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Nella foto a sinistra: Don Alessandro Santoro di Firenze, uno tra i più confusi presbiteri italiani, passato alle cronache per voler lavare i piedi a gay, musulmani, scismatici e trans. E persino al padre di Eluana Englaro.
Se le “nozze”gay sono un diritto, allora lo è anche la poligamia. Parola di Hamza Piccardo
di Cristiano Lugli, 8 agosto 2016, per Osservatorio Gender
Ci pare interessante segnalare una polemica sopraggiunta nei giorni tra la giunta milanese capitanata dal neo-sindaco Sala e il fondatore dell’Unione delle comunità islamiche (Ucoii) Hamza Piccardo, già portavoce del Coordinamento delle associazioni islamiche milanesi (Cairn).
Dopo i tanti rumors sollevatesi in seguito alle “celebrazioni” delle prime unioni “civili” tra persone dello stesso sesso nella storia di Milano, si è aggiunta quella fra Piccardo e le diversi fazioni politiche comunali e regionali.
«Sala celebra le unioni tra coppie di fatto? Se è solo una questione di diritti civili, anche la poligamia lo è. Lo Stato regolamenti le nozze plurime».
Così si è espresso il portavoce islamico dal suo profilo Facebook, attirandosi addosso un diluvio di critiche e di insulti, tant’è che verso la fine della giornata anche il primo cittadino milanese ha preso parola su quanto accaduto:
«E’ ora di finirla di attribuire chissà quale vicinanza mia e della mia giunta a Piccardo. Personalmente condivido molto poco del suo pensiero, certamente non le recenti dichiarazioni sulla poligamia. Con il mondo islamico come con ogni comunità della nostra città si dialoga, ma io non ho certo un rapporto privilegiato con il signor Piccardo, proprio no».
Gli stessi concetti sono stati poi anche ribaditi dall’assessore al welfare, Pierfrancesco Majorino, impegnatissimo nel dialogo coi musulmani per la costruzione di moschee:
«La posizione di Hamza Piccardo è folle. Promuovere la poligamia significa proporre un terribile passo indietro sul piano dei diritti delle donne e sull’idea stessa di relazione tra i generi. Per fortuna non è minimamente all’ordine del giorno».
La vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani ha invece parlato della necessità di “idee chiare” e “principi fermi”:
«Ci sono stati secoli di lotte per l’emancipazione della donna che non possono essere certo messi da parte».
Apertura e tolleranza — ha detto la presidentessa del Friuli Venezia Giulia — sono il segno caratterizzante della nostra cultura, ma non possono spingersi fino a rinnegare se stesse»
Anche il Centrodestra non si è risparmiato a mettersi contro Piccardo, da Claderoli alla Santanchè, fino ad arrivare al leader della Lega Nord Matteo Salvini:
«Ma Piccardo torni a casa sua! Capito dove ci portano i buonisti? Dopo le unioni gay ora il governo dovrebbe approvare la poligamia …».
Pareva ovvio che la bomba mediatica lanciata dal fondatore dell’Unione delle comunità islamiche avesse come scopo la mera provocazione, pur non dubitando che in realtà sia davvero favorevole alla poligamia, visto che nel Corano viene espressa come cosa buona e giusta:
«Nessuno vuole dettare legge. Non si capisce perché una relazione tra adulti edotti e consenzienti possa essere vietata, di più, stigmatizzata e aborrita. Rispetto la laicità dello Stato che per me vuole dire equivicinanza. Non voglio attivare un movimento, però ho buttato una pietra nello stagno, cosi si è creato dibattito».
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Nonostante questa sorta di rettifica, e nonostante la nostra presa di posizione assolutamente contraria all’assurdo e strampalato pensiero di Piccardo, qualche critica deve essere volta anche ai contestatori che abbiamo poc’anzi menzionato.
Anzitutto a causa del motivo per cui gli stessi condannano la poligamia, ovvero non tanto il fatto che essa sia assolutamente contraria alle prerogative del matrimonio, sia in quanto Sacramento indissolubile fra uomo e donna, sia in quanto esso necessita preternaturalmente di essere monogamico per adempiere correttamente ai propri fini – la moltiplicazione della specie umana e il vicendevole amore che può essere garantito solo fra due persone – ma per il superficialissimo motivo che essa disonorerebbe le battaglie per l’emancipazione femminile.
Si può facilmente comprendere come queste motivazioni siano banali e degne di chi pone il progresso al di sopra di ogni cosa.
La provocazione del Nostro matura a questo punto un senso: perché se possiamo acconsentire a unioni fra persone dello stesso sesso, consenzienti, snaturando la radice dell’unica e possibile unione che è fra uomo e donna, non possiamo allora permettere che l’amore sia libero e anche regolamentato tramite unione con più persone?
Sembra assurdo, ovviamente ( e lo è! ) ma questo non toglie che se pur le due questioni pargano assolutamente con due facce diverse, facciano comunque parte della stessa medaglia.
Se con la poligamia si violenterebbe la natura del matrimonio, la libertà delle donne ed un saldo principio di doverosa fedeltà, abbiamo mai pensato a quanto le unioni “civili” fra persone dello stesso oltraggino la civiltà, scimmiottino il matrimonio e decidano conseguentemente sulla sorte di bambini tanto ignari quanto indifesi?
Forse che questi ultimi non pagherebbero le scelte non volute da loro ritrovandosi a vivere con il papà Marco che molla famiglia per andare a vivere con Luca?
Forse qualche politico dovrebbe centrare meglio il problema, e capire che non vi è molta differenza sotto sotto fra le due cose.
Se “l’amore è amore”, come rintronano i mantra obamiani e renziani, allora si deve recepire che ogni limite potrà e dovrà essere abbattuto.
Ed ecco quel che succede, e ciò che già è successo tramite la rimozione dell’ “obbligo di fedeltà” voluto e passato con il cosiddetto ddl Cirinnà.
Per concludere: fra musulmani ed lgbt scorre o non scorre buon sangue?
La tolleranza secondo i secondi dovrebbe essere alla base di tutto; secondo i primi un po’meno, tuttavia entrambi sembrano combattere per la stessa causa.
Ai posteri l’ardua sentenza.
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Matteo Liberatore s.j. – Il naturalismo politico - Introduzione e cura di Giovanni Turco –
Ed. Ripostes - Giffoni Valle Piana - 2016 – pp.107 - €.12,00
Il padre Liberatore (1810-1892) è stato uno dei più illustri gesuiti italiani dell’800; nato a Salerno ed entrato a far parte della provincia napoletana della Compagnia di Gesù nel 1826, già nel ’48, durante la Rivoluzione napoletana, sarebbe stato incluso tra i padri da sopprimere. Riparato a Malta insieme ai confratelli e quindi tornato a Napoli dopo che il re Ferdinando II ebbe sedato la rivolta, si segnalò ben presto tra i protagonisti della c.d. rinascita tomista cioè dello studio del pensiero di S. Tommaso d’Aquino, di cui era stato iniziatore il suo confratello e maestro il p. Luigi Prospero Taparelli d’Azeglio s.j.
Prolifico scrittore di saggi filosofici, il p. Liberatore si occupò molto anche di questioni giuridiche ed economiche. Per dare un’idea del rilievo del personaggio, basti ricordare che i suoi principali manuali di filosofia (Institutiones logicae et metaphysicae, Ethicae et iuris naturae elementa ed Institutiones Philosophicae, delle quali ultime correva anche una riduzione in italiano), nell’anno della sua morte, avevano oltrepassato le 30 edizioni. Fu inoltre tra i principali collaboratori del pontefice Leone XIII nell’elaborazione di alcune delle sue encicliche di maggior rilievo: Aeterni patris (1879) diretta a favorire la ripresa nella Chiesa dello studio di S. Tommaso; Immortale Dei (1885) sulla costituzione cristiana degli stati e Rerum novarum (1891), di cui gli fu affidata la prima stesura e che avrebbe poi costituito per decenni la pietra miliare della dottrina sociale della Chiesa.
A partire dall’anno della sua fondazione (1850), il nome del p. Liberatore è però principalmente legato alla Civiltà cattolica, la rivista dei gesuiti nata a Napoli e poi, dopo l’arrivo dei risorgimentali, trasferita a Roma, della quale egli fu l’animatore insieme al p. Taparelli d’Azeglio, al p. Carlo Maria Curci -poi allontanatosi dell’ordine- ed al p. Antonio Bresciani. Nei decenni in cui vi collaborò, il p. Liberatore si distinse –tra l’altro- per la sua polemica contro il liberalismo.
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Ė in tale ambito che si collocano tre saggi, aventi la lunghezza consueta (allora come oggi) di tutti quelli della rivista, cioè di circa una decina di pagine l’uno che, nel corso del 1883, egli dedicò al ‘modernismo’. La parola, a tale momento, non poteva certo riferirsi a quel movimento teologico-culturale che successivamente sarebbe poi stato bollato come eretico (ma nel 1907) dal papa S. Pio X con l’enciclica Pascendi dominici gregis ed il decreto Lamentabili, entrambi del 1907.
Per modernismo, il p. Liberatore intende piuttosto “lo spirito che avviva l’odierna rivoluzione. Esso consiste nella così detta autonomia dell’uomo, nella emancipazione della sua volontà da ogni legge positiva o naturale divina, nella sostituzione dell’uomo a Dio nel governo della società umana” (p.591). I tre saggi sono stati raccolti con il titolo ‘Il naturalismo politico’ da Giovanni Turco che li ha fatti precedere da una lunga introduzione volta ad inserirli nel contesto dell’opera dall’autore e delle polemiche del suo tempo. Lo spunto per la loro stesura derivò dalla pubblicazione, avvenuta lo stesso anno, di una raccolta di scritti di politica ed economia di Charles Périn (1815-1905), docente all’università cattolica di Lovanio (Belgio) ed eminente figura del cattolicesimo sociale di quella nazione. Tra i saggi che la compongono, l’attenzione del p. Liberatore è però dedicata a quello dal titolo “Il modernismo nella Chiesa nelle lettere inedite di La Mennais”; illustrandone il contenuto, il nostro autore ha così modo di esporre anche le sue riflessioni.
Più che riassumere il contenuto dei tre articoli, servirà qui richiamarne i punti di maggior interesse, quelli cioè che, a distanza di oltre 130 anni, ne hanno suggerito la ristampa.
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Anzitutto, secondo il p. Liberatore, l’errore di fondo del modernismo (inteso nel senso che si è detto) risiede nel fatto che “tolto Dio e la sua legge, non resta che l'uomo mutabile, soggetto a tutti gli errori della sua fallibile ragione, e a tutte le corruzioni della sua fragile volontà. Una società, formata con tali elementi, non può avere né stabilità di principii che accordi le menti, né amore di bene che leghi gli affetti. Essa naturalmente deve scindersi in partiti: ciascun dei quali cerchi di prevalere, ed agitarsi in cerca di un ignoto avvenire, che non serve ad altro che a fargli odiare il presente. Sempre malcontenta, sempre bramosa, sempre in lotta intestina, una società cosiffatta finirà collo sciogliersi e perdere la stessa effimera unità che tien congiunte le morte membra di un corpo separato dall'anima” (p.61). Si tratta di un’analisi che troverà puntuale conferma nelle vicende dei decenni successivi ed in particolare, per venire ad anni assai più recenti, nelle rivolte del ’68, quando apparirà chiaro a molti come la modernità, al di là dei suoi splendori tecnologici, costituisce in realtà la causa di un’inarrestabile decadenza della civiltà occidentale e cioè della dissoluzione della società ed in primis della famiglia.
Il p. Liberatore mostra poi la falsità dell’argomento cardine di tale modernismo secondo cui, in una società dove l’uomo è libero di scegliere tra la verità e l’errore, la prima finirà senz’altro per imporsi; “ciò avverrebbe, se la verità e l'errore combattessero nell'ordine astratto come due forme platoniche, per sé sussistenti. Ma amendue combattono nell'ordine concreto, individuate entrambe nell'uomo; e bene spesso l'una senza il presidio della scienza, come accade nelle ignare moltitudini, ed osteggiata da furenti passioni; mentreché l'altro oltre il potente aiuto di esse passioni, ha per sé il lenocinio della viva immaginazione, dell'accessibile sofisma e della seducente eloquenza. Se l'errore affrontasse la verità nella sola persona sona de' dotti ed adulti e morigerati, de' forti insomma; anche noi non dubiteremmo della vittoria di questa. Ma esso va ad assaltarla nella persona de' deboli, vale a dire de' popolani, de'giovani, de' magagnati dalle lusinghe del vizio. In costoro la verità, per difetto non suo ma del soggetto, non ha forze bastevoli da resistere, e soccomberà senza fallo, se non viene protetta dai poteri pubblici, il cui compito principale è appunto la protezione del debole”.
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A fronte di tale attacco che investe un po’ tutti i principi dell’ordine sociale il p. Libratore lamenta la presenza, all’interno del campo di chi ad esso dovrebbe opporsi, di pericolose tendenze al compromesso. Da qui, la critica serrata contro il ‘cattolicesimo liberale’, quella tendenza cioè “a sempre cedere” sostituendo “ai princìpi, gli espedienti”. Essa è la dottrina degli “opportunisti .. che .. si studiano di schivare il nemico .. con …concessioni intese a placare l’avversario” mentre in realtà “finiscono per cadergli nelle mani” (p.76).
Non meno incisive sono le critiche del p. Liberatore al moderno concetto di libertà. Con logica stringente, ricorrendo a san Tommaso, egli ricorda che si è veramente liberi solo quando si è padroni delle cause. Poiché invece vi sono molte cose di cui l’uomo non è affatto causa, a cominciare dal proprio essere, dal creato che lo circonda ecc., anche la sua libertà non potrà che essere circoscritta. Invece, “lo spirito rivoluzionario de’ tempi nostri ha pervertito il concetto di libertà … (perché) ... ha voluto che s’intendesse in senso assoluto, quando essa doveva intendersi in senso relativo” (p.80). Ha poi “trasferito la libertà dall’ordine individuale all’ordine politico e nell’uno e nell’altro l’ha concepita come fine a se stessa. Quinci la massima liberalesca che la libertà vuol piena balìa (= potere) come pel bene così pel male. Massima che, al trar de’ conti, viene a distruggere ogni distinzione tra il bene ed il male, e si fonda ultimamente nella negazione di Dio. L’uomo ateo, la società atea è il vero principio da cui quella massima discende” (p.81).
Ne discende che “la libertà voluta dal modernismo è propriamente la libertà del male, l’oppressione del bene.. e .. la società sotto il dominio del modernismo, è una società irrazionale e contro natura” (p.86).
Necessaria conseguenza di tutto ciò è la bruta legge del numero. Poiché infatti, il principio assoluto del ‘modernismo’ non è altro “che la libertà stessa indipendente degli individui .. che produce dissenso, non c’è altro mezzo per trovare in essa un principio di unità (e per) produrre un arbitrario consenso, (che ricorrere) alla prevalenza del numero … Ma il numero come tale non da che la forza ... La forza dunque e l’arbitrio, in luogo del diritto e della ragione debbono diventare il principio governativo della società” (pp.88). Ė questa dunque –e non altra- per il p. Liberatore la necessaria conseguenza di quella modernità che invece, a parole, affermava di voler rivendicare la massima dignità dell’uomo.
Per chiudere, si può solo aggiungere che il p. Liberatore ebbe anche il dono di uno stile piano, facile e ragionato, per cui, al di là di certi inevitabili arcaismi, le sue pagine scorrono agevolmente e rendono gustosa la lettura.
Andrea Gasperini
1 I numeri di pagina senza altra indicazione si riferiscono al saggio recensito
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Può l’Occidente degli uomini “spornosexual” contrastare l’homo islamicus ?
di Rodolfo de Mattei per Osservatorio Gender del 15 agosto 2016
C’erano una volta i “metrosexual”. L’Huffington Post dedica, a tale proposito, un articolo all’ultima frontiera in fatto di tendenze maschili, raccontando il recente fenomeno degli uomini cosiddetti “spornosexual”, secondo l’ultimo criptico neologismo affibbiato alla sempre meno virile e snaturata categoria maschile.
DAI “METROSEXUAL” AGLI “SPORNOSEXUAL“
Il nuovo termine nasce dalla fusione delle espressioni “sports star” e “porn star” ed è stato coniato nel luglio del 2014 dal giornalista inglese, Mark Simpson, che in un articolo per il Telegraph ha definito così il fenomeno dell’aumento degli uomini dediti al fitness esclusivamente per apparire belli, al di là di motivi di salute o di divertimento.
Simpson è lo stesso giornalista che nel 1994 aveva per la prima volta utilizzato, sul quotidiano britannico The Independent, la parola “metrosexual”, un incrocio linguistico tra le parole metro(politan) e (hetero)sexual, per indicare gli uomini provenienti da aree metropolitane caratterizzati da comportamenti simil-femminili, come lo smodato consumo di prodotti cosmetici, la pratica del fitness, l’abbronzatura artificiale, la depilazione del corpo e altri trattamenti estetici o salutistici.
La neo-categoria degli uomini “spornosexual” rappresenta dunque un ulteriore passo verso tale patetica e penosa deriva di de-mascolinizzazione dell’uomo contemporaneo.
Come scrive l’’Huffington Post, gli uomini “spornosexual”:
“Non riescono a raggiungere uno status rilevante, né a livello lavorativo né a livello sociale. Per questo provano a valorizzarsi in un altro modo e scelgono di puntare tutto sul corpo. È questo il fenomeno che coinvolge sempre più uomini che, invece di affrontare la vita, preferiscono correre in bagno davanti allo specchio e farsi selfie a petto nudo”.
IL PROPRIO CORPO COME BRAND
Il fenomeno degli “spornosexual” è stato analizzato e documentato in uno studio britannico, intitolato The Spornosexual: the affective contradictions of male body-work in neoliberal digital culture, condotto dalla University of East Anglia (UEA) e pubblicato sul Journal of Gender Studies.
Tale ricerca mette in luce come, nell’ “austera Gran Bretagna”, i classici e tradizionali percorsi maschili verso il successo e il potere siano stati, negli ultimi anni, abbandonati in favore di nuove inesplorate e improbabili vie che vedono i giovani ossessivamente concentrati sulla cura del proprio corpo fino a farne un vero e proprio social brand da esibire e commercializzare sul web.
Dal crollo finanziario del 2008 – nota l’autore dello studio il dott. Jamie Hakim – si è registrato un netto aumento di giovani che condividono le immagini dei loro corpi a scopo lavorativo sulle moderne piattaforme dei social media:
“L’aumento degli uomini ossessionati dalla palestra e che condividono immagini dei loro corpi perfetti si nota a partire dal 2008 e coincide con l’inizio della crisi. C’è una correlazione tra i due fenomeni: le strategie economiche messe in atto hanno favorito la disuguaglianza e sono state particolarmente ingiuste soprattutto nei confronti di quelli nati dopo il 1980. Prezzi delle case proibitivi, contratti di lavoro non a tempo indeterminato e le tasse hanno favorito l’instaurarsi di un clima di insicurezza”.
Il dott. Hakim ha intervistato tantissimi di questi giovani frequentatori assidui di palestre e proprietari di profili online aggiornati continuamente, osservando come la loro presenza ed attività sui social media sia diventata una delle loro principali “ragioni di vita”:
“Continuano a pubblicare foto perché l’idea di guadagnare del capitale grazie al loro essere ‘spornosexual’ è una delle poche gioie che rimane loro. Questa è solo una risposta al precariato causato dalla crisi”.
“Alcuni di questi profili – continua il dott. Hakim – si sono poi trasformati in brand, attività ben poco vantaggiose, però, dal punto di vista economico: se costa tempo e fatica mantenere un corpo ben allenato e un profilo aggiornato, il guadagno è tutto in termini di soddisfazione personale, nulla di più. Nonostante ciò, non trovando il loro posto nella società corrente o un lavoro soddisfacente, secondo i ricercatori, tali categorie di uomini sono spinte a continuare su questa strada”.
A conferma delle proprie tesi, lo studioso inglese ha dichiarato di aver esaminato i dati provenienti dal principale ente sportivo del Regno Unito, Sport England, che hanno mostrato un significativo aumento, anno dopo anno, tra il 2006 e il 2013, degli iscritti in palestra nella fascia di età dai 16 ai 25 anni. Allo stesso tempo, la società di ricerche di mercato Nielsen ha rilevato un fortissimo aumento, pari al 40%, delle vendite di prodotti nutrizionisti sportivi, utilizzati per eliminare il grasso corporeo e aumentare la massa muscolare, in 10 dei supermercati più grandi della Gran Bretagna.
Parallelamente a ciò, il dottor Hakim ha registrato inoltre una vertiginosa impennata delle vendite dei magazine, rivolti ad un pubblico maschile, riguardanti la salute e la cura del corpo. Tra questi – precisa il medico dell’UEA – la rivista Men’s Health è diventata uno dei giornali più letti nel 2009 del Regno Unito, arrivando a vendere due volte le copie di GQ, il suo più vicino competitor. Un inedito fenomeno, sintomo di un incredibile ed inquietante escalation di interesse per le immagini di uomini dai petti depilati e dagli addominali scolpiti, riscontrabile anche sui social network dove hanno iniziato a circolare sempre di più hashtag volti a documentare i “progressi” fisici di uomini ossessionati dal fitness.
RIFLESSIONI
La comparsa degli uomini “spornosexual” e lo studio del dott. Hakim suggeriscono alcune spontanee riflessioni.
Tale disastrosa deriva dell’uomo del XXI secolo non è, come afferma lo studio, il risultato del crescente clima di crisi economica e austerità, quanto il logico approdo di una ben più seria e profonda crisi valoriale e morale.
L’uomo “metrosexual” o “spornosexual” è il figlio naturale di una società iper sessualizzata e schizofrenica che rifiuta, per principio, l’esistenza di qualsiasi limite o confine dato.
Una prospettiva ideologica e perversa che pretende di costruire un ibrido uomo nuovo, né maschio né femmina, frutto della mescolanza e fluidità di genere.
Un progetto contro natura che mira a de-costruire l’uomo, svuotandolo della sua mascolinità, negando l’esistenza di confini naturali e biologici invalicabili.
Gli uomini “spornosexual” sono il simbolo emblematico della debolezza e della decadenza di un Occidente fragile e senza identità, sottomesso alla dittatura del relativismo e minacciato dalla sempre più massiccia presenza del vigoroso e fortemente identitario homo islamicus.
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Maria di fronte al Protestantesimo
Tratto da: P. Amadio Tinti OSM: MARIA DEBELLATRICE DELLE ERESIE
Cessato lo scisma d'Occidente, la Chiesa era quanto mai impegnata a ristabilire la disciplina, mediante una radicale riforma. Se non che, sotto il pretesto di ritornare alla vera vita cristiana, sorsero, eretici che pretesero riformare la Chiesa stessa. Questi furono Martin Lutero, Ulderico Zuinglio e Giovanni Calvino.
Con questo non vogliamo già dire che l'origine e la diffusione di questa pseudoriforma debba attribuirsi direttamente a Lutero, no; ma solo diciamo che Lutero e compagni trovarono il terreno preparato. Gli abusi e gli scandali che si deploravano nel secolo XVI, potevano dare occasione, ma non la vera causa delle aberrazioni luterane, perché, sebbene la corruzione fosse allora grande, non era però, ai tempi di Lutero come ai tempi di S. Pier Damiani e di S. Bernardo. Né migliori erano i cosiddetti riformatori di una chiesa che, senza confronti, era più santa di loro. (Mauri. Lez. Eccl. P. II. p. 197).
I motivi che facilitarono la cosìddetta riforma di Lutero, vanno piuttosto ricercati nello scadimento della riverenza dovuta all'autorità Pontificia: scadimento che si era già verificato fino dai tempi della lotta di Filippo il Bello, dall'esilio di Avignone ecc.
Altro motivo fu pure la tendenza a separare dalla Religione il potere civile. Infatti si pretese allora di negare l'autorità Religiosa nei rapporti pubblici, sociali; a cui si aggiunse il fatto dell'Impero che da tempo aveva cessato di essere, secondo la sua istituzione, tutela dei diritti della Chiesa.
In questo stato di cose, apparve Lutero.
Lutero era figlio di un minatore. Nacque ad Esleben (Sassonia) il 10 Novembre 1483. A 14 anni studiò a Magdeburgo e ad Eisenach, presso i Padri Francescani. A 18 anni frequentò l'Università di Erfurt, dove ottenne i gradi di filosofia. In seguito, mentre attendeva allo studio del diritto, atterrito dalla morte di un suo amico che gli cadde al fianco fulminato, entrò (1503) nell'Ordine degli Agostiniani detti Monaci Eremiti.
Per quattro anni parve tutto dedito agli studi e a Dio. Nel 1507, ordinato Sacerdote, passò a Vittemberga, presso un Convento dello stesso Ordine, dove pubblicamente insegnò la Dialettica e la fisica di Aristotele.
Frate senza vocazione, a poco a poco cominciò a persuadersi che il giogo delle virtù Sacerdotali e Religiose gli erano ormai insopportabili. Nel suo orgoglio, non sapeva trovare un conforto e alcun aiuto nella preghiera. Si confermò sempre più nella persuasione che la natura umana è corrotta, e si consolava al pensiero di una fatalità di colpe, dalle quali si viene giustificati per la esterna applicazione dei meriti di Gesù Cristo, mediante la fede.
Questa giustificazione esterna, senza le opere, è l'errore fondamentale di tutta la dottrina luterana. (Pighi. Hist. Eccl. To. III. p. 121).
Frattanto venivano pubblicate in Germania (15 Settembre 1517) le Indulgenze che Leone X concedeva ai fedeli che, in espiazione dei loro peccati, avessero concorso con elemosine alla costruzione del Tempio di S. Pietro in Roma.
A questa predicazione delle Indulgenze, Lutero alzò la voce, accusando i predicatori di vendere le Indulgenze allo scopo di arricchire e aprire la via ad ogni vizio, facendo credere al popolo che poi col denaro si potesse cancellare ogni peccato.
Il Papa Leone X adoperò tutti i mezzi per ricondurre Lutero a miglior consiglio, ma invano. Finché il 15 Giugno 1520, con la Bolla «Exurge Domine», furono condannate 41 proposizioni, tolte dalle opere di Lutero. Venne sospeso dalla predicazione, e gli fu fatta la minaccia di dichiararlo eretico se entro 60 giorni non avesse ritrattato i suoi errori. Ma Lutero continuò nella sua ostinazione al punto di rispondere alla Bolla con ingiurie ed opuscoli infami «Adversus execrabilem bullam anticristi», e di più il 10 Dicembre 1520, davanti alle mura di Wittemberga, in mezzo ad un gran baccano di gente, bruciò la Bolla Pontificia e il Corpus Juris Canonici.
Dopo forti polemiche con i Papi, dai quali venne scomunicato, e non poche contese con gl'Imperatori, Lutero moriva il 18 Novembre 1546, nella spaventevole insensibilità dell'impenitenza, fra le disillusioni e le amarezze del malcostume suo, e dei suoi discepoli. (Mauri. Lez. Eccl. P. II. p. 203).
Intanto Melantone, Zuinglio e Calvino ed altri eretici della medesima stregua, pur seguendo, in sostanza, gli insegnamenti di Lutero, vi andavano apportando non poche varianti, per cui il protestantesimo si suddivise in tante sette quante erano le diverse opinioni.
Non è facile poter dire i grandi mali che portò questa eresia dei protestanti alla Chiesa e alle nazioni in cui riusciva a penetrare...!
Oltre alla Germania, sede del luteranesimo, l'Inghilterra subì gravissimi danni. Enrico VIII, che aveva preso le difese del Cattolicesimo contro Lutero (1521), e si era meritato dal Papa Leone X il titolo di «difensore della fede», nel 1527, trascinato da una indegna passione verso Anna Boleyn, pretendeva da Clemente VII che venisse dichiarato nullo il suo matrimonio celebrato con Caterina di Aragona, da lui sposata nel 1509. Ma il Papa rispose non essere lecito quanto chiedeva Enrico.
Sdegnato per tale rifiuto, irritato per l'opera dei due Cardinali Capeggio Vescovo di Salisbury, e Wolsey, Cancelliere del regno, delegati dal Papa per esaminare la causa, Enrico VIII comandò che il Capeggio uscisse dall'Inghilterra, poi depose dalla carica di Cancelliere Wolsey, confiscandogli tutti i beni.
Non contento, si fece dichiarare dal Parlamento, oltre che re anche capo della chiesa in Inghilterra, accettando la dottrina dei protestanti.
Nel 1533 celebrò il matrimonio con Anna Boleyn, facendo credere al suo Cappellano di Corte di avere avuto la dispensa da Roma.
Privò del diritto al regno la figlia legittima Maria, dichiarando erede al trono Elisabetta, figlia naturale.
Scomunicato da Paolo III (30 Agosto 1535), Enrico non conobbe più freno. Si abbandonò ad ogni eccesso contro Vescovi, Abbazie, Monasteri, non che contro tutti i cattolici. Il Cardinale Fischer e il dottissimo Tommaso Moro, gran Cancelliere del regno, perché si opposero alle sue pazze deliberazioni, salirono il patibolo (1535).
Moriva Enrico VIII il 28 Gennaio 1547.
Ad Enrico successe Edoardo VI, che aveva nove anni. Dai suoi perfidi reggitori, fu introdotta una nuova costituzione ecclesiastica, con la quale veniva minacciata la morte a chi avesse ancora creduto al Primato di Pietro, al Purgatorio ecc. Ma Edoardo morì ancora giovanetto. Ad Edoardo successe Maria d'Aragona, che pensò a riconciliare lo Stato con Roma, ma anch'essa morì presto; ed il trono lo ebbe Elisabetta, il cui governo di 45 anni, può definirsi di dispotismo e di vergogna.
Queste rovine morali e religiose le subì pure la Francia, per gli Ugonotti. Questi Ugonotti formavano una comunità calvinista politico-religiosa. Da Ginevra, da Friburgo e da Berna scesero e si diffusero in Francia. Nel 1559 tennero a Parigi il loro primo sinodo in cui decisero di attenersi all'ordinamento ecclesiastico e alla costituzione presbiteriale di Calvino. In questa era pure compresa una professione di fede detta «confessione Gallicana», che stabiliva la pena di morte ai fedifraghi. La Religione Cattolica fu chiamata «culto idolatrico», le chiese «templi idolatrici», i Vescovi «malandrini», il Papa «anticristo».
Divenuti una falange di 800.000 unità, ebbero l'importanza di un gran partito. Sotto questo aspetto, si immischiarono nella lotta di successione al trono di Francia, fomentando guerre per la durata di trent'anni. Ovunque seminavano stragi ed orrori, come quelli della notte di S. Bartolomeo, in cui furono uccisi cinquemila Ugonotti (Encicl. Catt. P. III).
Sarebbe una impresa troppo grave voler descrivere gl'immensi mali che ne vennero alla Chiesa e a tante nazioni, per causa dei protestanti!
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Piuttosto ci domandiamo: Cosa ha fatto la Madre di Dio contro questi eretici e le loro dottrine?
Ci risponde la storia. Nel 1526 i calvinisti esordirono il loro ingresso in Parigi con insultare e oltraggiare il culto alla Madre di Dio. Mutilarono una statua della Vergine SS. ma, che era oggetto di grande venerazione ai francesi, e le spiccarono il capo. Il popolo di Parigi si sentì offeso e profondamente commosso da questo attentato contro la sua fede. Il re Francesco I fece fare un'altra statua d'argento dorato, molto più bella della prima, e, portandola egli stesso con le sue mani, seguito da una immensa processione, la collocò nel luogo ove era l'antica; mentre quella mutilata, nello stato di mutilazione, fu portata con grande pompa nella Chiesa di S. Gervaso, dove fu venerata sotto il titolo di Nostra Signora della Tolleranza (Nicolas. Vol. II. p. 231).
Chi non vede qui l'intervento della Vergine SS. ma che, dal sacrilegio, trasse motivo di un trionfo pubblico, a confusione della eresia?
Sempre in Francia, nella città di Salins, Maria liberava il popolo a Lei devoto dalla eresia calvinista:
Questa città aveva un umile e pio Religioso dell'Ordine Cistercense di nome Pietro Marmet. Egli passava gran parte del giorno e della notte davanti ad una Immagine della Beatissima Vergine, di cui era teneramente devoto, e non cessava di supplicarla con lagrime perché si prestasse alla liberazione del suo popolo.
I calvinisti ad ogni costo volevano impadronirsi di Salins: la guerra si faceva sempre più dura: stava ormai per essere assediata. Il popolo già si presentava alla mente gli orrori dei saccheggi e delle profanazioni, della carneficina che, in quei tempi, accompagnavano sempre le vittorie degli eretici.
Il Religioso Cistercense, nella previsione di tanti mali, si presentò ai Capi della città, e propose loro, se volevano uscirei da sì grave afflizione, di fare voto di edificare e consacrare un Tempio a Maria SS.ma. Il voto fu fatto, e fu pure designato il luogo dove sarebbe stato costruito.
Ascoltiamo, su questo avvenimento, ciò che scrive il Ricciardi nei suoi volumi intorno ai Santuari Mariani.
«Mirate, o Madre pietosa, ripeteva il P. Marmet davanti alla Immagine della Vergine, alla nostra afflizione! Se le porte della nostra città saranno forzate da quelle orde inferocite, il Santuario che vi dedichiamo, sarà il primo oggetto del loro furore... I Monasteri saranno abbattuti, le cose più sacre, profanate, la fede perseguitata... Alzate il vostro braccio e cada, per il vostro potere, la forza di coloro che minacciano i nostri altari. Salvate quelli che vi amano e che sono consacrati a voi. Siate la nostra liberatrice».
«Salins era per cadere nelle mani degli eretici, quando una fanciulla di dieci anni, in letto ammalata, alzò improvvisamente la voce esclamando: Ecco, ecco, la Madonna scaccia i nemici. Nello stesso momento il P. Marmet, levatosi dall'orazione, corse fuori dal Monastero, e a quanti incontrava ripeteva: Adesso, adesso la Vergine nostra Liberatrice sta mettendo in fuga i nemici. Così era. Gli eretici calvinisti, assaliti da improvviso terrore, abbandonarono il campo, senza che alcuno li minacciasse, e con la confusione di una vera fuga, si allontanarono lasciando gran parte dei loro bagagli».
«Indescrivibile fu l'esultanza del popolo che salutava la Madre di Dio quale sua Liberatrice. Fu costruito il Santuario. Venne innalzata sopra l'altare una statua della B. V. avente sul petto uno scudo e sotto ai piedi un trofeo di lance e bandiere, per attestare il trionfo sul nemico, dovuto alla Madre di Dio». (Ricciardi. Santuar. Marian. Vol. IV. p. 384).
Non è questo un trionfo di Maria contro i protestanti?
Cosa ha fatto ancora la Madre di Dio? Ha impedito che l'eresia protestante entrasse in Italia.
A Tirano, nella Valtellina, ai confini dell'Italia con la Svizzera, esposta agli assalti degli eretici, la Vergine Madre di Dio (1504) apparve ad un certo Mario Omodei, ordinandogli di dire al popolo che erigesse un Tempio dove Ella posava i piedi. L'eresia, proprio allora, minacciava di invadere la terra italiana. Ma il popolo della Valtellina eseguì a Tirano tutto quello che aveva chiesto la Madonna. Quando l'eresia tentò di passare dalla Svizzera in Italia, la Madre di Dio Maria, dal suo Santuario, parve dicesse: «Di qui non si passa», e l'eresia non entrò!
Il bel Santuario, ufficiato dai Servi di Maria, è tuttora là, centro di pellegrinaggio e di vita cristiana, che conferma ancora la potenza di Maria contro i nemici della fede.
A Pietralba di Bolzano, anch'essa esposta al pericolo della eresia (1553), la Madre di Dio apparve ad un certo Leonardo detto Weissensteniner, chiedendo che le si costruisse una Cappella. Nello scavare le fondamenta, si trovò una piccola statua della Vergine Addolorata, una Pietà, scolpita in quella stessa pietra bianca che abbonda in quella terra, da cui viene il nome Pietra Alba. Costruita la Cappella, la Vergine Addolorata cominciò a spargere tale abbondanza di favori e grazie, da chiamare attorno a sé turbe di fedeli che accorrevano da ogni parte d'Italia, dalla Germania ecc. E quando da quel confino italiano parve che il protestantesimo volesse entrare, Maria SS. ma Addolorata sembrava dicesse: Sono la forza di Dio... non entrerete!
Anche questo Santuario, ufficiato dai Servi di Maria, è tuttora centro di vita spirituale, per i tanti pellegrinaggi che là accorrono, perché si sentono protetti e difesi dalla materna bontà della SS. ma Vergine.
Non sono questi veri trionfi di Maria contro gli eretici?
Ma altre apparizioni e strepitosi miracoli potremmo ancora citare, avvenuti in quegli stessi anni in cui l'eresia tentava di entrare nella nostra terra italiana, con cui la Madre di Dio, presente a tutti i pericoli che minacciano i suoi devoti, dissipava le astuzie e le macchinazioni dei nemici della Chiesa.
Nè vale il dire che intanto vi sono nazioni, grandi nazioni, nelle quali predomina il protestantesimo, che anzi è la religione dello Stato.
Questo è vero. Però non bisogna dimenticare che in queste stesse nazioni, cattolici ne rimasero. Resistettero. Pagarono a caro prezzo la loro integerrima fedeltà alla Chiesa di Roma, ai suoi dogmi e al suo Pontefice. E questo, è vittoria.
Inoltre dall'origine del protestantesimo ad oggi, non troviamo più l'avversario che impiccava e squartava i cattolici. Nel 1791, in quelle nazioni, i cattolici potevano aspirare alla magistratura, celebrare il proprio culto in Chiese e Cappelle. Finché si è giunti alla legge che sanziona l'uguaglianza, dal punto di vista legale, tra i cattolici e protestanti.
Non parliamo poi delle tante conversioni che si succedono con un crescendo che ha del prodigioso, specialmente tra persone le più istruite e più quotate nella società. E non sono questi veri trionfi?
Conveniamone pure: la progressiva distruzione del protestantesimo conferma la lode alla gran Madre di Dio: «Gaude, Maria Virgo, cunctas haereses sola interemisti in universo mundo».
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Padre Marco, piazzato sulla collina, levava il crocifisso verso il luogo dove maggiormente si manifestava il pericolo per le armi cristiane; Jan Sobieski, a capo della sua cavalleria, spalleggiato dagli alleati si diresse con disprezzo del pericolo e grandissimo coraggio direttamente verso il cuore dell’accampamento turco, la tenda di Kara Mustafà, e superò di slancio anche il fossato che la circondava per difenderla.
Il terrore si impadronì del Gran Visir che fece precipitosamente suonare la tromba della ritirata: la rotta fu totale!
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Si ricorda che il magnifico film di cui è protagonista il Beato Marco d'Aviano è visibile gratuitamente su youtube:
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Preghiera del Beato Marco d'Aviano
da lui composta per l'occasione e letta all'alba del 12 settembre 1683, dopo la celebrazione della S. Messa e la benedizione impartita all'esercito cristiano che si accingeva a dare vittoriosamente battaglia ai
Turchi che assediavano Vienna
O grande Dio degli eserciti, guardaci prostráti qui ai piedi della Tua Maestà, per impetrarTi il perdono delle nostre colpe.
Sappiamo bene di aver meritato che gl’infedeli impugnino le armi per opprimerci, perché le iniquità, che ogni giorno commettiamo contro la Tua bontà, hanno giustamente provocato la Tua ira.
O gran Dio, Ti chiediamo il perdono dall’intimo dei nostri cuori; esecriamo il peccato, perché Tu lo aborrisci; siamo afflitti perché spesso abbiamo eccitato all’ira la Tua somma Bontà.
Per amore di Te stesso, preferiamo mille volte morire piuttosto che commettere la minima azione che Ti dispiaccia.
Soccórrici con la Tua grazia, o Signore, e non permettere che noi Tuoi servi rompiamo il patto che soltanto con Te abbiamo stipulato.
Abbi dunque pietà di noi, abbi pietà della tua Chiesa, per opprimere la quale già si preparano il furore e la forza degl’infedeli.
Sebbene sia per nostra colpa ch’essi hanno invaso queste belle e cristiane regioni, e sebbene tutti questi mali che ci avvengono non siano altro che la conseguenza della nostra malizia, síici tuttavia propizio, o buon Dio, e non disprezzare l’opera delle Tue mani. Ricordati che, per strapparci dalla servitù di Satana, Tu hai donato tutto il Tuo prezioso Sangue.
Permetterai forse ch’esso venga calpestato dai piedi di questi cani?
Permetterai forse che la fede, questa bella perla che cercasti con tanto zelo e che riscattasti con tanto dolore, venga gettata ai piedi di questi porci?
Non dimenticare, o Signore, che, se Tu permetterai che gl’infedeli prevalgano su di noi, essi bestemmieranno il Tuo santo Nome e derideranno la Tua Potenza, ripetendo mille volte: “Dov’è il loro Dio, quel Dio che non ha potuto liberarli dalle nostre mani?”
Non permettere, o Signore, che Ti si rinfacci di aver permesso la furia dei lupi, proprio quando T’invocavamo nella nostra miserevole angoscia.
Vieni a soccorrerci, o gran Dio delle battaglie! Se Tu sei a nostro favore, gli eserciti degl’infedeli non potranno nuocerci.
Disperdi questa gente che ha voluto la guerra! Per quanto ci riguarda, noi non amiamo altro che essere in pace con Te, con noi stessi e col nostro prossimo.
Rafforza con la tua grazia il tuo servo e nostro imperatore Leopoldo; rafforza l’animo del re di Polonia, del duca di Lotaringia, dei duchi di Baviera e di Sassonia, e anche di questo bell’esercito cristiano, che sta per combattere per l’onore del Tuo Nome, per la difesa e la propagazione della Tua santa Fede. Concedi ai príncipi e ai capi dell’esercito la fierezza di Giosué, la mira di Davide, la fortuna di Jefte, la costanza di Joab e la potenza di Salomone, tuoi soldati, affinché essi, incoraggiati dal Tuo favore, rafforzati dal Tuo Spirito e resi invincibili dalla potenza del Tuo braccio, distruggano e annientino i nemici comuni del nome cristiano, manifestando a tutto il mondo che hanno ricevuto da Te quella potenza che un tempo mostrasti in quei grandi condottieri.
Fa’ dunque in modo, o Signore, che tutto cospiri per la Tua gloria e onore, e anche per la salvezza delle anime nostre.
Te lo chiedo, o Signore, in nome dei tuoi soldati.
Considera la loro fede: essi credono in Te, sperano tutto da Te, amano sinceramente Te con tutto il cuore.
Te lo chiedo anche con quella santa benedizione, che io conferirò a loro da parte Tua, sperando, per i meriti del Tuo prezioso Sangue, nel quale ho posto tutta la mia fiducia, che Tu esaudirai la mia preghiera.
Se la mia morte potesse essere utile o salutare, per ottenere il Tuo favore per loro, ebbene Te la offro fin d’ora, o mio Dio, in gradita offerta; se quindi dovrò morire, ne sarò contento.
Libera dunque l’esercito cristiano dai mali che incombono; trattieni il braccio della Tua ira sospeso su di noi, e fa’ capire ai nostri nemici che non c’è altro Dio all’infuori di Te, e che Tu solo hai il potere di concedere o negare la vittoria e il trionfo, quando Ti piace.
Come Mosè, stendo dunque le mie braccia per benedire i tuoi soldati; sostienili e appóggiali con la Tua Potenza, per la rovina dei nemici Tuoi e nostri, e per la gloria del Tuo Nome. Amen.
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Breve descrizione degli eventi bellici della fine del Seicento
che videro questo grande europeo nel ruolo di assoluto e decisivo protagonista.
L’idea del Sultano era quella di creare un secondo impero turco al centro d’Europa con Vienna capitale.
Nel luglio 1683 il Visir Kara Mustafà giunse a Belgrado e la conquistò; nell’avanzare, le guarnigioni cristiane venivano massacrate.
I turchi dilagarono in Ungheria e l’Imperatore Leopoldo, per non essere fatto prigioniero fuggì a Linz.
Le truppe turche arrivate sotto Vienna, trasformarono i suburbii in un mare di fuoco. La città subì un assedio di due mesi.
La popolazione poteva vedere l’immensità dell’accampamento turco ed udire la sera ed il mattino il terribile grido di Allah Akbar.
Padre Marco, su istanza dell’Imperatore Leopoldo I, fu nominato, da Innocenzo XI, Legato Pontificio. La situazione destava grande preoccupazione ed il Papa temeva per la sorte del cattolicesimo e della cristianità in tutta Europa.
Padre Marco raggiunse immediatamente l’esercito della coalizione che era stata promossa dallo stesso Pontefice.
Contro l’esercito turco forte di 150.000 uomini, i príncipi cristiani ne potevano schierare a malapena 70.000: austriaci al comando del Duca Carlo di Lorena, polacchi guidati dal Re Jan Sobieski, tedeschi guidati dai Duchi di Baviera e di Sassonia, volontari italiani posti agli ordini delle truppe del principe Eugenio di Savoia, tutti erano coscienti del loro ruolo e del loro gravoso compito.
Mancavano del tutto i francesi e gli inglesi. I primi si erano addirittura alleati con la Sublime Porta in chiara posizione antagonista nei confronti dell’Austria: tutto sommato credevano che la caduta del Sacro Romano Impero germanico, avrebbe spalancato la porta alla loro egemonia sul continente, dopo che una dinastia francese aveva già sostituito i sovrani spagnoli. Balza alla vista la miopia di questo disegno e l’inconsistenza assoluta di certe mire. Ma se davvero i turchi avessero vinto, forse che si sarebbero fermati a Vienna o, secondo i loro piani politico-religiosi, sarebbero dilagati in Italia e messo in scacco e cercato di mandare in fumo i deliranti disegni del Re di Francia?
Gli inglesi, nel loro splendido isolamento insulare, erano pronti a fare affari con un’Europa musulmanizzata, ma alla fine il loro potenziale finanziario avrebbe comunque prevalso e reso dipendente in modo assoluto un Impero che oltre alla vis religiosa altro non offriva se non desertificazione e miseria!
I capi della coalizione cristiana, al solito, erano divisi, ognuno avrebbe voluto essere il capo della coalizione medesima a dispetto degli altri. Il tutto mentre a Vienna si moriva di fame e le sue difese erano sempre più rese inoffensive dalle mine che i turchi facevano brillare sotto i forti e sotto le mura della città.
Padre Marco con la forza che gli era concessa dal divino, dopo aver parlato con l’Imperatore Leopoldo, riuscì nella improba impresa di portare la pace e l’unità nel campo cristiano. Così si esprimeva in un dispaccio inviato al cardinale Cibo, Segretario di Stato Vaticano: «Due volte composi e sedai il Re di Polonia, altissimamente disgustato et indussi ad affrettare la marcia più di una settimana. Col Divino aiuto potei aggiustar moltissime e gravi differenze insorte nei primi capi dell’esercito».
Poi, scrivendo all’Imperatore, affermò: «… Ebbi tanta grazia di Dio da sollecitare il soccorso di almeno 10 giorni di quello che sarebbe conseguito; che essi soli cinque giorni fusse tardato, sarebbe forse caduta Vienna nelle mani dell’inimico».
L’8 settembre, festa della Natività di Maria, l’esercito cristiano nella pianura di Tulnn si fermò per una giornata di preghiera. Una cosa del genere non si era mai vista prima: JanSobieski, il Re polacco, scrisse alla moglie: «Padre Marco ha celebrato la Messa con molta devozione; ha tenuto un infiammato discorso; c’è chiesto di avere molta confidenza in Dio e nella Madonna, calata la sua benedizione, facendoci ripetere più volte: Gesù! Maria!».
Alle prime luci dell’alba del 12 settembre 1683, padre Marco, celebra la Messa sulla collina del Kahlemberg, Messa che viene servita dal Re di Polonia e da suo figlio Giacomo.
I paramenti usati per questo rito sono ancora conservati a Rizzios di Calalzo in Cadore, ovviamente del tutto ignorati e dimenticati. Certi avvenimenti e reliquie è meglio che cadano nell’oblio, come succede per la vittoria sui protestanti ottenuta da Wallenstein, oppure la Madonna sfregiata dagli stessi protestanti e conservata in Santa Maria delle Vittorie a Roma. È quasi assurdo ma sembra che ci si vergogni di certe vittorie cristiane volute e benedette da Dio.
Al rito seguì l’assoluzione e la distribuzione dell’Eucarestia ai comandanti cattolici; i protestanti furono comunque benedetti da padre Marco che, ricordiamolo, era il Legato Pontificio. Seguì la recita di una commovente preghiera da lui stessa composta.
Lo scontro fu brevissimo. Padre Marco, piazzato sulla collina, levava il crocifisso verso il luogo dove maggiormente si manifestava il pericolo per le armi cristiane; Jan Sobieski, a capo della sua cavalleria, spalleggiato dagli alleati si diresse con disprezzo del pericolo e grandissimo coraggio direttamente verso il cuore dell’accampamento turco, la tenda di Kara Mustafà, e superò di slancio anche il fossato che la circondava per difenderla.
Il terrore si impadronì del Gran Visir che fece precipitosamente suonare la tromba della ritirata: la rotta fu totale! Il potentissimo esercito turco abbandonò tutto: tende, armamenti, vettovaglie ed anche le ingenti ricchezze frutto dei saccheggi e delle ruberie precedenti.
Il numero dei cristiani morti fu basso, ma nel campo turco le perdite furono ingenti, molte dovute alla confusione e al panico che seguì l’assalto delle armate cristiane.
A Roma le campane suonarono a festa per tre giorni: in ricordo dell’evento Papa Innocenzo XI estese a tutta la Chiesa la festa del Santo Nome di Maria.
Il Re di Polonia Jan Sobieski scrisse al Pontefice: «Venimus, Vidimus et Deus vicit». Lo stesso padre Marco fu convinto che la vittoria era stata un miracolo: niente è impossibile a Dio!
Cosa ancora più toccante: mentre i comandanti cattolici cantarono il solenne Te Deum nella cattedrale di Santo Stefano nella Vienna liberata, padre Marco si ritirò nella chiesa dei Cappuccini per pregare per i soldati caduti, cristiani e musulmani, vittime loro malgrado della violenza bellica.
Padre Marco è sepolto nella Chiesa dei Cappuccini di Vienna, sopra alla celebre cripta dei cappuccini (Kapuziner Krypt), ove giacciono le spoglie di tutta la Casa d'Austria.
A Vienna c’è un monumento dedicato al cappuccino: «A padre Marco d’Aviano, anima della liberazione di Vienna. 12 settembre 1683».
Questo è scritto sul cippo del monumento.
L’attività e la sua missione in Austria continuò: riuscì a fare stipulare un’alleanza tra Santa sede, Serenissima Repubblica di Venezia e Polonia, che portò alla liberazione di Buda, capitale ungherese, dopo ben 145 anni di dominazione turca.
Padre Marco scrisse all’imperatore: «Viva Gesù e Maria! Buda è stata presa d’assalto. È un vero miracolo di Dio!».
Padre Marco d’Aviano passò attraverso la breccia della città portando una statua della Madonna che personalmente collocò nel Duomo di Santo Stefano che era stato trasformato in moschea dai turchi. Ottenne dall’Imperatore il restauro di tutte le chiese ungheresi che i turchi avevano devastato e che i sacerdoti svolgessero il ruolo di ufficiali di stato civile.
Nel 1688 anche la strategica roccaforte di Belgrado tornò ai cristiani. Dopo la caduta della città, 800 soldati turchi caddero prigionieri: essi temevano moltissimo per l’incolumità della propria vita, dal momento che era loro costume massacrare i prigionieri nemici; padre Marco intercedette per loro presso il Duca di Baviera e per loro ottenne che fossero risparmiati in quanto anch’essi figli di Dio.
I prigionieri volevano ricompensare il francescano con doni, ma fedele ai suoi voti di povertà ed umiltà mostrò loro che dovevano ringraziare Gesù Crocefisso.
Essendo scoppiata una rivoluzione nell’impero turco, padre Marco tentò di far liberare anche la Bosnia, la Moldavia e la Bulgaria. Non tutti sentivano, come lui, la causa dell’Europa unita in Gesù Cristo e libera dall’oppressione.
Possiamo facilmente immaginare, alla luce di ciò, quali esiti completamente differenti avrebbe potuto avere il corso degli avvenimenti recenti nella ex Jugoslavia.
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Quando lo Stato tenta di regolamentare la vita degli uomini dalla culla alla bara, siamo di fronte ad un vero e proprio "Welfare State".
Il Welfare è il modo subdolo in cui oggi si avverano le premonizioni di Orwell e Huxley su una società composta da schiavi, individui isolati gli uni dagli altri, per i quali lo Stato provvede a tutto, avendo così diritto a decidere tutto.
La Famiglia naturale, fondata sulla fedeltà indissolubile e la procreazione, è il maggiore ostacolo allo Stato totalitario welfarista.
A che cosa serve l'uomo? In Svezia non serve a niente
di Marco Dotti -05 agosto 2016
da:
[www.vita.it]
Era il paradiso del welfare, la meta di ogni sogno di liberazione. Che cosa è successo alla Svezia? Nel suo ultimo documentario, l'autore di Videocracy Erik Gandini racconta un Paese in cui le persone vivono isolate, sempre più donne single scelgono la fecondazione artificiale e molti anziani muoiono da soli, dimenticati da tutti. E con 80 euro vi spediscono anche il kit per la fecondazione artificiale a domicilio
«Nell'inverno del '72, un gruppo di politici ebbe una visione rivoluzionaria del futuro. Era giunto il momento di liberare le donne dagli uomini, gli anziani dai figli, gli adolescenti dai genitori». Venne scritto anche un manifesto, La famiglia del futuro. A volerlo, fu la sezione femminile del partito socialdemocratico allora guidato dal primo ministro Olof Palme.
Che cosa prevedeva il documento? Ce lo spiega Erik Gandini, regista bergamasco autore di Videocracy, che in Svezia vive e lavora. Lo spiega in un documentario importante, di cui si è parlato poco o, comunque, non abbastanza in Italia: La teoria svedese dell'amore. Andato in onda la settimana scorsa sulla Rai (che, a dispetto delle critiche, fa ancora qualcosa di buono) per Doc3, lo potete vedere cliccando qui.
Ogni individuo dovrà essere considerato come autonomo, non come l'appendice di qualcun altro. È dunque necessario creare le condizioni economiche e sociali che ci renderanno finalmente individui indipendenti
Manifesto del Partito Socialdemocratico svedese, 1972
Olof Palme, pilastro della socialdemocrazia svedese, voleva modernizzare il Paese. Riformò il sistema pensionistico, stabilì sussidi e forme di sostegno, edificò il paradiso del welfare attorno a un'idea non così scontata, quando si parla di Stato e diritti sociali: l'autonomia individuale. L'indipendenza degli individuio. L'indipendenza della donna dall'uomo, dei figli dai padri, della madri dai figli. In qualche modo, la distopia immaginata dal grande drammaturgo svedese August Strindberg nella riscrittura post-amletica del Padre, ma senza più ossessioni per la solitudine.
Oggi, in Svezia il 50% dei cittadini vive solo. Una vita senza l'altro e una morte che non è da meno: 1 cittadino su 4 muore in solitudine, abbandonato dai figli. È la teoria svedese dell'amore: un'idea talmente assoluta di indipendenza che porta a considerare che l'amore autentico può esistere solo tra estranei. O tra sconosciuti. O tra sé e sé: la relazione è un peso che sempre meno svedesi sembrano disposti a sopportare. Non serve. Nemmeno per avere figli.
In Svezia va per la maggiore la fecondazione fai da te. Una gran parte delle donne svedesi - svela Gandini - acquista sperma per corrispondenza. Lo fa dalla Cryos, una società danese fondata da Ole Schou. «La banca del seme più grande del mondo», alimentata da donatori che dichiarano di «volere il bene dell'umanità» e disponibile per tutti e per tutte le tasche. Lo sperma in Europa arriva con corriere espresso, conservato in ghiaccio secco e pronto all'uso (vengono fornite delle apposite fiale/siringhe fai da te). I tempi di consegna vanno da 1 a massimo 2 giorni.
Il prezzo va da 63 euro per 1 fiala/siringa ai 12mila euro per il "donatore esclusivo". Si possono poi consultare i dati ex post, con le fotografie dei bambini, il loro - testuale - «profilo di intelligenza emotiva e il campione vocale». Si può pure scegliere - anche qui: testuale - la razza: caucasica, africana, medio orientale. Più della metà dei clienti della Cryos sono donne single.
«Ho pensato che fosse meglio avere un figlio da sola, ed evitarmi la fatica di trovare un partner», dichiara una donna.
A 40 anni dal manifesto Familjen i framtiden - en socialistisk familjepolitik l'utopia svedese si è rivelata una desolante emancipazione regressiva. Si nasce soli, si vive soli, si muore soli. Come nota Gandini nel Docu-film: “Ognuno va per la propria strada ma non c'è nulla che li tenga insieme”. Quest’ultimo fenomeno è talmente aumentato negli ultimi anni che lo Stato svedese ha dovuto creare uffici appositi che si occupano di tutte le incombenze legali e burocratiche legate alla scoperta di un morto senza legami, nel disinteresse di figli e parenti.
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La scienza dice no al “matrimonio” gay
Un saggio, quello del dottor Gerard van den Aardweg – psicoterapeuta di fama internazionale, specializzato nel trattamento delle persone omosessuali, smonta le erronee concezioni al momento dominanti (con l’incredibile appoggio di tanti Governi e l’apatia, quando non peggio, della Chiesa cattolica), le quali vogliono far apparire l’omosessualità come un “orientamento sessuale” normale, naturale, che l’individuo, agendo in piena libertà da costrizioni di qualsiasi tipo, dovrebbe solo scoprire in se stesso (La scienza dice “no”. L’inganno del “matrimonio” gay, con un’introduzione del prof. Paolo Pasqualucci, Solfanelli, Chieti 2016, p. 168, € 12).
Lo studioso, forte di mezzo secolo di esperienza sul campo, riporta l’origine dell’omosessualità ad un disturbo mentale, che prende piede soprattutto nel periodo dell’adolescenza, allorché il soggetto che ne è vittima, per una serie di motivi dovuti solo in parte a rapporti squilibrati con uno dei due genitori, si forma complessi di inferiorità, di esclusione, di autocommiserazione, che finiscono con il coinvolgere la percezione della sua identità sessuale.
L’omosessualità deve dunque ritenersi, quanto alla sua origine, una patologia di origine nevrotica, da considerarsi sempre nel novero delle malattie mentali: infatti, in nessuno di noi esiste un “orientamento sessuale” omosessuale naturale, cioè innato.
L’attualità dell’argomento qui trattato è bruciante, dopo che il percorso per l’introduzione del “matrimonio gay” nell’ordinamento giuridico è ufficialmente iniziato anche nel nostro Paese, nonostante le ben note proteste e contestazioni di quella che possiamo considerare la parte ancora sana del popolo italiano.
Il saggio del decano degli psicologi, che da oltre cinquant’anni ha affrontato questa tematica, è solidamente fondato sui dati di una ineccepibile ricerca scientifica. La subcultura gay è riuscita a far prevalere l’idea che l’omosessualità sia un “orientamento sessuale” naturale, innato, pertanto non trattabile con le terapie di tipo psichiatrico e psicoanalitico (invece perseguite con successo dal dottor Aardweg).
Con dovizia di argomenti scientifici l’Autore dimostra la falsità dell’assunto, illuminandoci, nello stesso tempo, sulla vera natura dell’omosessualità e dello “stile di vita” dell’universo gay, ben diverso dall’immagine edulcorata fabbricata dal mondo dell’informazione.
«Che l’omosessualità non abbia un’origine nella natura umana in quanto tale ma sia il frutto di un sentire malato e/o vizioso, risulta anche da quella forma di depravazione a sfondo omosessuale nota come trasgenderismo […]», scrive nella presentazione Paolo Pasqualucci, professore emerito di Filosofia del Diritto nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Perugia, citando lo studio di un altro illustre cattedratico, studioso di psichiatria, il professor Paul McHugh:
«All’inizio erano solo uomini, sia omosessuali che eterosessuali, che volevano essere operati perché si eccitavano eroticamente all’immagine di se stessi come donne. Poi il fenomeno ha cominciato a coinvolgere le donne. Negli ultimi 15 anni è cresciuto in modo esponenziale, tanto che anche adolescenti maschi e femmine hanno cominciato a presentarsi come appartenenti al sesso opposto, rispetto a quello nel quale sono nati. Per questi adolescenti la motivazione non sarebbe erotica. Sono al contrario spinti da una varietà di conflitti e preoccupazioni giovanili di natura psicosociale. Ha dunque preso piede l’idea bislacca secondo la quale il sesso sarebbe appunto una “scelta”, dipendente dall’individuo, una disposizione un modo di sentire più che un fatto naturale in tal modo, lo si concepisce come una realtà fluttuante, che può cambiare ogni momento per qualsivoglia ragione» (p. 17).
Una idea “bislacca” quanto si vuole, ma purtroppo avallata da legislatori ignoranti e da gerarchie ecclesiastiche incapaci di reagire.
(Gianandrea de Antonellis per Corrispondenza Romana del 10 agosto)
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Qui a lato: pauroso scivolone del quotidiano della Cei. Già in passato il Segretario aveva rlasciato dichiarazioni sconcertanti in tema di lotta all'aborto e di omosessualismo. Il cattivo esempio di Mons. Galantino immediatamente seguito dal vescovo di Lucca. Un commento di Corrispondenza Romana.
Vescovo di Lucca filo sodomiti: “Necessario un trapasso culturale”
La chiesa di Lucca apre ai gay. Castellani: “Necessario un trapasso culturale”. Il vaticanista Luise: “Omosessualità, un’attitudine umana”
“Gay. Ecco, lo confesso: quando utilizzo questa parola sembra che ci sia già un giudizio intrinseco. A usarla ho difficoltà. E’ quindi necessario un trapasso culturale, perché la differenza è ricchezza”.Sono le parole del vescovo di Lucca Italo Castellani. Di fronte ai giornalisti è lui a fare ‘outing’ invocando la necessità di un cambiamento culturale che pare lo coinvolga direttamente. “Sì, utilizzare il termine ‘gay’ ancora mi dà fastidio. Significa che ci vorrà tempo. Ma il cambiamento culturale è necessario”, racconta pubblicamente.
Un’apertura necessaria e di buon senso che ci auguriamo sia lontana dall’approccio ipocrita e demagogico fin troppo diffuso nell’ambiente ecclesiale. Un’apertura ribadita e sottolineata anche dal vaticanista Rai Raffaele Luise, ospite della diocesi insieme ai giornalisti del territorio.
“Sui gay la chiesa è chiamata a una rivoluzione culturale”, ha detto. Dopo le parole espresse da Papa Francesco nel viaggio di ritorno dall’America Latina (“Chi sono io per giudicare un gay che cerca Dio?”) e dopo la sua elezioni a personaggio dell’anno da parte della rivista gay “The Advocate”, Luise tiene a ribadire che “il Papa ha impostato bene la questione, ma è solo. Nessuno lo aiuta. E la rivoluzione chiama la rivoluzione. Ci sono 486 specie animali che contemplano l’omosessualità. Quindi questa non è una caratteristica puramente umana. Non è una devianza, ma fa parte della natura. L’omossessualità è un’attitudine umana. Quindi ci troviamo di fronte a una grande sfida, fuori e dentro la chiesa”.
Secondo quanto riportato da Luise, il dieci per cento della popolazione è omosessuale. Quindi il rapporto di lesbiche e gay è pari nella società civile come nella chiesa. Ma per favore, non parlate di lobby. “In Vaticano non mi risulta ci siano lobby. Sì, esistono massoni che si relazionano ai poteri forte e che si occupano dei rapporti e delle relazioni economiche”,dice Luise. “Sì, ci sono tanti gay attivi e passivi, anche in alto. Ma non ho elementi per dire che esista una lobby massonica e una lobby gay”.E tanto basta.
Il nostro vescovo invoca invece un grande “cambiamento” e un“trapasso” culturale. Affronta la questione della “diversità come una ricchezza”. Del resto “se tutti i fiori fossero ugauali, i prati perderebbero la loro bellezza”, dice Castellani. Che poi racconta episodi che lo hanno coinvolto personalmente. Esperienze di vita vissuta, storie di cittadini e cittadine che hanno a che fare con l’omosessualità. Perché hanno un figlio o una figlia omosessuale. Perché a scuola hanno un alunno gay. “Quel che conta è soprattutto la dignità della persona”, fa ggiunge Castellani.“E mi domando perché i giovani considerino la chiesa come ‘omofobica’…”.
Be’, forse è perché ad oggi gli omosessuali non possano vivere pienamente la propria fede. Forse perché chi è omosessuale e desidera attenersi alle indicazioni della chiesa trova evidenti contraddizioni. Proprio come accade per le coppie di fatto. Forse perché da anni la chiesa può fare qualcosa e invece non lo fa. Quest’apertura suona come un buon auspicio. Perché prima di essere un problema di fede, questo è un problema strettamente legato ai diritti.
[www.loschermo.it]
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Le incomprensibili affermazioni di mons. Galantino, segretario generale della CEI
Hanno suscitato sconcerto e disappunto le parole di monsignor Galantino, segretario generale della Cei, il quale in un’intervista rilasciata al giornale online QN ha detto la sua su alcune importanti questione etiche e morali ed in particolare sull’aborto.
Alla domanda dell’intervistatore sui principi non negoziabili monsignor Galantino ha così risposto: “Pensiamo alla sacralità della vita. In passato ci siamo concentrati esclusivamente sul no all’aborto e all’eutanasia. Non può essere così, in mezzo c’è l’esistenza che si sviluppa. Io non mi identifico con i visi inespressivi di chi recita il rosario fuori dalle cliniche, che praticano l’interruzione della gravidanza, ma con quei giovani che sono contrari a questa pratica e lottano per la qualità delle persone, per il loro diritto alla salute, al lavoro”.
Ci permettiamo di fare alcune considerazioni in merito: innanzitutto, non si capisce quando ed in quali occasioni la Chiesa ed in particolare la Cei abbia trascurato le necessità materiali e spirituali delle persone occupandosi esclusivamente di aborto ed eutanasia, come lascia intendere monsignor Galantino. Ai più pare semmai il contrario vista la non eccezionale determinazione con cui i vescovi italiani hanno combattuto la buona battaglia in questi ultimi decenni.
Lo stesso Papa Francesco ha inteso prendere le distanze da una certa mentalità dominante arrivando ad affermare in un discorso di pochi mesi fa come non sia coerente chi parla volentieri della fame nel mondo ma non si oppone all’orrore dell’aborto. Inoltre, monsignor Galantino pare dimentico del fatto che è proprio prendendosi particolare cura dei più deboli ed indifesi, minacciati da leggi omicide come la 194/1978, che la Chiesa afferma la dignità intrinseca dell’essere umano fatto a immagine e somiglianza del Creatore.
Particolarmente sgradevole poi la rappresentazione caricaturale che il segretario generale della Cei fa dei tanti pro life che con dedizione e spirito di sacrificio lottano contro l’assassinio legalizzato dell’innocente e per la vita recitando il rosario fuori dalle cliniche ove si praticano gli aborti. Tale forma di lotta è particolarmente efficace non solamente perché, come dovrebbe ben sapere monsignor Galantino, ha come fine la riparazione dei crimini connessi con l’aborto ma anche perché non di rado salva la vita a molte creature innocenti altrimenti destinate a morte certa.
Ci auguriamo che le sconcertanti parole riportate nell’intervista pubblicata su QN vengano pubblicamente smentite dal segretario generale della Cei, il quale difficilmente può ignorare che identificarsi con quei giovani che lottano per la qualità delle persone, per il loro diritto alla salute, al lavoro vuol dire approvare ed incoraggiare coloro che si battono, in qualunque modo, affinché ad ogni persona venga riconosciuto il principale diritto, senza cui tutti gli altri non hanno ragion d’essere, ossia quello alla vita. Altrimenti se ne dovrebbe dedurre che monsignor Galantino non sia interessato a difendere né gli uni né gli altri.
(A.D.M in:
[www.corrispondenzaromana.it]
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Cosa si nasconde dietro l’ideologia del gender
Caterina Giojelli, per Tempi.it
«Non è vero – scriveva Pier Paolo Pasolini in Lettere Luterane – che comunque, si vada avanti. Assai spesso sia l’individuo che la società regrediscono o peggiorano. In tal caso la trasformazione non deve essere accettata: la sua “accettazione realistica” è in realtà una colpevole manovra per tranquillizzare la propria coscienza e tirare avanti».
Tirare avanti: fin dove?
Thomas Beatie non è un uomo, ma una donna: si chiamava Tracy Lagondino prima di innamorarsi di Nancy. I due decidono di avere un figlio: grazie alla donazione del seme da parte di un amico e a una inversa terapia ormonale, si procede con una fecondazione assistita eterologa e a portare avanti la gravidanza è proprio Tracy-Thomas. Oggi i due hanno tre figli che hanno una madre che vuole fare il padre (Tracy-Thomas, appunto), una madre “sociale” (Nancy) e un padre biologico (il donatore) grazie al quale è stata innescata l’intera procedura.
Una vicenda resa ancora più complicata dalla separazione, dopo lungo travaglio giudiziario, dei due, un arresto per stalking di Tracy-Thomas nei confronti dell’ex moglie e una intervista rilasciata lo scorso dicembre al Sun in cui l’ormai celebre “pregnant man”, parlando dei suoi figli e dichiarando di volerne altri dalla sua nuova compagna Amber, racconta che il piccolo Austin «aveva i capelli lunghi e ha iniziato a dire che voleva essere una ragazza quando aveva tre anni», mentre Susan, la primogenita, a 7 anni gli ha già chiesto se tutte le ragazze debbano, prima o poi, diventare maschi.
Una storia che è un caso limite? No, una storia con tutti i limiti del caso, piena di risvolti etico-giuridici e paradossi etico-esistenziali di immediata (e drammatica) comprensione.
La vicenda di Tracy-Thomas, una delle molte restituiteci da questi assurdi tempi di opposizione dei diritti/desideri/amori umani all’esercizio stesso del diritto, non è che infatti una delle tante propaggini connesse al tema del pensiero gender, per cui «ciò che è rilevante ai fini della propria identità non è più ciò che uno è, ma ciò che uno ritiene di essere; per cui ci si può percepire come maschio, come femmina, come entrambi o come nessuno dei due», un pensiero radicato in un soggettivismo etico, che combinato agli sviluppi tecnoscientifici conduce in fretta «a tutta una complicata e insolita tipologia fenomenologica che, invece di mettere in evidenza il diritto rivendicato, espone sotto gli occhi di tutti quanto il diritto, nella sua essenza strutturale, venga semmai violato».
Non manca il coraggio della verità ad Aldo Rocco Vitale, autore dell’efficace Gender questo sconosciuto (Ed. Fede & Cultura, 12 euro), 133 pagine e 30 capitoli che rispondono ai tanti punti oscuri sul pensiero poco conosciuto, sottovalutato e da più parti negato come invenzione propagandistica della Chiesa cattolica: il gender, appunto, andato configurandosi nella storia come quel «momento di negazione della differenza sessuata dell’essere umano, o meglio, come pensiero teso a elidere il dato dell’elemento biologico-naturale per sostituirlo con l’elemento psicoculturale».
Avvocato, firma preziosa di numerose testate online (fra cui Tempi), socio dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, Vitale si destreggia tra storia e casi di cronaca, mostrando con chiarezza per ciascuno di essi paradossi e problemi antropologici e biogiuridici che il pensiero gender porta inevitabilmente con sé, arrivando ad esprimere «il livello più avanzato di annientamento radicale dell’essere dell’uomo».
Che si tratti di un vero e proprio totalitarismo, «lo si comprende facendo riferimento agli elementi che secondo la più nota ed autorevole teorizzatrice del tema, Hannah Arendt, sono necessari per dar vita, appunto, ad un totalitarismo: l’ideologia, la massa da indottrinare e la polizia politica per tacitare chiunque dovesse resistere all’indottrinamento».
Vitale non ha paura di usare le parole giuste, avvalorare la sua scrittura chiara con i contributi di numerosissimi pensatori, da Karl Marx a Judith Butler, dal professor Francesco D’Agostino a Benedetto XVI, e instrada il lettore sulle vie della nascita e dello sviluppo complesso del gender che lungi dal rappresentare un’invenzione vaticana si afferma in un preciso momento storico, come frontiera ultima ed evoluzione sofisticata del pensiero femminista; svela l’interesse dei sostenitori del gender a promuovere l’equivoco che esso c’entri con l’omosessualità; rimette ordine su ciò che è diritto, fondato, come diceva Cicerone, «non su una convenzione ma sulla natura»; smaschera la pretesa di chi vorrebbe porre quale causa prima della famiglia («quell’istituto riconosciuto dal diritto statuale che su quest’ultimo non si fonda, ma che è fondamento di quest’ultimo») non il diritto naturale – che attiene alla natura dell’uomo ed è dunque accessibile attraverso l’esercizio della ragione – bensì il diritto positivo e statale, e quella di chi vede nell’amore «un principio ordinante del diritto che a sua volta deve disciplinare e ordinare l’esistenza», come è accaduto lo scorso giugno quando Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha statuito che i singoli Stati non potessero rifiutarsi di riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso senza violare la Costituzione: incentrata non sulla razionalità del diritto, ma sulla passionalità dell’amore, «la suddetta sentenza, lungi dall’essere espressione di giustizia rappresenta piuttosto il triste volto di un diritto violato, cioè, in definitiva dell’ingiustizia».
La diffusione del fast-divorce, la proliferazione delle convivenze more uxorio, le richieste di riconoscimento e tutela giuridica di situazioni «che normalmente dovrebbero essere sottratte al diritto per natura (loro intrinseca e del diritto medesimo), come per esempio in matrimonio omosessuale o l’omogenitorialità (cioè la genitorialità come diritto delle coppie omosessuali attraverso l’istituto dell’adozione o le tecniche di procreazione medicalmente assistita)», evidenziano con forza le spinte contrarie e opposte a cui è soggetta l’istituzione famigliare, tra questi marosi è tuttavia possibile distinguere due principali prospettive «quella che in tende la famiglia come uno dei numerosi prodotti sociali che storicamente si vengono a determinare e succedere» (tipicamente sociologica e marxista) e «quella che rivela la famiglia come società naturale evidenziandone la struttura giuridica sostanziale e sottraendola così a tutte le ipotizzabili manipolazioni»: ecco allora come leggere l’articolo 29 della Costituzione Italiana ai sensi del quale «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», ovvero l’unione tra uomo e donna, requisito naturale, essenziale e logico della società naturale.
Uomo e donna: è qui che Vitale affronta i paradossi che derivano dalla negazione della natura propagata dal gender, sostituita dal sentimento e dal desiderio che una volta benedetti dalla politica e dal legislatore approdano facilmente alle storture del caso Beatie, al sostegno delle lobby gender all’industria dell’utero in affitto con la surrogazione di maternità che rappresenta per gli individui LGBT l’opportunità di avere una famiglia.
Dai più recenti casi internazionali a quelli italiani, il libro racconta i problemi biogiuridici legati a omoconiugalità e omogenitorialità giocati sulla pelle di bambini ridotti a prodotti ultimi di una catena di montaggio procreativa: valga per tutti il caso del 31enne omosessuale messicano Jorge che nel 2010 decide di diventare padre senza nemmeno essere fidanzato, usa il proprio seme e l’ovulo donato da un’amica e l’utero della madre: nasce un bambino che è figlio di Jorge e della sua amica, figlio della sua amica e di sua madre, figlio e fratello di Jorge, figlio e nipote della madre di Jorge, «essendo figlio di tutti, paradossalmente, è figlio di nessuno.
È più figlio o più nipote? E di chi è figlio? E si possono avere due madri e un padre? E se il proprio padre è proprio fratello? E se la propria madre è la propria nonna?
Contorsioni esistenziali derivanti da una concezione e da un’applicazione del possibilismo tecnico assolutamente svincolate da ogni paradigma veritativo dell’essere umano».
Un’altra storia che è un caso limite?
No, un’altra storia con tutti i limiti del caso, una delle tante provenienti dagli Stati dove l’ideologia gender, sotto l’ipocrisia della tutela dei diritti riproduttivi (un pensiero unico in cui trova accoglimento anche la promozione del reato di omofobia), va frammentando i ruoli genitoriali e trasformando le tecniche di procreazione medicalmente assistita da rimedio estremo per i casi di sterilità e infertilità in mezzi in cui poter strumentalizzare i figli a soddisfazione dei propri desideri e delle proprie aspirazioni.
Scrive Donna Haraway in “A manifesto for cyborgs: science, technology and socialist feminism in 1980s”, pubblicato nel 1985 sulla rivista Socialist Review: «Il cyborg è una creatura di un mondo post-genere: non ha niente da spartire con la bisessualità, la simbiosi pre-edipica, il lavoro non alienato o altre seduzioni di interezza organica ottenute investendo un’unità suprema di tutti i poteri delle parti. Il cyborg non ha nemmeno una storia delle origini nell’accezione occidentale del termine. (…) Il cyborg definisce una polis tecnologica in parte fondata sulla rivoluzione delle relazioni sociali nell’oikos. (…) Il cyborg non sogna una comunità costruita sul modello della famiglia organica».
E ben si comprende l’orizzonte in cui si muove l’homo faber, che può modificare a proprio piacimento la realtà e la sua stessa natura, raccontato da Vitale.
Un libro per non “tranquillizzare la propria coscienza” e tornare finalmente a ragionare.
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La sinistra vuol punire chi convince i bambini a non diventare gay
Tra i promotori la Cirinnà e Lo Giudice (Pd) Nel mirino psicologi, educatori e pedagogisti
di Francesca Angeli per Il Giornale
Roma Carcere fino a due anni. Multe fino a 50.000 euro. Sospensione per cinque anni dall'ordine professionale e confisca delle attrezzature.
Pesantissime le pene previste per «chiunque faccia uso su soggetti minorenni di pratiche rivolte alla conversione dell'orientamento sessuale» ovvero psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, consulenti, assistenti sociali, educatori e pedagogisti.
Si avventura in un terreno complesso con la pesantezza di un carro armato il disegno di legge depositato a Palazzo Madama da un gruppo di senatori del Pd, primo firmatario Sergio Lo Giudice con Monica Cirinnà insieme a Sinistra Italiana e Misto.
L'intento dichiarato da Lo Gudice è quello di evitare anche in Italia casi come quello dell'adolescente transgender dell'Ohio, Leelah Alcorn. Dopo aver rivelato di voler intraprendere un percorso per cambiare sesso ai suoi genitori il ragazzo era stato costretto dalla famiglia, che non accettava la sua scelta, a sottoporsi alla cosiddetta «terapia di conversione». In sostanza una «cura» per l'omosessualità. Ma non sentendosi accettato di fronte al rifiuto della sua famiglia all'età di 17 anni l'adolescente si è suicidato, diventando così un simbolo per tutte le comunità gay. Di buone intenzioni però è lastricata la via dell'inferno e nel ddl «Norme di contrasto alle terapie di conversione dell'orientamento sessuale dei minori» si entra in modo piuttosto brutale nei rapporto esclusivo tra terapeuta e paziente, oltretutto minore, e lo si fa per condannare una pratica, ovvero la terapia di conversione in realtà già bandita da tutto il mondo scientifico e dagli ordini professionali chiamati in questione. Il ddl si compone di tre soli articoli. Nel primo si specifica che per «conversione dell'orientamento sessuale si intende ogni pratica finalizzata a modificare l'orientamento sessuale di un individuo», inclusi i tentativi di «eliminare o ridurre l'attrazione emotiva, affettiva o sessuale verso individui dello stesso sesso, di sesso diverso o di entrambi i sessi». Ma se il minore è attratto da un individuo adulto? Nel ddl non si specifica l'età. Se il proprio figlio dodicenne ha rapporti con un quarantenne che cosa dovrebbero fare i genitori? E se il terapeuta lo invita a frenare rischia la galera? Nella legge si specifica che non saranno sanzionati «gli interventi che favoriscano l'autoaccettazione, il sostegno, l'esplorazione e la comprensione di sé da parte dei pazienti senza cercare di cambiare il loro orientamento sessuale».
Ma chi stabilirà dove sta il limite tra l'intervento ritenuto lecito e quello fuorilegge? Non dovrebbe essere proprio il terapeuta o lo psichiatra a stabilirlo? Ma con la spada di Damocle di una legge punitiva che pende sulla sua testa non si finirà per impedire qualsiasi tipo di intervento nel timore di ricadere nelle casistiche che prevedono il carcere? Il rischio è di paralizzare l'intero settore delle terapie su bambini e adolescenti.
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In occasione della Giornata Internazionale contro l’Omofobia, Sergio Lo Giudice, senatore del Partito Democratico, ha presentato il disegno di legge n. 2402, intitolato “Norme di contrasto alle terapie di conversione dell’orientamento sessuale dei minori“disegno di legge n. 2402, intitolato “Norme di contrasto alle terapie di conversione dell’orientamento sessuale dei minori”, volto a mettere al bando in Italia le cosiddette “teorie riparative” rivolte ai minori, su richiesta dei genitori.
Il provvedimento, oltre a Lo Giudice, primo firmatario, è stato sottoscritto dai senatori Bocchino, Capacchione, Cardinali, Cirinnà, Dalla Zuanna, De Petris, Gatti, Guerra, Idem, Lo Moro, Lumia, Mastrangeli, Orellana, Palermo, Pegorer, Ricchiuti e Spilabotte.
La premessa del disegno di legge rappresenta un vero e proprioexcursus ideologico della propaganda omosessualista in cui i proponenti hanno messo insieme le conquiste ottenute dal movimento LGBT lungo il “percorso di depatologizzazione dell’orientamento omosessuale” a partire dal fatidico 1973, anno in cui l’American Psychiatric Associationeliminò la diagnosi di omosessualità egosintonica dal DSM, il Manuale Diagnostico e Statistico delle Malattie Mentali. Una derubricazione – è superfluo ricordarlo – frutto non di particolari risultati scientifici raggiunti ma piuttosto del singolare contesto socio-politico di quegli anni.
I firmatari del progetto di legge si richiamano alla politica promossa in materia dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, affermando come “La depatologizzazione dell’omosessualità è un percorso ormai compiuto dai professionisti della salute mentale di tutto il mondo, le associazioni professionali e scientifiche, italiane e straniere, hanno a più riprese dovuto chiarire l’antiscientificità e la pericolosità delle terapie di conversione“.
Il disegno di legge consta solo di tre articoli.
L’articolo 1 fornisce una definizione preliminare di “conversione dell’orientamento sessuale”, specificando che con tale dicitura si intende
“(…) ogni pratica finalizzata a modificare l’orientamento sessuale di un individuo, inclusi i tentativi di cambiare i comportamenti o le espressioni di genere ovvero di eliminare o ridurre l’attrazione emotiva, affettiva o sessuale verso individui dello stesso sesso, di sesso diverso o di entrambi i sessi“.
In tale prospettiva le nuove norme vorrebbero addirittura impedire alle figure preposte la libertà di esercitare la propria attività professionale,pena multe salatissime e perfino il carcere. In questo senso, all’art. 2rivolto ai destinatari si legge:
“Chiunque, esercitando la pratica di psicologo, medico psichiatra, psicoterapeuta, terapeuta, consulente clinico, counsellor, consulente psicologico, assistente sociale, educatore o pedagogista faccia uso su soggetti minorenni di pratiche rivolte alla conversione dell’orientamento sessuale è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da 10.000 euro a 50.000 euro. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle attrezzature utilizzate.”.
L’art. 3 prevede, per di più, una sanzione accessoria qualora il responsabile del “reato” dovesse essere una figura abilitata dallo Stato per la quale scatterebbe l’immediata sospensione dell’incarico:
“Se la condotta è posta in essere nell’esercizio di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dallo Stato, la condanna comporta la sospensione dall’esercizio della professione da un minimo di un anno a un massimo di cinque anni.“
Che l’omosessualità non possa essere curata è una delle affermazioni più devastanti della propaganda omosessualista. Fino al 1973 attorno all’omosessualità veniva fatta una seria ricerca scientifica e assumere uno stile di vita omosessuale era un comportamento “sconsigliato” e, in quanto contro natura, giustamente stigmatizzato.
Dal 1973 in avanti la progressiva campagna di sdoganamento dell’omosessualità al motto di “gay is good” ha capovolto la situazione, portando, da un lato, ad arrestare totalmente la ricerca scientifica in materia e, dall’altro, a far sì che la classe medica passasse da un atteggiamento di corretta ed sana prevenzione alla sua promozione secondo lo slogan politically correct di “sei come sei”. Un approccio folle e antiscientifico che induce gli adolescenti più fragili ad assecondare i propri istinti e pulsioni sessuali, per altro confusi e traviati dalla martellante propaganda gender, al di là di ogni legge naturale. Una vera e propria ribellione contro la ragione e la realtà!
In un mondo capovolto, lo stigma sociale nei confronti dell’omosessualità e, poi, l’omofobia interiorizzata sono divenuti le vere cause del malessere delle persone omosessuali e, in conseguenza di ciò, la soluzione proposta è quella di costruire un diverso clima culturale, atto a far sentire finalmente “normali” coloro con pulsioni sessuali verso persone dello stesso sesso. Una soluzione chiaramente ideologica, presa in nome del principio di non discriminazione, che, paradossalmente, nella realtà, finisce per abbandonare al loro involontario e insoddisfatto destino i tantissimi omosessuali in lotta con i propri istinti.
Dopo aver ottenuto la legge sulle unioni civili, tale intollerante ed ideologico provvedimento, assieme al “ddl Scalfarotto”sull’omofobia, costituisce un altro tassello del prepotente, e sempre più aggressivo, piano di “normalizzazione” dell’omosessualità.
(di Rodolfo de Mattei su Osservatorio gender)
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Silvana de Mari:
Il medico-scrittore denuncia i libri transgender per i bimbi
PAOLO BIANCHI per Libero del 6 Aug 2016
L'emblema dell'errore secondo Silvana De Mari, medico e scrittrice, è Piccolo uovo, libro per l'infanzia, scritto da Francesca Pardi e illustrato dal notissimo vignettista Altan per le edizioni Lo Stampatello. Secondo lei il testo nega il diritto, anzi la necessità, del bambino ad avere padre e madre. Il libro è uscito cinque anni fa, ma sembra avere aperto la strada a decine di altre pubblicazioni per bambini anche molto piccoli, dove regnano la confusione dei ruoli genitoriali o la negazione di un genitore.
Dottoressa De Mari, lei ha sollevato una bufera sui social. Che succede?
«Sono sempre di più i libri della bambina che vuole essere maschietto e viceversa» spiega De Mari, che è molto nota per i suoi libri fantasy, in particolare la trilogia de L'ultimo elfo, e la saga di Hania, in cui sotto forma di metafora è sempre presente la necessità morale di prendere le parti degli indifesi.
Che cosa c'è secondo lei di sbagliato in questi libri?
"Negano il diritto del bambino ad avere padre e madre, e impediscono la collera e l'elaborazione del lutto dove questo diritto sia stato negato. In Piccolo uovo un ovetto nasce da solo, senza padre né madre, tutta la necessità di un'ascendenza biologica, tutto il dolore quando questa ascendenza viene negata (come ben sanno i valorosi genitori adottivi) è cancellato, come è cancellata la necessità del bambino di avere due genitori di sesso diverso. Non sai chi è tuo padre? Sorridi. L'esistenza di tua madre è stata addirittura negata? Sorridi. Perché hai due mamme?, cinguetta il titolo di un altro libro di Francesca Pardi, il tuo diritto ad avere un padre e a conoscere la tua ascendenza è stato negato perché tua madre in un delirio di onnipotenza ha deciso così? Sorridi!».
Ci sono testi che trattano anche la questione dell'aborto?
«Sì. In Sister apple, sister pig, di Mary Walling Blackburn, non tradotto in Italia. Anche qui: la tua mamma ha abortito? Tranquillo: tua sorella è un fantasma felice, forse è una mela o forse maiale. E invece nella realtà non è così, l'aborto pesa su tutta la famiglia. Il dolore dei bambini qui invece è negato e avvolto nella carta colorata. Non sai di che sesso sei? Hai un tale odio per te stesso che non accetti nemmeno il tuo corpo e il tuo sesso? Ti raccontiamo la favola che sia possibile cambiare sesso (non lo è) e ti facciamo leggere i libri di S. Bear Bergman, uno che si definisce trans e scrive libri per bambini che incoraggiano in loro il cambio di sesso. O ti mandiamo a teatro a vedere Mi chiamo Alex e sono un dinosauro, uno spettacolo prodotto in Sicilia, di Giuliano Scarpinato, dove un bambino è maschio o femmina a giorni alterni».
È possibile che un bambino senta questo desiderio?
«Il fatto di non corrispondere al proprio sesso biologico è un pensiero psicotico.Non si può trasformare un uomo in donna. Anche tecnicamente l’operazione chirurgica è un disastro. Un disastro. Dopo simili interventi, il tasso di suicidio si moltiplica per dieci, eppure esistono movimenti politici per dire che sono una bella cosa.
Dottoressa, lei è critica verso le affermazioni del Manuale Diagnostico dei disturbi mentali (il DSM), redatto dall'American Psychiatric Association, l'Apa. Perché?
Perché lì pare che la pedofilia sia stata sdoganata dal suo ruolo di perversione e portata all'onore di essere semplice orientamento sessuale».
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Il caso della rockband “Le Rivoltelle” rappresenta un ulteriore esempio della dittatura del pensiero unico nella quale siamo profondamente immersi.
Il caso “Le Rivoltelle”: una storia di ordinaria “dittatura gender”
di Rodolfo de Mattei
Tutti i principali media hanno riportato in questi giorni l'”ordinaria storia di omofobia” che ha coinvolto la rock band cosentina “Le Rivoltelle”, vittima dello “zelo bigotto” che ha spinto gli organizzatori delle celebrazioni in onore di San Pio a Rossano a cancellare il concerto in programma per il prossimo 20 agosto, giorno della festa patronale, a causa della presunta, ma in realtà manifesta, omosessualità, delle quattro musiciste.
LO SFOGO
La leader del gruppo, Elena Palermo, ha sfogato la sua rabbia sulla bacheca Facebook delle Rivoltelle, domandandosi come sia possibile che nel 2016 ci siano ancora in giro persone tanto ignoranti da pensarla diversamente da lei riguardo alla “normalità” omosessuale, scrivendo:
«Mi chiedo come sia possibile che ancora girino a piede libero e soprattutto esprimano liberamente e impunite il loro pensiero persone di tanta ignoranza. (…) Ho voluto raccontare questo episodio per puntare il dito contro un certo tipo di discriminazione, che abbiamo già vissuto sulla nostra pelle in passato. (…) Non sopportiamo più il pregiudizio nei confronti di orientamenti tra l’altro solamente presunti, dal momento che noi non abbiamo mai dichiarato di essere omosessuali e non lo dichiareremo mai. Sono fatti privati che ognuno vive nella propria coscienza. Ed è anche per questo che ci arrabbiamo quando l’ignoranza ci impedisce di esercitare la nostra professione. Nel 2016 cose del genere non possono succedere».
Quindi la rocker calabrese si rivolge direttamente alla parrocchiana rea di aver “fomentato” la protesta, ammettendo come il rock rivoluzionario delle “Rivoltelle” abbia il preciso obiettivo di fare “piazza pulita” di una certa mentalità “retrograda”.
«Maria Antonietta: fino a quando la Calabria sarà abitata da persone come lei sarà ancora più forte e feroce e stimolante la nostra rivoluzione. Quindi grazie!».
“OFFESA ALLA MORALE CRISTIANA”
Che cosa ha detto di tanto scandaloso e inaccettabile la signora Maria Antonietta, “portavoce” del comitato parrocchiale organizzatore della festa di San Pio ? Ecco la dichiarazione riportata dalla stampa:
«Sono quattro lesbiche e questa è una festa religiosa, quindi la loro esibizione sarebbe un’offesa alla morale cattolica di ogni singolo cristiano facente parte di questa comunità».
La motivazione non fa una piega. Non si capisce perché un gruppo rock che ha espresso dichiarate posizioni in aperto contrasto con l’insegnamento della chiesa cattolica debba presenziare ad una importante festa religiosa di paese, partecipatissima da giovani e giovanissimi pronti a subirne l’influenza e raccoglierne il messaggio.
DUE PUNTI SU CUI RIFLETTERE
Poi invitiamo la Palermo che tanto si scandalizza per l’esclusione del suo gruppo a riflettere su questi due punti:
Lei ha candidamente dichiarato di essere favorevole alla “normalizzazione” dell’omosessualità affermando: “(…) Io e ‘Le Rivoltelle’, le mie amiche e compagne di viaggio, siamo state sempre a favore della libertà a 360 gradi. Soprattutto nell’amore e soprattutto nella musica“. Tale dichiarazione è sufficiente per poter constatare come sia stata opportuna e saggia la decisione del comitato parrocchiale di “preferire” un altro gruppo musicale rispetto ad una rockband apertamente a favore della, oggi tanto dibattuta, “agenda gender”.
Che cosa succederebbe se un gruppo musicale (ahinoi oggi inesistente…) contrario all’ideologia gender e all’omosessualizzazione della società e quindi bollato come “omofobo” fosse invitato ad una manifestazione apertamente “rivoluzionaria” ? Poniamo ad esempio il Concerto del primo maggio di San Giovanni o, per fare un’analogia più calzante con la festa patronale, ad una festa dell’Unità di paese ….facile prevedere che la rivolta mediatica sarebbe scontata ed immediata per aver osato invitare un ospite dichiaratamente “bigotto ed omofobo” ad un evento del genere!
PENSIERO A “SENSO UNICO”
Per questo, il caso della rockband “Le Rivoltelle” rappresenta un ulteriore esempio della dittatura del pensiero unico nella quale siamo profondamente immersi. Al punto che non è possibile per un Comitato parrocchiale fare le sue scelte secondo il proprio credo religioso senza finire sotto gli implacabili cingoli delle armate LGBT. In mezzo a tanto clamore mediatico, siamo sicuri però che San Pio dall’alto avrà ispirato e benedetto tale saggia e sacrosanta decisione.
Da:
[https:]
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Molti sono stati sacerdoti coraggiosi che hanno rifiutato di far entrare nelle nostre Chiese i seguaci dell'islam, la religione che da 1400 anni è la più contraria al cristianesmo. Ecco alcuni esempi:
- «Nel mondo c’è tanta violenza in nome del dio dell’Islam. C’è gente che sgozza i preti inneggiando ad Allah».
- "C'è una legge non scritta: è che non bisogna condannare nulla, ma proprio nulla, se la condanna deve mettere in cattiva luce la religione dell’islam, senza troppo distinguere tra islam considerato moderato e il cosiddetto islam radicalizzato, e senza sottilizzare troppo sulle intenzioni di guerra santa professate dall’autoproclamato Stato islamico. Non bisogna parlare male dell’islam e non bisogna presentare le vittime cristiane dell’islam come vittime e/o come cristiane"
- "In Egitto è accaduto che gruppi si siano recati di buon mattino su alcuni terreni della Chiesa copta, abbiano steso il tappeto e pregato, rendendo di fatto impossibile l’edificazione di una chiesa su quell’area che con il loro gesto era stata resa sacra all’islam, cioè INALIENABILE ad altre religioni".
- "Tu mi ammazzi un parroco e poi ti inviti la settimana dopo nella mia Chiesa a pregare la tua religione. Anche le altre chiese del mondo oggi saranno invase da musulmani senza che nessuno li abbia invitati"
- "Potevano dire semplicemente che nella loro preghiera del venerdì, come gesto di solidarietà, avrebbero ricordato padre Hamel, sarebbe stato sufficiente. Anzi sarebbe stata la forma più bella"
- «Loro si professano nostri fratelli? Non so se possiamo fidarci».
- Il Vescovo emerito di Isernia: ”L’ Islam si basa sul Corano e prima di affermare che esiste un Islam moderato si legga quel libro. Vi sono pagine spaventose di odio, nelle quali si chiede di uccidere crudelmente chi non crede, gli infedeli e noi per loro tali siamo. E allora che pace è mai questa?”.
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Magdi Cristiano Allam ha invece smascherato l'imam di Bari: "Ecco cosa ha letto in chiesa: ha condannato i cristiani come miscredenti"
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IMPORTANTE. Il liturgista Don Bux ha spiegato in modo semplice e sintetico al Card. Bagnasco perchè si è trattato di una "violazione della communicatio in sacris "
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Imam in chiesa: una grave offesa alla fede e alla ragione
di Roberto de Mattei, per Corrispondenza Romana del 3 agosto 2016
Il presidente della Conferenza Episcopale Italiana Angelo Bagnasco ha criticato quei cattolici che si sono mostrati sconcertati e in molti casi indignati, per l’invito ai musulmani di pregare, domenica 31 luglio, nelle chiese italiane: «Veramente non capisco il motivo – ha detto –. Il motivo non mi sembra proprio esistente».
A suo dire l’adesione di migliaia di musulmani alla preghiera davanti all’altare vuole essere «una parola di condanna e una presa di distanza assoluta, da parte di chi, musulmani ma non solo, non accetta alcuna forma di violenza».
In realtà come ha osservato monsignor Antonio Livi, sul sito La nuova Bussola quotidiana, la partecipazione dei musulmani alle cerimonie liturgiche, in Italia e in Francia, è stato un atto al tempo stesso, sacrilego e insensato.
Sacrilego perché le chiese cattoliche, al contrario delle moschee, non sono centri di conferenze o di propaganda, ma luoghi sacri, dove si rende il dovuto culto di adorazione a Gesù Cristo, realmente presente «in corpo, sangue, anima e divinità» nell’Eucaristia.
Se si giudicava necessario un incontro per condannare la violenza, quest’atto politico poteva avvenire da qualsiasi altra parte, ma non nella casa di Dio che, per il Papa e i vescovi italiani, non può che essere l’unico vero Dio in tre Persone, combattuto nel corso dei secoli, manu militari, dall’Islam.
A Roma, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere dov’erano seduti in prima fila tre imam della Capitale, due di loro, Ben Mohamed Mohamed e Sami Salem, hanno parlato dal pulpito citando più volte il Corano, però hanno dato le spalle al Vangelo durante l’Omelia, bisbigliando una preghiera musulmana, mentre i cattolici recitavano il Credo.
Nella cattedrale di Bari il cosiddetto Imam Sharif Lorenzini, ha recitato in arabo la prima Sura del Corano che condanna la miscredenza dei cristiani con queste parole: «Mostraci la retta via, la via di coloro che tu hai favorito, non (la via) di coloro che guadagnano la tua ira, né quella di coloro che hanno deviato».
Ciò che è avvenuto è anche un atto senza ragione, proprio perché non c’è alcun motivo per cui i musulmani debbano essere invitati a pregare e a tenere sermoni in una chiesa cattolica.
L’iniziativa dei vescovi italiani e francesi lascia credere che l’Islam, in quanto tale, sia privo di ogni responsabilità, nella strategia del terrore, come se non fosse in nome del Corano che musulmani fanatici ma coerenti massacrano i cristiani nel mondo. Negare che quella in atto sia una guerra religiosa, è come se si fosse negato che negli anni Settanta i brigatisti rossi conducessero una guerra politica contro lo Stato italiano.
Il movente dei terroristi dell’Isis è religioso e ideologico e trae pretesto da un certo numero di versetti del Corano. In nome del Corano decine di migliaia di cattolici sono perseguitati in tutto il mondo, dal Medio oriente, alla Nigeria, all’Indonesia.
Mentre il nuovo numero di Dabiq, la rivista ufficiale del Califfato invita i propri militanti a distruggere la Croce e ad uccidere i cristiani, la CEI libera la religione maomettana da ogni responsabilità, addossando a pochi estremisti i massacri degli ultimi mesi.
È vero esattamente il contrario: è solo una minoranza (23.000 su oltre 2 milioni di islamici ufficialmente registrati) il numero dei musulmani che hanno aderito alla dissennata iniziativa promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana.
Come dar torto alla maggioranza che ha respinto l’invito al mittente, accusando di ipocrisia coloro che lo hanno accettato?
Perché i musulmani, che professano una fede religiosa non solo diversa ma antitetica alla fede cattolica dovrebbero andare a pregare e a predicare in una chiesa cattolica o dovrebbero invitare i cattolici a predicare e pregare nelle loro moschee?
Ciò che è avvenuto il 31 luglio è, sotto tutti gli aspetti, una grave offesa sia alla fede che alla ragione.
(Roberto de Mattei)
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Pochi giorni fa Papa Francesco ha condannato in modo fermissimo le teorie omosessualiste:
"In Europa, in America, in America Latina, in Africa, in alcuni Paesi dell’Asia, ci sono vere colonizzazioni ideologiche.
E una di queste - lo dico chiaramente con “nome e cognome” - è il gender! Oggi ai bambini – ai bambini! – a scuola si insegna questo: che il sesso ognuno lo può scegliere. [...]
Sono le colonizzazioni ideologiche, sostenute anche da Paesi molto influenti. E questo è terribile.
Parlando con Papa Benedetto, che sta bene e ha un pensiero chiaro, mi diceva: “Santità, questa è l’epoca del peccato contro Dio Creatore!”. E’ intelligente!
Dio ha creato l’uomo e la donna; Dio ha creato il mondo così, così, così…, e noi stiamo facendo il contrario". (Papa Francesco, ai vescovi polacchi 27/7/2016).
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Ieri, come al solito a Bologna, il sindaco Merola (PD Partito Democratico - SeL) ha "unito civilmente" (sic!), la prima coppia di lesbiche (foto a sinistra): è un evento epocale, una violenta rottura con l'identità occidentale: le parole di Papa Francesco siano sprone e incoraggiamento a quanti, ancora indecisi, possono dedicare tempo e cuore nella lotta contro la dissoluzione.
Poniamo dunque nel cuore le parole del Besto Giuseppe Toniolo: laico, padre di famiglia, insegnante ed economista:
"Sarai tu soldato di Dio? E scorgi tu ciò che formò l'obbiettivo lungo i secoli dei massimi eroismi? In tal caso, io sono sicuro che tu non assisterai impassibile agli attacchi che da ogni parte scuotono quanto nel mondo v'è di più prezioso della tua stessa vita, cioè il tuo Dio e la tua religione. Sì, Dio e la Chiesa domandano anche oggi dei difensori, ma dei veri difensori che non abbandonano mai il loro posto, fedeli alla consegna fino alla morte, abituati a tutte le asprezze della disciplina, pronti sempre alla battaglia. Ah! La debolezza, le scissure, le codardie dei buoni provengono dall'aver essi abbandonato l'armatura dei forti e la disciplina degli eroi; ed è questo che forma la forza dei cattivi".
(Prefazione al volume di Dom Pollien «Siate cristiani», in
[www.paginecattoliche.it] )
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Come siamo arrivati a legalizzare le “unioni civili”
di Tommaso Scandroglio, per Corrispondenza Romana del 27 luglio 2016
Approvato il decreto ponte sulle Unioni civili dal Consiglio di Stato, a Castel San Pietro, piccolo comune nel bolognese, Elena e Deborah si sono unite civilmente nonostante manchino ancora i decreti definitivi. La prima coppia omosessuale che ufficialmente istituisce una unione civile. Poco importa se ci potrebbero essere stati alcuni vizi formali, ha fatto sapere qualche costituzionalista, l’importante è la sostanza. E la sostanza sta nel fatto che anche in Italia i para-matrimoni gay sono diventati legge dello Stato.
Ad essere sinceri anche noi tutti – cattolici eterosessuali – ci abbiamo messo del nostro per far tagliare al Bel Paese questo traguardo di inciviltà. Molti sono stati i fattori adiuvanti provenienti dagli ambienti cattolici – appoggio pieno, ignoranza dottrinale dolosa e colposa, catto-progressisimo e catto-liberismo culturale, quiescenza, spirito omertoso, opportunismo politico, secolarismo pastorale etc. – ma qui vogliamo soffermarci su una causa particolare.
Le pratiche eutanasiche che hanno portato a morte l’istituto di diritto naturale del matrimonio.
Il primo colpo di scure inferto alle radici di questo splendido albero è stata la perdita della dimensione sacramentale del vincolo nuziale. «Per il battezzato non ci può essere altro matrimonio che quello sacramentale» (Codice di diritto canonico, can. 1005, § 2). Cristo ha elevato a sacramento una realtà naturale e il battezzato non può che vivere questa realtà nella dimensione voluta da Cristo stesso. Tanto che se una delle parti contraenti o entrambe escludono con un positivo atto della volontà la dignità sacramentale del matrimonio, questo è nullo, cioè non è venuto mai ad esistenza (can. 1101 § 2).
In questo senso i matrimoni dei cattolici spesso possono essere considerati “religiosi” solo perché sono stati celebrati in una chiesa e niente più. Sono in realtà vincoli laici, sia nella preparazione, sia non di rado nella celebrazione stessa, sia infine e inevitabilmente nella successiva vita di tutti i giorni. Nel giorno della nozze si celebra alla fine un amore puramente umano, impoverito sull’asse orizzontale di un nuovo umanesimo.
Ma, e qui passiamo al secondo colpo di scure, c’è da domandarsi se questi matrimoni in chiesa almeno siano ricchi di affetto solo umano. Al netto di necessarie generalizzazioni, la risposta che ci verrebbe da dare è di segno negativo.
Se noi stacchiamo i tralci dalla vite ovviamente questi muoiono (cfr. Gv 15, 5). È per questo che la Chiesa insegna che per i battezzati non ci può essere altro matrimonio che quello sacramentale, cioè quello che prende linfa vitale dalla sua dimensione trascendente. O lo vivi integralmente il matrimonio così come voluto da Cristo oppure non ti è data la possibilità di viverlo a metà, a mezzo servizio.
Quindi tutte quelle virtù che innervano il matrimonio rinsecchiscono se la vita coniugale non è innestata in una ricerca in tandem della santità.
La prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza muoiono nel matrimonio se non ci sono la fede, la speranza e la carità. In parole più povere, la tenerezza, la capacità di ascolto, l’atteggiamento di fare un passo indietro per far compiere all’altro coniuge un passo in avanti, il perdono, la comprensione, la fedeltà, la responsabilità delle scelte compiute, la maturità di giudizio e molte altre virtù sponsali evaporano al sole di una esistenza vissuta non con gli occhi fissi verso l’alto ma solo verso l’altro.
Ciò che rimane del matrimonio – i dati Istat su separazioni e divorzi lo confermano di anno in anno – è solo un cumulo di macerie. Questo perché l’ “amore” matrimoniale è scolorito a mere emozioni, a slanci affettivi, a spontaneismi interiori, se non a piaceri sensuali. Va da sé che l’edificio della vita coniugale non tiene se questi sono i mattoni di cui è fatto.
Ora se il matrimonio è solo affetto, piacersi, stare bene insieme, non si vede il perché queste caratteristiche dovrebbero essere appannaggio delle sole coppie eterosessuali.
Se il matrimonio ha perso per strada le sue finalità – procreazione, educazione e aiuto reciproco – se è stato amputato di tutte le sue più alte ed onerose esigenze naturali e preternaturali ed ha puntato tutto sul mero benessere della vita a due, questi due possono essere benissimo una coppia omosessuale.
Siamo dunque anche noi cattolici che per paradosso abbiamo contribuito a preparare la strada alle Unioni civili, quando abbiamo depauperato il vincolo nuziale della sua dignità sacramentale e di conseguenza di tutte le sue proprietà di carattere naturale.
Il precipitato di questa operazione di scrematura, è una sostanza liquida, incolore e insapore buona per tutti i palati, anche quelli delle persone omosessuali. Siamo perciò stati anche noi che abbiamo confezionato un abito nuziale dal taglio unisex
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Sotto la guida del Card. Biffi, i vescovi dell'Emilia Romagna firmarono il primo e forse unico documento episcopale di studio serio dell'islam. Si tratta di un testo semplice ed essenziale, che tutti i presbiteri e laici dovrebbero leggere e conservare. Benchè ormai introvabile, è disponibile qui:
- Islam e Cristianesimo (01):
[www.paginecattoliche.it]
- Islam e Cristianesimo (02):
[www.paginecattoliche.it]
- Islam e Cristianesimo (03):
[www.paginecattoliche.it]
- Islam e Cristianesimo (04):
[www.paginecattoliche.it]
- Islam e Cristianesimo (05):
[www.paginecattoliche.it]
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Proponiamo anche un istruttivo video sul tema sempre attuale:
Non esiste un Islam moderato o estremista ma esiste un solo Islam. A dirlo sono i musulmani
[www.rightsreporter.org]
A un musulmano sono concessi con il mondo infedele solo trattati di tregua, non di pace. Una tregua può essere dovuta solo a un fattore: i musulmani sono in stato di inferiorità e necessitano di tempo per riorganizzare le proprie fila. Hamas, come l’Olp, sono disposti ad accordarsi su tregue, mai sulla pace. Tutto il mondo è terra dell’islam.
Quando noi doniamo a un islamico raccattato in mezzo al Mediterraneo di che sopravvivere e un qualsiasi tipo di sussidio, secondo la nostra mentalità stiamo facendo un atto di generosità. Secondo quella islamica stiamo pagando il tributo che è dovuto. Riconosciamo il nostro obbligo a questo tributo che deve essere congruo. E nessuna gratitudine ci spetterà, ma solo la sacrosanta protesta ogni volta che il tributo non sarà sufficiente. L’islam domina e non è dominato. La nostra democrazia offende l’islam, come ci ricordano gli imam, per cui saremo puniti.
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E' dunque indispensabile studiare e riflettere sul tema
Dhimmitudine
Il “dhimmi”, nella storia e nella legislazione islamica è colui che si “sottomette alla legge islamica per salvarsi la vita”.
I paesi non musulmani sono chiamati “dar al-harb”, paesi di guerra. Una possibilità di tregua può esistere solo a certe condizioni: il pagamento di un tributo e lo sviluppo dell’islamismo nel paese che sancisce la tregua. In questa situazione la “dhimmitudine” è una condizione simile a quella dell’ostaggio.
La "dhimmitudine" è la condizione assegnata ai cristiani e agli ebrei dalla dottrina musulmana.
Ne deriva che, per ogni musulmano, anche non osservante, i cristiani d´Europa, col loro dialogo e tolleranza, cercano protezione.
Non è sorprendente che il gruppo "Stato islamico in Iraq e Siria" stia imponendo le disposizioni della dhimmitudine sui cittadini cristiani di al-Raqqa. Inoltre non è sorprendente che ciò che questo gruppo ha fatto sia stato accolto con censura da molti tra i musulmani.
ISIS ha soltanto applicato un sistema messo in pratica in molti periodi della storia e che ha molte giustificazioni nella giurisprudenza islamica, che non ammette, né nel passato né oggi, l'uguaglianza dei diritti e dei doveri dei cittadini in uno stato basato sulla legge islamica.
Tale giurisprudenza, anche se pretende di adottare la cittadinanza come la base delle norme, continua a discriminare tra cittadini, su basi religiose. Quando alcuni giuristi e pensatori islamici parlano della cittadinanza, li vedi fare eccezioni legislative o riserve per quanto riguarda la partecipazione dei non-musulmani nello stato islamico.
Oggi, le posizioni degli islamisti variano in relazione alla questione dell'applicazione della jizya nei paesi islamici, dove gruppi di "dhimmi" vivono.
Queste posizioni oscillano tra riportare l’ imposizione della jizya, in quanto è stabilita nel Corano, e cancellare o cambiarne il nome se disturba i cittadini "dhimmi".
Gli Islamisti considerano che il principio della jizya è una distinzione per il popolo del Libro stabilita nel Corano, che distingue tra gente del Libro – tra cui i cristiani -, e politeisti. Così, mentre il Corano pone i politeisti tra due scelte, o inserirsi nell'Islam o essere uccisi, chiede ai cristiani solo di pagare la jizya, in cambio di essere mantenuti sani e salvi. Così essi deducono che l'Islam ha dato solo ai cristiani una distinzione, poiché ha imposto loro la jizya, mentre comanda ai musulmani di combattere i politeisti fino a che non si sottomettano.
Lo Sheikh Yusuf al-Qaradawi, un pilastro di moderazione, insiste sulla dominanza delle obbligazioni religiose su eventuali altri legami. Così egli rifiuta tolleranza e apertura che si basano sul "diluire" la religione con il pretesto di "nazionalismo o patriottismo" poiché egli ritiene che sia ipocrisia assoluta far prevalere il legame patriottico o nazionale sul legame di religione o elevare la laicità sopra il legame della religione. Per lui, "Non è tollerato per i musulmani il tornare indietro dai decreti della loro religione e dalla legge del loro Signore, nel vanificare i suoi confini e nel dissolvere il suo stile di vita per il bene delle minoranze non musulmane, in modo da non da farle preoccupare o non ferire i loro sentimenti".
Per lui, la tolleranza si basa "sul buon vicinato comandato da entrambe le religioni, l'amore del bene per tutti, e l'obbligo di giustizia con tutti."
Lo Sheikh Said Hawwa dei Fratelli Musulmani in Siria, segue esattamente la stessa tendenza quando rifiuta di abbandonare i principi islamici per la preferenza di una formula non-islamica che riunisce insieme musulmani e non musulmani in un unico stato.
Egli dice: "I popoli della Umma islamica non abbandoneranno l'Islam. La Storia testimonia. I fatti testimoniano. E così i non -musulmani hanno una scelta: partire o fare un accordo con i musulmani sulla base di una sola formula. Se si vuole una terza opzione - per i musulmani abbandonare il loro Islam - né loro né altri potranno avere questo".
Hawwa poi avverte i non-musulmani che l'Islam inevitabilmente governerà e così li consiglia di affrettarsi "per trovare le formule per un accordo con i musulmani che piaccia a tutte le parti, prima del giorno in cui venga imposto unilateralmente loro l'accordo."
Il sistema di dhimmitudine non è un'invenzione di ISIS. Infatti, si trova nel cuore della giurisprudenza islamica. Ora abbiamo un urgente bisogno di innovazioni giuridiche islamiche che ammettano la partnership nazionale e l'uguaglianza totale tra i cittadini senza riserve, siano esse legislative o di qualsiasi altro tipo.
Fr. Georges Massouh
(da
[oraprosiria.blogspot.it] )
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Nel rimandare ad un lungo studio del Cardinale Pell dedicato all'islam, s propone una sintetica vita del Beato Raimondo Lullo, che è forse il maggiore studioso dell'islam di tutti i tempi, in modo che ognuno possa "conoscere il loro pensiero".
A sinistra, un dipinto della Madonna delle milizie, Patrona di Scicli in Sicilia, che rappresenta l'intervento diretto di Maria Santissima nella battaglia contro i maomettani del 1091.
Questi i link al Card. Pell: Islam e democrazie occidentali, parte I e parte II.
Qui un discorso dell'allora Card. Ratzinger su L’Occidente, l’islam e i fondamenti della pace.
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PREGHIERA al beato Raimondo, martire dell'islam
O Dio, che hai infiammato il beato Raimondo Lullo
martire di ardore apostolico per la diffusione della fede,
fa’ che anche noi, per sua intercessione,
conserviamo incrollabile fino alla morte
la fede che abbiamo ricevuto dalla tua grazia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo,
tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
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BEATO RAIMONDO LULLO: filosofo, teologo e mistico (1233-1315) : SOLO CON LA RAGIONE E CON L'AMORE
Non è una figura molto conosciuta e citata in ambito ecclesiale, eppure è riuscito con la sua vita e con i suoi scritti a ritagliarsi un posto nella storia della filosofia (e teologia) e a conquistarsi anche un posto nella storia della mistica. Sto parlando del Beato Raimondo Lullo (Ramon Llull), nato a Palma di Maiorca nel 1233 e morto nella stessa isola nel 1315.
Per alcuni aspetti la considero una figura moderna, attuale, propositiva, degna di considerazione anche per capire certe problematiche (il totalitarismo islamico) che, guarda caso, sono presenti ma non sono risolte ancora oggi, ma che lui aveva intuito, studiato, sofferto e... tentato di risolvere.
Per la verità, la storia dice anche con risultati non esaltanti. Ma è degno del nostro ricordo perché lui almeno ci ha provato, e con tutta l’intelligenza e il suo amore. Vediamo due di questi aspetti.
Il primo: rapporto ragione e fede. È una problematica sempre esistita. Uno che crede non può non voler darsi ragione anche razionalmente, finché può, del fondamento della propria fede. Nel secondo secolo del Cristianesimo abbiamo avuto San Giustino, martire, che ha voluto indagare e ricercare anche filosoficamente, cioè razionalmente, sulla fede a cui era approdato dopo una lunga ricerca. Ma prima ancora di lui San Pietro esortava i primi cristiani ad “essere pronti a dare ragione della speranza” che avevano e che li faceva vivere e morire diversi dagli altri.
Recentemente abbiamo avuto Papa Giovanni Paolo II che ha scritto una magistrale Enciclica proprio dal titolo “Fides et Ratio” (1998). Riportiamo il suo famoso incipit: “La Fede e la Ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità”.
Anche Benedetto XVI è ritornato con forza e precisione sullo stesso tema (specialmente nel confronto con l’Islam).
Altresì il nostro Raimondo già nel 1200 ha affrontato lo stesso problema e anche lui aveva già gli stessi interlocutori, i musulmani.
Ed è questo il secondo aspetto dell’attualità del Lullo.
Un po’ come noi oggi, in questa nostra Europa, sempre più secolarizzata, post moderna e post cristiana che ci dobbiamo confrontare con la presenza sempre più massiccia dei seguaci di Maometto, che talvolta non solo sono fonte di problemi ma anche di paura (vedi fondamentalismo e purtroppo anche il terrorismo di matrice islamica).
Anche Raimondo ha dovuto sperimentare già nella sua isola di Palma di Maiorca la presenza invadente (perché invasori) dei musulmani.
Ricordiamo che la penisola iberica fu una delle prime terre di conquista militare da parte degli eserciti musulmani, fino a che furono fermati (almeno un’avanguardia) a Covandonga nell'anno 722 d.C. dal re Pelayo.
Raimondo segui me
Raimondo è nato a Palma di Maiorca nel 1233, da una nobile e ricca famiglia catalana. Ricevette un’e­ducazione nella classe sociale dei cavalieri e fu anche maggiordomo di don Giacomo, che diventerà poi re di Maiorca. Quindi ha vissuto per molti anni la vita di corte, non certo una vita di povertà ma di benessere, di lusso, di feste. Il bel mondo di corte e dell’alta società, insomma. Raimondo, poeta e cavaliere di corte non si trovava a disagio.
Sembrava felice in mezzo alle belle e sorridenti dame, alle feste numerose, ai bei vestiti, componendo e cantando poesie d’amore. Contrasse anche matrimonio con donna Blanca, dalla quale ebbe due figli: Domenico e Maddalena. Ma Cristo lo aspettava al varco, un po’ come con altri santi.
Verso i 30 anni, quando oramai sembrava “perso” in quella vita e mentre scriveva poesie d’amore, ebbe una profonda crisi religiosa. L’origine? Delle strane visioni del Cristo Crocifisso. Questi gli apparve per ben cinque volte, dicendogli “Raimondo, segui me”. La fama e l’esempio di San Francesco e della sua scelta radicale di Madonna Povertà era giunto fino a Palma di Maiorca.
Raimondo dopo vari tentennamenti prese la grande decisione: conversione totale. D’accordo con la moglie e dopo aver lasciato beni sufficienti anche per i figli, lasciò la sua precedente vita di lusso e di agiatezza, vendette parte dei suoi beni, e si mise in cammino per visitare vari santuari, in preghiera e povertà, per alcuni anni.
Raimondo, pur portato alla vita eremitica e contemplativa, scelse l’azione. Da convertito voleva diventare un convertitore, cioè uno che aiutava gli altri nel loro cammino spirituale.
Sentiva la propria vocazione missionaria, specialmente verso i musulmani che aveva in patria. A questo però si doveva arrivare non solo con la predicazione e con il dialogo (fatto con amore) ma anche con la cultura (argomentazioni razionali).
Furono questi i due orizzonti che segnarono il pensiero e l’azione di Raimondo.
Che lo portarono ad approfondire la filosofia, la teologia, a studiare anche l’arabo e specialmente ad enucleare le tecniche della logica, facendone l’arte universale, comune e accessibile a tutti, come mezzo di dialogo e di incontro per la conversione universale (notevole a questo proposito la sua opera maggiore Ars Magna).
Il suo era un progetto di “crociata spirituale” (che non escludeva affatto quelle di altro tipo) della quale sollecitò anche i papi, vescovi, principi. La sua molteplice opera letteraria aveva essenzialmente lo scopo di istruire e confermare i cristiani, e di convincere gli altri alle ragioni della fede cristiana.
Raimondo missionario sfortunato
Per due anni (1287-1289) Raimondo fu anche insegnante all’Università di Parigi (prima di lui erano stati insigni “Magister” sia Tommaso d’Aquino sia Bonaventura di Bagnoreggio). Qui poté esporre i capisaldi della sua dottrina, dando lettura pubblica dell’Ars Magna (in seguito, per la sua cultura e per i suoiscritti, i posteri lo chiameranno Doctor Illuminatus). Ha insegnato anche a Roma e Napoli.
Essendo essenzialmente uomo di azione, anche la sua riflessione era concentrata su come rendere più efficiente ed efficace, più convincente e più convertente l’azione del missionario (e sua quando volle essere missionario). Egli insisteva molto sulla formazione intellettuale (studio della filosofia, teologia e delle lingue) del missionario. Essendo la predicazione del Vangelo un’altissima missione e apostolato non poteva essere lasciato solamente all’abnegazione e alla buona volontà del singolo. Occorreva preparare e prepararsi. Il suo pensiero (teso quasi a fondare scientificamente la missione) e la sua azione ne hanno fatto un precursore di quella che oggi si chiama Missionologia.
In tutto questo Raimondo si ispirava alle due grandi figure (e santi) del secolo: San Francesco e San Domenico. Del primo aveva preso l’idea che la predicazione del Vangelo deve esser fatto nel dialogo, nella dolcezza, nella pazienza, nell’amore (famoso il tentativo di Francesco d’Assisi di parlare del Vangelo con il sultano d’Egitto, rischiando la vita). Lo seguì anche diventando Terziario francescano.
Da San Domenico e dalla scuola domenicana invece prese l’importanza della preparazione culturale, delle conoscenze intellettuali a vari livelli e nei vari campi (anche linguistico), del dialogo razionale, della fiducia nel potere della ragione, se bene usata. Tutto però sempre nel rispetto della libertà della persona (era contro certe forme di battesimo forzato).
Raimondo non solo parlò di missione di evangelizzazione, volle anche provare ad attuarle, e non solo tra i musulmani di Palma di Maiorca.
Il primo vero tentativo missionario a 60 anni. Altro che pensione e vita tranquilla. Già per questo è degno di ammirazione. Era a Genova e voleva partire per Tunisi, in mezzo ai musulmani, per sperimentare un po’ le proprie teorie e testare le lunghe riflessioni fatte.
La verità è che Raimondo era terrorizzato però dalla paura della morte, molto probabile allora (e in alcuni paesi musulmani anche oggi!), per opera dei seguaci di Maometto. Terrore che lo inchiodò a Genova. Non partì. Ma arrivò invece una grave crisi psicologica, quasi sull’orlo della follia.
Vinti finalmente i timori e le paure partì per la sua missione a Tunisi. Ma venne quasi subito espulso.
Altro che dialogo.
Dopo nel 1307 si recò nell’odierna Algeria (a Bughia).
Sperava in una sorte migliore per sé e per le proprie teorie. Le intenzioni erano ottime, la preparazione anche.
Ma, i musulmani lo arrestarono, lo picchiarono, lo imprigionarono condannandolo a morte. Infine espulsero l’incauto predicatore del Vangelo.
Ma Raimondo non si arrese. Ultimo tentativo a 80 anni suonati: nel 1314. Ancora Tunisi, dove dedicò le proprie opere al sovrano musulmano e tentò di discutere con i dottori ed esperti del Corano.
Le cose non andarono meglio.
Finì per essere lapidato.
Venne raccolto da mercanti genovesi e riportato in patria, dove morì poco dopo nel 1315.
Oggi qualcuno mette in dubbio il suo martirio, ma è indubitabile che ha osato e sofferto molto per le proprie teorie sul dialogo con l'islam, pagandone un prezzo carissimo.
Il suo culto fu forte specialmente nella sua patria. E già nel sec. XVI era venerato come beato.
Infatti il Beato Raimondo è martire per la fede dal 1850, quando il Beato Pio IX ne estese il culto alla Chiesa universale.
MARIO SCUDU sdb
da: MARIA AUSILIATRICE 2008 - 6
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Taqiyya o Kitman: mentire nell’interesse dell’Islam
Il concetto islamico di taqiyya per infiltrarsi nei paesi kafir e conquistarli
Secondo la taqiyya, ai musulmani viene concessa la possibilità di infiltrarsi in Dar-al-Harb (la “casa della guerra”, ovvero i territori non islamici), fingendosi “moderati” per insediarsi nelle città e nei luoghi vitali dei nemici al fine di aprire la strada all’islam. Questi dissimulatori agiscono spesso per conto delle autorità musulmane, e di conseguenza non sono da considerarsi come apostati o come nemici dell’ortodossia islamica.
Costoro sono legittimi mujaheddin, la cui missione è quella di fiaccare la resistenza del nemico e il loro livello di mobilitazione. Uno dei principali obiettivi è quello di causare divisioni tra gli avversari sminuendo le responsabilità dell’Islam (“Oh, ma io non sono religioso”, “Oh, ma quello non è il vero Islam, ti stai sbagliando, c’è così tanta disinformazione”, “oh, ma quella è un’interpretazione sbagliata”, “fratello, l’Islam significa pace, amore”, “hey, leggi questo versetto pacifico“).
La taqiyya è infatti la pratica di mentire nell’interesse dell’Islam.
Lo scopo è quello di ingannare i miscredenti, convincendoli della bonarietà dell’Islam attraverso l’eliminazione di dubbi e preoccupazioni su questa religione, incoraggiando la loro conversione. La taqiyya è alla base della propaganda musulmana presente oggi in Occidente. UNo degli argomenti principali di chi pratica la taqiyya é quello di un Islam che promuove l’uguaglianza dei diritti per le donne.
Tutto questo è concepito con lo scopo di portare più persone possibili alla conversione. Su questo articolo l’Imam Durham ci fornisce un classico esempio di taqiyya, giacché afferma di sentirsi obbligato dalla sua religione a impedire a un vandalo di distruggere le proprietà di una chiesa o di una sinagoga.
Questo genere di affermazioni vengono diffuse in pubblico con l’intento di presentare aspetti della religione islamica che non riflettono la realtà.
Certamente l’atteggiamento storico dei musulmani verso le chiese e le sinagoghe NON E’ stato quello di proteggerle dal vandalismo ma anzi, piuttosto è stato il contrario.
Simili menzogne, quando i musulmani sono minoranza e deboli politicamente, devono essere proferite in pubblico per presentare l’islam in una luce positiva e tollerante in modo da risultare appetibile agli occidentali e poco criticabile, in modo da far loro credere che l’immagine dell’islam come religione intollerante e violenta è soltanto un mito creato dai razzisti o più semplicemente da che vuol diffamare la Vera Fede.
Questa sorta di santificazione della disonestà è anche giustificata agli occhi di molti musulmani sulla base della diffusa convinzione che chi si oppone all’Islam sta mentendo, perciò è legittimo usare la stessa arma.
Per la maggior parte dei musulmani è assolutamente inconcepibile rifiutare l’Islam, anche se lo si fa sulla base di ragionamenti razionali.
Di conseguenza l’insistere nella miscredenza denota una mancanza di intelligenza o di moralità da parte dell’infedele.
Frithjof Schuon su questo atteggiamento dei musulmani dice:
“Le basi intellettuali e quindi razionali dell’Islam hanno l’effetto nel musulmano medio di provocare la curiosa tendenza a credere che i non musulmani o sappiano che l’Islam è la verità e quindi la rifiutino per pura ostinazione, o siano semplicemente ignoranti riguardo ad esso e quindi possano essere convertiti da spiegazioni elementari; il fatto che qualcuno possa volersi opporre all’Islam con coscienza pulita eccede di gran lunga l’immaginazione musulmana, precisamente perché l’Islam coincide nella loro mente con l’irresistibile logica delle cose.”
Questa testimonianza ci fa capire molte cose che possono essere facilmente osservate da chi ha regolarmente a che fare con i musulmani.
Ci fa capire perché gli argomenti degli apologeti dell’islam sono elementari, quasi fanciulleschi, e perché molte volte questi apologeti si riducano ad insultare l’infedele che li ha confutati.
Ci fa capire inoltre del perché molti musulmani lodino pomposamente la “logica” e la “razionalità” dell’Islam mentre allo stesso tempo difendono la loro fede con ragionamenti circolari e spesso contraddittori.
E’ per questo che i musulmani possono, senza alcuna apparente ironia, affermare che l’Islam è una “religione di pace”, anche quando la testimonianza della storia e delle cronache odierne contraddicono nettamente questa affermazione.
Per molti musulmani l’idea che un infedele possa rifiutare l’Islam a causa di una sincera ricerca della verità è assolutamente inconcepibile.
Per loro la verità dell’islam è evidente, quindi un rifiuto di fronte all’evidenza è motivato dal fatto che l’infedele, con i suoi argomenti confutativi, stia mentendo, ed è persino molto abile a farlo dato che risulta impossibile controbattere in maniera logica a queste “menzogne sull’islam”.
Ed é anche in quesi casi che subentra il ricorso alla taqiyya, per deviare le “menzogne dell’infedele” così che la logica della verità, definita a priori come esclusivamente islamica, possa prevalere.
La taqiyya va al di la del semplice scopo di propaganda.
L’origine etimologica della parola significa “per proteggersi da, per mantenere (se stessi).”
Include quindi anche la dissimulazione da parte dei musulmani nel dare l’idea di non essere religiosi, in modo da non creare sospetti.
Sotto queste mentite spoglie un musulmano, se necessario, può mangiare carne di maiale, bere alcolici, e persino rinnegare verbalmente la fede islamica, fintanto che “non lo intenda nel suo cuore”.
Se il risultato ultimo di una menzogna è percepito dai musulmani come utile per l’islam o utile per portare qualcuno alla “sottomissione” ad Allah, allora la menzogna può essere permessa attraverso la taqiyya.
Il concetto di taqiyyah si trova anche nel Corano:
Che i fedeli non prendano per amici o protettori gli Infedeli al posto dei fedeli: se qualcuno lo facesse, in nulla vi sarà aiuto da Allah: eccetto come precauzione, così che possiate guardarvi da loro. Ma Allah vi avverte di ricordarlo; perché l’obiettivo finale è Allah.” Corano 3:28
In questo versetto si sconsiglia ai musulmani di prendere gli infedeli per amici, a meno che farlo possa essere utile a difendere l’Islam dai suoi nemici (o percepiti come tali), possa prevenire perdite o possa proteggere i musulmani da chi li minacci per la loro fede.
In altre parole, il fine giustifica i mezzi.
Se un musulmano deve dare l’apparenza di non credere nell’islam, ad esempio andando contro il principio generale di non avere infedeli per amici, in base alla dottrina della taqiyya ció è accettabile.
Teniamo presente che tutto ciò che un musulmano praticante considera come “buono” è tutto ció che contribuisce alla diffusione e il trionfo dell’islam. Un esempio di qualcosa di “buono” é il numero e la posizione dei membri musulmani nelle forze armate Americane, alcuni dei quali sono stati arrestati mentre cercavano di trasmettere informazioni ad al-Qaeda e altre organizzazioni terroristiche islamiche.
da:
[islamicamentando.altervista.org]
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Nella foto a sinistra: manifestazione di forza delle comunità islamiche di Milano davanti al Duomo.
Veneto, approvata la legge anti-moschee. Schiaffo di Zaia e Tosi al patriarca di Venezia: "il consiglio regionale dice sì alla modifica della legge regionale sulle "norme in materia di paesaggio". L'assessore Donazzan: "Abbiamo il dovere di governare questo tempo, che ci richiama a emergenze legate all’islam. Questo è un dibattito ideologico"
Lombardia, nasce l'assessore anti-islam. Maroni: «Stop a chi vuole ammazzarci».
Il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni lo aveva detto: «Voglio rendere la vita impossibile a chi cerca di ammazzarci». Detto fatto. Il primo passo è la creazione dell'assessore anti Islam. L'incarico è stato affidato a Viviana Beccalossi (Fratelli d'Italia), già assessore all'Urbanistica e autrice della cosiddetta legge anti moschee.
Magdi Cristiano Allam: Conosciamo il nemico, mettiamolo fuorilegge. "È ora di dire basta a ignoranza, buonismo, viltà, ipocrisia e vocazione al suicidio di quest'Europa che immagina che per salvarsi dai terroristi tagliagole ci si debba affidare ai terroristi taglialingue, quelli che ci impongono di legittimare l'islam a prescindere dai suoi contenuti e di concedere loro sempre più moschee".
Luttwak: europei vi state suicidando con il vostro buonismo. "Siamo al suicidio della civiltà europea. Ci scontriamo con il sistematico rifiuto di accettare una verità lampante: in questa fase storica l’Islam conduce una «guerra santa» contro l’Occidente. È la seconda invasione dei barbari, dopo quella avvenuta tra il III e il VI secolo. L’Europa riuscì allora a rimettersi in piedi. Può reagire anche oggi. Eppure c’è chi dice che l’Islam è una religione di pace".
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Il “sorpasso” musulmano in Francia: come moschee e come fedeli
di Marco Tosatti per La Stampa, 9 luglio 2017
Resi noti i risultati di uno studio dell’Hudson Institute, che offre un quadro certamente inedito del panorama religioso del Paese
In Francia si costruiscono più moschee islamiche, e più di frequente, delle chiese cattoliche, e ci sono più praticanti musulmani che cattolici praticanti nel paese.
Circa 150 nuove moschee sono in costruzione attualmente in Francia, che ospita la più grande comunità islamica in Europa, I progetti sono in diversi stadi di completamento, secondo Moahmmed Moussaoui, presidente del Consiglio musulmano di Francia, che ha fornito questi dati in un’intervista del 2 agosto scorso alla Radio Rtl.
Il numero totale di moschee in Francia è già raddoppiato per superare le duemila nei dieci anni passati, secondo una ricerca intitolata: “Costruire moschee: il governo dell’islam in Francia e in Olanda”. Il più noto leader islamico francese, Dalil Boubakeur, rettore della gran moschea di Parigi di recente ha ipotizzato che il numero totale delle moschee dovrà raddoppiare, fino a quattromila, per soddisfare la domanda crescente.
Al contrario la Chiesa cattolica in Francia ha costruito solo venti nuove chiese negli ultimi dieci anni, e ha chiuso formalmente più di 60 chiese, molte delle quali potrebbero diventare moschee, secondo una ricerca condotta dal quotidiano cattolico francese La Croix.
Sebbene il 64 per cento della popolazione francese (41.6 milioni di persone, su 65 milioni di abitanti) si definisce cattolico romano, solo il 4.5 per cento (circa un milione e 900mila persone) sono cattolici praticanti, secondo l’Istituto francese della Pubblica opinione (Ifop).
Sempre nel campo dei paragoni, il 75 per cento (4 milioni e mezzo) dei circa 6 milioni di musulmani nord-africani e sub-sahariani in Francia si identifica come “credenti”, e il 41 per cento (circa due milioni e mezzo) sostiene di essere “praticante”, in base a un rapporto sull’islam in Francia pubblicato dall’Ifop il 1 agosto scorso. La ricerca afferma che più del 70 per cento dei musulmani francesi dice di osservare il Ramadan nel 2011.
Mettendo questi elementi l’uno a fianco dell’altro, questi dati forniscono un’evidenza empirica della tesi secondo cui l’islam è sulla via di superare il cattolicesimo romano come religione dominante in Francia. Dal momento che i numeri crescono, i musulmani in Francia stanno diventando più assertivi che mai prima. Un caso per tutti: gruppi musulmani in Francia stanno chiedendo alla Chiesa cattolica il permesso di usare le sue chiese vuote come strumento per risolvere i problemi di traffico provocati da migliaia di musulmani che pregano per strada.
In un comunicato dell 1 marzo scorso, diretto alla Chiesa di Francia, la Federazione nazionale della grande moschea di Parigi, il Consiglio dei musulmani democratici di Francia e un gruppo islamico chiamato Collectif Banlieues Respect hanno chiesto alla Chiesa cattolica, in uno spirito di solidarietà interreligiosa, di permettere che le chiese vuote venissero usate dai musulmani per la preghiera del venerdì, così che i musulmani “non siano obbligati a pregare per strada” o “siano tenuti in ostaggio dai politici”.
Ogni venerdì, migliaia di musulmani a Parigi e in altre città francesi chiudono strade e marciapiedi (e di conseguenza, bloccano il commercio locale, e intrappolano i residenti non islamici nelle case e negli uffici) per sistemare i fedeli che non riescono a entrare in moschea per la preghiera del venerdì. Alcune moschee hanno cominciato a trasmettere sermoni e canti di “Allahu Akbar” nelle strade. Questi disagi hanno provocato ira e reazioni, ma nonostante molte lamentele ufficiali, le autorità non sono intervenute finora nel timore di accendere incidenti. La questione delle preghiere di strada illegali è giunta al top dell’agenda politica francese quando nel dicembre 2010 Marine Le Pen, il nuovo leader carismatico del Fronte nazionale le ha denunciate come “un’occupazione senza soldati o carri armati”.
Durante un incontro nella città di Lione, Le Pen ha paragonato le preghiere islamiche nelle strade all’occupazione nazista. Ha detto: “Per quelli che amano parlare un sacco della Seconda Guerra mondiale, possiamo anche parlare di questo problema (le preghiere islamiche in strada, n.d.r.), perché si tratta di un’occupazione di territorio. E’ occupazione di sezioni di territorio, di distretti in cui la legge religiosa entra in vigore. E’ un’occupazione. Naturalmente non ci sono carri armati e soldati, ma non di meno è un’occupazione e pesa fortemente sui residenti”.
Molti francesi sono d’accordo. In effetti la questione delle preghiere di strada islamiche – e la più ampia questione del ruolo dell’islam nella società francese – è diventata un problema di prima grandezza in vista delle elezioni presidenziali del 2012. Secondo un sondaggio dell’Ifop il 40 per cento dei francesi è d’accordo con Le Pen sul fatto che le preghiere per strada sembrano un’occupazione. Un altro sondaggio pubblicato da Le Parisien dimostra che i votanti vedono Le Pen, che sostiene che la Francia è stata invasa dai musulmani, e tradita dalle sue élite, come il candidato migliore per affrontare il problema dell’immigrazione musulmana.
Il presidente francese Nicolas Sarkozy, la cui popolarità era a luglio al 25%, il dato più basso mai registrato per un presidente uscente un anno prima delle presidenziali, secondo TNS-Sofres sembra deciso a non farsi superare da Le Pen in questa battaglia. Di recente ha dichiarato che le preghiere per strada sono “inaccettabili”, e che le strade non possono diventare “un’estensione della moschea”. E ha ammonito che questo fenomeno può minare la tradizione laica della Francia di separazione fra Stato e religione. Il ministro degli Interni Claude Guéant ha detto ai musulmani di Parigi, l’8 agosto, che invece di pregare nelle strade possono utilizzare una caserma in disuso. “Pregare nelle strade non è qualche cosa di accettabile, deve cessare”.
Alcune dichiarazioni di leader musulmani sono sembrano destinate a sopire le preoccupazioni dei francesi (e non solo dei francesi). Il Premier turco Tayyp Erdogan per esempio, che ha fatto cpaire che la costruzione delle moschee, e l’emigrazione fanno parte di una strategia di islamizzazione dell’Europa. Ha ripetuto pubblicamente le parole di una poesia turca, scritta nel 1912 dal poeta nazionalista turco Ziya Gökalp. “Le moschee sono le nostre caserme, i minareti le nostre baionette, e i fedeli i nostri soldati”. L’arcivescovo emerito di Smirne, Giuseppe Germano Bernardini, racconta la conversazione avuta con un leader islamico: “Grazie alle vostre leggi democratiche, vi invaderemo. Grazie alle nostre leggi religiose, vi domineremo”.
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La messinscena di Fermo: due immigrati di colore stavano rubando una macchina e hanno picchiato un italiano che cercava di impedirgielo.La Presidente della Camera, esponenti del Governo e persino sacerdoti hanno subito solidarizzato con gli immigrati ladri e violenti.
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Il buonismo dell'ex presidente del Consiglio, Massimo d'Alema, che vuole istituire l'8x1000 a favore dell'islam e costruire molte moschee.
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Il grande politologo Luttwak spiega il funzionamento delle tre moschee: "E' una catena di montaggio che comincia con una moschea simpatica, il cui l'imam non si trova mai perché è sempre a qualche incontro interreligioso, oppure in televisione per dire a tutti che l'islam è una religione di pace. Lì non si predica minimamente la violenza, mai, però si predica l'identità musulmana. Quindi tu non sei un italiano di fede musulmana, tu sei un musulmano in Italia. C'è poi un secondo tipo di moschea, meno bella, più piccola, il cui imam si trova in giro spesso per qualche incontro interfede e così via. E lui dice: poiché voi siete musulmani, avete il dovere di essere solidali con tutti gli altri musulmani del mondo. Quindi non sei un cittadino italiano, che magari si incazza con qualche nemico dell'Italia: tu sei un musulmano che vive in Italia, quindi ti devi arrabbiare con chi attacca qualsiasi musulmano, ovunque. Sono quelli che si schierano con Hamas, con chi abita nella Striscia di Gaza. Poi c'è una terza moschea, che è molto disorganizzata, molto piccola, c'è poca gente. Lì vengono quelli usciti dalla seconda e dalla prima moschea. Quelli sono i "fratelli" e quelli, sì, vogliono agire. Molti chiacchierano, però poi qualcuno agisce."
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L'apologeta Corrado Gnerre, spiega che non siamo di fronte nè a malati mentali, nè a terroristi, ma soltanto a musulmani coerenti con il Corano:
"fa specie che l’attentatore di Nizza fosse un violento con i suoi parenti, un ubriacone, uno border-line, ecc… Ciò è del tutto irrilevante ai fini dell’atto definitivo, in questo caso dell’atto del cosiddetto “martirio”: immolarsi per la Jihad uccidendo se stesso per uccidere quanti più “crociati” possibile. Anzi, proprio perché finora si è vissuti in un certo modo, cioè in maniera difforme alla legge islamica, una scelta definitiva per Allah e la Jihad può cancellare tutto e far sì che si diventi addirittura più “santi” di coloro che invece, pur professando coerentemente la fede, non riescono a decidersi per atti del genere.
Queste considerazioni ci fanno capire quanto fuorvianti siano due approcci: quello di valutare questi atti sganciandoli dal contesto religioso e quindi dalla conoscenza dell’Islam, e quello di (approccio ancora più ingenuo) considerare l’Islam come una religione tutto sommato simile al Cristianesimo".
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L’insopportabile autorazzismo di politici e media italiani
di Riccardo Piccinato, per Azione culturale del 14/07/2016
In questi giorni sono avvenuti quattro episodi degni di nota, risaltati dai media italiani: la strage degli italiani a Dacca, la bufala dei bengalesi pestati in Italia “perché non sapevano il Vangelo”, l’omicidio di Fermo e la strage di Dallas. Quattro episodi, tutti molto diversi tra loro in modalità, responsabili, contesto, ma purtroppo tutti riconducibili alla matrice “razziale” del problema.
Pare però che i media di casa nostra trattino le vicende in maniera nettamente diversa, soffermandosi in particolare a sottolineare il razzismo italiano (o presunto tale). Una sorta di cieco inno all’autorazzismo italico. Vediamone alcuni stralci pubblicati o scritti a grancassa, cominciando proprio dalla tragedia di Fermo, sulla quale il ministro Alfano ha dichiarato: “Siamo qui per scongiurare un contagio nazionale, ma l’Italia è campione d’accoglienza”. Gli fa eco Renzi su Twitter: “Il governo oggi a Fermo con don Vinicio e le istituzioni locali in memoria di Emmanuel. Contro l’odio, il razzismo e la violenza”.
Lo stesso Don Vinicio afferma che tra l’aggressione al nigeriano di 36 anni e gli ordigni trovati nei mesi scorsi davanti a parrocchie attive al fianco di immigrati “ci potrebbe essere qualche collegamento”. E aggiunge: “È’ un’aggressione razzista, sta crescendo un clima di aggressività e di razzismo”.
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, “addolorato dal gravissimo episodio di intolleranza razziale“. “È un episodio terribile che ci dà la misura di come non si è mai vaccinati, in nessun Paese, da qualcosa che pensavamo di non vedere mai più”, ha detto il ministro della Difesa, Roberta Pinotti. Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia: “Fa rabbrividire il fatto che un uomo, scampato insieme alla sua fidanzata al terrore di Boko haram in Nigeria abbia trovato la morte in Italia, per mano di un aggressore spinto da motivi di odio razziale”.
Tocca poi al segretario regionale del Pd Marche, Francesco Comi: “E chi sbaglia, come chi, in questo caso, si è fatto strumento di odio razziale e portatore del male assoluto, deve pagare. Non può rimanere impunito”. “Da sindaco di una città accogliente e aperta da sempre all’integrazione, mi sembra di precipitare in un incubo con quanto accaduto”, è il commento del sindaco di Fermo Paolo Calcinaro.
“È d’obbligo, ma non per questo taciuta, la ferma condanna non solo per quanto accaduto ma per quanto emerge dall’episodio, ovvero lo strisciante razzismo che non può e non deve trovare spazio nel modo più assoluto nella nostra città. La mia vicinanza va anche a don Vinicio Albanesi e a chi opera nelle strutture di accoglienza, per il loro lavoro quotidiano, perché il germe del razzismo non può in alcun modo proliferare in questa comunità”.
Per non parlare poi proprio dei titoli dati dai media. Una lista infinita, ma nella quale è giusto inserire qualche esempio: “La tranquilla crudeltà di provincia”, Huffington post. “Nigeriano ucciso a Fermo, ultrà fermato per omicidio: contestata aggravante razzismo” Il sole 24 ore, mentre NeXt quotidiano scrive addirittura : “Per Matteo Salvini è colpa della vittima” o “Ecco come Salvini giustifica l’omicidio di Emanuel” (concetti, ovviamente, mai espressi dal leader della Lega). “L’omicidio di Fermo è l’ultimo atto del profondo razzismo italiano”, l’Internazionale. Il livello è così elevato da avviare addirittura una petizione su change.org sul tema.
In più o meno tutti gli articoli viene sottolineato direttamente o indirettamente il razzismo italico verso i migranti, a causa di sciacalli e speculatori seriali come Salvini, puntualmente accusato di essere fomentatore dei sentimenti più beceri.
Stesso taglio nei vari articoli, poi puntualmente smentiti, sulla bufala del pestaggio dei bengalesi “che non sapevano il Vangelo” in una sorta di contrappasso per i fatti di Dacca. Peccato fosse tutto inventato, ma anche in quel caso quotidiani e telegiornali non hanno perso occasione si sottolineare il terrificante razzismo italico, quasi sia diventato lo sport nazionale.
Arriviamo poi ai fatti di Dacca e Dallas, dove i razzisti sono gli altri e i bersagli sono gli occidentali. Questa volta i media italiani sembrano quasi sottolineare una presunta “colpa” degli italiani morti, sfruttatori del Paese povero come imprenditori. E in fondo pare se lo siano meritati anche i poliziotti uccisi, perché le persecuzioni della polizia negli States dovevano finire.
Insomma, pare proprio che per le tragedie che vedono nostri connazionali vittime ci debba essere per forza una spiegazione socialmente giustificatrice, mentre quando avviene il contrario dalle nostre parti non c’è nessuna tendenza a cercar scuse, anzi, partono le condanne a raffica. Intendiamoci, nessuno cerca né giustificazioni né scuse, ogni violenza deve essere punita. Ma perché questi due pesi e due misure?
L’autorazzismo è, a tutti gli effetti, un fenomeno culturale di massa presente nella società italiana. Il fatto che sia autoriferito, masochistico, e non offensivo verso altre culture non lo rende certamente “meno razzista” di altri atteggiamenti. È un cancro arrivato a livelli tali che lo stesso sindaco di Fermo arriva a dire, quasi in lacrime: “Non criminalizzate la città”.
I media puntano immediatamente il dito sui colpevoli o presunti tali, rei di agire con pregiudizio, con il non trascurabile dettaglio di essere mossi a loro volta da pregiudizio: un paradosso non da poco.
Una dimostrazione si ritrova proprio nei fatti di Fermo: il migrante non aveva ancora fatto a tempo a morire che le agenzie battevano già la notizia di un assassino ultrà fascista della destra razzista. Salvo poi, rivedere diverse considerazioni. Stessa cosa per la ricostruzione dei fatti: subito aperture sul pestaggio di natura fascista per poi poi scoprire, referti alla mano, che l’omicida si era difeso da un pestaggio avvenuto addirittura con pali stradali, sferrando un unico pugno che poi ha provocato la morte solo a causa di una caduta scomposta.
La gestione dei testimoni della vicenda: ci mancherebbe altro, anche loro immediatamente definiti razzisti (e come tali minacciati di morte) e inattendibili perché a “difensori” del razzista italiano per poi scoprire che sì, erano attendibili, addirittura simpatizzanti di sinistra.
L’unica cosa che non appare, ad ora, smentita, è l’insulto iniziale, quello “scimmia” inteso in sfondo razziale. Non stiamo a raccontarci frottole e ovvietà: il gesto è da condannare e rappresenta un pessimo esempio da qualunque lato lo si guardi. Ma basta questo per ritenere che tale persona debba meritare un pestaggio multiplo? Qualcuno direbbe di sì, ma non sarebbe migliore di quei fascisti violenti che tanto critica e di cui ha tanta paura.
È stato sicuramente un fatto grave e degno di nota, ma vogliamo almeno attendere la vera ricostruzione dei fatti? La verità è che la stampa sta diventando peggio dei racconti al bar dello sport: solo tifoserie attira click, a chi grida più forte razzista, antirazzista, autorazzista.
Mentre il Bangladesh ricorda anche i nostri caduti con due giorni di lutto, l’Italia è impegnata a dimenticare i suoi morti e a colpevolizzare un’intera comunità a causa di un violento. Mentre lui rappresenta tutta l’Italia, i media ci ripetono che gli attentatori islamici invece sono solo casi isolati. Forse un po’ troppo frequenti, a dire il vero. E si parla di sciacallaggio di Salvini e della destra razzista, ma a quanto pare l’unico interesse sia di stanare/inventare gli sciacalli e mai di risolvere i problemi.
Le tifoserie continuano, eppure lo scontro culturale si allarga. Segno che, forse, sarebbe completamente da rivedere il modello del matrimonio forzato tra culture, anche e soprattutto per l’imbecillità di una classe politica che non è in grado di proporre ed attuare nulla, ma solo di fare il tifo.
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Nella foto a sinistra: "Allah akbar", scritta di oltraggio e profanazione della statua di San Petronio patrono di Bologna, una città in cui l'accoglienza agli immigrati - senza limiti nè condizioni - è una priorità sia per il sindaco che per l'arcivescovo.
Ci sono tantissime prove che gli islamici vengono in Occidente senza alcuna intenzione di integrarsi. Ecco soltanto qualche articolo.
1. Dita mozzate, Madonne distrutte, Sharia: la città italiana dove governa l'islam (Libero, 27/3/2016)
... lui sta lì a far da sentinella a uno degli ingressi del «Selestan», neo-ribattezzata area a sud di Salerno, nella sconfinata Piana del Sele di Eboli. Sì, proprio dove s’è fermato Cristo ma dove Allah qualcosa da dire sembra ce l’abbia. Fracassando statue della Madonna di Lourdes al grido di «maledetti cristiani», per esempio, com’è successo non più tardi di quindici giorni fa, per opera di un immigrato musulmano che s’è anche premurato di girare verso est, in direzione della Mecca, la statua di Santa Bernadette. Ne è seguito uno scontro con la popolazione locale, infastidita dal raid islamico, con parroci, comitati di quartiere e qualche «imam» a tentare di attenuare un fuoco sempre pronto a riaccendersi sotto la cenere. Non piace molto ammetterlo ma è così, l’ordine pubblico è solo uno dei problemi legati alla concentrazione islamica in un territorio come questo, che ha un tasso di immigrazione di circa l’11%, il più alto della Campania (dopo la casertana Sessa Aurunca). Eboli conta meno di 40mila residenti, gli immigrati sono oltre cinquemila, tanto per capirci.
2. "Qui troppi simboli cristiani". Migranti scioperano a Lucca
Un gruppo di profughi pachistani, ospiti di una cittadina in provincia di Lucca, ha incrociato le braccia in segno di protesta contro i troppi simboli religiosi presenti al camposanto in cui sono impiegati.
3. "E' sbagliato", urla un musulmano magrebino, e distrugge un crocifisso in una Chiesa veneta.
4. Fidenza, musulmane vestite nella piscina pubblica.
“Sono senza parole: nelle piscine pubbliche non si può fare il bagno vestiti per chiare ed evidenti ragioni di tutela igienico sanitarie. È vergognoso che questo sia stato consentito con la scusa dei motivi religiosi a dei fedeli musulmani”.
5. Milano: egiziano cosparge la moglie di benzina e le dà fuoco
Ahmed El Sayed Abdelghany è un nullafacente. In Italia è arrivato da clandestino. E irregolarmente ci è rimasto finché non si è sposato e ha usufruito del ricongiungimento familiare. La donna è arrivata nel 2007 in Italia in modo regolare, assunta da un parente che aveva un ristorante nel Pavese dove lavorava come lavapiatti e cameriera. Conosciuto l’egiziano, i due si sono sposati in quattro e quattr’otto. All’inizio hanno vissuto separati in alloggi che ospitavano rispettivamente soli uomini e sole donne. Quando si sono trasferiti a Milano, dove sono andati a vivere insieme, la marocchina ha trovato lavoro in una pizzeria dove tuttora è regolarmente assunta, mentre lui ha continuato a farsi mantenere.
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6. Sono quasi quotidiani gli stupri, i furti, le rapine, le violenze in Italia.
Ma i media non ce lo dicono.
Ecco perchè.
Raccomandazione alle Questure: nascondete i crimini dei profughi
Necessario "tutelare" i richiedenti asilo, anche se delinquono. È discriminazione al contrario
Salvatore Tramontano - Il Giornale, 23/10/2015
La gogna non è uguale per tutti. Le Questure italiane, e i comandi dei carabinieri, hanno ricevuto una strana raccomandazione, un consiglio disceso da molto in alto, una sorta di velina a uso interno.
Se un profugo, un richiedente asilo, viene denunciato o addirittura arrestato mentre sta commettendo un reato non dovete raccontarlo a nessuno. Acqua in bocca. Omertà. Silenzio. Niente comunicati stampa, nessuna soffiata ai giornalisti. L'obiettivo è tutelare il migrante. Se, infatti, uno sta chiedendo aiuto allo Stato perché magari è perseguitato in patria significa che la sua vita è in pericolo. Nome, cognome e residenza sarebbero informazioni pericolose, notizie che i «regimi» potrebbero usare per colpire lui o la sua famiglia.
Uno viene a sapere una cosa del genere e pensa: bello, uno Stato garantista. Non c'è più il mostro in prima pagina. Solo che il principio vale solo per gli ospiti. Gli italiani devono solo pagare le tasse. Niente garantismo, nessuna tutela, neppure uno straccio di presunzione di innocenza. Anzi, quando poi si va a processo c'è la gara a far scappare dalle procure notizie, intercettazioni, frullati di vita privati, perfino di chi è capitato in quelle carte per caso, senza neppure essere indagato. E c'è anche una strana regia che calcola e razionalizza i tempi politici delle indiscrezioni. Questo è il Paese dove la condanna arriva per mezzo stampa prima dei processi e dove la carcerazione preventiva viene usata come arma di ricatto e addirittura di tortura.
Per gli italiani, insomma, il garantismo è un lusso che non si possono permettere. Siano essi personaggi famosi o sconosciuti, potenti o povera gente. È una forma di democrazia della gogna. Ora perché i profughi vengono risparmiati? Non per bontà. A quanto pare il governo non vuole turbative alla linea politica sull'immigrazione. Non parlate dei delitti dei profughi perché siccome accogliamo tutti, senza alcun controllo, pubblicizzare le loro malefatte potrebbe intaccare il consenso del governo e portare voti a chi critica le maglie larghe di Alfano e company. Meglio nascondere la realtà e continuare a raccontare agli italiani che tutto va bene, che tutto è sotto controllo. E se una notizia scappa dalle Questure, nessun problema, ci penserà Renzi a coprire Alfano. La colpa sarà stata di un gufo. Magari profugo.