche teologia), invitare esperti in ogni settore a tenere conferenze specifiche, anche per individuare future menti adatte a condurre a loro volta la formazione e la battaglia in uno specifico settore.
Più che annuali grandi sforzi di popolo, occorrono settimanali piccoli, locali ma costanti sforzi di associazioni.
Fino a raggiungere consensi sempre più vasti. Si tratta insomma di una vera e propria evangelizzazione politica (e anche spirituale, visto che coloro che dovrebbero farla in grandissima parte pensano a tutt’altro) e culturale della società italiana. In tal modo, si diventerà sempre più forti, al punto tale che a un certo punto o realmente si potrà creare un partito “vero” nel senso di cui dicevamo prima, oppure, più realisticamente, si potrà avere la forza necessaria per influenzare le scelte politiche e le battaglie pubbliche di quei partiti a noi più vicini, che, sentendo il fiato sul collo, ci diventeranno sempre più vicini. È un po’ quello che fanno i Think tank americani. Certo, loro hanno i miliardi. Ma noi abbiamo la fede.
Concludo: prima di fondare partiti, occorre preparare gli italiani (e non il contrario) e prima di poter preparare gli italiani occorre essere preparati noi stessi. Poi, queste stesse associazioni, guidate dai leader che saranno scaturiti naturaliter, dovranno al contempo affrontare ogni situazione di pericolo che si viene a presentare nei vari momenti della politica nazionale e internazionale. Ovvero, dovranno fare Politica. Ma la faranno con ben altra preparazione, consapevolezza e consenso.
Una vera ricchezza che già esiste: l’associazionismo cattolico
Esistono oggi molte persone che sono in grado di fare formazione in uno o più settori tramite conferenze, convegni, ecc. Così come esistono tante associazioni locali che fanno grandi e meritevoli sforzi per invitarle a parlare in modo da fornire al proprio pubblico e alla propria gente la conoscenza basilare per comprendere e combattere la buona battaglia. Altre si impegnano nell’editoria, altre nell’organizzazione di grandi eventi. Sono questi i veri eroi di oggi, sono queste associazioni la nostra vera ricchezza (potrei farne un lungo elenco su quasi tutto il territorio nazionale). Tutti dobbiamo aiutare costoro come possiamo nella battaglia quotidiana che conducono, la quale, richiede, anzitutto, purtroppo come sempre, l’aiuto economico, oltre che quello organizzativo e la buona volontà della partecipazione attiva nostra e del coinvolgimento altrui.
Io invito tutti gli amici, specie quelli più legati ai temi della famiglia, ad abbandonare certi sentimentalismi e ad attivarsi con razionalità. Non è più tempo di culti delle personalità e ingenue adesioni a chiunque dica o faccia qualsiasi cosa, correndo da tutte le parti a festeggiare chiunque apra bocca qua e là. Siamo in guerra con un nemico tanto potente quanto spietato e i primi a essere in pericolo sono i nostri figli. Occorre ora essere lucidi, forti, realisti, e, ovviamente, puri come colombe ma anche astuti come serpenti. Occorre saper fare le giuste scelte, sia a livello politico che a livello umano e operativo. Costi quello che costi.
In tempi passati, anche difficili, è stato proprio l’associazionismo cattolico a salvare la Chiesa e la fede in Italia. Certo, allora essi avevano il clero dalla loro parte e il bene era chiamato bene e il male male. Ma questo è un altro fardello che dobbiamo portare noi. Noi, l’amore per il bene e la consapevolezza del male li abbiamo nel cuore. E tanto deve bastarci. Poi, ogni ecclesiastico farà le sue scelte, di cui risponderà un giorno al Giudice Eterno.
Cari amici, la città è assediata, Hannibal ad portas. È inutile correre tutti a difendere un’unica porta, lasciando sguarnite le altre.
Occorre difendere tutte le porte contemporaneamente. Non che tutti possano fare tutto, ovviamente, ma tutti, oltre a seguire le proprie inclinazioni, possono aiutare anche gli altri nella loro specifica missione e nello svolgere il loro compito naturale.
Solo con questa unione di intenti e collaborazione di ruoli si potrà fare vera Politica (con o senza partiti) e fare del bene per i nostri figli, la nostra società e civiltà e per noi stessi. Almeno speriamo. E, comunque, sempre e solo con la coscienza certa che noi dobbiamo operare come se tutto dipendesse da noi ma sapendo perfettamente che tutto dipende da Dio. E per questo la preghiera rimane la prima arma a nostra disposizione. Chi non ha capito questo, si crede furbo, ma, in realtà, non ha capito nulla.
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L'11 maggio, all'indomani della legge che introduce i "matrimoni tra omosessuali", Marco Tosatti scrive un articolo dal titolo “Ma la CEI dov'era?”. In esso il vaticanista de La Stampa segnala che, ad eccezione di alcuni vescovi coraggiosi “non c'è stato uno sforzo comune, coordinato, di sostegno ai laici” che combattevano contro la “Legge Cirinnà”.
Molte persone, anche autorevoli, hanno obiettato che NON è compito di Vescovi e presbiteri occuparsi di questioni inerenti la società civile.
La successiva Assemblea della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha reso più vivace il dibattito per due dichiarazioni:
- nella relazione iniziale il Presidente, Card. Bagnasco, condanna in modo fermo “l'equiparazione delle Unioni civili al matrimonio”;
- lo stesso Presule, due giorni dopo, dichiara invece: “Sulle unioni civili non ho dato giudizi di valore o di merito”, aggiungendo, a proposito di referendum, che “Si tratta di iniziative che sono doverosamente portate avanti da laici: saranno portate avanti da laici”.
Insomma: se si deve far qualcosa per abolire i matrimoni tra omosessuali, il laicato dovrà arrangiarsi?
E i Pastori possono tacere e non fare nulla?
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Un sintetico excursus storico può aiutare a formulare una risposta concreta.
1. Opera dei Congressi. Subito dopo l'unità d'Italia, in particolare dal Pontificato di Leone XIII (1878), vengono fatte confluire in questo organismo praticamente tutte le associazioni cattoliche, rendendole strettamente dipendenti dall'episcopato.
- Risultato: nonostante dolorose persecuzioni e forti infiltrazioni ereticali (don Murri), le elezioni del 1913 (Patto Gentiloni) vedono la sorprendente vittoria del movimento cattolico.
Entrano in Parlamento i primi 34 deputati cattolici (su un totale di 508) e ben 228 deputati liberali (su 260) subiscono un forte condizionamento dottrinale.
2. Azione Cattolica Italiana. Papa Pio XI, anche a seguito del Concordato del 1929, pone sotto la ferrea dipendenza dall'episcopato tutte le associazioni cattoliche esistenti in Italia. Chi non accetta il controllo dei vescovi scompare o viene “scomunicato”.
- Risultato: nel dopoguerra Papa Pio XII impegna l'Azione Cattolica e i vescovi nei Comitati Civici guidati dal prof. Gedda: tutte le parrocchie italiane sono mobilitate.
Il risultato del 1948 è clamoroso: i partiti comunista e socialista vengono inaspettatamente battuti. Gedda porta in parlamento 305 deputati su 574 e 131 senatori su 237.
3. Papa Paolo VI scioglie praticamente i Comitati Civici di Gedda nel 1965: è l'apogeo della subalternità alla Democrazia Cristiana, al punto che il Decreto conciliare sull'apostolato dei laici viene generalmente inteso dall'episcopato italiano come doverosa adesione alla D.C.
- Risultato: Il silenzio assordante della Sede Apostolica e dei vescovi porta nel 1974 alla sconfitta nel referendum contro il divorzio e nel 1981 a quello contro l’aborto.
Il Concordato del 1984 firmato dal card. Casaroli costituisce simbolicamente il suicidio dei vescovi del postconcilio.
4. San Giovanni Paolo II, sotto la cui guida il Presidente della CEI (Card. Ruini) tenta di far rivivere il movimento cattolico: sono gli anni della "presenza", nei quali si valorizzano i movimenti più che assimilarli.
- Risultato: nel 2005 l'episcopato torna a mobilitarsi in blocco, invitando all'astensione dal voto onde non introdurre in Italia la fecondazione artificiale. A quasi sessanta anni dalla vittoria del 1948, il movimento cattolico ottiene un nuovo e totalmente inatteso risultato: soltanto un quarto degli elettori va a votare.
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Questa veloce sintesi è certamente suscettibile di precisazioni e integrazioni, ma non è superficiale. Da essa si possono ricavare alcune costanti:
a) quando i vescovi si muovono, vincono.
b) In Italia il laicato cattolico è sempre stato concepito come strettamente dipendente dai vescovi.
c) Quasi sempre i vescovi hanno scelto dei leaders laicali che sono caduti nell’eterodossia e in compromessi inaccettabili.
d) Chi vuole dar vita a un movimento laicale non riceve alcun “8x1000” (denaro, sedi, comunicazione, servizi di base, ecc.) dalle strutture ecclesiali.
Una conferma ai punti di cui sopra è costituita dal "Family Day" che, sebbene appoggiato solo da una minoranza dei vescovi, ha portato in piazza due milioni di cattolici.
Per converso, anche il recente disastro elettorale del “Popolo della Famiglia” è, in qualche modo, una conferma.
Dunque, alla luce di centocinquanta anni di storia d’Italia, sembra che in Italia sia impossibile costituire un movimento davvero laicale e integralmente cattolico di rilievo.
Ma se i vescovi non intendono agire e il laicato non è aiutato, vien da chiedersi: “che fare?”
Un esempio su cui forse vale la pena riflettere è il network della “Marcia per la Vita” perché si tratta di una iniziativa:
- pensata e realizzata esclusivamente dai laici
- totalmente coerente con la dottrina cattolica
- che non riceve alcun aiuto dalla CEI né da nessuno
- che "miracolosamente" mobilita ogni anno 30/40.000 cattolici.
In ogni caso, occorre non scoraggiarsi, ma capire che
- la strada verso un laicato davvero cattolico è molto (molto) più lunga di quel che si crede;
- ignorare gli errori del passato è avere la certezza di ripeterli;
- i modelli organizzativi del passato, anche vincenti, vanno ripensati;
- la Vergine Maria ha debellato tutte le eresie.
totustuus.it
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Popolo della Famiglia, genesi e declino di un progetto ambiguo
di Massimo Micaletti
Niente è perduto fuorché l’onore.
Parliamo del Popolo della Famiglia. In realtà, Radio Spada ne parla da un pezzo, mettendo in guardia dal primo momento sugli aspetti quantomeno dubbi di un’operazione certo nata sulle miglior intenzioni di tanti ma destinata al naufragio se pensata come di breve o medio periodo.
Nacque da uno strappo, il PdF, nessuno se lo dimentica, iniziando la disgregazione del Comitato Difendiamo i nostri figli, strappo celato sotto sorrisi di ricucitura e comunque rivelato dalle dimissioni di Costanza Miriano dal Comitato stesso. Occhio, non parlo di rapporti personali: io non so se queste persone abbiano litigato tra loro, mi auguro di no e comunque non mi interessa; intendo piuttosto che le diversità di storia, cultura e prospettiva tra i protagonisti del Family Day 2016 – diversità evidenti a chi avesse gli strumenti per andare oltre gli abbracci, gli slogan e gli striscioni, appena un passo fuori dalle platoniche caverne – non potevano restare celate né ininfluenti agli effetti del progetto che dal Family Day doveva scaturire.
Ora, non voglio far tutta la cronistoria, ma soffermarmi in primis su questo concetto: il Family Day non era (o meglio, non avrebbe dovuto essere) un progetto e tantomeno il progetto, ma un punto di partenza, l’inizio di un cammino. Già allora erano chiare, oltre alle ambiguità di fondo che però avrebbero potuto emendarsi col tempo e colle battaglie, almeno altre due mine sulla strada di quei due milioni di persone: l’assenza di supporto Oltretevere, chiuso in un silenzio raggelante; e che la strada da fare era tanta, ma veramente tanta.
La strada da fare era tanta perché il Paese cattolico andava e va ricostruito da zero e già questo, senza il sostegno del Vaticano, impegnato a raccogliere musulmani, era ed è un’impresa titanica, al limite del folle. Bisognava quindi tenere la barra, fare scorta di intenzioni, preghiere, retta dottrina, numeri giusti e prepararsi ad una lunga traversata del deserto o, se preferite a zappare per anni per poi sperare di raccogliere i frutti buoni, accontentandosi magari nel frattempo di qualche nespolaccia in vista però della stagione buona. Questo si doveva fare, e lo dico con umiltà e decisione, l’ho sempre detto, so che solo così si può fare e ne sono certo.
Si è deciso invece col PdF di lanciarsi a raccogliere quando la terra non era stata neppure dissodata e la siccità era perdurante e si sapeva sarebbe durata. Si è preferito, per legittimare questa improvvida avventura, abbeverarsi alle poche e salmastre pozze, prendendo qua e là le dichiarazioni di qualche prelato o attribuendo al Papa un pensiero che non ha mai chiaramente espresso; ci si è ostinati a difendere come buono e addirittura santo il clamoroso tragico iato tra annuncio e testimonianza, ed ho visto e letto e sentito padri di famiglia, ottimi cristiani innamorati di Dio e della Sua Chiesa, plaudire contro dottrina e retta ragione ai baci e alle foto di Adinolfi colla sua compagna, circondati da striscioni, locandine e manifesti inneggianti alla famiglia; non si è avuto il minimo scrupolo ad allearsi a quelle stesse forze politiche che in Parlamento si stavano vendendo per un piatto di lenticchie, e lo si è fatto in nome del qui ed ora, del voto utile, della massa critica, del meglio così che peggio.
Dove si poteva arrivare, con queste premesse? Da nessuna parte ed è stato meglio così.
E’ stato meglio così perché adesso tutte quelle brave persone, quei buoni e retti cattolici che coi miglior propositi si sono spesi per questa boutade possono iniziare a fare sul serio. Avranno certo chiaro, ora, queste persone che la (ri)costruzione di una società cattolica o, più prosaicamente, della presenza dei cattolici in politica è lavoro lungo e laborioso e richiede costanza coerenza determinazione coraggio e soprattutto, soprattutto, retta dottrina ed esempio. Ripeto: retta dottrina ed esempio, o, se preferite, annuncio e testimonianza.
La strada è lunga, mettetevelo in testa, e comporta nel frattempo vedere tante case che crollano, comporta assistere ad abominii ben peggiori di quelli che ci sono stati dispensati a piene mani dagli ultimi tempi. Se vogliamo riprendere l’immagine di Guareschi, il buon seme va conservato ma la piena è tutt’altro che finita, anzi. Arriveremo alla brevettabilità dell’embrione umano, alla fecondazione artificiale fai da te, alla legalizzazione della pedofilia, dell’incesto, dell’infanticidio, del matrimonio a tempo (ah, no, scusate, il matrimonio, così com’è ora, è già a tempo ma nell’incertezza: almeno forse con una data chiara di scadenza uno potrebbe regolarsi su cosa fare tra qualche anno) e via regredendo. Il mio amico Roberto Marchesini dice che ora siamo come quelli che in autunno pretendessero di riattaccare le foglie sugli alberi. Ne vedremo insomma delle brutte, delle bruttissime: ma l’alternativa a PdF et similia non è restare impotenti.
Non ci cascate, la politica è solo uno dei modi di cambiare il reale ed è anzi forse l’ultimo e il residuale, pur importante ma conseguente a moltissimi altri, di ben maggior peso per la società e soprattutto per la salvezza.
Il primo e più potente è quello più sotto attacco, ed è la famiglia: costruire e curare famiglie sane e cattoliche, tenersi una moglie sola amandola, comprendendola ed accogliendola tutta la vita e fare figli solo con quella e preoccuparsi che questi bambini, nel cammino della vita, seguano i passi del Signore, sarebbe (anzi, è) da sé qualcosa in grado di cambiare il mondo.
Non vi basta? Volete qualcosa di più concreto? Non riesco ad immaginare qualcosa di più concreto di una famiglia, fosse anche quella di origine, ma proviamoci.
C’è il fronte culturale in senso ampio, con ciò intendendo scuola, università, massmedia e per incidere lì, ancora una volta, la politica conta solo fino ad un certo punto. Sosteniamo le scuole cattoliche, esigiamo, da genitori e da studenti, che la verità sulla nostra storia e sulla nostra religione venga rispettata e non affogata da programmi di regime e professori distratti o militanti.
Ancora più concreto? Il nostro contesto. Le persone che conosciamo, i colleghi e le colleghe di lavoro, le amiche dal parrucchiere, gli amici del calcetto o del tennis o delle bocce, gli stessi sacerdoti: se ci fanno, sornioni o accalorati, discorsi che attaccano la nostra fede o i nostri valori, rispondiamo con argomenti, non taciamo, e soprattutto non taciamo se stanno facendo scelte che potrebbero dannarli.
Questa è roba forte: chi ha il coraggio di farla? A volte è più semplice rispondere per le rime ad uno sconosciuto che in una conferenza ti attacca piuttosto che prendere sottobraccio un amico e dirgli con carità e decisione che se non lascia sua moglie è meglio e che non c’è nulla di irrecuperabile se ci si è promessi dinanzi a Dio.
Poi certo ci sono le manifestazioni, le aggregazioni, le conferenze, i Family Day: ma il punto è che… every day is a Family Day. O si ragiona così o sarà solo la politica a dettarci l’agenda, a misurarci, a farci sentire vincitori grazie ad orrori come la Legge 40 o sempre soltanto e comunque perdenti.
E’ il loro gioco, il gioco degli avversari: portarci sul loro terreno per dire di averci sconfitti, cancellati, di averci tolto l’onore. Non caschiamoci, in realtà non è perduto nulla: noi cattolici siamo ben di più e di meglio, possiamo fare ben di più e di meglio, e dobbiamo pretendere ben di più e di meglio che un’iniziativa pasticciata e, a voler essere generosi, ambigua e contraddittoria.
Teniamocela stretta la nostra Fede, non annacquiamola per qualche voto pur di arrivare lì dove ora non si può arrivare: faremmo altrimenti la fine del viandante nel deserto che per inseguire un miraggio muore di sete.
Se non faremo questo torto alla Verità, i frutti arriveranno, il buon seme fiorirà.
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AZIONE CATTOLICA/
CERCANSI CATTOLICI ‘INQUIETI’… MA CHE NON DISTURBINO
Presentato giovedì 26 maggio a Roma, all’Istituto Sturzo, “Credenti inquieti” di Matteo Truffelli, presidente dell’Azione Cattolica Italiana. Tra i relatori padre Spadaro, che ha evidenziato come il laicato cattolico sia chiamato a avere gli stessi tratti caratteristici del Pontificato (ne ha indicati in particolare sei). Per Domenico Delle Foglie, direttore del Sir, l’Azione Cattolica nella squadra della Chiesa deve coprire il centrocampo per recuperare palloni a beneficio di un centrattacco “favoloso, che fa gol a grappolo”, oggi però non ancora sufficienti per vincere la partita.
Un appuntamento certo interessante quello di giovedì pomeriggio 26 maggio presso l’Istituto Sturzo di Roma, testimone di una lunga e intensa storia di ‘cattolicesimo democratico’: vi è stato presentato “Credenti inquieti – Laici associati nella Chiesa dell’ Evangelii gaudium” (Editrice Ave), un’ampia riflessione di Matteo Truffelli (da due anni presidente dell’Azione Cattolica Italiana) sul contributo che i cattolici impegnati in gruppi ecclesiali possono dare alla concretizzazione di una Chiesa rinnovata secondo gli intendimenti di papa Francesco. Davanti a un folto pubblico, moderati da Fabio Zavattaro (Tg1 Rai), hanno espresso le loro considerazioni sul tema padre Antonio Spadaro (direttore di La Civiltà Cattolica) e Domenico Delle Foglie (direttore del Sir, agenzia-stampa della Conferenza episcopale italiana).
Nel saluto introduttivo Nicola Antonetti, presidente dell’Istituto Sturzo, ha voluto subito evidenziare l’accordo con l’autore sulla necessità per i tempi odierni di cattolici “inquieti”, “non tiepidi, né timorosi”. E’ passata l’era di chi voleva “battezzare il Paese”. Bisogna imboccare sentieri nuovi, “ancora abbastanza ignoti” per assecondare l’esigenza di una testimonianza concreta e gioiosa in una società secolarizzata, seguendo lo stimolo di un Papa che parla “un linguaggio essenziale per istruire un nuovo laicato” cui sono chiesti compiti pure nuovi.
L’INTERVENTO DI PADRE ANTONIO SPADARO:
UN PAROLAME ECCLESIALESE CHE VUOL DIRE DIRE TUTTO E NULLA
NEL QUALE LA FEDE NON HA PIU' NEMICI
Padre Spadaro nel suo intervento ha tra l’altro elencato sei caratteristiche dell’attuale Pontificato che il laicato dovrebbe far proprie e che si ritrovano anche nel libro di Truffelli. La prima: il laicato dovrebbe essere “profetico” così da riuscire ad “animare il territorio”. La seconda: il laicato dovrebbe essere “di incontro”, sotto il segno di un dialogo concreto, del “fare qualcosa insieme”. La terza: il laicato dev’essere “drammatico”, consapevole dei drammi che si svolgono nel mondo. La quarta: il laicato dev’essere “di discernimento” nella “dimensione della sinodalità”. La quinta: il laicato dev’essere “incompleto” nel pensiero, non deve attendersi parole definitive dal Magistero su tutti i problemi. La sesta: il laicato dev’essere “di frontiera”, cammina con una Chiesa che “non è solo un faro che sta fermo, ma soprattutto una fiaccola che si muove e raggiunge tutti, in particolare i lontani”.
Il direttore de La Civiltà Cattolica ha evidenziato come per Jorge Mario Bergoglio la Chiesa non sia “un mosaico fatto di tessere”, ma “un corpo vivente”. Cristiano è colui “che è chiamato a stare con il Signore”. E “i cristiani – diceva ad esempio ai catechisti nel 1995 – sono innanzitutto cristiani”. Non è una constatazione “banale” questa, dato che uno dei problemi più gravi della Chiesa “deriva dal fatto che gli agenti pastorali dimenticano di essere buoni cristiani”, cioè caratterizzati da una “semplicità evangelica”. Per Francesco – ha proseguito padre Spadaro – il sacramento del Battesimo ha fatto sì che fossimo un’unica famiglia. “Una delle tentazioni più subdole del Maligno” è invece la tentazione di costruire delle élites spirituali, di “sezionare” il popolo di Dio in categorie. Ma “nessuno è stato battezzato prete o vescovo” e la Chiesa “non è una setta di illuminati e di fedeli, è popolo di Dio in cammino”. Perciò Francesco parla poco di “preti, vescovi”, molto invece di “pastori” che aiutano e stimolano: “Non usa un linguaggio protestante, ma missionario”. E il “pastore” non può dare “direttive” per organizzare il laico nella vita pubblica. In tal senso non è vero – sostiene sempre padre Spadaro – che Francesco “crea confusione”, come gli viene spesso rimproverato da “molti” commentatori: “Stimola invece la libertà di discernimento”. La Chiesa deve perciò “aiutare a crescere nella libertà, non ossessionare il popolo di Dio”. E’ questa una “visione anticostantiniana”. I cristiani “non sono chiamati a costituire una parte, un partito, che necessariamente ha un nemico”, ma a “immergersi nelle inquietudini della società”. Cristiani inquieti essi stessi e questa è per l’Azione Cattolica “una responsabilità enorme”.
L’INTERVENTO DI DOMENICO DELLE FOGLIE: NESSUN CENNO A VALORI NON NEGOZIABILI, SI IMPONE INVECE IL DOGMA DEL CAMBIAMENTO
Domenico Delle Foglie ha da parte sua rilevato che l’Azione Cattolica deve fare i conti con le sfide della modernità, ma non per questo “intende tradire il passato e il presente”. Nemmeno “ha voglia di ipotecare il futuro”. L’associazione, ormai centocinquantenne, “ha contribuito a fare gli italiani”. Continuerà a esprimere questa sua vocazione? Solo “con una forte conversione interiore, che pretende di non fare come si è sempre fatto”. E qui “parlare di discontinuità è anche poco”. L’Azione Cattolica è in grado di reggere la sfida, rispondendo alle esigenze espresse da un papa come Francesco? Ce la farà a “stare al passo con lui, che ha un modo di fare completamente diverso e costruisce ponti dappertutto?”. Ha osservato il direttore dell’agenzia Sir che “se la Chiesa italiana riuscirà a diventare ‘ospedale da campo’, molto, moltissimo dipenderà dall’Azione Cattolica”. Lungo il cammino si capirà comunque chi procede con spirito missionario, “chi si attarda, chi fa resistenza”.
L’Azione Cattolica ha un vantaggio rispetto ad altri, nota Delle Foglie: ha una “natura popolare” nel suo dna. E questo le permette di “non spaventarsi” per le richieste di Francesco, che vuole “vescovo e popolo in cammino”. Un obiettivo non da poco, considerato come il cattolicesimo italiano fin qui sia stato caratterizzato dalla presenza di un “enorme” numero di associazioni. Oggi questo mondo di “intermediazioni” appare “in grande affanno”, anche perché Francesco “ha accorciato tutte le distanze, va all’essenziale della vita ecclesiale, fondata sul rapporto diretto tra il vescovo e il popolo”. La conseguenza più importante? “E’ in atto un enorme dimagrimento” di strutture intermedie, così che per la cura pastorale la Chiesa italiana proceda “verso la sobrietà e l’essenzialità”. Insomma: “Più relazione ecclesiale, meno burocrazia ecclesiale”. Certo il cammino non è facile nemmeno per l’Azione cattolica, che però “sarà della partita anche a costo di scelte dolorose come quella di staccare la spina da tanti automatismi della tradizione”. Delle Foglie, riferendosi infine a una metafora calcistica utilizzata da Truffelli (la squadra della Chiesa deve passare dal 3-5-2 difensivo al 4-3-3 offensivo) ha evidenziato che in realtà oggi la Chiesa ha un centrattacco “favoloso”, “che fa gol a grappolo”. Questo però non è ancora sufficiente per vincere. Compito dell’Azione Cattolica è quello di correre molto, recuperare palloni a centrocampo e lanciare così con regolarità il centravanti tanto dotato (del resto è di nazionalità argentina).
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Vediamo ora di citare qualche passo secondo noi particolarmente significativo del libro di Truffelli, da cui traspare bene che cosa si intenda per ‘credenti inquieti’.
QUALCHE CITAZIONE DA “CREDENTI INQUIETI” DI MATTEO TRUFFELLI
La prima parte del libro “L’Azione Cattolica nella Chiesa dell’Evangelii gaudium” si apre e si chiude con due citazioni - verosimilmente non casuali – di due ‘modelli’ di ‘credenti inquieti’.
Dapprima si legge che il magistero di papa Francesco è caratterizzato da una “quotidiana enciclica dei gesti”: la citazione è di mons. Nunzio Galantino, noto segretario generale della Cei, che “così ha definito con grande efficacia” l’opera del Pontefice.
Nella chiusura della prima parte spunta invece un secondo ‘modello’ di ‘credente inquieto’.
Leggiamo le righe finali: “Per questo (NdR: noi, Azione Cattolica) vogliamo stare dentro il Paese tenendo come punto di riferimento l’appello lanciato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella il giorno del suo insediamento, quando ha sottolineato con forza che per ridare al Paese un orizzonte di speranza occorre innanzitutto ricostruire quei legami che tengono insieme la società”.
Aggiungiamo noi: un modo di ‘ricostruire quei legami’? Firmare sollecitamente, alla chetichella e disinvoltamente (ignorando le tante eccezioni di incostituzionalità) la legge sciagurata sulle ‘unioni civili’… una legge certo che, come è noto, è un indubbio attore di unità del Paese… Galantino e Mattarella: numi tutelari dei ‘cristiani inquieti’. E tutto è chiaro.
Quanti problemi… ma non ne manca qualcuno? (pagg. 16-17) “Ci sentiamo fortunati a vivere questo periodo così particolare del cammino della Chiesa nella storia (…) Questo non significa, naturalmente, non accorgersi delle fatiche e delle difficoltà che segnano il passo della nostra Chiesa, delle nostre diocesi, delle nostre parrocchie, del laicato, dell’Azione Cattolica. Così come non significa non vedere i tanti drammatici problemi che avvolgono e scuotono il mondo, i tanti focolai di violenza, gli spazi di ingiustizia, le difficili condizioni di vita in cui si trovano tante persone, famiglie e comunità, tanti popoli. Sappiamo quante famiglie nella vita di tutti i giorni devono fare i conti con una crisi economica che non allenta a sufficienza il suo morso, siamo consapevoli che la vita della nostra società è spesso rallentata da un tracollo della credibilità della politica e delle istituzioni che non sembra trovare via d’uscita, non ci stanchiamo di denunciare lo scandalo della piccola e grande criminalità, della piccola e grande corruzione che infetta la nostra convivenza civile, seguiamo con sgomento gli eventi mondiali, con le tante tragiche situazioni di guerra, di ingiustizia e di povertà, ci sentiamo chiamati in causa dal dramma delle migrazioni, un’inaccettabile ferita dell’umanità, e allo stesso modo ci turba profondamente la persecuzione dei cristiani in tante zone del mondo”.
Un elenco di problemi (anche ridondante come è facile constatare), quello del presidente dell’Azione Cattolica Italiana, in cui emergono dimenticanze singolari, che verosimilmente sono connaturali ai ‘credenti inquieti’. Non sono problemi gravi lo sfascio della famiglia (cui, a dire il vero, hanno contribuito e contribuiscono noti legislatori, ‘credenti inquieti’), lo stravolgimento dell’identità umana con le teorie del gender, la piaga dell’aborto, il flagello della droga, l’avanzare dell’eutanasia? Si vede che non sono così gravi per il ‘credente inquieto’ di Truffelli.
Famiglia? Niente bandiere… solo quella bianca (pagg. 60-62). “E’ tempo di essere irrequieti, non tiepidi, né timorosi”, si legge a pagina 21. Ecco alle pagine 60-62 come interpreta gli aggettivi, riferiti al comportamento da tenere in materia di famiglia, il presidente galanto-mattarellico dell’Azione Cattolica Italiana.
“Sappiamo che il tema della famiglia è coinvolto in una serie di dibattiti pubblici legati a questioni complesse, che toccano nel profondo la vita delle persone e che proprio per questo riguardano direttamente l’idea di bene di cui vogliamo farci promotori. Siamo consapevoli che questi temi ci interpellano, sfidandoci a un modo di dialogare e di ‘fare opinione’ che deve rifuggire dal ridurre questioni di una delicatezza estrema a bandiere ideologiche (NdR: e ti pareva!) da piantare nel campo avversario per ragioni a volte strumentali (NdR: e ti pareva!), perché esse coinvolgono direttamente gli aspetti più fondanti e decisivi dell’umano, le sue aspirazioni più profonde: il bisogno di amare e di essere amati, il desiderio di vedere riconosciuta la propria identità e la propria capacità di intessere relazioni profonde, l’aspirazione ad avere dei figli. Dimensioni dell’umano che chiedono, innanzitutto, di essere trattate con cura, prudenza, rispetto, non solo nelle cose che si dicono, ma anche nei toni, nelle parole e nei gesti con cui ci si esprime (NdR: e ti pareva!).
Il presidente dell’Azione Cattolica Italiana prosegue, stavolta aggiungendo all’incenso sparso a piene mani la solennità di un pronunciamento ex-cathedra:
“E’ questo l’atteggiamento che vogliamo concorrere a costruire nel Paese, senza pere questo rinunciare a dire con precisione (NdR: bum bum bum!) quale pensiamo che sia il bene delle persone, cercando i toni giusti per portare un contributo costruttivo, libero e sereno alla riflessione su quale sia l’autentica via di realizzazione dell’umano (NdR: bum bum bum bis!).
Con il desiderio sincero di costruire un dialogo vero e costruttivo (Ndr: ma quanto è ridondante il presidente dell’Azione Cattolica!) con chi la pensa diversamente. Non è facendo di questi temi una trincea oltre cui sta il nemico che potremo sperare di progettare insieme il futuro della nostra società (Ndr: tiè, così voi guerrafondai – solo a dir la verità alcune centinaia di migliaia di cattolici del Family Day, non certo le decine di milioni che affollano le manifestazioni dell’Azione Cattolica - siete serviti di barba e capelli). (…)
Non vogliamo affrontare questi temi sul piano del confronto tra slogan e pregiudizi (NdR: non si era ancora capito). Sentiamo forte la responsabilità di fare il possibile per favorire e accompagnare processi di confronto autentico tra modi di vivere differenti, sotto il segno della comune passione per l’umano”.
Qui ci fermiamo.
‘Credenti inquieti’? E come no…basta non disturbino gli italici manovratori e i loro equilibri consolidati! Tutto cambia… ma tutto resta.
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La “Chiesa povera” dal Vaticano II a papa Francesco
di Roberto de Mattei
I documenti di Papa Francesco, secondo il giudizio prevalente dei teologi, costituiscono delle generiche indicazioni di carattere pastorale e morale, prive di significativa qualità magisteriale. È questa una delle ragioni per cui tali documenti vengono discussi in maniera più libera di quanto sia mai accaduto con i testi pontifici.
Tra le analisi più penetranti di questi testi, va segnalato lo studio di un filosofo dell’università di Perugia, Flavio Cuniberto, dal titolo Madonna Povertà. Papa Francesco e la rifondazione del cristianesimo (Neri Pozza, Vicenza 2016), dedicato in particolare alle encicliche Evangeli Gaudium (2013) e Laudato sì (2015). L’esame a cui il prof. Cuniberto sottopone i testi è quella dello studioso che cerca di comprenderne le tesi di fondo, spesso celate da un linguaggio volutamente ambiguo ed ellittico. Sul tema della povertà, Cuniberto porta alla luce due contraddizioni: la prima di natura teologico-dottrinale, la seconda di carattere pratico.
Per quanto riguarda il primo punto egli osserva che papa Francesco, in contrasto con quanto si desume dal Vangelo, fa della povertà una condizione più materiale che spirituale, per trasformarla quindi in una categoria sociologica. Questa esegesi traspare, ad esempio, dalla scelta di citare, per il discorso sulle Beatitudini, Luca 6, 20 e non il più preciso Matteo 5, 3 (che usa il termine di «pauperes spiritu», ossia coloro che vivono umilmente dinanzi a Dio).
Ma la povertà sembra essere allo stesso tempo un male e un bene. Infatti, osserva Cuniberto, «se la povertà come miseria materiale, esclusione, abbandono, è indicata fin dall’inizio come un male da combattere, per non dire il male dei mali, ed è perciò l’obiettivo primario dell’azione missionaria», il nuovo significato cristologico che gli attribuisce Francesco «ne fa contemporaneamente un valore e anzi il valore supremo ed esemplare». Si tratta, sottolinea il filosofo perugino, di un complicato groviglio. «Perché combattere la povertà e sradicarla quando è al contrario un “tesoro prezioso”, e addirittura la via verso il regno? Nemico da combattere o tesoro prezioso?» (pp. 25-26).
Il secondo nodo riguarda le “cause strutturali” della povertà. Supponendo che essa sia un male radicale, papa Bergoglio sembra individuarne la causa essenziale nella “disuguaglianza”. La soluzione indicata per estirpare questo male sarebbe quella marxista e terzo-mondista della redistribuzione delle ricchezze: togliere ai ricchi e dare ai poveri. Una redistribuzione ugualitaria che passerebbe attraverso una maggiore globalizzazione delle risorse, non più riservata alle minoranze occidentali, ma estesa a tutto il mondo. Ma alla base della globalizzazione sta la logica del profitto, che da una parte viene criticata e dall’altra viene proposta come via per vincere la povertà. Il supercapitalismo, infatti, per alimentarsi, ha bisogno di una platea di consumatori sempre più estesa, ma l’estensione su larga scala del benessere, finisce per alimentare le disuguaglianze che si vorrebbero eliminare.
Il libro del prof. Cuniberto merita di essere letto accanto a quello di uno studioso napoletano don Beniamino Di Martino, su Povertà e ricchezza. Esegesi dei testi evangelici (Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2013). Il libro è molto tecnico e don Di Martino smonta, attraverso una rigorosa analisi dei testi, le tesi di una certa teologia pauperista.
L’espressione «contro l’avidità non contro la ricchezza» riassume, secondo l’autore, l’insegnamento dei Vangeli che egli analizza. Ma da dove nasce la confusione teologica, esegetica e morale tra povertà spirituale e povertà materiale? Non si può ignorare il cosiddetto “Patto delle Catacombe”, sottoscritto il 16 novembre del 1965 nelle Catacombe di Domitilla a Roma, da una quarantina di Padri conciliari che si impegnavano a vivere e lottare per una Chiesa povera e ugualitaria.
Il gruppo aveva tra i suoi fondatori il sacerdote Paul Gauthier (1914-2002), che aveva partecipato all’esperienza dei “Preti operai” del cardinale Suhard, condannata dalla Santa Sede nel 1953, e poi, con l’appoggio del vescovo di cui fu teologo in Concilio, mons. Georges Hakim, aveva fondato in Palestina la famiglia religiosa de I compagni e le compagne di Gesù carpentiere. Gauthier era accompagnato dalla sua compagna di lotta Marie-Thérèse Lacaze, che divenne la sua convivente quando lasciò il sacerdozio.
Tra coloro che appoggiarono il movimento furono mons. Charles M. Himmer, vescovo di Tournai (Belgio), che ospitava le riunioni nel Collegio belga di Roma, dom Helder Camara che era ancora vescovo ausiliare di Rio e poi divenne vescovo di Recife, e il card. Pierre M. Gerlier, arcivescovo di Lione, in stretti contatti con il card. Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, che si faceva rappresentare dal suo consigliere Giuseppe Dossetti e dal suo vescovo ausiliare mons. Luigi Bettazzi (cfr. Il patto delle Catacombe. La missione dei poveri nella Chiesa, a cura di Xabier Pizaka e José Antunes da Silva, Edizioni Missionarie Italiane 2015).
Mons. Bettazzi, l’unico vescovo italiano oggi vivente presente al Vaticano II, fu anche l’unico italiano ad aderire al “Patto della Catacombe”. Bettazzi, oggi 93enne, partecipò a tre sessioni del Vaticano II e fu vescovo di Ivrea dal 1966 al 1999, quando si dimise per limiti di età.
Se Dom Helder Camara fu il “vescovo rosso” brasiliano, mons. Bettazzi entrò nella storia come il “vescovo rosso” italiano. Nel luglio del 1976, quando sembrava che il comunismo potesse prendere il potere in Italia, Bettazzi scrisse una lettera all’allora segretario del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer, al quale riconosceva la tendenza a realizzare: «un’esperienza originaria di comunismo, diversa dai comunismi di altre nazioni», e chiedeva di «non osteggiare» la Chiesa, ma di «stimolarne», piuttosto «l’evoluzione secondo l’esigenza dei tempi e le attese degli uomini, soprattutto dei più poveri, che forse voi potete o sapete più tempestivamente interpretare». Il leader del PCI rispose al vescovo di Ivrea con la lettera Comunisti e cattolici: chiarezza di princìpi e basi di intesa pubblicata su Rinascita del 14 ottobre 1977.
In questa lettera Berlinguer negava che il PCI professasse esplicitamente l’ideologia marxista, come filosofia materialistica ateistica, e confermava la possibilità di un incontro tra cristiani e comunisti sul piano della “de-ideologizzazione”. Non si tratta di pensare allo stesso modo, ma di fare insieme la stessa strada – affermava in sostanza Berlinguer – nella convinzione che marxisti non si è nel pensiero, ma si diviene nella prassi.
Il primato marxista della prassi è penetrato oggi nella Chiesa come assorbimento della dottrina nella pastorale. E la Chiesa rischia di divenire marxista nella prassi anche falsando il concetto teologico di povertà.
La vera povertà è il distacco dai beni di questa terra, in modo che essi servano alla salvezza dell’anima e non alla sua perdizione. Tutti i cristiani devono essere distaccati dai beni, perché il Regno dei Cieli è riservato ai “poveri in spirito”, ed alcuni di essi sono chiamati a vivere una povertà effettiva, rinunciando al possesso e all’uso dei beni materiali. Ma questa scelta ha valore perché è libera e non viene imposta da nessuno.
Le sette eretiche, fin dai primi secoli, hanno preteso invece di imporre la comunione dei beni, al fine di realizzare in questa terra una utopia ugualitaria. Su questa linea si pone oggi chi vuole sostituire alla categoria religiosa dei poveri in spirito quella sociologica dei materialmente poveri. Mons. Luigi Bettazzi, autore del volumetto La chiesa dei poveri dal concilio a Papa Francesco (Pazzini 2014) ha ricevuto, il 4 aprile 2016, la cittadinanza onoraria di Bologna e potrebbe ricevere la porpora da papa Francesco, sotto il cui pontificato secondo lo stesso ex-vescovo di Ivrea, si è sviluppato il Patto delle Catacombe, «come un seme di frumento messo sotto la terra e cresciuto pian piano fino a dare i suoi frutti».
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Sono una mamma e una catechista e ho abbandonato il catechismo…
Sono una mamma e una catechista e ho abbandonato il catechismo, che tanto amavo, due anni fa per due motivi: il disgusto per la diserzione dal catechismo della Chiesa Cattolica e per non trascurare la famiglia (ho tre bimbi molto piccoli). Evidentemente a Nostro Signore non manca la fantasia per richiamare in riga i suoi figli.
Accade che in una mattina come tante, nel tranquillo svolgersi del tran tran quotidiano, suona alla mia porta una mamma della nostra parrocchia; viviamo in un paesino sulle colline della diocesi di Torino, e mi dice che deve parlarmi del catechismo.
La mamma in questione, insieme ad altre, già da qualche mese mi fermava per strada per lamentarsi del catechismo, ma quello che fino a ora era stato improvvisato e oggetto battute da strada, ora stava diventando una formale richiesta di aiuto.
Nella mia parrocchia – e non solo qui – quello che viene chiamato catechismo, negli anni è andato incontro a un degrado imbarazzante: si tratta di quel percorso di “iniziazione cristiana” – così come si ama chiamarlo nelle diocesi e sui testi della CEI – in cui ci si avvicina ai Sacramenti: confessione in terza elementare, prima Comunione in quarta e Cresima in prima media. Il tutto affidato alla buona volontà di pie signore, perlopiù esse stesse a digiuno di catechetica, la cui formazione è affidata, nella migliore delle ipotesi, a qualche ritiro annuale in cui di tutto si parla fuorché di Catechismo.
Anni e anni avanti così. Poi un giorno ci si accorge che qualcosa non va. Qualcuno in parrocchia si rende conto dell’emergenza: le famiglie sono scristianizzate, i ragazzi arrivano a otto anni a completo digiuno della vita della fede, le catechiste si improvvisano e le lezioni si trasformano in perfette partite di pugilato. Si urla tutta l’ora. I ragazzini ridono sguaiatamente in faccia alla catechista, lei va nel pallone, perde la concentrazione e dimentica persino il Padre Nostro. Quando va bene si riesce a far loro disegnare una pecorella smarrita da appendere in Chiesa nel cartellone dell’ultim’ora. Ci si accorge che in prima media, alle soglie della Cresima, non sanno definire la persona di Dio, non sanno nulla della Trinità e via così.
E così una suora e una laica sono incaricate dal parroco di studiare nuove strategie per porre fine a questa babilonia e riprendere finalmente in mano le redini della formazione dei giovani, anche su invito del Vescovo che invia un lungo documento, un vademecum, rivolto alle parrocchie, in cui dottamente si illustrano scopi, fini, obiettivi, criticità, consigli, speranze e auspici riguardo la formazione dei ragazzi.
Alla fine viene concepita a tavolino la seguente machinatio: decine di onerosissimi incontri serali con i genitori dei bambini di seconda elementare inermi e perlopiù agnostici, mirati al riavvicinamento. Si ipotizza di suscitare in essi un desiderio di avvicinamento alla fede che possa poi essere importato in famiglia e trasmesso ai figli e, mira assai più ambiziosa, di creare una sorta di “vivaio” in cui allevare possibili futuri catechisti (roba che solo il Santo Curato d’Ars…). Queste serate si svolgono in un tale vuoto di sostanza cristiana che si trasformano sì in un vivaio, ma di rancore e astio misti a noia mortale, che sono ben lontani dall’avvicinare le famiglie alla Grazia di Nostro Signore.
Le povere vittime, dopo aver accettato di partecipare tutto l’anno a questi incontri, in obbedienza ai dettami del parroco, per una commovente residua fedeltà alle tradizionali tappe dell’iniziazione cristiana, a fine anno tentano di parlare con chi ha tenuto le serate per far presente che questo sistema è fallato in partenza. Che non hanno imparato nulla, che si sono pagate pure la baby sitter e che sono più lontane di prima dalla fede cristiana. Se ne accorgono persino loro, che non vanno in chiesa da anni, che hanno dimenticato quasi tutto della loro fede, che sono magari battezzate e sposate in chiesa ma, immerse nella mentalità del mondo come la maggior parte delle famiglie moderne, ormai allergiche al “dogma”, guardano con sospetto la Chiesa e la sua dottrina. La tanto vituperata dottrina che qualche illustre teologo e monsignore si preoccupano con solerzia di montare e smontare a piacimento nell’illusione di non urtare la sensibilità dei cattolici ormai adulti. I quali invece, in un paradosso esemplare, tristi e sconsolati di fronte alle macerie di una Chiesa che intuiscono in decadenza, supplicano i loro carnefici di riportali ad essa (alla dottrina) e si trovano di fronte a un rifiuto categorico. E qui il carnefice diventa castigo a se stesso, come dice l’ottimo Alessandro Gnocchi, perché impossibilitato dalle proprie scelte a fare ritorno alla retta via.
Quando le famiglie vengono in contatto con questi salotti dall’aria fritta che sono le parrocchie, avvertono che lì dentro si respira male, che non c’è spazio per la Verità, che qualcuno li sta prendendo in giro. Provano ad abborracciare una protesta ma il sistema li rigetta. La parrocchia risponde nisba, il catechismo (quello vero, tradizionale) non te lo insegno, nemmeno se mi supplichi in ginocchio. Ne a te, né ai tuoi figli. Punto. Meglio leggere i salmi (?!) e commentarli a braccio per decine di incontri, continuando a tenervi all’oscuro di tutte le più semplici e palesi verità della nostra fede.
Così i genitori si ricordano di me, che sono solo una poveretta che per cinque anni ha tentato di spiegare ai bambini alla “bene e meglio” chi è Dio, perché ci ha creati, cos’è la Creazione, il peccato originale, i dieci Comandamenti, chi è Gesù, perché è morto in croce, cos’è il segno della Croce, i Sacramenti, la S. Messa, la Madonna, gli angeli e i santi. Tutti argomenti tabù, soprattutto se trattati con verità, semplicità e devozione, senza quegli intellettualismi o, peggio, dissacranti banalizzazioni, che invece di avvicinare non fanno che suscitare legittimo scetticismo.
Mi chiedono di fare lezioni di catechismo vero ai loro figli. Fuori dal circuito parrocchiale. Da privatisti. Di insegnare loro ad avere un rapporto vero con Dio, così che poi, parole testuali, “saranno poi loro a portare a messa noi”.
Quasi quasi mi ci butto, penso. In fondo non vedevo l’ora di ricominciare il catechismo e avevo una certa riluttanza però, a pensare di rientrare nel giro vizioso della parrocchia.
Epilogo:
Dopo qualche settimana, le mammine arrabbiate vanno dal parroco, per tentare un ultimo approccio. Gli parlano a cuore aperto e viene fuori che io esisto e che sono disponibile. A quel punto il nemico esce allo scoperto e la mia figura, con tutti i miei metodi (chissà quali poi) vengono messi al bando palesemente dal parroco il quale spiega chiaramente alle mamme che il mio metodo è scaduto, non è più valido, è dogmatico e non viene più utilizzato nelle parrocchie dunque, se non vogliono uscire dal giro e, in poche parole, se vogliono i sacramenti per i loro figli, occorre rimanere nell’alveo della diocesi. Punto.
Apostasia della Chiesa. Un parolone che da giovane non capivo tanto.
Ora so cos’è.
Non credo che finirà qui. Rimango in attesa fiduciosa degli eventi nella preghiera.
A.P.
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CL/ CARRON: ROTTAMATORE CHE STRAVOLGE GIUSSANI E SPACCA IL MOVIMENTO?
di GIUSEPPE RUSCONI
La ‘svolta religiosa’ impressa da don Julian Carron, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, sta creando amarezza e preoccupazione dentro il movimento originato dalla passione di don Luigi Giussani. Ne diamo conto, riferendo delle critiche argomentate ormai non più sotterranee , ma sempre più esposte apertamente da chi vuole restare fedele agli insegnamenti del fondatore. Don Carron si fa forte dell’appoggio di Francesco, ma rischia di perdere una parte non trascurabile di Comunione e Liberazione.
In principio fu il Picconatore, epiteto attribuito, a partire dal 1989, all’allora presidente della Repubblica italiana Francesco Cossiga, costituzionalista e grande amante dei soldatini di piombo da collezione. Da qualche anno va di moda piuttosto l’epiteto gemello, il Rottamatore. Ad esempio c’è chi a Palazzo Chigi rottama alcune fondamentali procedure democratiche, come s’è constatato durante l’iter dello sciagurato disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili (e qui ha dato manforte anche la garrula ministra). Nessuna meraviglia, dato che a Palazzo Chigi si rottamano occasionalmente anche storia e geografia, come è emerso dalla conferenza-stampa di venerdì 15 aprile, in cui il premier ha annesso all’Italia addirittura il San Gottardo – e conseguentemente l’intero Canton Ticino – inserendo il nuovo tunnel ferroviario di 57 chilometri (tra Erstfeld e Bodio, inaugurazione: primo giugno) tra le “tre opere strepitose di collegamento con l’Europa” rivendicate dal suo governo.
C’è anche chi, stavolta in ambito ecclesiale, si dà da fare giorno dopo giorno per rottamare gaudiosamente punti fondamentali della dottrina cattolica. Per restare in quest’ultimo ambito, di Rottamatori ne spuntano anche là dove le radici sembravano profonde. Sembra questo essere il caso di “Comunione e liberazione” (CL), felice intuizione di esperienza comunitaria cristiana che don Luigi Giussani incominciò a concretizzare nel 1954, irradiandola dal Liceo Berchet di Milano. Da esterni al movimento, per CL abbiamo sempre nutrito simpatia: soprattutto pensando ai tanti volontari (del Meeting e nella quotidianità), al forte, solido e creativo impegno in ambito scolastico per la piena valorizzazione della persona umana, alla Marcia notturna di fede e di canti da Macerata a Loreto, alla testimonianza pubblica – data in tante occasioni anche con spirito battagliero - di fedeltà ai valori della Dottrina sociale della Chiesa, all’aiuto concreto a Solidarność e ai dissidenti al di là del Muro, all’attività feconda dei suoi missionari in ogni parte del mondo. Nessuna simpatia invece per le propaggini politico-affaristiche (e sempre opportunistiche) del movimento, evidenziatisi poi come nefaste a causa di squallide vicende non solo economiche.
Da qualche tempo tuttavia a noi, osservatori esterni, i comportamenti pubblici di CL appaiono mutati, conseguenza delle nuove scelte del successore di don Giussani, lo spagnolo don Julian Carron. Tale mutazione ha suscitato e suscita nel movimento non poche perplessità, tanta preoccupazione, tanta amarezza: l’appunto principale che sempre più spesso viene addebitato a don Carron è di aver stravolto l’eredità lasciata da don Giussani, utilizzandone à la carte l’insegnamento. Per di più facendosi scudo di papa Francesco, che l’ha ricevuto il 14 aprile in un’udienza – si sente dire nel movimento – chiesta in primo luogo per rinsaldare la propria autorità assai contestata nel mondo ciellino (quello superstite naturalmente: è ancora consistente, ma alcuni se ne sono già andati, altri sono sul piede di partenza e al vertice, attorno a don Carron, sono restati soprattutto gli immarcescibili gattopardi, oltre ai turiferari massmediatici).
Partiamo da non troppo lontano per evidenziare alcuni momenti di quella che appare (anche se non lo si vuole riconoscere pienamente) una grave crisi interna di CL, originata appunto dalla ‘svolta’ impersonata da don Carron.
FAMILY DAY DEL 20 GIUGNO 2015 A PIAZZA SAN GIOVANNI. I vertici ciellini scrivono, in una nota interna - citando tra l’altro il molto controverso segretario generale della Cei mons. Nunzio Galantino – che “l’iniziativa del 20 giugno (…) non sembra adeguata a favorire il necessario clima di incontro e di dialogo con chi la pensa diversamente”. Ma a piazza San Giovanni ci saranno comunque alcune decine di migliaia di ciellini, anche con striscioni e cartelli.
MEETING DI RIMINI 2015. Nello stand dei domenicani si discute della nefasta ideologia gender, presentando tra l’altro il libro di padre Giorgio Maria Carbone “Gender-L’anello mancante”. Due giornalisti di “Repubblica” denunciano con gran disdegno alcune affermazioni (scientifiche) di padre Carbone in materia. I dibattiti vengono sospesi d’autorità dalla direzione del Meeting per “evitare la sovrapposizione di dibattiti ed eventi nel già ricco programma della manifestazione”. Non c’è chi non veda nella giustificazione un tentativo pienamente riuscito di emulare le prodezze del Tartufo di Molière.
FAMILY DAY DEL 30 GENNAIO 2016 AL CIRCO MASSIMO. In un lungo intervento pubblicato dal “Corriere della Sera” del 24 gennaio don Carron mette esplicitamente sullo stesso piano chi sostiene il ddl Cirinnà e chi lo contrasta e giunge a sentenziare che “chi ritiene che questo (il ddl Cirinnà) mini le basi della società si oppone spesso con lo stesso accanimento, senza riuscire a sfidare minimamente, anzi, alimentando, la posizione che combatte”. Ma al Circo Massimo ci saranno comunque alcune decine di migliaia di ciellini, anche con striscioni e cartelli.
DOPO IL 27 FEBBRAIO 2016, DATA DELL’ASSEMBLEA DEI RESPONSABILI DI COMUNIONE E LIBERAZIONE IN ITALIA, SVOLTASI A PACENGO DI LAZISE (VERONA), CON L’INTERVENTO DI DON CARRON DAL TITOLO “UNA PRESENZA ORIGINALE”
a) una lettera (con due allegati) di don Mangiarotti e di ‘un gruppo di amici’. In una lettera ad alcuni vescovi, il battagliero don Gabriele Mangiarotti (responsabile dell’Ufficio per la pastorale scolastica e la cultura della diocesi di San Marino-Montefeltro, creatore del sito www.CulturaCattolica.it, ciellino da 54 anni) e “un gruppo di amici preoccupati della deriva del Movimento di Comunione e Liberazione” evidenziano impietosamente alcuni punti critici dell’intervento di don Carron. Ad esempio: “Il riferimento non è affatto la Dottrina sociale della Chiesa (spesso travisata nei suoi contenuti), ma una situazione letta in modo parziale e discutibile”. Ancora: “La storia della Chiesa e del movimento sembra avere una lettura difforme da quanto imparato da don Giussani (basti pensare al giudizio sul Sillabo e sulla libertà religiosa, come pure alla fine dell’epoca costantiniana). C’è di più: “Nessuno, invocando un impegno a proposito della legge Cirinnà, ha mai preteso di imporre la morale con la legge (civile). Conclusione: “Gli esiti educativi sono preoccupanti. Non solo numericamente, ma per una rinuncia alla presenza nel mondo con la propria identità. Per parafrasare mons. Scola, sembra che la testimonianza si riduca “al necessario buon esempio”, accettando conseguenze nefaste per la vita umana”. Viene a proposito quanto detto da alcuni giovani: “Non ci interessa il compromesso, non siamo al mondo per evitare il meno peggio o evitare lo scontro. Siamo al mondo per testimoniare, e se qualcuno ci attacca non lo lasciamo passare, offriamo l’altra guancia ma restando dritti e fermi”.
Nello scritto di don Mangiarotti e del gruppo di ciellini preoccupati si rilevava anche che “l’intimismo non è presenza, per l’intensità e la verità che diamo a questa parola. Nelle catacombe si crea un proprio ambito, quando non si può fare assolutamente in modo diverso e si è nel dolore dell’attesa di una manifestazione”. Infatti “la modalità della presenza è resistenza all’apparenza delle cose ed è contrattacco alla mentalità comune, alla teoria dominante e alla ideologia del potere”.
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Card. Caffarra: "Non si può con una nota, e di incerto tenore, mutare la disciplina secolare della Chiesa. Sto applicando un principio interpretativo che in Teologia è sempre stato ammesso. Il Magistero incerto si interpreta in continuità con quello precedente".
di Marco Ferraresi, per lanuovabq
Parlare di famiglia non è mai stato così complicato. Persino dentro la Chiesa. Fa problema anzitutto l’oggetto del discorso: cosa è veramente famiglia? E come pretendere che non vi sia confusione nella società civile, se pure nella Chiesa si oscurano talora verità fondamentali sul matrimonio? La controversia sul cap. VIII dell’esortazione Amoris Laetitia di Papa Francesco e la recente legge italiana sulle unioni civili destano sconcerto.
Ne parliamo con il Card. Carlo Caffarra, Arcivescovo emerito di Bologna. Caffarra è stato fondatore e Preside dell’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e la famiglia. Già partecipante come esperto al Sinodo dei vescovi sulla famiglia del 1980, è membro di nomina pontificia ai Sinodi del 2014 e del 2015. Risponde alle domande con la semplicità e la franchezza degli uomini della sua terra: “Quella fettaccia di terra tra il grande fiume e la grande strada”, dice orgogliosamente citando Guareschi.
Eminenza, cos’è la famiglia?
E’ la società che trae origine dal matrimonio, patto indissolubile tra un uomo e una donna, che ha la finalità di unire i coniugi e trasmettere la vita umana.
Da un’unione civile, secondo la legge Cirinnà nasce una famiglia?
No. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, firmando questa legge, ha sottoscritto una ridefinizione del matrimonio. Ma un provvedimento normativo non cambia la realtà delle cose. Occorre dirlo: i sindaci (soprattutto, naturalmente, quelli cattolici) devono fare obiezione di coscienza. Celebrando un’unione civile si renderebbero infatti corresponsabili di un atto gravemente illecito sul piano morale.
Perché questa crisi di identità della famiglia in Occidente?
Me lo chiedo spesso, ma non ho una risposta esaustiva. Comunque, una concausa è un processo di “debiologizzazione”, per il quale non si ritiene più che il corpo abbia un linguaggio (e dunque un significato) oggettivo. Questo significato viene così determinato dalla libertà della persona. Si è spezzato,nella coscienza occidentale, il legame tra bios e logos.
In una prospettiva di fede, non vi sono pure cause soprannaturali?
Nel 1981 stavo fondando per volontà di San Giovanni Paolo II l’Istituto per gli studi sul matrimonio e la famiglia. La fondazione era prevista per il 13 maggio, data della prima apparizione della Madonna a Fatima. Il Papa in quel giorno subì l’attentato, da cui uscì miracolosamente salvo per grazia – a dire dello stesso Pontefice – della Madonna. Dopo i primi anni di vita dell’Istituto, scrissi a suor Lucia, la veggente di Fatima, chiedendo preghiere per l’opera, e aggiungendo che non aspettavo risposta. Una risposta però arrivò comunque.
Che cosa le rispose?
Suor Lucia scrisse – e, vorrei sottolineare, siamo nei primi anni ’80 – che vi sarebbe stato un tempo di uno “scontro finale” tra il Signore e Satana. E il terreno di scontro sarebbe stato costituito dal matrimonio e dalla famiglia. Aggiunse che coloro i quali avrebbero lottato per il matrimonio e la famiglia sarebbero stati perseguitati. Ma anche che costoro non avrebbero dovuto temere, perché la Madonna ha già schiacciato la testa al serpente infernale.
Parole profetiche: è quello che sta accadendo?
Viviamo una situazione inedita. Mai era accaduto che si ridefinisse il matrimonio. E’ Satana che sfida Dio, come dicendo: “Vedi? Tu proponi la tua creazione. Ma io ti dimostro che costituisco una creazione alternativa. E vedrai che gli uomini diranno: si sta meglio così”. L’arco intero della creazione si regge, secondo la Scrittura, su due colonne: il matrimonio ed il lavoro umano. Non è ora nostro tema il secondo, pure soggetto ad una “crisi definitoria”; per quanto qui concerne, il matrimonio è stato istituzionalmente distrutto.
La Chiesa può rispondere a simile sfida?
Deve rispondere, per ragioni direi strutturali. La Chiesa si interessa del matrimonio perché il Signore l’ha elevato a sacramento. Cristo stesso unisce gli sposi. Si badi, non è una metafora: secondo le parole di San Paolo, nel matrimonio il vincolo tra gli sposi si innesta nel vincolo sponsale tra Cristo e la Chiesa, e viceversa. L’indissolubilità non è anzitutto una questione morale (“gli sposi non devono separarsi”), ma ontologica: il sacramento opera una trasformazione nei coniugi. Sicché, dice la Scrittura, non sono più due, ma uno. Questo è detto chiaramente in Amoris Laetitia (par. 71-75). Il sacramento, poi, infonde negli sposi la carità coniugale. E di questo parlano benissimo i capitoli IV e V dell’Esortazione. Inoltre, il sacramento costituisce gli sposi in uno Stato di vita pubblico nella Chiesa e nella società. Come ogni Stato di vita nella Chiesa, anche lo Stato coniugale ha una missione: il dono della vita, che si continua nell’educazione dei figli. Qui il capitolo VII di Amoris Laetitia colma addirittura, a mio avviso, una lacuna nel dibattito dei vescovi al Sinodo.
In pratica, cosa dovrebbe fare la Chiesa?
Una sola cosa: comunicare il Vangelo del matrimonio. Ho detto “comunicare”, perché non si tratta solo di un evento linguistico. La comunicazione del Vangelo significa guarire l’uomo e la donna dalla loro incapacità di amarsi e introdurli nel grande Mistero di Cristo e la Chiesa. Questa comunicazione avviene attraverso l’Annuncio e la catechesi; e attraverso i Sacramenti. Ci sono persone che, dopo una catechesi sul Sacramento del Matrimonio, vengono a dirmi: perché nessuno mi ha mai parlato di queste realtà meravigliose? I giovani, soprattutto, devono essere al centro delle nostre preoccupazioni. La questione educativa in materia è “la” questione decisiva. Il Papa ne parla ampiamente nei par. 205-211.
Eminenza, che dire della questione dell’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati? Il Papa ne tratta al cap. VIII, del quale sono state offerte però letture contrapposte.
Anzitutto, vorrei sottolineare che il Papa stesso nel par. 307 afferma che, prima di occuparci dei matrimoni falliti, dobbiamo preoccuparci di quelli da costruire. E, aggiungo, il problema della sua domanda resta quantitativamente limitato. Certo, sul piano dottrinale è tutt’altro che da trascurare. A tal proposito, rispondo a partire da quattro premesse.
1) Il matrimonio è indissolubile. Come dicevo, prima che un obbligo morale, l’indissolubilità è un dato ontologico. Spiace osservare che non tutti i Padri sinodali avessero ben chiaro tale fondamento ontologico.
2) La fedeltà coniugale non è un ideale da raggiungere. La forza di essere fedeli è donata nel sacramento (vi immaginate il marito che dice alla moglie: “Esserti fedeli è un ideale che cerco di raggiungere, ma ancora non riesco”?). Troppe volte si usa in Amoris Laetitia la parola “ideale”, occorre attenzione sul punto.
3) Il matrimonio non è un fatto privato, disponibile dagli sposi. E’ una realtà pubblica per il bene della Chiesa e della società.
4) Il cap. VIII, oggettivamente, non è chiaro. Altrimenti come si spiegherebbe il “conflitto di interpretazioni” accesosi anche tra vescovi? Quando ciò accade, occorre verificare se vi siano altri testi del Magistero più chiari, tenendo a mente un principio: in materia di dottrina della fede e di morale il Magistero non può contraddirsi. Non si devono confondere contraddizione e sviluppo. Se dico S è P e poi dico S non è P, non è che abbia approfondito la prima. L’ho contraddetta.
Amoris Laetitia, dunque, insegna o no che vi sia uno spazio di accesso ai sacramenti per i divorziati risposati?
No. Chi versa in uno stato di vita che oggettivamente contraddice il sacramento dell’Eucaristia, non può accedervi. Come insegna il Magistero precedente, possono invece accedervi coloro che, non potendo soddisfare l’obbligo della separazione (ad es. a causa dell’educazione dei figli nati dalla nuova relazione), vivano in continenza. Questo punto è toccato dal Papa in una nota (la n. 351). Ora, se il Papa avesse voluto mutare il Magistero precedente, che è chiarissimo, avrebbe avuto il dovere, e il dovere grave, di dirlo chiaramente ed espressamente. Non si può con una nota, e di incerto tenore, mutare la disciplina secolare della Chiesa. Sto applicando un principio interpretativo che in Teologia è sempre stato ammesso. Il Magistero incerto si interpreta in continuità con quello precedente.
Dunque, nessuna novità?
La novità, oltre alla possibilità data dal S. Padre di eccepire, a giudizio prudente dei vescovi, ad alcune norme canoniche, è soprattutto nel prendersi cura di questi fratelli divorziati risposati, cercando di imitare il nostro Salvatore nella modalità con cui Egli incontrava le persone più bisognose del “medico” . Il cap. VIII (“accompagnare, discernere, integrare”), a mio modesto avviso, è la guida di questo “prendersi cura”. Non dobbiamo cadere nell’inganno mass-mediatico di ridurre tutto a “Eucarestia sì-Eucarestia no”.
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ISLAM: violenze nei centri d’accoglienza in Svezia e Germania
Che nei centri d’accoglienza per rifugiati ci siano delle criticità, è certo. Non però quelle che lamentano le Sinistre plurali ed antagoniste. Tutt’altro. Ancora una volta il problema sta proprio nei rifugiati… Svezia, Kalmar, nel sud-est del Paese: qui c’è uno di questi centri. Tutto dovrebbe filare liscio. E invece capita che qui nei giorni scorsi un rifugiato musulmano abbia minacciato un altro, cristiano, di sgozzarlo.
Specificando anche d’aver già combattuto a fianco di gruppi jihadisti in Siria. Come se la cosa facesse “curriculum” o fosse un trofeo per gente senza scrupoli… Uno così dovrebbe essere immediatamente espulso. Invece è ancora lì. Un’eccezione? Assolutamente no. Poco prima un altro gruppo di cristiani richiedenti asilo, sempre a Kalmar, è stato costretto a cambiare centro, pur di sfuggire alle pressioni ed alle pesanti “attenzioni” esercitate su di loro dai “colleghi” islamici, riusciti a render la vita talmente impossibile da convincerli ad andarsene. Un’altra coppia di cristiani pachistani ha dovuto rifugiarsi in una chiesa, dopo aver notato il nome del marito tracciato sul muro di casa, seguito dalla scritta «A morte!». Vicende precedenti giustificano tanto terrore, Kalmar non è affatto nuovo a queste situazioni…
In una struttura per profughi a Ljusne, sempre in Svezia, lo scorso febbraio, un uomo è stato ucciso ed altre tre persone sono rimaste ferite nel corso di una maxi-rissa scoppiata tra gli ospiti. Che, stranamente, hanno utilizzato coltelli ed armi fabbricate artigianalmente. Armi, che lì non sarebbero mai dovute essere.
La Polizia dovette intervenire in massa ed in assetto antisommossa, per evitare conseguenze peggiori. Ancora: a fine gennaio, in un altro complesso analogo, a de Mölndal, un’assistente sociale, Alexandra Mezher, di soli 22 anni, è stata uccisa a colpi di coltello da un rifugiato somalo, oltre tutto minorenne. Arrestato e sotto custodia. Quando ormai, però, era troppo tardi… Soprusi e violenze, non si contano: nei centri d’accoglienza per profughi, in Siria, molte, troppo cose non sono permesse ai rifugiati cristiani, solo ed esclusivamente a causa della prepotenza di quelli musulmani, che nessuno provvede a mettere in riga.
Qualche esempio: nella struttura di Monsteras, per non andare incontro a ritorsioni e conseguenze, gli ospiti non devono esibire croci al collo, non devono entrare nelle stanze adibite alla preghiera verso la Mecca, non devono sedersi nelle aree comuni quando queste siano occupate da fedeli islamici. Eppure, secondo quanto riportato dall’Assyrian International News Agency, l’amministrazione svedese sembra non capire e si rifiuta di ospitare i profughi cristiani in strutture specifiche, poiché «questo sarebbe in contrasto con i principi ed i valori centrali nella società svedese e nella nostra democrazia», come dichiarato da Anders Danielsson, direttore generale del Consiglio svedese per le migrazioni.
E che vengano perseguitati ed ammazzati, non è in contrasto coi loro «valori»? Molte famiglie cristiane han già dovuto far le valigie e cercare casa altrove, “sfrattate” dalle intemperanze dei vicini islamici. Senza poter contare neanche sulla comprensione, né sull’aiuto degli stessi svedesi, da cui – forse – si sarebbero aspettati maggiore tutela e, soprattutto, più senso della giustizia nel “democratico” Occidente. È stato lo stesso Consiglio per le migrazioni ad aver reso noto come il numero di minacce e atti di violenza denunciati in questi centri sia più che raddoppiato tra il 2014 ed il 2015 ed abbia raggiunto quota 322…
Cambiando Stato, non cambiano le situazioni. Neanche in Germania i centri per rifugiati offrono una protezione adeguata a chi sia cristiano, tanto meno quando si tratti di un musulmano convertito al Cristianesimo: la denuncia è contenuta nello studio messo a punto nei giorni scorsi dall’organizzazione tedesca Open Doors. In tale inchiesta la metà dei 231 rifugiati cristiani intervistati, per lo più provenienti dall’Afghanistan o dall’Iraq, ha dichiarato di venire penalizzata o di subire intimidazioni da parte dei migranti islamici e spesso anche da parte degli agenti di sicurezza interni.
Minacce sono loro giunte, ad esempio, nel caso non avessero partecipato ad una preghiera coranica organizzata dagli altri migranti. Anche qui la soluzione più immediata e praticabile parrebbe quella di separare gli uni dagli altri. Ma nessuno muove un dito. Sconcertante. Stiamo parlando di uomini, donne e bambini, fuggiti dai loro Paesi d’origine a prevalenza musulmana, per evitare persecuzioni e lutti. Li sconcerta scoprirsi di nuovo perseguitati ed intimiditi, oltre tutto in Stati cristiani, ove si erano illusi di trovar finalmente riparo e protezione. Il rischio è che presto tali fenomeni possano non essere più controllabili, né arginabili. E, magari, che non possano nemmeno esser più confinati tra le mura dei centri per rifugiati…
(Mauro Faverzani)
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“Amoris Laetitia”: Mons. Livi parla ai penitenti e ai confessori
Nello scorso mese di aprile, in onore alla schiettezza e lealtà ecclesiale di Santa Caterina da Siena, Mons. Antonio Livi ha tenuto una conferenza presso la Basilica di San Giovanni alla Porta Latina, organizzata dalla “Sacra Fraternitas Aurigarum Urbis”. Pubblichiamo la trascrizione dall’orale, approvata dall’autore, nella certezza che il suo contenuto contribuirà a far chiarezza fra tanti laici (ma forse anche fra tanti sacerdoti) che oggi si sentono smarriti.
Dottrina morale e prassi pastorale nella “Amoris laetitia”
Cari amici,
mi avete chiesto di spiegare in termini semplici a voi, laici – ma vedo anche nell’uditorio dei confratelli e quindi dei confessori -, perché un sacerdote (e teologo) come me ha pubblicamente criticato, in varie occasioni e in varie sedi, l’esortazione apostolica Amoris laetitia di papa Francesco. Mi accingo dunque a spiegare a voi, con la massima schiettezza, il contenuto e le vere motivazioni ecclesiali di queste critiche, che sono naturalmente prudenti nel merito, rispettose nella forma e responsabili nelle intenzioni. Premetto, per cominciare, quello che dice la Chiesa stessa, in un celebre documento della Congregazione per la Dottrina della fede, pubblicato nel 1990 a firma dell’allora prefetto, cardinale Joseph Ratzinger:
«Il Magistero, allo scopo di servire nel miglior modo possibile il Popolo di Dio, e in particolare per metterlo in guardia nei confronti di opinioni pericolose che possono portare all’errore, può intervenire su questioni dibattute nelle quali sono implicati, insieme ai principi fermi, elementi congetturali e contingenti. E spesso è solo a distanza di un certo tempo che diviene possibile operare una distinzione fra ciò che è necessario e ciò che è contingente. La volontà di ossequio leale a questo insegnamento del Magistero in materia per sé non irreformabile deve essere la regola. Può tuttavia accadere che il teologo si ponga degli interrogativi concernenti, a seconda dei casi, l’opportunità, la forma o anche il contenuto di un intervento. II che lo spingerà innanzitutto a verificare accuratamente quale è l’autorevolezza di questi interventi, così come essa risulta dalla natura dei documenti, dall’insistenza nel riproporre una dottrina e dal modo stesso di esprimersi […]. In ogni caso non potrà mai venir meno un atteggiamento di fondo di disponibilità ad accogliere lealmente l’insegnamento del Magistero, come si conviene ad ogni credente nel nome dell’obbedienza della fede. Il teologo si sforzerà pertanto di comprendere questo insegnamento nel suo contenuto, nelle sue ragioni e nei suoi motivi. A ciò egli consacrerà una riflessione approfondita e paziente, pronto a rivedere le sue proprie opinioni ed a esaminare le obiezioni che gli fossero fatte dai suoi colleghi. Se, malgrado un leale sforzo, le difficoltà persistono, è dovere del teologo far conoscere alle autorità magisteriali i problemi suscitati dall’insegnamento in se stesso, nelle giustificazioni che ne sono proposte o ancora nella maniera con cui è presentato. Egli lo farà in uno spirito evangelico, con il profondo desiderio di risolvere le difficoltà. Le sue obiezioni potranno allora contribuire ad un reale progresso, stimolando il Magistero a proporre l’insegnamento della Chiesa in modo più approfondito e meglio argomentato»(Congregazione per la Dottrina della fede, Istruzione Donum veritatis sulla vocazione ecclesiale del teologo, 24 maggio 1990, nn. 24; 29-30).
Io conosco bene questo documento, e l’ho studiato per anni. L’ho utilizzato soprattutto per denunciare l’abuso del titolo di “teologo” da parte di chi si ribella per principio agli insegnamenti definitivi del Magistero e pretende di ri-formulare il dogma cristiano (cfr Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, Leonardo da Vinci, Roma 2012). Ma ora devo rifarmi proprio a questo documento per legittimare i miei interventi critici di fronte alle tante ambiguità (nell’indirizzo pastorale) e alla evidente deriva relativistica (nella dottrina morale) che caratterizzano, purtroppo, molti gesti e molti discorsi di questo Papa e in particolare l’esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia. Sono rilievi critici suggeriti sempre soltanto dalla responsabilità ecclesiale che mi impegna – come sacerdote e come teologo – soprattutto di fronte a quei fedeli che sovente manifestano in pubblico il loro turbamento e in privato mi confidano il disorientamento delle loro coscienze, pensando anche a quei fedeli che posso immaginare che siano addirittura indotti alla perdita del senso del peccato – essendo esso la coscienza di essere tutti peccatori, unitamente alla convinzione che solo la grazia sacramentale, una volta avviata la conversione interiore, può redimerci e garantirci la salvezza eterna.
Parto dal presupposto che la “nota teologica” di questo documento pontificio sia proprio quella indicata nel n. 30 della dichiarazione Donum veritatis, e quindi limito le mie critiche alla “forma” dell’esortazione e alla sua opportunità pastorale, date le premesse storico-ecclesiastiche e le conseguenze nella formazione della coscienza dei fedeli. Le premesse storiche sono molto significative: il Papa ha fatto sua una delle due opinioni formalmente espresse dai padri sinodali (quella dei cardinali Schoenborn, Marx, Baldisseri e Kasper, e dei vescovi Forte e Semeraro, tutti favorevoli a un cambiamento radicale della prassi pastorale e dei suoi presupposti dottrinali), non tenendo minimamente conto dell’opinione di quanti (come i cardinali Müller, Caffarra, Burke, De Paolis, Sarah) avevano insistentemente criticato l’ipotesi della concessione della Comunione ai fedeli in stato di pubblico scandalo per aver divorziato davanti al tribunale civile e per aver istituito una convivenza more uxorio (la quale configura canonicamente il “pubblico concubinato”), dopo aver contratto un invalido e finto nuovo matrimonio, sempre davanti al tribunale civile.
Per queste concrete circostanze, l’esortazione apostolica post-sinodale era un documento molto atteso per conoscere le indicazioni della Chiesa dopo i due Sinodi dei vescovi sulla famiglia e la ridda di interpretazioni da parte dei vescovi favorevoli al mantenimento della disciplina attuale e di quelli che chiedevano un cambiamento radicale. Ma l’attesa di un chiarimento è stata delusa.
Alcune parti del documento papale – quelle che sono dedicate a illustrare i nuovi criteri pastorali – sono caratterizzate dall’ambiguità dell’enunciato, un’ambiguità che genera gravissimi equivoci di interpretazione proprio riguardo a ciò che Francesco vuole che sia fatto in pratica, all’atto di decidere che cosa suggerire o prescrivere ai fedeli che manifestano l’intenzione di accostarsi all’Eucaristia pur trovandosi in una situazione irregolare. I termini «misericordia», «accompagnamento» e «discernimento», pur ripetuti tante volte, non sono mai spiegati in modo da far capire se sono davvero la cifra di una nuovissima prassi (nel qual caso avrebbero ragione quelli che hanno parlato di una «novità rivoluzionaria») oppure sono semplicemente sinonimi di quello che le leggi ecclesiastiche vigenti e i documenti dell’ultimo Concilio chiamano la «carità pastorale», non diverso, sostanzialmente, da ciò che si ritrova nella dottrina teologico-pratica di un dottore della Chiesa come sant’Alfonso Maria de’ Liguori (autore tra l’altro della Praxis confessarii ad bene excipiendas Confessiones), il cui positivo riscontro pastorale è ben visibile nell’esempio dei santi (si pensi al Curato d’Ars nell’Ottocento o a padre Pio e a padre Leopoldo nel Novecento).
Per di più, l’aspra ma generica polemica del Papa contro quelli che a suo avviso sarebbero dei rigoristi dal cuore duro, dei formalisti senza carità, addirittura dei «farisei», lascia intendere che il Papa ha non solo favorito una delle due opinioni emerse nella discussione sinodale – quella dei riformisti – , ma ha anche tolto ogni credibilità a coloro che avevano presentato ponderose e documentate obiezioni alle proposte di riforma (e pensare che tra questi oppositori c’era addirittura il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede!). Per di più, avvalendosi di questa (voluta) ambiguità del documento pontificio, molti vescovi si sono precipitati a dichiarare che il Papa con questa esortazione apostolica veniva a legittimare una prassi «misericordiosa» (cioè permissiva, o meglio lassista, anzi irresponsabile) che essi già avevano consentito nelle rispettive diocesi, in disobbedienza alle leggi canoniche vigenti.
Allo stesso tempo, il cardinale americano Burke e il vescovo kazaco Schneider dichiaravano ai giornalisti che l’esortazione apostolica di papa Francesco non era da prendere come documento del Magistero, tanti erano i riferimenti dottrinali confusi o addirittura erronei che essa conteneva. Insomma, l’opinione pubblica cattolica è stata indotta a ritenere che il Papa abbia voluto abrogare la dottrina cristiana circa l’indissolubilità del matrimonio e la necessità dello stato di grazia per accedere alla Comunione. E, di fronte a questa (presunta) “rivoluzione” dogmatica, molti hanno provato sgomento, ritenendo che papa Francesco sia stato ingannato dai suoi consiglieri e abbia avallato l’eterodossia, mentre altri hanno gioito ritenendo che finalmente la Chiesa aveva messo da parte l’ortodossia dei conservatori per concedere piena libertà alle dottrine teologiche più avanzate, più consone ai nuovi tempi e alla mentalità dell’uomo di oggi.
La Chiesa, nella sua storia bimillenaria, ha vissuto tante vicende drammatiche. La storia ecclesiastica narra di diverse epoche di confusione e di scisma, persino di pontefici che con la loro condotta di vita hanno scandalizzato. Papa Francesco certamente non lo fa con la sua condotta personale, ma la dottrina teologica che egli favorisce, questa sì che scandalizza, nel senso biblico del temine, nel senso che è una “pietra di inciampo” per la fede dei semplici e disorienta le coscienze di tanti.
Questa confusione e questo disorientamento della coscienza dei comuni fedeli è il risultato – forse voluto, forse imprevisto, anche se facilmente prevedibile – dell’ambiguità strutturale del documento pontificio. Ed è il motivo per il quale io ne parlo, evidenziandone gli aspetti critici: non per mancare di rispetto al Magistero, né per prendere le parti dei conservatori contro i progressisti nella disputa ideologica che affligge la Chiesa da tanto tempo, e tanto meno per voler contrapporre alla dottrina del Papa – che dovrebbe esprimere e interpretare con autorità divina il dogma della fede – una mia opinabile dottrina teologica: ma solo per responsabilità pastorale nei confronti dei fedeli che da siffatta situazione non possono non subire danni gravissimi nella loro coscienza di fede, sia riguardo al dovere di obbedire all’autorità ecclesiastica lì dove essa comanda espressamente e lecitamente, sia riguardo al dovere di rispettare la natura divina dei segni sacramentali, evitando ogni rischio di profanazione e di sacrilegio.
A voi che siete qui presenti, laici e quasi tutti regolarmente coniugati, mi rivolgo con un accorato appello: non pensate che il documento pontifico, in materia di Sacramenti (Matrimonio, Penitenza, Eucaristia), vi obblighi a credere qualcosa di diverso da quello che avete sempre creduto, né difare qualcosa di diverso da quello che avete sempre fatto. Anzi, vi dirò di più. L’esortazione apostolica non è una nuova legge ecclesiastica: non comanda alcunché ad alcuno nella Chiesa cattolica; è, appunto, soltanto un’esortazione, un invito, un incoraggiamento, rivolto ai Pastori (vescovi e presbiteri) perché pratichino il loro ministero con attenzione alle situazioni specifiche dei loro fedeli, aiutandoli anche con la direzione spirituale personale (il “foro interno”) e sempre con spirito di misericordia. Dunque sono soprattutto i sacerdoti in cura d’anime a dover applicare al loro quotidiano servizio (catechesi e amministrazione dei sacramenti) i criteri indicati dal Papa. Sono io, e con me tutti i miei confratelli nel sacerdozio, sotto la guida del rispettivo vescovo, a dover recepire e attuare questi consigli pastorali, senza mettere da parte – nessuno me lo può chiedere, e il Papa non me lo ha chiesto – i criteri teologico-morali e le norme canoniche vigenti, ossia i criteri di base, sempre validi, con i quali ho esercitato il ministero della Confessione fino a oggi, nei miei 55 anni di sacerdozio. Questi criteri mi impediscono di fraintendere (o di intendere secondo l’interpretazione dei “riformisti e progressisti”) alcuni passi ambigui dell’esortazione apostolica, che ora leggo con voi, per poi fornirne l’unica interpretazione ammissibile dal punto di vista di una prassi sacramentaria rispettosa del dogma e dei principi morali definitivamente stabiliti dalla Chiesa.
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Una grande battaglia in difesa della fede e della morale è in corso nel mondo e i cristiani d’Africa sono in questo momento in prima linea.
Pronti a respingere il tentativo d’introdurre qualsiasi ideologia contraria alla Dottrina della Chiesa, dall’”apertura” ai divorziati risposati a quella all’omosessualità.
«Che ci si ascolti no, noi parleremo e si udirà la nostra parola», ha assicurato il card. Robert Sarah, rifiutando in blocco la linea kasperiana.
di Roberto de Mattei
Sta nell’Africa il futuro della Chiesa cattolica? La domanda è legittima, alla vigilia di un Sinodo sulla famiglia che vedrà convergere vescovi da ogni parte del mondo, con concezioni del mondo e strategie spesso divergenti. Un blocco di vescovi centro-europei vuole portare avanti, come è noto, le tesi del cardinale Kasper di apertura ai divorziati risposati. Queste tesi sono state respinte da cinque cardinali e quarantacinque vescovi di altrettanti Paesi africani che si sono riuniti ad Accra, la capitale del Ghana, dall’8 all’11 giugno per un simposio dal titolo: La famiglia in Africa.
Quali esperienze e quali contributi per la XIV assemblea ordinaria del sinodo dei vescovi?. «Tutti alla luce del sole – commenta Sandro Magister – non quasi in segreto come alcuni loro colleghi della Germania, della Francia e della Svizzera, che si erano dati appuntamento un po’ di giorni prima nella Pontificia Università Gregoriana di Roma». In entrambi i casi per i convenuti il movente era il medesimo: preparare la prossima sessione del Sinodo sulla famiglia. Ma mentre alla Gregoriana l’obiettivo era il cambiamento degli ordinamenti della Chiesa sul divorzio e l’omosessualità, ad Accra l’orientamento è stato l’opposto.
La linea di marcia l’ha indicata fin dalle prime battute il cardinale guineano Robert Sarah, prefetto della congregazione per il culto divino: «Non avere paura di ribadire l’insegnamento di Cristo sul matrimonio[...] parlare in sinodo con chiarezza e con una sola voce, con amore filiale per la Chiesa[...] proteggere la famiglia da tutte le ideologie che vogliono distruggerla e quindi anche dalle politiche nazionali e internazionali che impediscono di promuoverne i valori positivi».
Il consenso su queste posizioni, conferma Magister, è stato pieno. Oltre a Sarah, gli altri cardinali africani presenti sono stati Christian Tumi del Camerun, John Njue del Kenya, Polycarp Pengo della Tanzania e Berhaneyesus D. Souraphiel dell’Etiopia, quest’ultimo creato da papa Francesco nell’ultimo concistoro.
Nel suo recente volume Dieu ou rien. Entretien sur la foi (Fayard, Parigi 2015), di cui già abbiamo parlato nel numero di aprile di questa rivista, il cardinale Sarah racconta la sua storia. Nato nel 1945 a Ourous, nel cuore della Guinea, da un’umile famiglia, è entrato in seminario a 11 anni. Un ruolo prezioso nella sua formazione è stato svolto dai Padri della congregazione dello Spirito Santo (spiritani), che fin dalla loro fondazione, nel XVII secolo, si dedicano alle missioni in terra d’Africa. In quegli anni delegato apostolico per tutta l’Africa francese era mons. Marcel Lefebvre, membro e poi Superiore generale della congregazione degli spiritani.
Dopo essere stato ordinato sacerdote in un Paese dominato da una sanguinaria dittatura è divenuto, a 33 anni, il più giovane arcivescovo del mondo. Giovanni Paolo II lo ha chiamato a Roma nel 2001 e Benedetto XVI lo ha creato cardinale nel 2010, affidandogli la guida del Consiglio pontificio Cor unum. Papa Francesco lo ha posto nel 2014 alla testa della congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti.
Il cardinale Sarah, oltre a svolgere l’importante ruolo che gli attribuisce il suo dicastero, afferma di sentirsi impegnato a difendere la terra d’Africa dalle minacce che pesano su di essa in seguito alla globalizzazione e alla nuova etica mondiale promossa dall’Occidente secolarizzato. «Per la sua identità – afferma – l’Africa è aperta alla trascendenza, all’adorazione e alla gloria di Dio. I popoli africani rispettano l’uomo, ma guardano oltre e cercano l’eternità. L’anima dell’Africa si apre sempre verso Dio. Al contrario di una grande parte dell’Occidente, questo continente ha una visione fondamentalmente teologale. Le preoccupazioni materiali vengono sempre in seconda linea. L’uomo africano sa che in questa vita non è che di passaggio» (p. 373).
All’intervistatore che gli chiede se la ricerca di un “accompagnamento” per i divorziati risposati costituisca una sfida urgente per la pastorale familiare, il cardinale risponde con chiarezza: «Ho molto rispetto per il cardinale Reinhard Marx, ma questa affermazione così generale mi sembra essere l’espressione di una pura ideologia che si vuole imporre a tappe forzate a tutta la Chiesa. Secondo la mia esperienza, in particolare dopo 23 anni come arcivescovo di Conackry e nove anni come segretario della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, la questione dei “credenti divorziati o divorziati e risposati civilmente” non è una sfida urgente per le Chiese di Africa o Asia.
Si tratta al contrario di un’ossessione di certe Chiese occidentali che vogliono imporre delle soluzioni dette “teologicamente responsabili e pastoralmente appropriate”, le quali contraddicono radicalmente l’insegnamento di Gesù e del magistero della Chiesa (…) Affermo dunque con solennità che la Chiesa d’Africa si opporrà fermamente a ogni ribellione contro l’insegnamento di Gesù e del magistero» (pp. 403- 205).
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Abbiamo già segnalato prese diposizione di vescovi e presbiteri, molti dei quali stanno dando corso a una specie di gara a chi più si discosta dalla dottrina e pastorale cattolica.
Riportiamo oggi una lettera aperta di un giornalista non sempre attento al Magistero, Aldo Maria Valli, in quanto voce ex altera pars: cioè efficacissima testimonianza della crescente confusione e disorientamento provocato dalle aperture all'adulterio e al divorzio.
Le stesse perplessità sulla Amoris Laetitae sono state espresse, più profondamente, da Stanislaw Grygiel, amico di Karol Wojtila e già consigliere di San Giovanni Paolo II :
[www.ilfoglio.it]
Lettera agli amici
di Aldo Maria Valli, 29 maggio 2016
Un giornalista non dovrebbe mai parlare di se stesso, se non altro per buon gusto. Faccio un’eccezione, e prometto che resterà tale, per rispondere ai tanti amici che hanno reagito ai miei ultimi articoli, nei quali non ho nascosto le perplessità circa Amoris laetitia e altre affermazioni di papa Francesco.
Amoris laetitia in un primo tempo mi è piaciuta. Ci ho visto lo sforzo sincero di calarsi nella realtà. Poi però, leggendo e rileggendo, ecco le perplessità e i dubbi. Riconducibili a una domanda che mi assilla: ma il paradigma della situazione, fatto proprio da Francesco quando suggerisce di procedere secondo la logica del caso per caso, non finisce per giustificare tutto? E, così facendo, non scivola nel relativismo? E non sarà forse per questo che Francesco è tanto applaudito da atei e laicisti, che scambiano la sua misericordia per un lasciapassare? Ecco perché ho scritto l’articolo nel quale esprimo tutte le mie perplessità su quella che ho definito la Chiesa del “ma anche”. Una Chiesa che, attraverso il paradigma della situazione contingente, alla fin fine risponde sì, ma anche no, no, ma anche sì, una Chiesa che cerca di tenere assieme ciò che assieme non può stare e che in questo modo non porta all’integrazione, ma alla confusione.
Scrivendo, avevo in mente tanti amici divorziati e risposati, così come tanti amici omosessuali, i quali, da credenti, mi hanno sempre detto di aspettare dal papa una parola sicura.
Da parte mia, nessuna “manovra”, nessun progetto di chissà quale natura, nessuna decisione di abbandonare un partito (ma quale?) per entrare in un altro (ma quale?). Solo la manifestazione sincera, e anche dolorosa, di un dubbio. Dolorosa perché voglio molto bene al papa. Ma è proprio perché gli voglio bene che lo prendo sul serio. Ed è proprio perché lo prendo sul serio che mi interrogo su quanto insegna. A partire dal concetto di misericordia, che Francesco ha messo al centro del suo magistero.
Vi dicevo di altre perplessità suscitate in me dalle parole del papa. Mi limito a due circostanze. La prima, quando, in un video dedicato al dialogo tra le religioni, Francesco ha sostenuto che “in questa moltitudine, in questa ampia gamma di religioni e assenza di religioni, vi è una sola certezza: siamo tutti figli di Dio”. La seconda, quando, nella chiesa luterana di Roma, con un lungo intervento a braccio, ha detto che la possibilità o meno di fare la comunione insieme (luterani e cattolici) “è un problema a cui ognuno deve rispondere”.
Come sarebbe a dire che la “sola certezza” è che siamo tutti figli di Dio? E il Vangelo di Gesù? Non è quella la nostra certezza? Mi chiedo: qui non siamo, di nuovo, di fronte a parole dal sapore relativista (e, in questo caso, anche sincretista)? E come sarebbe a dire che la comunione, cuore della vita cristiana, è un problema a cui ognuno deve rispondere? Non siamo qui, ancora, nel relativismo? Su una questione così importante non dovrebbe essere proprio il papa, il nostro pastore, a rispondere?
Alla luce di queste perplessità, ho riletto anche la famosa frase sul “chi sono io per giudicare?”, che all’inizio mi era apparsa molto evangelica, e pian piano è cresciuto dentro di me il dubbio: non c’è forse, anche lì, il germe del relativismo?
Lo ripeto: voglio bene al papa, molto bene. Per questo mi faccio tante domande che, fra l’altro, mi creano un sacco di problemi. Quanto sarebbe più comodo starsene tranquilli e ripetere, senza troppi pensieri, le parole che vanno per la maggiore, come misericordia, periferie, Chiesa in uscita, eccetera. Invece no: mi interrogo. Perché non mi sembra serio, oltre che ben poco cristiano, recepire tutto in modo fintamente neutro. Il buon Dio ci ha dotato di cuore e cervello, ed è contento se li usiamo.
Come molti di voi sanno, io sono un papà di sei figli. Un papà ormai un po’ attempato (e adesso anche nonno), ma che è ancora in servizio attivo (quattro le figlie che vivono con me e mia moglie Serena) e ancora, di conseguenza, si confronta ogni giorno con il problema delle risposte da dare ai figli su molteplici questioni: andare al mare in auto e fermarsi fino a tardi, dormire fuori con il fidanzato, stare a casa per evitare il compito in classe di latino, comprare o meno un vestito nuovo, cercare un appartamento per andare a vivere da sola…
Ora, mi chiedo e chiedo a voi: che padre sarei se alle mie figlie, di fronte alle mille domande che mi pongono, rispondessi: sì, ma anche no; no, ma anche sì, fate voi. Che padre sarei se rispondessi che dipende dalla situazione contingente? Se rispondessi così, non lascerei credere alle mie figlie che non esistono il bene e il male in quanto tali ma esiste solo l’esperienza individuale e quella è la misura di tutto? Che padre sarei se rispondessi che non è mio compito giudicare? Come potrei mantenere la mia credibilità se fossi un padre del “ma anche”? Che cosa significa, per un padre, essere misericordioso? Giudicare la realtà e dare risposte certe, attraverso rigorose argomentazioni, o affidarsi al paradigma della situazione?
Badate bene: io sono convinto che il relativismo sia nell’aria che respiriamo. Pertanto, tutti ci possiamo cadere, anche inavvertitamente. Ma proprio per questo motivo dobbiamo vigilare, prima di tutto nei confronti di noi stessi.
Cari amici miei, non so se sono riuscito a spiegarmi. Il discorso dovrebbe essere molto più lungo, ma credo di aver detto l’essenziale e non voglio annoiarvi.
Ringrazio tutti per l’attenzione che mi riservate: davvero non avrei mai immaginato di poter suscitare tante reazioni.
A chi poi paventa che, dietro le mie ultime uscite, ci sia una sorta di manovra per “lanciare” un nuovo libro, rispondo: magari potessi scrivere un nuovo libro su questi argomenti! Vorrebbe dire che avrei le idee chiare. E invece mi trovo a essere così pieno di dubbi, così turbato e perplesso.
Ma sursum corda! E duc in altum!
Grazie a tutti.
Aldo Maria Valli
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Il filosofo Rémi Brague smonta il paragone tra Corano e Vangelo
di Matteo Matzuzzi | Il Foglio, 25 Maggio 2016
Roma. “Un passaggio dell’intervista suscita in me una certa perplessità, ed è quello sull’islam”. A scriverlo in un commento apparso sul Figaro è il filosofo cattolico Rémi Brague, tra i più grandi medievisti contemporanei, oggi professore emerito alla Sorbona di Parigi e vincitore nel 2012 del Premio “Ratzinger” consegnatogli direttamente da Benedetto XVI. L’intervista in questione è quella concessa la scorsa settimana dal Papa al quotidiano la Croix. Il passaggio che ha lasciato basito l’intellettuale francese è relativo al parallelo proposto da Francesco tra la concezione di conquista propria della religione islamica e quella cristiana: “L’idea di conquista è inerente all’anima dell’islam, è vero”, aveva detto il Pontefice, aggiungendo però che “si potrebbe interpretare, con la stessa idea di conquista, la fine del Vangelo di Matteo, dove Gesù invia i suoi discepoli in tutte le nazioni”.
Brague non concorda per nulla, e spiega che “il Corano non contiene alcun equivalente del mandato missionario affidato ai discepoli”. Non solo, perché anche se “le esortazioni a uccidere che si leggono è probabile che abbiano solamente una portata circostanziale” resta il fatto che “la parola ‘conquista’ non è una metafora, bensì ha un significato concreto, decisamente militare”.
Non occorre fare troppa ermeneutica, aggiunge Brague: basta prendere l’hadith in cui il Profeta afferma “mi è stato ordinato di combattere contro gli uomini finché non diranno che non c’è altro dio se non Allah, e che il suo profeta è Maometto”.
E’ questo il cuore del problema: nella religione islamica “non c’è una conversione dei cuori, bensì una sottomissione”, come si ricava dal senso della parola islam nei detti di Maometto.
Insomma, prosegue il filosofo, “l’adesione sincera potrà e dovrà concretizzarsi, ma non è la priorità”. Un’adesione convinta che si avrà “quando la legge islamica sarà in vigore, e allora i conquistati passeranno alla religione dei conquistatori”.
Da queste constatazioni, osserva Brague, si comprende bene “come la parola ‘conquista’ abbia tutt’altro significato rispetto al versetto contenuto nel Vangelo di Matteo”. Il che non preclude alla possibilità di una sana convivenza tra cristiani e musulmani, “anche se gli esempi dell’Argentina (con l’1,5 per cento di musulmani) e soprattutto del Libano devono essere presi con prudenza”.
Il punto è cambiare prospettiva, sostiene il filosofo, osservando che non si tratta tanto di stabilire se è possibile la convivenza tra persone di credo diverso, bensì di comparare sistemi religiosi basandosi sui rispettivi documenti normativi. E’ qui che, a giudizio dell’intellettuale francese, il parallelo proposto da Francesco mostra tutti i suoi limiti.
Il commento di Rémi Brague segue di un giorno la visita del grande imam di al Azhar in Vaticano, primo passo verso il ristabilimento di normali rapporti tra la principale istituzione sunnita e la Santa Sede. In un’intervista concessa ai media vaticani, Ahmed al Tayyeb – che ha confermato l’impegno nella riforma dei testi scolastici per chiarire “i concetti musulmani che sono stati deviati da coloro che usano violenza e terrorismo” – ha voluto ricordare la rottura delle relazioni avvenuta cinque anni fa: “Al Azhar ha una commissione di dialogo interreligioso con il Vaticano che si era sospeso per delle circostanze precise, ma adesso che queste circostanze non ci sono più, noi riprendiamo il cammino di dialogo e auspichiamo che sia migliore di quanto lo era prima”.
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Le false idee sul diaconato femminile di Lucetta Scaraffia
(di Cristina Siccardi)
Dopo la drammatica Esortazione apostolica Amoris Laetitia, dopo la macabra pantomima pannelliana e vaticana a cui abbiamo assistito in questi giorni, osserviamo pure che ci sono persone non sufficientemente soddisfatte delle rivoluzioni in corso nella Chiesa, vorrebbero un sovvertimento maggiore, questo accade, per esempio, a Lucetta Scaraffia, direttrice dell’inserto Donne, Chiesa, Mondo de L’Osservatore Romano.
Le risposte che Scaraffia ha dato a Virginia Piccolillo del Corriere della Sera (12 maggio 2016), a proposito dell’eventualità di aprire il diaconato alle donne, sono inconfutabilmente di timbro protestante. Ella si rallegra di una possibile svolta sulle donne diacono: «Potranno esserci, ma bisognerà superare alcuni ostacoli». Quali ostacoli? «Solo di diritto canonico. Non è una cosa che va contro la dottrina cattolica. È soltanto un problema di regole da aggiornare».
E perché, chiede la giornalista, non sono state aggiornate prima? Non perché nella Chiesa il diaconato femminile non è mai stato inserito fra gli ordini della gerarchia apostolica (composta da tre gradi: diaconi, presbiteri, vescovi), istituita dal Figlio di Dio, ma perché «le donne non lo hanno mai chiesto». È sufficiente chiedere per ottenere le bizzarrie antidottrinali? Il sistema è quello del totalitarismo secolarizzato ed ideologico attuale: falsi diritti imposti a tutti. E così il femminismo, che storpia e deturpa la natura femminile, è oggi presente nell’intellighenzia della Chiesa.
Scaraffia sostiene che le suore presenti all’udienza concessa da Papa Francesco all’Unione internazionale Superiore generali (Uisg) il 12 maggio u.s. hanno avuto il «coraggio», grazie all’invito del Pontefice, di avanzare quesiti «non addomesticati», come a dire che le suore, prima di questo Pontificato, erano in cattività. Siamo di fronte, dice ancora Scaraffia, ad una «super-rivoluzione. Evidentemente non ne possono più di essere sempre in un ruolo subordinato. Come del resto non sopportavamo più noi laiche. Il mondo sta cambiando, saranno cambiate anche loro».
La volontà di comando nelle istituzioni religiose è una grande tentazione per le figlie del Sessantotto e del Concilio Vaticano II. Tale tentazione diabolica, parallela alla teoria di genere, dove i sessi non hanno più cromosomi e impronte digitali, è distruttiva per la collettività e per l’equilibrio psicofisico degli individui.
La Madonna, modello per essenza del ruolo femminile, è sempre stata nella Chiesa la stella polare per ogni donna cattolica, in grado di dirigere con dolcezza e fermezza, con mitezza e determinazione, i passi di ciascuna, sposa o suora che fosse. La donna è chiamata ad essere sposa e madre, sempre, anche quando sceglie l’abito religioso, perché sposa di Cristo e madre spirituale di molti. Se così non fosse sarebbe un’irrealizzata, una frustrata, un prodotto della rivoluzione in itinere, che non ha nulla a che vedere con lo sguardo di eternità della Chiesa, mai legato, per principi e catechesi, alle contingenze e agli accidenti della contemporaneità.
La Madonna non ha mai voluto prendere il posto degli Apostoli e gli Apostoli le hanno sempre riconosciuto il suo elevatissimo gradino di merito e privilegio: unica creatura umana ad essere stata preservata dal peccato originale. Maria Vergine è così sublime, nel suo candore e nella sua potenza d’amore, così immensa nel suo essere Madre di Dio, che è fuori dagli esercizi di potere ecclesiastico. Dio le ha affidato altri compiti, così come li ha affidati alle donne, compiti di carattere nobilissimo, ma diversi da quelli maschili. Anzi, la donna che scimmiotta l’uomo è assai ridicola e lo è perché non è se stessa.
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Dilagano nel mondo le aperture di vescovi e sacerdoti verso adulteri, divorziati risposati e coppie gay.
L'arcivescovo di Chicago così ha risposto a proposito della cura pastorale delle coppie omosessuali nel corso di un’intervista all’emittente locale Abc7 all’inizio di dicembre. «La domanda era se ciò valesse anche per i gay, e la mia risposta è sì, sono anche loro esseri umani. Hanno una coscienza e devono seguirla. Devono riuscire ad avere una coscienza formata, a comprendere il Magistero della Chiesa e, con l’aiuto di un direttore spirituale, arrivare a una decisione. E noi dobbiamo rispettarlo».
Il vescovo di Anversa (Belgio), mons. Johan Bonny, fu autore, alla vigilia del Sinodo straordinario sulla famiglia svoltosi in ottobre, di una lunga riflessione in cui, esprimendo le proprie attese, non lesinava critiche al Magistero di Paolo VI e Giovanni Paolo II, in relazione all’Humanae vitae (1968) e alla Familiaris consortio (1981), Eccone la posizione sui matrimoni gay: «Così come nella società esiste una diversità di quadri giuridici per le coppie, dovrebbe esserci una diversità di forme di riconoscimento anche all’interno della Chiesa», ha detto Bonny. Per il vescovo di Anversa una relazione omosessuale può soddisfare i criteri di un matrimonio religioso: «I valori intrinseci – ha detto – sono per me più importanti dell’aspetto istituzionale. L’etica cristiana si basa su relazioni durature in cui valori come esclusività, fedeltà e cura per l’altro sono centrali». Valori che quindi secondo Bonny possono essere presenti anche all’interno di relazioni tra persone dello stesso sesso.
In Italia, il vescovo di Terni. “I bambini vengono battezzati nella fede della Chiesa e nella fede dei genitori. Se questi sono credenti, o almeno si sforzano di esserlo, e chiedono il battesimo della Chiesa cattolica, non esiterei a battezzare il bambino”. Così il vescovo Giuseppe Piemontese a proposito del battesimo dei figli di coppie gay. E il presule apre ulteriormente alle unioni civili con un’altra dichiarazione che non lascia adito a dubbi: “San Valentino benedice tutte le persone, santi e peccatori, perché possano giungere ad assaporare la pienezza dell’amore, che viene da Dio e che ci è stato rivelato da Gesù”. Secondo il presule, dunque, San Valentino, suo predecessore come vescovo di Terni, benedirebbe anche persone dello stesso sesso. L’intervista è pubblicata sul sito “San Francesco patrono d’Italia” dei frati di Assisi.
Il cardinale Raymond Leo Burke, patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta ed ex Prefetto della Segnatura Apostolica, difende Papa Francesco e reagisce fortemente alle affermazioni dell’Arcivescovo di Chicago, Blase Cupich, in merito all’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia.
Recentemente l’arcivescovo, facendo eco al cardinale tedesco Walter Kasper, ha sostenuto la tesi che l’esortazione ha prodotto un “cambio di gioco” che potrebbe “rilassare” l’approccio della Chiesa circa la comunione ai divorziati risposati e a quelli che vivono relazioni omosessuali.
Intervistato da The Tribune Cupich ha detto che spera in linee guida del Papa che mostrino ai cattolici divorziati e risposati che essi appartengono alla Chiesa e diano la licenza ai sacerdoti di poter arrivare a dare la comunione. Inoltre Cupich ha sostenuto che – nonostante il Papa abbia detto che il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è analogo alla matrimonio eterosessuale – “quando si tratta di inserimento nella vita della Chiesa, si applicano le stesse linee guida. Non si può avere un approccio particolare per un certo gruppo di persone e non per tutti”.
A queste affermazioni replica il cardinale Burke che, difendendo Papa Francesco, sul National Catholic Register ha criticato coloro che vedono l’esortazione come “una rivoluzione nella Chiesa, come un cambiamento radicale rispetto alla dottrina e la prassi della Chiesa per quanto riguarda il matrimonio e la famiglia”. Il cardinale continua: “Una tale visione del documento produce confusione nei fedeli e, potenzialmente, è anche una fonte di scandalo, non solo per i fedeli ma anche per gli altri di buona volontà che guardano a Cristo e alla sua Chiesa e a ciò che insegna sul matrimonio e sulla famiglia, prima cellula della vita della Chiesa e di ogni società”.
Il cardinale ricorda che la dottrina cattolica insegna espressamente che non possono ricevere la Santa Comunione coloro vivono in uno stato di adulterio, cioè i divorziati risposati o conviventi, a meno che coloro che sono divorziati e ri-sposati hanno avuto precedenti matrimoni annullati o vivono come fratello e sorella con il loro secondo coniuge. Inoltre il card. Burke invita a leggere Amoris Laetitia attraverso la lente della dottrina cattolica e del magistero e presentarla “nel contesto dell’insegnamento e della disciplina della Chiesa, in modo che serva a costruire il Corpo di Cristo nella sua prima cellula della vita, che è il matrimonio e la famiglia”.
Alla luce del diritto canonico, di cui è un grande conoscitore, il cardinale Burke ricorda anche che “la Chiesa cattolica, pur insistendo sul rispetto dovuto alla ministero petrino come istituito da Nostro Signore stesso, non ha mai affermato che ogni espressione del Successore di San Pietro debba essere ricevuta come parte del suo magistero infallibile”.
Matteo Orlando
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(di Roberto Marchesini) Siamo arrivati dunque alle unioni civili per le persone con tendenze omosessuali. Ciò che è stato stralciato per ottenere l’approvazione ( es. l’«obbligo di fedeltà») rientrerà dalla finestra con appositi progetti di legge. Sicuramente è un passaggio epocale, destinato a segnare la storia della nostra nazione (se ancora si può chiamare così) come la legalizzazione di aborto e divorzio. Siamo dunque di fronte all’ennesimo gradino verso il baratro della nostra società? Si tratta di un punto di non ritorno, oppure esiste al possibilità di fermare questo processo, e magari addirittura di ricostruire?
Spesso mi viene posta questa domanda, nel corso di incontri e conferenze. Io rispondo con una metafora.
Quando viene l’autunno spiace a tutti vedere le foglie ingiallire e poi cadere. Vorremmo sempre vedere gli alberi verdi, e invece vediamo le foglie staccarsi una dopo l’altra, ed ogni giorno vediamo l’albero diventare sempre più spoglio, misero, triste.
Cosa possiamo fare?
Possiamo prendere la scala, la colla, e riattaccare una per una le foglie. Ma saranno foglie senza vita, e la nostra fatica sarà come quella di Sisifo perché esse continueranno a staccarsi e a cadere, ormai senza vita.
Esiste una alternativa?
Esiste.
Possiamo coprire le radici in modo che non gelino, come diceva Tolkien. Guareschi diceva: «Bisogna conservare il seme». In modo che, quando (se) tornerà la primavera, l’albero spontaneamente produrrà nuove foglie, sarà di nuovo verde e pieno di vita.
E cosa sono le radici, cos’è il seme? Il seme di Guareschi è la fede, dalla quale può nascere una nuova piante. E le radici? Credo che le radici siano i fondamenti filosofici che hanno portato la civiltà occidentale al livello che conosciamo e che vediamo sgretolarsi giorno dopo giorno.
Queste radici, non ho dubbi, sono il pensiero di Aristotele e san Tommaso d’Aquino.
Io stesso mi sono stupito di quanto sia facile comprendere e smontare l’ideologia di genere con pochi e semplici strumenti messi a nostra disposizione dal pensiero di questi due giganti.
In fondo, stiamo vivendo l’esito di un processo (iniziato cinquecento anni fa) volto a distruggere la metafisica, ossia l’idea che la realtà non sia solo quella che vediamo e tocchiamo. Questa è un’idea che l’uomo ha dimostrato di avere sin dai primordi: i primi manufatti hanno non hanno uno scopo funzionale, ma metafisico, se non spirituale. Il pensiero metafisico è ben radicato in noi, anche se non ce ne rendiamo conto. Ma la cultura nella quale siamo immersi fa di tutto per convincerci che le leggi morali e religiose siano «mere costruzioni sociali», che l’uomo non abbia una «natura» (un progetto) e che non esista alcuna finalità nelle cose.
La legge Cirinnà è stata approvata proprio grazie alla diffusione di questo pensiero: il fondamento dell’unione non ha nulla di metafisico, ma si basa sull’«amore», che è semplicemente un istinto, un sentimento o una passione radicata nella nostra biologia, una questione di «chimica». Anche chi si è opposto alla Cirinnà, avendo perso l’orizzonte metafisico, si è aggrappato a ciò che è visibile, misurabile, utilizzando ad esempio ricerche sull’effetto della crescita dei bambini in coppie omogenitoriali. L’efficacia di questi strumenti l’abbiamo valutata sul campo. C’è anche chi ha tentato di appellarsi al concetto di «natura», purtroppo senza spiegarlo né, forse, averlo compreso.
Credo che l’unico modo per opporsi a questa deriva consista nella riscoperta e nello studio della metafisica: le cose hanno un fine, esiste un bene o un male intrinseco ed oggettivo (al di là delle conseguenze), il mondo ha un ordine, una razionalità che va scoperta, rispettata e contemplata.
Mi piacerebbe che le parrocchie, i movimenti ecclesiali e tutti coloro che hanno a cuore la nostra civiltà si impegnino per conservarne le radici, cioè il pensiero aristotelico-tomista. Vorrei opuscoli e libri divulgativi adatti a tutte le età, corsi di tomismo per tutti, che san Tommaso diventasse il fulcro della formazione intellettuale del nostro paese e di tutto l’occidente.
Sono in buona compagnia.
Guardando indietro nella storia della Chiesa vediamo che i papi hanno sempre raccomandato il pensiero di san Tommaso per fronteggiare i fenomeni rivoluzionari del proprio tempo.
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Ad posterum rei memoriam
by Massimo Viglione · 21 maggio 2016
Chiunque sia, non dico cattolico, ma perlomeno una persona che vive cercando di perseguire un criterio di razionalità e onestà, non può apprezzare quasi nulla di quest’uomo, tanto meno elogiarne gli atti.
Se poi è un ecclesiastico a elogiarlo, diviene scandaloso l’elogio.
Un ecclesiastico, dovrebbe pregare per la sua anima (in quanto fino all’ultimo istante di vita ci si può salvare) ma al contempo condannare pubblicamente tutto l’immenso male compiuto da costui, a partire dalla corresponsabilità nell’uccisione di milioni di bambini nel grembo delle madri per arrivare a quella di decine di milioni di giovani rovinati o uccisi dalla droga, a partire dall’aver dissolto ogni senso di morale pubblica nella società italiana per arrivare all’appoggio dato per far entrare in parlamento assassini, terroristi e prostitute, a partire dal sostegno dato a qualsivoglia pratica frankeinsteiniana ed eugenetica per arrivare alla normalizzazione della sodomia, dell’incesto, e di quant’altro possibile e immaginabile.
A partire dalle sue campagne per il divorzio e la distruzione della famiglia per arrivare – pochi lo sanno o lo ricordano – alla proposta della legalizzazione della pedofilia “pacifica”…
E potremmo continuare a lungo con le malefatte di questo nemico del bene e degli uomini. Tutti ricordano Cicciolina, ma pochi ricordano Toni Negri…
Quanta morte sulla coscienza di quest’uomo, e quanti morti.
Quanta corruzione morale, e quanti moralmente corrotti.
Chi lo elogia, si rende complice di tanta infamia.
E se ecclesiastico, la complicità è mostruosa, come e più del corruttore.
Chiunque sia.
Certamente, su una cosa sono d’accordo con tutto l’elogio laico e non laico di queste ore e dei prossimi giorni: è stato senza dubbio un altissimo esponente di questa Repubblica Italiana.
Su questo, non vi può essere dubbio alcuno.
Ora è al cospetto di Dio.
Ed è al cospetto di tutte le sue vittime e delle vittime delle sue battaglie e dei suoi complici.
A Dio la sentenza.
A noi la memoria imperitura dei suoi atti pubblici.
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Tre riflessioni a margine della morte di Marco Pannella
by Corrado Gnerre · 21 maggio 2016
Prima riflessione: La storia riserverà sorprese all’intellighenzia
Ci siamo mai chiesti perché quando si studiano i fatti storici, è facile conoscerli, anche analizzarli, sicuramente non è difficile poterli categorizzare, cioè collocarli all’interno di una visione più ampia della storia, ma è sempre estremamente difficile poter conoscere tutte le loro cause? Il che non vuol dire che non se ne possa conoscere nessuna, né tantomeno non si possa conoscere quella che può essere identificata come la causa principale. Ebbene, questa difficoltà è il segno manifesto che la storia ha un mistero in sé; è fondata sul mistero e in un certo qual modo strutturata su di esso. Ma perché questo? Perché al centro della storia ci sono le scelte individuali che sono prerogative di ognuno e non solo dei potenti, dei famosi, di coloro che gestiscono situazioni importanti. E così la Storia, che è in sé mistero, riserverà anche grandi sorprese.
La dottrina cattolica ci dice che oltre al giudizio particolare, che toccherà ad ognuno subito dopo la morte, ci sarà anche quello universale. Quest’ultimo però non sarà una sorta di giudizio nuovo, nel senso che potrebbe avere un esito diverso da quello particolare, no: si tratterà di una conferma del primo. Se l’anima è stata condannata alla dannazione dell’Inferno, continuerà a restare all’Inferno per l’eternità. Se l’anima è stata premiata alla beatitudine del Paradiso, continuerà per l’eternità a godere del Paradiso. Ma allora – verrebbe da chiedersi – perché c’è il giudizio universale? La risposta è molto semplice: perché Dio esige che vengano messi “i puntini sulle i”, cioè che la Giustizia trionfi… E trionfi dinanzi a tutti; ecco perché quel giudizio sarà “universale”, cioè riguarderà tutti, dinanzi a tutti. Il santo, anche se nascosto, anche se semplice, dovrà essere dinanzi a tutti glorificato; così il reprobo, anche se famoso, lodato e osannato dal mondo, dovrà essere, dinanzi a tutti, riprovato.
E così con il giudizio universale si vedranno crollare stazioni ferroviarie, aeroporti… E anche corsi, viali, piazze… Nel senso che si capirà quanti di quei personaggi a cui sono stati intitolate stazioni, aeroporti, piazze e strade hanno completamente fallito la loro esistenza. Mentre tanti uomini sconosciuti, povere madri che si sono sacrificate nel loro nascosto lavoro quotidiano, poveri padri che hanno fatto il loro dovere per amore di Dio e della famiglia, bambini innocenti la cui sofferenza è stata preziosa per compensare i peccati contro Dio, sconosciuti a cui il mondo non ha tributato nessun onore, verranno glorificati perché hanno completamente realizzato la loro esistenza.
Perché queste considerazioni? Perché la morte di Marco Pannella ci porta di suo a farle. Fermo restando che non siamo certo noi a dover giudicare la sua anima (anzi, a noi resta l’obbligo di affidarla alla misericordia di Dio), la morte del leader radicale ci conduce a queste riflessioni. La società italiana e la sua intellighenzia si sta prostrando dinanzi alla fresca memoria del defunto, eppure si tratta di colui, che politicamente, più di ogni altro, ha contribuito affinché l’Italia smarrisse la sua reale identità per disgregarsi nella dissoluzione morale e giuridica più tragiche.
Seconda riflessione: La gravissima responsabilità della Chiesa
Ma non solo a questa riflessione ci conduce la morte di Pannella. Purtroppo c’è anche dell’altro. Quello che è stato detto da padre Lombardi in una sorta di dichiarazione ufficiale della Sala Stampa vaticana è scandaloso, nel senso letterale del termine, cioè nel senso di dare “scandalo”.
Non mi riferisco tanto all’affermazione secondo la quale nelle varie azioni politiche di Pannella ci sia stato anche qualcosa di buono. Non si tratta di questo, anche perché – si sa – il male assoluto non esiste; anzi, la pericolosità del male sta proprio nel fatto che ha in sé anche qualcosa che male non è; ovviamente ciò non basta: se in un bicchiere di cianuro gettiamo una goccia di acqua limpida di montagna, certamente nel bicchiere non c’è più solo il cianuro, ma non per questo il cianuro non è più letale… Ma dicevo: il problema non sta tanto in quella affermazione, quanto nell’aver completamente taciuto la responsabilità morale del personaggio, le sue gravissime azioni politiche contro la famiglia, contro la vita, contro i giovani, contro la Civiltà.
Io non amo il linguaggio irrispettoso, figuriamoci nei confronti di chi è stato investito da Dio di un’autorità importante. Ma questo non solo non mi impedisce, anzi mi rafforza nell’idea che le persone vadano messe dinanzi alle loro responsabilità, le quali, più aumenta l’autorità, più diventano gravi. Nel caso di uomini di Chiesa aver parlato in questi termini di Pannella, tacendo ciò che egli ha fatto, significa assumersi una responsabilità gravissima dinanzi a Dio. La Verità non va mai taciuta, e non solo perché ha i suoi diritti, ma anche per la salvezza delle anime. Quante persone, sentendo le parole di padre Lombardi, potrebbero facilmente pensare che tutto sommato le politiche di Pannella siano state in un certo qual modo compatibili con la Legge Naturale e quindi con la Legge di Dio? Chi si è cronicizzato nell’errore, potrebbe facilmente trovare conferma per non cambiare opinione; e chi pensa tendenzialmente in maniera corretta potrebbe essere indotto a convincersi che tutto sommato certe questioni (divorzio, aborto, eutanasia, liberalizzazione di alcune pratiche pedofile, liberalizzazione delle droghe…) non sono poi tanto importanti.
Insomma, non riconoscere e mettere in pratica le opere di misericordia (in questo caso spirituale), soprattutto da parte di chi di dovere, è grave mancanza di cui si dovrà rendere conto a Dio.
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