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Cosa é veramente successo a Santa Rita a Parigi?
dal blog.messainlatino.it.
Nelle ultime ventiquattrore la stampa francese ed anche internazionale ha iniziato a capovolgere il senso e le responsabilità dell’increscioso fatto dello sgombero violento della chiesa Santa Rita durante la celebrazione della Santa Messa; anche la redazione di MiL ha ricevuto diverse rimostranze: i sacerdoti ed i fedeli in questione sono stati presentati come provocatori ed in piena illegalità sia canonica che civile… i due sacerdoti tradizionalisti sono stati accusati di aver esposto al sacrilegio le cose sante e di aver orchestrato questo avvenimento per mediatizzarlo.
Ebbene di tutte queste accuse, ben diffuse dai media conniventi con le autorità colpevoli di questa violenza e con una certo ambiente catto-progressista, sono falsità fatta eccezione dell’ultima: don de Tanoüarn ha dichiarato lui stesso, ma questo non ci stupisce, d’aver organizzato questa resistenza la sera prima quando é stato messo al corrente dello sfratto coatto che le forze dell’ordine avrebbero attuato l’indomani.
Egli ha invitato rapidamente numerosi fedeli e persone di spicco e l’indomani si sono ritrovati, fatto miracoloso a Parigi ad Agosto, alle 6 del mattino, in più di settanta fedeli di tutte le età fra i quali anche qualche amministratore con tanto di fascia tricolore ed in particololare il Sindaco del XV distretto di Parigi, cioé il territorio in cui si trova la chiesa Santa Rita (questo prova che non si é mai voluta nascondere la premeditazione della resistenza).
Occorreva salvare questo sacro edificio che da Ottobre 2015 era diventato un Centro di Messa (nella forma tridentina) con più di 150 presenze la domenica… e questo centro di messa non era il solito garage del quale spesso debbono accontentarsi i fedeli della messa in latino ma era una bella chiesa!
Purtroppo questo bel tempio era stata incautamente destinato alla vendita ed alla distruzione grazie ai permessi concessi dalla la Repubblica Francese all’associazione che ne era proprietaria e che aveva messo alla porta una setta gallicana che la occupava in precedenza per poi vendere tutto.
In Francia si distruggono chiese, si erigono moschee mentre sacerdoti si fanno sgozzare durante la celebrazione della Messa e nei luoghi di culto salafisti si meditano piani per distruggere l'occidente.
Don de Tanoüarn ha detto no, ed ha voluto provare a salvare questo edificio riuscendo a far slittare la data di demolizione e rendendolo un luogo di fede della Santa Chiesa.
Credo che non sia necessario insistere sul fatto che quindi questa chiesa non era più gallicana ma era ormai officiata in rito romano antico da sacerdoti in comunione con la Chiesa.
Andiamo dunque a riprendere alcuni dichiarazioni, facilmente ritrovabili sul web, di don de Tanoüarn affinché alcune cose siano chiare e che si cessino certe calunnie: innanzittutto, il sacerdote dichiara che l’intenzione era di procedere ad una protesta pacifica e spirituale: qual’é l’arma più pacifica e più spirituale della quale i cattolici dispongono, se non la Santa Messa?
Avrebbero protestato con delle messe e cosi’ é stato!
Il sacerdote tiene anche a precisare che non c’é stata profanazione diretta delle Sacre Specie, ma solo una Messa finita tra il gas (lacrimogeno) che l’ha obbligato a consumare in anticipo la Santa Comunione.
Le forze dell’ordine si sono manifestate in effetti un po’ troppo zelanti a discapito dei ministri di Dio (le foto le abbiamo già viste!).
Comunque il sacerdote trascinato per terra non era il celebrante ma don Billot che proteggeva l’accesso all’altare.
In un caso analogo ma in un culto differente, per esempio islamico o ebreo, le forze dell’ordine avrebbero agito nello stesso modo?
É lecito domandarcelo!
Teniamo a precisare che il prefetto della polizia nel suo comunicato parla dell’espulsione di trenta persone e che tutto si é svolto senza problemi e turbamenti, ma le foto le abbiamo viste.
Santa Rita deve vivere, ripetono i due sacerdoti, e questa storia non puo’ concludersi con queste scene di violenza o con i calcoli di lucro di qualche promotore immobiliare che vuole approfittare dell’imprudenza dello stato che fa distruggere monumenti storici come questo.
Chiesa occupata é vero illegalmente (diritto civile) ma per cercare di salvarla; chiesa occupata con una tolleranza dell’Arcidiocesi di Parigi della quale don de Tanoüarn ha un permesso scritto per celebrare per i fedeli di Santa Rita come anche é da anni in regola per le facoltà di confessare concesse dall’autorità ecclesiastica locale (diritto canonico, alla faccia di tutti coloro che attaccano l’istituto del Buon Pastore); Messa celebrata in condizione precarie ma con sufficiente difesa e per protestare pacificamente e spiritualmente a questa distruzione ingiusta!
Occupazione, resistenza organizzata per scuotere l’opinione pubblica; in fine, mediatizzazione di questo scandalo attuato dalle forze dell’ordine, per mostrare che la Francia non rispetta la Fede dei suoi cittadini e non teme di spruzzare gas lacrimogeni su degli inermi cattolici che per quanto occupassero illegalmente un luogo, per quanto usassero la messa per difendersi, non meritavano affatto questo trattamento ma chiedevano solo di essere ascoltati per salvare questo edificio.
In effetti i confratelli parigini ammettono di aver avuto l’innocenza di pensare che sarebbe stato possibile dopo la messa di parlare con gli uomini del corpo speciale venuti in missione di sfratto approfittando anche della presenza dei rappresentanti del popolo che erano presenti nella chiesa… ma i fatti hanno dimostrato il contrario.
Dove sono allora la "liberté, l’égalité et la fraternité »?
Dov’é la libertà di culto e di espressione tanto vantati da questo popolo figlio della rivoluzione, che più che una liberazione fu una nuova schiavitù?
Ammesso e non concesso che vi siano anche, in buona fede, tante colpe o imprudenze dalla parte di questa resistenza, non si possono tollerare tali violenze su una manifestazione pacifica e soprattutto religiosa.
Dodici camion dei corpi speciali sono stati mobilitati per lo sgombero di Santa Rita… solo due camion erano sul lungomare di Nizza quando il vile attentato ha ucciso cittadini inermi schiacciati dalla furia omicida islamica.
Si vede che gli interessi economici per la distruzione di un monumento e la costruzione di un parcheggio e di appartamenti sono sicuramente più importanti che il bene della patria.
In Francia numerosi appartamenti privati sono occupati da delinquenti e clandestini ma i poveri proprietari (spesso persone anziane) non riescono a recuperarli perché non sarà mai utilizzato un tale dispiego di forze dell’ordine per rendere giustizia a questi indifesi cittadini… ma per Santa Rita si, é stato fatto… e questo suscita molti interrogativi sul retroscena economico di questi fatti.
Chiudiamo con la stessa conclusione di un articolo assai equilibrato uscito su Zenit: "Il destino che attende santa Rita é lo stesso che é spettato a tantissime altre chiese in Francia e in altri paesi al di sopra delle Alpi.
Dal 2000 al 2013 sono state rase al suolo venti chiese in Francia e, secondo un rapporto del Senato francese, altre 250 si apprestano alla stessa sorte.
La società dei consumi spazza via ogni luogo che non genera profitto.
Ció che non potrá spazzare via é peró la fede indomita di uomini e donne come quelli che hanno opposto resistenza all’interno di Santa Rita. »
Don Giorgio Lenzi IBP
cfr:
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LA CHIESA POVERA
Ogni tanto torna di moda parlare di Chiesa povera, per i poveri.
Si sa che, normalmente, quelli che amano parlare di Chiesa povera sono i ricchi, sono quelli che poveri non sono. Chi ha assaggiato la fatica della povertà economica, non ama la povertà e non la augura a nessuno, nemmeno alla Chiesa.
Sono i borghesi che, per rifarsi un’anima a buon prezzo, hanno bisogno di un fremito di commozione sulla povertà altrui, e per un’invidia mista a un laicismo acido pretendono che la Chiesa sia economicamente povera.
Così dicendo non vogliamo affermare che la povertà, non la miseria!, non sia un valore; la povertà è uno dei consigli evangelici, che con la castità e l’obbedienza segna il cammino di perfezione della vita religiosa. E per tutti, anche per chi non è in convento, è da coltivare con estrema attenzione: la sobrietà, la modestia e la morigeratezza quanto sono necessarie alla vita cristiana di tutti!
Ma a che serve la povertà? A non sperare in se stessi, ma unicamente nella Grazia di Dio.
Questo è il punto. La povertà, con anche il suo aspetto di sobrietà economica, non serve in se stessa, serve perché rimette l’uomo nella posizione più vera, quella della sua totale dipendenza da Dio. Ed è innegabile che chi è in difficoltà economica, il povero, può capire di più cosa sia questa dipendenza, questo dover sperare in un Altro; e Dio diventa per lui più concretamente Provvidenza.
Ma questo non è mai automatico; e lo è meno che mai nel mondo odierno post-comunista, che ahimè comunista resta, che ha chiuso la povertà nella prigione della lotta di classe e della lotta per i diritti personali, e così facendo ha ucciso con l’ateismo la povertà; l’ha uccisa, non l’ha risolta!
Anche la Chiesa non può vivere la questione della povertà come il mondo post-comunista, che resta malato di comunismo.
Chiesa povera vuol dire Chiesa semplice, che non ha altra sicurezza che quella che le viene dalla grazia di Cristo e dalla Divina Rivelazione.
I poveri non hanno tempo da perdere, non hanno voglia di elucubrazioni pseudo-intellettuali. Per loro la vita urge, devono arrivare al dunque e presto, per mangiare e vivere.
E non è così anche del cristiano, quando è seriamente impegnato con la vita? Quando si è coscienti che la vita è una lotta drammatica, non si perde tempo, non ci si intrattiene sull’inutile o sul futile, si vuole giungere subito alla questione della salvezza, alla questione della grazia che salva.
Chiesa povera è allora quella impegnata sul fronte della grazia, sul fronte della salvezza delle anime, con gli strumenti dati da Dio: predicazione e sacramenti.
Ma l’orizzonte si fa sempre più scuro: dov'è questa Chiesa preoccupata della salvezza delle anime? Sembra che la maggiore parte del clero e del laicato impegnato sia occupata nel servizio al mondo. La predicazione ufficiale parla di pace del mondo, di fraternità universale, di umanità consapevole... un linguaggio degno del mondo massonico e della propaganda marxista di decenni fa.
No, questa Chiesa impegnata in qualcosa d’altro non è una Chiesa povera, anche se fa volontariato per i poveri. Non è una Chiesa povera, anche se apre a dismisura centri di accoglienza, perché ha perso la radice della vera povertà, che è sperare solo in Dio.
“Non possiedo né oro né argento, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo alzati e cammina” (At 3, 6) Nel nome di Gesù Cristo... così agisce San Pietro con lo storpio alla porta del tempio, così agisce la Chiesa di sempre di fronte ai mali del mondo: dona la grazia che salva, invitando alla conversione, quella vera.
Quando invece la Chiesa si imborghesisce parla dei poveri, ma non vive la povertà che ha come cuore il miracolo della grazia. Parla dei poveri la Chiesa ammodernata, ma è borghese nel midollo, perché cerca i mezzi umani per essere come gli altri club sociali. E anche quando parla di grazia di Dio, ne parla come un cappello aggiunto al suo pelagiano impegno tutto umano. Non è una Chiesa povera, perché la grazia di Dio, quella che discende dalla Croce di Cristo e dai sacramenti, non diventa mai il principio di giudizio e di azione.
Eppure saremo salvi se accoglieremo la grazia di Dio, e vivremo di conseguenza.
Domandiamo a Dio la grazia di vedere tornare la Chiesa a questa nobile povertà. Alla povertà coraggiosa che domanda ai peccatori di tornare a Cristo, e a coloro che non lo conoscono ancora di convertirsi a lui, unico Redentore.
E supplichiamo i pastori legittimi della Chiesa perché ci lascino vivere così: non ci interessano i borghesi che amano avere un po’ di commozione per i poveri, no - non ci interessano davvero. Vogliamo vivere da poveri, cioè integralmente cattolici, credendo pienamente nell’efficacia della grazia di Dio; credendo nell’assoluta necessità dei sacramenti; posando la vita sulla potenza della preghiera vissuta e insegnata.
Ci interessa vivere di questo, e non di altre elucubrazioni pastorali.
La mia casa sarà casa di preghiera: ecco la Chiesa povera.
Editoriale di "Radicati nella fede", settembre 2016
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L’ingiustificata rimozione del vescovo di Albenga
di Emmanuele Barbieri per Corrispondenza Romana del 7 settembre 2016)
In data 1° settembre 2016 la Sala Stampa Vaticana ha comunicato che «il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Albenga-Imperia (Italia), presentata da S.E. Mons. Mario Oliveri. Gli succede S.E. Mons. Guglielmo Borghetti, finora Coadiutore della medesima diocesi».
Il Corriere della Sera dello stesso giorno, annunciando le sue dimissioni, ha scritto che «mons. Guglielmo Borghetti, “uomo di fiducia del Pontefice”, lo scorso maggio aveva già “svuotato” il seminario ligure nel quale erano stati accolti aspiranti al sacerdozio scartati dalle altre diocesi: le norme varate da Ratzinger stabiliscono infatti che non può essere sacerdote chi ha tendenze omosessuali».
È noto purtroppo che non c’è seminario italiano privo di sacerdoti di tendenze omosessuali, anche perché la parola d’ordine corrente negli ambienti ecclesiastici è che l’omosessualità, a differenza della pedofilia, non è una colpa grave.
La situazione della diocesi di Albenga non è certo peggiore di quella di altre diocesi, anche molto più importanti.
Perché colpire proprio questo vescovo?
Peraltro, nell’annuncio dato dal Bollettino della Santa Sede non si legge il fatidico caso 401 § 2 circa la rinunzia di un vescovo diocesano, quando egli rassegni le sue dimissioni prima del compimento del settantacinquesimo anno di età, caso in cui rientra mons. Oliveri.
Nel commiato che il Presule ha presentato alla sua diocesi, mons. Oliveri afferma di dimettersi per una richiesta da parte del Papa.
E cita un passaggio di una lettera a lui rivolta dal card. Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, in cui lo si invita – in quanto ormai vescovo emerito – a «voler contribuire con le Sue parole e con i Suoi gesti, notoriamente ispirati dalla bontà, dalla cristiana carità e dalla saggezza pastorale, al rasserenamento degli animi, al mantenimento della pace nei cuori dei sacerdoti e dei fedeli di codesta comunità diocesana».
I motivi gravi per cui il Papa ha obbligato mons. Oliveri a lasciare la guida della sua diocesi non vengono enunciati dalla Santa Sede (non viene citato il canone del C.I.C. riguardante le questioni gravi, cosa che invece avviene in tutti i casi in questione).
Un vescovo, i cui gesti sono ispirati dalla «saggezza pastorale» non è certo invitato alle dimissioni per un comportamento non idoneo.
Il motivo della dimissioni di mons. Oliveri va quindi ricercato altrove.
La sua vera colpa non è quella che il Corriere della Sera gli addebita: la mancanza di severità riguardo alla condotta morale del suo clero, bensì quella che lo stesso giornale, in un altro passaggio suggerisce: di essere «fedele a Benedetto XVI nella possibilità di celebrare la messa con il vecchio rito (cosa che amava fare personalmente a differenza del Papa Emerito)».
La ragione di fondo della rimozione di mons. Oliveri va identificata nel fatto che il vescovo di Albenga ha sempre ispirato il suo ministero e la sua opera ad una visione di piena continuità con il magistero perenne della Chiesa.
In occasione del XXV anniversario di Episcopato è apparso il primo volume che raccoglie le sue opere, Fides et pax (Cantagalli, Siena 2016), ove si può trovare un compendio del suo insegnamento, così dissonante da quello corrente.
La voce di un Vescovo secondo cui «la nostra missione è di natura soprannaturale e tende essenzialmente al Regno dei Cieli, alla vita con Dio, ben consci, illuminati, dalla parola di Cristo che il suo regno “non è di questo mondo”, “non è di quaggiù”» (dall’Omelia dell’Ingresso in Diocesi il 25 Novembre 1990), suonava ben diversa da quella di tanti Presuli, oggi impegnati solo ad aprire le chiese agli immigrati, disinteressandosi del loro bene spirituale.
Mons. Oliveri si è distinto inoltre per la generosa accoglienza verso un altro genere di migranti: i seminaristi e i sacerdoti perseguitati dai loro vescovi per l’amore che portavano alla Tradizione della Chiesa. Molti di loro oggi si sentono orfani.
Ancora una volta, ad un’autentica figura episcopale è stata tolta la parola. (Emmanuele Babieri)
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Come si è arrivati all'attuale dissoluzione? Perchè nessuno provvede verso don Scordato e le sue "unioni lesbiche"? Un esempio di una delle 1.000 cause.
don Paul Renner, l’errore che sale in cattedra
(di Mauro Faverzani) Il prossimo appello è il 16 settembre, dalle ore 10 alle ore 12. L’esame, quello di Questioni di teologia morale e pratica, figura nella pagina della sede di Roma dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Docente è il prof. don Paul Renner, che insegna presso una struttura convenzionata col prestigioso ateneo, la Scuola Superiore di Sanità “Claudiana” di Bolzano.
Il personaggio, 58enne, raramente è vestito da prete, preferisce abiti spesso sgargianti oppure tipici altoatesini: molto noto in Alto Adige, lo è poco invece nel resto d’Italia. A casa propria riveste cariche autorevoli: insegna Scienze della Religione e di Teologia Fondamentale presso lo Studio Teologico Accademico di Bressanone; è direttore dell’Istituto di Scienze Religiose diocesano ed è incaricato della formazione degli insegnanti di religione per tutto l’Alto Adige; inoltre, è responsabile dell’Ufficio diocesano Cultura ed Educazione permanente. Da una figura così, con tutte queste responsabilità, ci si aspetterebbe quanto meno una dottrina salda, anzi granitica.
Stupisce prender atto che non sia così. E addolora doverlo aggiungere al pur triste eppure affollato novero di quanti siano pronti a cavalcare i peggiori luoghi comuni contro la Chiesa e contro il Catechismo. A partire – come dubitarne? – dalla questione Lgbt. Non da oggi. Già in un’intervista rilasciata al quotidiano Alto Adige nel 2000, dichiarò: «È sostanzialmente vero quanto sostengono molti e cioè che forse in futuro la Chiesa dovrà chiedere perdono per le discriminazioni e le sofferenze inferte alle persone con tendenza omosessuale».
E da qui eccolo vomitare accuse infamanti: «Roma l’hanno già rovinata i cattolici ferventi, senza dover attendere i gay». Ha nostalgia dei primi cristiani, ma solo perché almeno loro «si accontentavano di rimanere defilati e scavavano catacombe», non come al giorno d’oggi, quando «l’incidenza ed a volte l’invadenza del Vaticano nella politica rimane fortissima», commenta sconsolato. Ancora nel 2004, in un’altra intervista sempre per l’Alto Adige, non esitò a mostrarsi favorevole al riconoscimento delle unioni civili, etero e omosessuali, sia pur distinguendole formalmente da quelle sposate.
Di lui nel 2006 si è occupata anche GoiTv, la televisione della massoneria. L’occasione per un’intervista giunse dall’annuale Gran Loggia del Grande Oriente d’Italia, svoltasi al Palacongressi di Rimini dal 31 marzo al 2 aprile 2006. Don Renner vi partecipò nella veste di oratore, definendo crocifisso e grembiulini compatibilissimi, al punto da ritenere superate divisioni e incomprensioni.
Posizione ribadita anche nel suo libro, Frontiere/Grenzen: Vita freelance di un prete felice (Il Margine, Trento 2006): «I massoni sono un’organizzazione (o una serie di organizzazioni) di persone votate al progresso culturale e spirituale, che si impegnano nella filantropia», e questo, secondo lui, basterebbe a rendere i contrasti con la Chiesa roba del passato. È voce comune che anch’egli sia affiliato alla confraternita, anche se lui, si limita a sostenere «la possibilità di una duplice appartenenza alla chiesa e alla massoneria» (op. cit., p. 204).
Don Renner pare “dimenticare” la Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede del 26 novembre 1983 con specifica approvazione di papa Giovanni Paolo II, e tuttora in vigore. In essa si ribadiscono la condanna dell’appartenenza alle logge: «I loro principi sono stati sempre considerati inconciliabili con la Dottrina della Chiesa – si legge – perciò l’iscrizione ad essa rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione». Sconcertante è anche quanto dichiarato nella predetta circostanza alla tv della massoneria: «Gesù è un laico, non è mai diventato sacerdote, non ha mai esercitato il culto. Raduna intorno a sé altri laici, avvia un movimento laicale, che poi ha assunto anche una sua fisionomia clericale, ma la Chiesa è una realtà laica». Per questo non deve «fare proseliti».
Qui don Renner dimostra di non tenere in alcun conto l’istituzione dell’Eucaristia. San Tommaso (che, nel Commentarium in epistolam ad Hebraeos, scrisse: «Solo Cristo è il vero Sacerdote, mentre gli altri sono i suoi ministri» e nella Summa theologiae precisò: «Cristo è la fonte di ogni sacerdozio») e il Catechismo della Chiesa Cattolica, che al n. 1544 afferma con chiarezza: «Tutte le prefigurazioni del sacerdozio dell’Antica Alleanza trovano il loro compimento in Cristo Gesù, unico mediatore tra Dio e gli uomini». Quanto al far proseliti, val la pena ricordare quanto scritto da Benedetto XVI nell’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini al n. 91: «La Chiesa è missionaria nella sua essenza. Non possiamo tenere per noi le parole di vita eterna che ci sono date nell’incontro con Gesù Cristo». Ed ancora al n. 93: «La missione della Chiesa non può essere considerata come realtà facoltativa o aggiuntiva della vita ecclesiale. È necessario dunque riscoprire sempre più l’urgenza e la bellezza di annunciare la Parola per l’avvento del Regno di Dio, predicato da Cristo stesso».
Ma questo probabilmente sfugge al sacerdote altoatesino, talmente infervorato dalla prospettiva del dialogo interreligioso da auspicare l’insegnamento della religione islamica nelle scuole, convinto che ciò possa costituire un «deterrente» contro il terrorismo anziché l’innesto di elementi estranei alla nostra cultura. Del resto, sembra infastidirlo alquanto l’idea che una religione possa dirsi vera e, di conseguenza, le altre false, benché in questo le Sacre Scritture siano chiare: Gesù Cristo è «Via, Verità e Vita» (Gv 14,6) e non altri. Ma don Renner rilancia in un’intervista per il quotidiano L’Adige: «I primi a scatenare l’odio religioso siamo stati noi cristiani», colpa nostra quindi, contro ogni evidenza storica, a partire dal sangue dei martiri, sgorgato copioso sin dalle origini ed ancora oggi versato in molte parti del mondo.
Che una persona con tali convinzioni sia stata posta ad insegnare agli studenti universitari, ai futuri insegnanti di religione, all’Istituto di Scienze Religiose e debba curare settori strategici come Cultura ed Educazione permanente nella propria Diocesi suscita più di una perplessità. Come è possibile? Che ne pensano il vescovo di Bolzano e la Congregazione per la Dottrina della Fede?
(Mauro Faverzani, per Corrispondenza Romana del 7/9/2016)
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Dapprima una Rivoluzione scoppia, poi viene in qualche modo repressa, infine si stabilizza con una sorta di "onda lunga".
A Palermo benedetta in Chiesa una coppia lesbica: si tratta di un frutto della Rivoluzione Pastorale odierna, forse il primo di una lunga serie.
Una parte della diga cede, si tenta di ripararla, ma le crepe rimaste la faranno crollare col tempo.
Solo cinque anni fa, la Curia di Palermo aveva proibito agli omosessuali di pregare in Chiesa:
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Oggi tutto tace.
Serve l'impegno di tutti a favore della famiglia e della vita per fermare la Rivoluzione pastorale in corso.
Serve il lavoro incessante dei laici per ridare il primato alla dottrina sulla prassi attraverso la diffusione del Catechismo di San Giovanni Paolo II.
Palermo: prete benedice coppia lesbica in chiesa prima dell’unione civile
I palermitani lo conoscono bene, padre Cosimo Scordato, da decenni impegnato nelle periferie soprattutto con i bambini. È quello che si definisce un “prete di strada”, più simile a Don Gallo che a Bagnasco, per intenderci. Per questo non stupisce che, nel periodo in cui si celebrano le prime unioni civili, abbia voluto dare un segno chiaro su come si comporterà lui rispetto alle coppie omosessuali che gli si rivolgeranno.
Domenica scorsa, infatti, davanti alla sua comunità riunita per la messa nella chiesa di San Saverio, ha “benedetto” (non in senso tecnico) Elisabetta Cina e Serenella Fiasconaro che domani, 7 settembre, si apprestano a celebrare la loro unione civile in Comune. Pur non essendo assidue frequentatrici della parrocchia, le due donne hanno chiesto a padre Scordato di benedire le loro fedi. “La Chiesa non ammette questo sacramento per le coppie omosessuali ma le ho invitate comunque a venire a messa per presentarle alla Comunità, perché la Chiesa deve accogliere tutti” ha spiegato il prete secondo quanto riporta Repubblica .
Per questo le ha chiamate vicino a sé all’altare spiegando ai fedeli che la scelta delle due donne è una scelta che guarda al futuro ed ha chiesto a tutti di “accoglierle nella comunità e di pregare per la loro vita insieme”. Alla fine, il sacerdote ha detto che lo stesso farà con tutte le coppie gay e lesbiche che si rivolgeranno a lui perché, dice “le cose si cambiano a poco a poco, un passo per volta” ed ha concluso auspicando che “un giorno la chiesa accetti di benedire anche questo le relazioni omosessuali”. La folla in attesa della messa ha applaudito a lungo le due donne e il discorso del sacerdote non senza scattare decine di fotografie che hanno rapidamente fatto il giro dei social network.
(foto: Repubblica Palermo, fonte: gay.it)
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Immagine blasfema della Madonna sul sito di Gay.it scatena l’indignazione in rete
Non occorre fare grandi ricerche, per sapere cosa voglia dire «blasfemo». Il dizionario Garzanti specifica indicare tutto quanto «offenda con parole o atti ciò che per altri è divino o sacro». E propone come sinonimi «empio, sacrilego».
Ora, raffigurare la Madre di Dio con le fattezze di un organo genitale femminile corrisponde con piena evidenza a tale definizione. E questo è quanto vergognosamente proposto da Gay.it prima sul proprio profilo Facebook, poi sul sito, scatenando una raffica di reazioni ovviamente di indignazione e condanna nei confronti di quest’ennesima, volgare provocazione cristianofobica.
Così capita che gli stessi sempre pronti a strillare contro qualsiasi rilievo, vero o presunto, venga mosso alla loro condizione, si scoprano improvvisamente tanto ingenui da non cogliere cosa d’offensivo possa esservi nel raffigurare in simili fattezze la Madonna di Guadalupe, al punto da inventarsi su questo addirittura un “sondaggio”. Peraltro riferito non ad un’icona qualsiasi, bensì all’unica ritenuta persino dalla scienza non realizzata da mani umane: né un disegno, né una pittura, quindi particolarmente venerata e cara al popolo cattolico indio ed ai fedeli di tutto il mondo.
Fa chiaramente parte del gioco inventarsi, con grottesche acrobazie, caricaturali spiegazioni dalle velleitarie pretese artistiche all’oscena illustrazione: così ecco individuare nel «sesso femminile», rievocato dalla «mandorla» un «simbolo di nascita e fertilità», ignorando come esso non sia assolutamente da ricercarsi lì, bensì nei fiocchi della tunica all’altezza del ventre, richiamo tipico della cultura indigena; ignorando come la «mandorla» non sia quanto da loro “immaginato”, bensì il sole, la luce da cui si irradiano cento raggi, che illuminano tutto il Creato.
L’empia foto proposta è stata peraltro copiata dal gruppo Facebook delle ultrafemministe «antipatriarcali», un nome che è tutto un programma. Gay.it conclude, sostenendo che, in ogni caso, mettere «in moto il pensiero» sia «sempre un bene». Non è detto: dipende da quel che vi sia (o manchi) nella testa…
(M.F. per Corrispondenza Romana del 30/08/2016)
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Gli 8 miti della propaganda omo-transgender
di Rodolfo de Mattei, per Osservatoriogender.it del 29 agosto
Il 19 agosto il quotidiano online statunitense “Accuracy in Media”, che si propone di monitorare scrupolosamente l’attendibilità e la serietà dell’enorme ed incessante flusso di notizie messo in circolo dal mainstream mediatico, ha pubblicato un interessante e documentato report, dal titolo Media Myths of the Homosexual-Transgender Agenda, del giornalista Peter LaBarbera presidente dell’associazione “Americans for Truth about Homosexuality” (AFTAH).
Obiettivo della relazione, come chiarisce l’autore nella premessa, è quello di esporre e smontare i principali miti e luoghi comuni esistenti attorno al tema dell’omosessualità, evidenziandone la debolezza e inconsistenza intrinseca.
Tali, oramai annose, bugie sono infatti divenute, con il tempo, dei veri e propri miti propagandistici finalizzati, grazie al supporto dei media e della potentissima lobby omo-transgender, a dare una spinta propulsiva alla sempre più fitta e prepotente agenda LGBT.
L’AGENDA OMO-TRANSGENDER
LaBarbera elenca, uno ad uno, i punti programmatici di tale rivoluzionaria agenda statunitense dalla portata globale:
Riscossione di multe salate per punire i cristiani e i tradizionalisti che si rifiutano di partecipare con la loro attività imprenditoriale ai “matrimoni” omosessuali;
Criminalizzazione della terapia di cambiamento pro-etero per i minori sessualmente confusi;
Utilizzo del governo per costringere le scuole e le imprese a consentire che “transgender” – uomini che pensano di essere donne – di utilizzare i bagni e gli spogliatoi riservati al pubblico femminile (di sesso opposto);
Utilizzo delle leggi LGBT “di non discriminazione” per obbligare le scuole pubbliche e le imprese a punire chi non aderisce al linguaggio politicamente corretto in stile transgender-inclusive come l’utilizzo di “Zir” invece di “lei”. New York City ora chiede il “rispetto” di 31 “identità di genere”, tra cui “genderqueer”, “terzo sesso” e “pangender”;
Utilizzo dei fondi dei contribuenti per terrificanti sfiguramenti di corpi presentati come “interventi chirurgici di riassegnazione del sesso”, per esempio, l’intervento su una donna di rimozione chirurgica dei seni perfettamente sani per farle avere un seno piatto che la faccia assomigliare ad un uomo, o, all’opposto, un uomo che si distrugge chirurgicamente i propri organi genitali per realizzare un improbabile organo femminile;
Accettazione delle persone transessuali nell’esercito degli Stati Uniti, pagamento dei loro distruttivi “interventi chirurgici” di cambiamento di genere in nome dell’ “assistenza sanitaria”;
Incoraggiamento dei giovani ad adottare l’ “identità di genere” del sesso opposto, arrivando al punto di incoraggiare i minori a prendere ormoni per arrestare i fisiologici cambiamenti della pubertà, in un futile tentativo di “diventare” poi un domani, una volta maggiorenni, del sesso opposto, o peggio: permettere a ragazzi e ragazze minorenni di mutilare chirurgicamente i propri organi sessuali al fine di apparire del sesso opposto;
Insegnamento ai bambini molto piccoli, anche quelli dell’asilo, ad accettare l’omosessualità e l’idea radicale “transgender” che si possa scegliere una “identità di genere” che non corrisponde al proprio sesso biologico.
La propaganda gender è stata, e continua ad essere, così massiva e martellante da trasformare a suo favore la percezione dell’opinione pubblica nei confronti del fenomeno omosessuale. A questo proposito, il presidente di AFTAH ricorda come un sondaggio “Gallup” del 2011 abbia riscontrato che l’americano medio “ritiene” che i gay siano la spropositata cifra del 25% della popolazione, un fantomatico dato che arriva addirittura al 30% nella fascia delle donne sotto i 30 anni.
In realtà, la percentuale effettiva di uomini omosessuali, lesbiche e bisessuali nella popolazione degli Stati Uniti è solo del 2,3%.
Vediamo quali sono i principali miti, divenuti delle vere e proprie leggende globali, che hanno favorito la prepotente ed impetuosa avanzata dell’agenda gender:
MITO 1 – Gli omosessuali sono il 10% della popolazione americana
Il mito del “10%” è un vero e proprio cavallo di battaglia della propaganda omosessualista. Che il 10% della popolazione americana sia omosessuale è infatti una delle rivendicazioni di lotta di più lunga durata dell’attivismo gay. La Barbera chiarisce come tale dato immaginario sia stato messo in circolo alla fine del 1970 da Bruce Voeller, fondatore del National Gay Task Force (predecessore dell’odierna National LGBTQ Task Force), accompagnato dall’ingannevole slogan, “We Are Everywhere“.
“Così, proprio mentre i militanti “gay” facevano pressioni e boicottaggi nei confronti dei professionisti statunitensi della salute mentale per rimuovere l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali, nel 1973, essi hanno amplificato a dismisura la quota della popolazione omosessuale al fine di rendere ancora più “impellenti” e necessarie le loro richieste”.
Una politica mistificatoria che si è avvalsa del pieno e decisivo appoggio dei mezzi di comunicazione pronti a diffondere tale assurdo ed fantasioso dato statistico.
“Per decenni i giornalisti americani hanno fatto riferimento a tale affermazione del 10% – frutto di una lettura errata degli screditaty “Report” del sessuologo statunitense Alfred Kinsey. Il mito del 10 % ha raggiunto il suo scopo di dare un enorme forza politica alle istanze “gay” quando il movimento era ancora debole”.
I dati reali ovviamente dicono tutt’altro. Successivi, seri e più approfonditi, studi hanno stimato infatti una cifra totale della popolazione omosessuale-bisessuale inferiore al 5%.
“Nel 2014, un vasto sondaggio condotto dal Federal National Center for Health Statistics che ha coinvolto 35.557 americani ha inferto un colpo mortale alla tesi del 10%. I risultati dell’ampia indagine hanno infatti riscontrato che solo l’1,6 % degli intervistati si è identificato come “gay o lesbica”, mentre lo 0,7% ha affermato di essere “bisessuale.” Nel 2011, l’organizzazione LGBT Williams Institute dell’UCLA ha stimato che lo 0,3% della popolazione si identifica come transgender. Dunque, combinando insieme tali dati, tra omosessuali, bisessuali e transgender in America siamo intorno al 3%”.
Il mito “nato gay” è popolare ancora oggi
Il costante bombardamento mediatico riguardo la “bellezza” e “normalità” omosessuale sembra, purtroppo, dare i suoi amari frutti. Nonostante i dati scientifici evidenzino il contrario, circa la metà degli americani intervistati crede infatti ancora che gli omosessuali siano “nati in quel modo”. Ad attestarlo è un sondaggio Gallup del 2015.
Come riporta LaBarbera:
“Gallup ha condotto interviste, su questo ed altri temi omosessuali ogni anno a partire dal 1977. Il primo anno, nel lontano 1977, solo il 13% degli americani credeva che le persone fossero “nate omosessuali”, mentre il 56 % chiamava in causa “l’educazione e l’ambiente” di una persona come i principali fattori determinanti. Nello spazio di poco di meno di 40 anni i risultati si sono completamente invertiti. Il sondaggio condotto nel 2013 ha infatti registrato la cifra record di 51% degli intervistati che ritiene gli omosessuali siano nati con l’inclinazione verso persone dello stesso sesso, e dall’altra parte il record minimo del 30% ha citato i fattori ambientali”.
“Tali dati – conclude il presidente di AFTAH – mostrano l’enorme e soffocante potere dei media nel manipolare ed indirizzare il dibattito “gay”. Ora gli stessi mezzi stanno lavorando incessantemente per “sdoganare” anche il transgenderismo presentato anch’esso come una “normalissima” condizione innata”.
MITO 2 – “Gay si nasce”
Un altro dei miti, per tanto tempo, maggiormente in voga nell’attivismo “gay” è l’idea che gli omosessuali siano “nati in quel modo”, secondo il noto slogan “omosessuali si nasce”. Tale narrazione di comodo – fondata su di un’errata concezione del concetto di “natura” ed alimentata per anni dalle lobby LGBT – serve, nota sempre LaBarbera, ad eludere la “questione morale” dal dibattito omosessuale,
“suggerendo che gli omosessuali non sono responsabili per i loro comportamenti sessuali, perché ‘essere gay’ è una parte genetica di ‘chi sono'”.
Ma anche riguardo il presunto “innatismo omosessuale”, il presidente di AFTAH sottolinea come questo sia ormai divenuto un’idea quasi fuori moda dopo che, malgrado il grande impegno profuso in tal senso, non si sia mai trovata alcuna prova scientifica che attesti l’origine genetica dell’omosessualità.
“Negli anni ’90, parlare di un “gene gay” era di gran moda dopo che l’allora ricercatore omosessuale Dean Hamer aveva pubblicato nel 1993 sulla rivista ‘Science’ uno studio sbandierato dai media che pretendeva di aver individuato un “marcatore genetico” per l’orientamento omosessuale dei maschi. Tuttavia, ‘Science’ non riuscì a replicare il proprio studio, e anche altri tentativi analoghi fallirono. Ora l’omosessualità genetica non è più in voga, nonostante la possibilità dell’esistenza di un “gene gay” ecciti ancora i giornalisti”.
A proposito della forsennata caccia al “gene gay”, LaBarbera osserva come il più grave colpo alla teoria dell’ “innatismo gay” sia arrivato, come un boomerang, dagli studi sui gemelli omozigoti. Tali ricerche, in origine utilizzate per promuovere l’idea dell’omosessualità innata, sono oggi infatti ritenute, con un generale consenso della comunità scientifica, le prove provate dimostranti il contrario.
A conferma di ciò, esistono almeno otto importanti studi scientifici condotti su gemelli identici in Australia, Stati Uniti, e in Scandinavia, durante gli ultimi due decenni che mostrano come gli omosessuali non sono nati omosessuali.
Il dr. Neil Whitehead, uno dei principali ricercatori in tutto il mondo sul tema, ha dichiarato al sito web OrthodoxNet.com
“Da sei studi (2000-2011): se un gemello identico ha attrazione verso lo stesso sesso le probabilità che il co-gemello abbia la stessa attrazione, sono solo circa dell’11% per gli uomini e del 14% per le donne. (…) Dal momento che hanno il DNA identico [la concordanza sull’orientamento sessuale ] dovrebbe essere al 100%”.
Per approfondire il tema del “gene gay” l’Osservatorio Gender lo ha già ampiamente trattato qui nell’articolo Gay si nasce o si diventa ? e qui Gene gay?: “Gayburg” e le ipocrisie della comunità LGBTQ.
MITO 3 – I traumi infantili non c’entrano nulla
Se “gay si nasce” tutti gli eventi e gli accadimenti esterni non c’entrano nulla, perfino se si tratta di traumi dell’infanzia. Tuttavia, LaBarbera mette in luce come alcuni studiosi abbiano recentemente sottolineato il nesso esistente tra “abusi infantili” e omosessualità adulta. Il presidente di AFTAH osserva infatti come alcuni ricercatori abbiano, negli ultimi tempi, portato avanti delle teorie alternative che collegano lo sviluppo dell’identità omosessuale adulta ai traumi infantili subiti, come, l’incesto tra gemelli o le molestie su minori.
Uno studio del 2015 condotto da Keith Beard e pubblicato sulla rivista “Cogent Psychology” ha rilevato che,
“l’incesto omosessuale tra fratelli o sorelle aumenta significativamente la probabilità che i partecipanti, una volta adulti, si auto-identifichino come gay, lesbiche, bisessuali, o mettano in discussione la propria sessualità”.
A questo proposito, il presidente di AFTAH sottolinea come due importanti personaggi televisivi americani, apertamente omosessuali, il giornalista della CNN Don Lemon e Thomas Roberts della MSNBC’s, abbiano un comune passato di abusi infantili.
MITO 4 – Gli omosessuali non possono cambiare
Come più volte riportato dall‘Osservatorio Gender, gli Stati Uniti di Barack Obama hanno dato, negli ultimi tempi, una spinta decisiva al processo di omosessualizzazione globale. L’impegno profuso e i risultati raggiunti sono stati tali che la popolare rivista statunitense LGBT, “Out” ha incoronato Obama ad “alleato dell’anno” nella sua quotidiana battaglia per gli pseudo “diritti” omosessuali.
Tra le tante attività, una delle più devastanti e inaccettabili campagne pro-LGBT condotte dall‘amministrazione Obama è stata quella finalizzata a mettere al bando le cosiddette “terapie riparative”, obbligando le persone con tendenze omosessuali ad accogliere forzatamente tali pulsioni senza alcuna possibilità di via di uscita.
Come osserva LaBarbera, non vi è infatti
“verità disprezzata e rifiutata dagli attivisti omosessuali quanto la semplice realtà che le persone che hanno vissuto come “gay” o lesbiche (o “transgender”) possono cambiare e vivere onorevolmente secondo il naturale scopo creato per i loro corpi da Dio. Gli attivisti omosessuali che continuano ad affermare che le persone non possono cambiare il loro “orientamento sessuale” – ignorano le molte testimonianze di persone come Stephen Black and Dr. Rosaria Butterfield che hanno superato e vinto l’istinto dell’omosessualità nella loro vita”.
Ora le lobbies pro-omosessuali, assieme ad altri alleati come il Southern Poverty Law Center, presentati erroneamente dai media come un “gruppo per i diritti civili”, hanno alzato l’asticella delle rivendicazioni, chiedendo che le leggi statali e nazionali vietino del tutto le terapia riparative rivolti ai minori.
“Tali leggi anti-libertà – continua La Barbera – oggi esistono in California, Oregon, New Jersey, Illinois, Vermont e nel Distretto di Columbia. Il presidente Obama ha approvato un progetto di legge federale progettato per vietare cosiddetta terapia di “conversione” (cambiamento) per i minori. Questa legislazione altamente pericolosa vorrebbe limitare la libertà dei genitori e dei figli, tra cui quelli vittime di predatori omosessuali a perseguire il sano cambiamento che desiderano”.
MITO 5 – E’ possibile “riassegnare il sesso” in sala operatoria
Negli Stati Uniti si vanno diffondendo centri medici attrezzati per le operazioni chirurgiche di cambio di sesso, presentate con la definizione più soft e politically correct di “riassegnazione di sesso“, a sottolineare la possibilità di ri-assegnarsi autonomamente il sesso, secondo le proprie mutevoli e soggettive percezioni. In tal senso, il presidente di AFTAH racconta la storia di Walt Heyer, un ex transessuale che si è sottoposto ad un intervento chirurgico di “riassegnazione di sesso” da maschio femmina per diventare il suo alter ego femminile ( “Laura”).
“Heyer, sottolinea LaBarbera, non era “nato transgender”, quanto vittima di alcune tragiche circostanze di infanzia, tra cui una nonna che lo vestiva in costume da donna quando era ancora un ragazzino. Ora ha riacquistato la sua identità maschile naturale e incoraggia gli uomini dal sesso confuso di non sottoporsi a radicali operazioni e terapie ormonali per inseguire una mera fantasia”.
Heyer è oggi diventato un formidabile testimone contro l’ideologia transgender, scrivendo un interessante libro, Paper Genders. Il mito del cambiamento di sesso (SuGarco 2013), riguardo la propria esperienza in cui riporta, tra l’altro, l’autorevole testimonianza del noto dottor Paul McHugh, Professore di Psichiatria presso la Johns Hopkins University School of Medicine, che, dopo aver attentamente studiato i risultati degli uomini che si erano sottoposti ad interventi di “cambio di sesso” rispetto a coloro che non non lo avevano fatto, ha messo fine al programma “riassegnazione chirurgica del sesso” dell’università.
Una drastica ma convinta decisone così illustrata dallo stesso McHugh nel 2014:
“La maggior parte dei pazienti trattati chirurgicamente avevano affermato di essere ‘soddisfatti’ dei risultati, ma i loro successivi adeguamenti psico-sociali non erano migliori di quelli di coloro che non si erano sottoposti ad intervento chirurgico. E così che alla Hopkins abbiamo smesso di fare chirurgia per cambiare sesso, dal momento che la produzione di un ‘soddisfatto’, ma ancora turbato paziente ci è sembrata una ragione insufficiente per amputare chirurgicamente organi normali”.
MITO 6 – Gli ormoni ritardanti la pubertà aiutano i bambini “confusi”
Il dr. McHugh dedica la sua critica più veemente ai medici che vestono i panni dei “guru transgender“, pretendendo di imporre tali radicali interventi chirurgici di cambio di sesso a giovanissimi e adolescenti dall’identità sessuale confusa. In realtà, essi si illudono di poter migliorare con un semplice intervento chirurgico quello che è, principalmente, un assai complesso problema psicologico:
“Un altro sottogruppo è costituito da giovani uomini e donne suscettibili alla suggestione che ‘è tutto normale’ (…). Questi sono gli aspetti transgender più simili a quelli dei pazienti affetti da anoressia nervosa: si persuadono che la ricerca di un cambiamento fisico drastico metterà fine ai loro problemi psico-sociali. I consiglieri della “diversità” nelle loro scuole, un po’ come i leader di una setta, possono incoraggiare questi giovani a prendere le distanze dalle loro famiglie, offrendogli consigli su come confutare gli argomenti contro un intervento chirurgico transgender. I trattamenti qui devono iniziare con la rimozione del giovane dall’ambiente suggestivo, offrendogli un contro-messaggio alla terapia familiare”.
In particolare il dr. McHugh punta il dito contro i folli trattamenti ormonali, finalizzati a ritardare lo sviluppo della pubertà dei bambini incerti sul proprio “genere” sessuale, mettendo in guardia riguardo le drammatiche conseguenze a cui vanno incontro i bambini sottoposti a tali criminali terapie:
“Poi c’è il sottogruppo dei giovanissimi, spesso bambini in età prepuberale che notano ruoli sessuali distinti nella cultura e, esplorando come potrebbe essere assumerli, iniziano ad imitare il sesso opposto. Dottori sviati presso alcuni centri medici, tra cui il Boston’s Children’s Hospital, hanno cominciato cercando di trattare questo comportamento attraverso la somministrazione di ormoni ritardanti la pubertà al fine di rendere i futuri interventi chirurgici di cambiamento di sesso meno onerosi, nonostante tali farmaci comportino l’arresto della crescita dei bambini e il rischio di causare la sterilità. Dato che quasi l’80 per cento di questi bambini abbandonerebbe tale confusione di genere e crescerebbe naturalmente nella vita adulta se non fossero sottoposti a trattamenti, questi interventi medici si avvicinano a degli abusi sui minori. (…)“.
Facendo tesoro dei moniti del Dr. McHugh, l’ “American College of Pediatricians“, un’organizzazione di pediatri che cerca di contrastare l’ideologico operato della più nota, e soprattutto potente, “American Academy of Pediatricians“, apertamente pro-LGBT, ha recentemente pubblicato un importante documento di denuncia, “Gender Ideology Harms Children”, che, come riportato da LaBarbera, include tra i suoi punti:
La pubertà non è una malattia e gli ormoni bloccanti la pubertà possono essere pericolosi …
Secondo il DSM-V (manuale diagnostico dell’APA per i disturbi mentali) ben il 98% dei ragazzi e l’88% delle ragazze sessualmente confusi alla fine accettano il loro sesso biologico dopo aver attraversato naturalmente la fase della pubertà;
I bambini che fanno uso di bloccanti della pubertà per identificarsi con l’altro sesso dovranno assumere ormoni cross-sessuali nella tarda adolescenza. Gli ormoni cross-sessuali (testosterone ed estrogeni) sono associati a pericolosi rischi per la salute incluso ma non limitato alla pressione alta, coaguli di sangue, ictus e cancro;
I tassi di suicidio sono 20 volte maggiori tra gli adulti che fanno uso di ormoni cross-sessuali e sono sottoposti a chirurgia di cambiamento di sesso, anche in Svezia, che è tra i paesi a maggior tasso di affermazione LGBTQ;
Condizionare i bambini a credere che una vita di rappresentazione chimica e chirurgica del sesso opposto è normale e sana costituisce abuso sui minori.
Recentemente, come riportato qui dall’Osservatorio Gender, le due principali associazioni pediatriche statunitensi si sono affrontate pubblicamente attraverso la messa online di due interessanti e contrapposti documenti sul fenomeno della cosiddetta “disforia di genere”.
MITO 7 – I figli di persone omosessuali e transgender non soffrono
Un altro ricorrente mito della propaganda omosessualista recita che non vi è “nessuna differenza” tra le famiglie omosessuali e quale normali, composte da mamme e papà, arrivando, in alcuni casi, ad affermare che la genitorialità “gay” sarebbe addirittura superiore a quella normale . Ma ancora una volta, la realtà racconta tutta un’altra storia.
A tale proposito, LaBarbera riporta quanto scritto dall’analista statunitense dell’Heritage Foundation Jamie Bryan Hall, che ha studiato l’opera del professore di sociologia Dr. Paul Sullins della Catholic University.
Sullins, che ha analizzato attentamente i dati del sondaggio federale National Health Interview dal 1997 al 2013, come scrive Hall, è arrivato a conclusioni opposte:
“(..) il dottor Sullins ha riscontrato che i figli di genitori in relazioni omosessuali hanno risultati significativamente peggiori rispetto a quelli dei genitori di sesso opposto su 9 delle 12 misure riguardo i problemi emotivi o di sviluppo e il loro uso del trattamento di salute mentale. In generale, i figli di genitori in relazioni omosessuali hanno circa due o tre volte di più la probabilità di avere tali problemi. Nella sua più ampia analisi statistica, in cui prende anche in considerazione la stabilità della relazione, la stigmatizzazione e il disagio psicologico dei genitori, Sullins nota che la prevalenza di problemi emotivi tra i bambini che vivono con genitori dello stesso sesso è 4,5 volte più alta tra i bambini che vivono con i loro genitori biologici sposati, 3 volte maggiore nei bambini che vivono con un genitore acquisito sposato, 2,5 volte più elevato di quelli con i genitori conviventi, e 3 volte di più nei bambini con un solo genitore”.
A proposito di famiglie normali e omosessuali segnaliamo questi 3 articoli pubblicati sull’Osservatorio Gender dedicati ad uno dei massimi esperti sul tema, il sociologo statunitense Mark Regnerus: Regnerus: i dati ci dicono che per i bambini è meglio crescere con mamma e papà, Mark Regnerus, studioso serio ed onesto contro il “gender diktat” globale, Intervista a Mark Regnerus: “Stati Uniti, Gran Bretagna Canada promuovono una società de-sessuata”.
MITO 8 – L’omosessualità non causa alcun problema di salute
Un’altra delle affermazioni che la comunità LGBT respinge con maggior forza è il rapporto tra comportamenti omosessuali e gravi problemi di salute. A tale proposito, il presidente di AFTAH sottolinea come quanto scritto dal dottor Sullins nel 2004 sia tutt’oggi vero:
“Come l’aborto, l’omosessualità è associata ad un aumento dei problemi di salute mentale e di angoscia. Anche se raramente riconosciuto sui media popolari o nei discorsi pubblici, l’emergere di evidenze epidemiologiche negli ultimi dieci anni ha chiaramente stabilito un legame tra l’omosessualità e la malattia mentale o problemi emotivi”.
In tema di omosessualità e salute, LaBarbera denuncia la scellerata campagna dell’amministrazione Obama per consentire agli omosessuali maschi di poter donare il sangue, evidenziando come la spregiudicata lobby LGBT sia disposta a tutto pur di raggiungere i propri ideologici obiettivi:
“la lobby LGBT è più preoccupata di segnare un altro score nei “diritti dei gay” piuttosto che di proteggere la fornitura di sangue della nostra nazione. È come se le migliaia di storie nel corso degli ultimi decenni, comprese quelli riguardanti la crisi dell’AIDS, che ha mostrato l’elevata correlazione tra “uomini che fanno sesso con altri uomini” (MSM) e varie malattie, non fossero mai state pubblicate”.
A riguardo, LaBarbera riporta i dati circa la relazione tra omosessualità e salute, messi a disposizione dai “Centers for Disease Control” (CDC):
HIV – Nel 2011, un sorprendente 94-95% dei nuovi casi di HIV tra i maschi di età dai 13 ai 24 anni sono stati collegati a MSM (Men who have Sex with Men).
Sifilide – Nel 2012, l’84% dei nuovi casi di sifilide sono stati collegati a MSM (Men who have Sex with Men) facendo della sifilide la nuova “malattia gay”.
Hepatitis – “Una nuova ricerca dimostra che gli uomini gay che sono positivi all’HIV ed hanno più partner sessuali possono aumentare il loro rischio per l’epatite C.”
Shigellosis– “Chiunque può contrarre la Shigellosis, ma è riscontrata più spesso nei bambini piccoli. Quelli che possono essere maggiormente a rischio sono i bambini in asili nido, i viaggiatori stranieri in alcuni paesi, le persone istituzionalizzate e le persone esposte a feci umane attraverso il contatto sessuale”.
Gli elevati e concreti rischi insiti nell’adozione dello stile di vita omosessuale sono stati recentemente denunciati da due eminenti studiosi statunitensi attraverso la pubblicazione di uno degli studi scientifici più rigorosi compiuti finora. A pochi giorni di distanza, è stata la volta del Servizio Sanitario Britannico che ha lanciato l’allarme sifilide per la capitale Londra a causa della sempre maggiore diffusione di disordinate abitudini sessuali. Il report redatto dal Public Health England, ha rilevato come nel 2015 ci sia stato un vero e proprio boom di infezioni, con la malattia diagnosticata a 2.811 londinesi, vale a dire il 56% di tutti i casi dell’Inghilterra, pari a 5.042.(leggi qui l’articolo completo Omosessualità: Londra capitale della sifilide in Europa).
Gli 8 miti qui elencati sono solo alcune della tante menzogne messe in giro dall’attivismo LGBT al fine di raggiungere i propri scopi sovversivi. Se vuoi aiutarci a diffondere la verità e smascherare il piano di omosessualizzazione della nostra società CONDIVIDI QUI questo articolo!
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I terremoti più gravi sono di ordine spirituale
(di Roberto de Mattei, Il Tempo, 30 agosto 2016)
Nel corso dell’Angelus di domenica 28 agosto Papa Francesco ha annunciato che «appena possibile» si recherà a visitare le popolazioni terremotate del Lazio, dell’Umbria e delle Marche, per portar loro di persona «il conforto della fede, l’abbraccio di padre e fratello, e il sostegno della speranza cristiana».
Quell’«appena possibile» non è legato all’agenda del Papa, che sarebbe voluto partire immediatamente, quanto ad evitare che la sua presenza possa risultare d’intralcio al lavoro dei pompieri, della protezione civile, delle forze dell’ordine. Come ricorda Andrea Tornielli, il blitz di Giovanni Paolo II, a sole 48 ore del sisma che il 23 novembre 1980 colpì Campania e Basilicata, provocò accese polemiche. Ci fu chi disse che Giovanni Paolo II aveva intralciato i soccorsi e distratto le forze dell’ordine da altri compiti più urgenti. Benedetto XVI, per contro, attese 22 giorni prima di visitare l’Aquila devastata dal sisma del 6 aprile 2009, e 36 giorni prima di recarsi in Emilia, dopo il terremoto del 20 maggio 2012.
La scelta di rinviare la visita appare dunque opportuna per varie ragioni. Nelle prime settimane immediatamente successive alla catastrofe, i terremotati hanno bisogno di soccorso soprattutto materiale. È nei mesi successivi, quando la loro situazione non fa più notizia, che essi si sentono abbandonati e hanno bisogno di sostegno spirituale e morale. E nessuno, meglio del Papa, può portare questo soccorso che consiste, soprattutto, nel ricordare che tutto nella vita cristiana ha un senso, anche le peggiori catastrofi.
È questa la risposta che si deve dare a chi, come Eugenio Scalfari, su La Repubblica del 28 agosto pontifica su Il terremoto di Amatrice e tutti gli altri mali del mondo, chiedendosi qual è la ragione, non solo del sisma che ha sconvolto il centro Italia, ma del caos che sconvolge oggi il mondo, cercando la risposta nel pessimismo cosmico leopardiano.
È necessario anche che siano evitate le inevitabili accuse di protagonismo, pronte ad essere lanciate a chi ama troppo il palcoscenico, come Papa Francesco, che nei giorni scorsi è stato impegnato in riprese cinematografiche nei Giardini Vaticani, legate, sembra, all’interpretazione di se stesso in un film, malgrado lo scorso febbraio il Vaticano abbia smentito che Papa Bergoglio abbia intenzione di fare l’attore.
È vero però che la tragedia del terremoto si inserisce in una situazione internazionale tempestosa. Le prime pagine dei giornali nelle ultime settimane sono state occupate quasi solamente dalle notizie sul sisma in Italia e poco rilievo si è dato ad informazioni inquietanti, come quella dell’invito del governo tedesco di fare scorte di cibo ed acqua in previsione di un’eventuale emergenza nazionale.
I fedeli si aspettano infine che il Papa ricordi che le sciagure materiali distruggono i corpi, ma esistono cataclismi spirituali e morali, ancor più violenti, che travolgono le anime. E la stessa Chiesa cattolica è scossa oggi, al suo interno, da un terremoto.
Su Internet gira la foto di una statua della Madonna miracolosamente rimasta illesa tra le macerie di una chiesa di Arquata del Tronto. Le invocazioni alla Madonna si sono moltiplicate tra i terremotati e Antonio Socci si è fatto portavoce della richiesta rivolta da alcuni cattolici italiani al cardinale Bagnasco di rinnovare la consacrazione dell’Italia al Cuore Immacolato di Maria. Ma la Madonna non ha trovato posto neppure in uno stand del Meeting di Rimini, e la devozione mariana è incompatibile con l’abbraccio ecumenico con musulmani e protestanti.
(Roberto de Mattei, Il Tempo, 30 agosto 2016)
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San Giovanni Paolo II, nel 1985, aveva indicato la via della presenza cattolica nella società italiana, della lotta. A distanza di soli 30 anni, sembra che si debba essere subalterni al demonio, al mondo, alla carne, alle ideologie correnti.
Caro Giovagnoli su Loreto manipoli la storia
di Mons. Luigi Negri - Arcivescovo di Ferrara - 27-08-2016
Pubblichiamo una lettera aperta di monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, al professor Agostino Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea all'Università Cattolica di Milano, in seguito al suo intervento al Meeting di Rimini in cui presenta una rilettura della storia della Chiesa italiana degli ultimi trenta anni, a partire da una critica al Convegno ecclesiale di Loreto del 1985 (clicca qui per leggere i principali passaggi discutibili a cui si riferisce monsignor Negri).
Carissimo Giovagnoli,
ti scrivo usando quella confidenza e sincera lealtà con cui abbiamo vissuto i nostri rapporti fin quando sono stato docente della Università Cattolica. Ricordo i nostri bei dibattiti svolti fra una lezione e l’altra: ho cercato di aprirmi alle tue ragioni, molto diverse dalle mie, ma credo che anche tu in questo dialogo abbia potuto identificare il senso e la ragione della mia presenza in Cattolica e nella Chiesa italiana.
Sono rimasto molto colpito, negativamente, dal tuo intervento al Meeting di Rimini sul genio della Repubblica. Certamente sono affermazioni, le tue, che richiederanno chiarimenti e approfondimenti, ma intanto sto al senso del tuo intervento.
Sono due i punti di dissenso dalla tua posizione:
Il primo riguarda una rilettura scorretta, gravemente scorretta, di quello che è stato il grande convegno di Loreto del 1985.
In quell’occasione Giovanni Paolo II si prese la responsabilità di indicare le linee di una identità dei cattolici italiani nel loro servizio al bene comune, riproponendo in maniera esplicita il valore insostituibile della Dottrina sociale della Chiesa, considerata come elemento dinamico così come era stato lungo la storia degli ultimi secoli.
Tu accenni a una resistenza: io ricordo bene il clima di resistenza e di distanza in cui l’intervento del Santo Padre fu seguito quasi senza nessun applauso.
Applausi che invece debordarono moltissimi nei confronti dell’allora presidente dell’Azione Cattolica, di cui purtroppo ora non ricordo il cognome ma che era certamente su posizioni molto diverse da quelle di san Giovanni Paolo II.
Il Papa chiuse allora una stagione triste della Chiesa italiana piena di complessi di inferiorità, piena di reticenze, di resistenze; ha chiuso il dualismo fede-politica, fede-cultura, fede-ragione, ridando il senso dell’avvenimento della fede come avvenimento unitario, globale, aderendo al quale si procede verso il cambiamento integrale della propria intelligenza, della propria affezione.
Il contributo che Loreto ha indicato ai cattolici italiani era quello di una presenza fortemente identificata.
Non contro nessuno: fortemente identificata come avvenimento di fede, fortemente identificata come appartenenza al mistero della Chiesa e soprattutto tesa a investire la realtà della vita sociale di una presenza missionaria nella quale - e attraverso la quale - avveniva un significativo incontro tra i cattolici e le altre componenti della vita sociale italiana.
Il modo per lavorare per l’unità – e qui entro nel secondo livello delle mie osservazioni – è esattamente questo appena descritto.
Non di lavorare senza identità, senza caratterizzazioni per una unità del popolo italiano che così come viene adombrata da te non c’è mai stata; per una unità che è tutto sommato una sorta di indifferenza che è la promessa se non già l’esperienza di una omologazione, che è certamente oggi il grande pericolo della nostra società.
Ciascuno non sa più chi sia veramente perché mancano le possibilità di quell’approfondimento della propria identità che – come diceva il mio grande maestro don Luigi Giussani – è la condizione per una effettiva possibilità di dialogo.
Il dialogo è il dialogo tra identità, non è una sorta di meccanismo neutrale che c’è per forza propria. Io ho lavorato più di sessanta anni per la Chiesa in Italia, e credo che il contributo che ho dato insieme a tantissimi amici di Comunione e Liberazione (Cl) sia stato quello del recupero di una identità cristiana in funzione di una missione sempre più forte, più libera, capace di creare effettivamente una società più vera, più libera, più umana.
Adesso tanti fatti, tanti avvenimenti e tante esperienze della vita di Cl mi sembra siano presentate secondo una ottica ideologica che non posso condividere perché questi avvenimenti non sono accaduti come vengono descritti oggi. E poi perché mi sembrano di una enorme banalità.
Caro Giovagnoli, sono intervenuto perché ci sia una possibile chiarificazione tra noi, e ci si aiuti a integrarsi.
Ma lasciami anche dire che ho aspettato invano che ci fossero voci libere come la tua che ricordassero ai responsabili del Meeting e a tutti che non è possibile che venga negato nell’ambito del Meeting il diritto di parola a gente che porta sulle sue spalle il peso di una fedeltà alla Chiesa che ha significato martirio, a volte offerta della vita (il riferimento è a quanto accaduto per il dibattito sulla normalizzazione dei rapporti tra Cuba e Stati Uniti, clicca qui).
Mi è suonata terribile l’affermazione di una responsabile del Meeting secondo cui lo spirito del Meeting «non è di dare voce a chi non può parlare».
Vorrei dire a costoro: scusatemi, io per 36 anni non solo ho avuto questa esperienza ma ho lavorato perché chi non aveva voce nella società potesse averla almeno nello spazio libero di un dialogo fra identità operate o sostenute dall’amore a Cristo e all’uomo.
* Arcivescovo di Ferrara-Comacchio
da: La Nuova BQ.it
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Farà carriera? Temiamo di no... Perchè siamo arrivati al punto di meravigliarci quando un vescovo parla di fede...
Domine salva nos perimus!
Le parole di fede del vescovo di Ascoli Piceno
(di Cristina Siccardi)
L’omelia che Monsignor d’Ercole ha tenuto ad Ascoli Piceno il 27 agosto u.s. per i funerali di Stato in suffragio delle vittime del terremoto che ha colpito il centro Italia è il segnale che, anche in tempi di aperta apostasia, di commistioni sincretiche anticattoliche, di corruzione spirituale e morale, il coraggio della Fede viene invocato come unica e reale risorsa.
Parole retoriche, qualcuno potrebbe dire, oppure di un’età della Chiesa modernista che tutto infetta… e invece no, perché abbiamo ascoltato parole di Fede, parole di un Pastore che all’angoscia del proprio gregge ha dato risposte tratte dal patrimonio della Tradizione della Chiesa.
Il Vescovo di Ascoli Piceno ha invitato tutti a puntare al coraggio della Fede, come fece Giobbe. Il terremoto con la sua violenza può togliere tutto, eccetto il coraggio della Fede, «scialuppa quando ci si trova in un mare in tempesta».
Il Vescovo si è rivolto ai fedeli in questi termini: «Cari amici, mi rivolgo soprattutto a voi che siete diventati la mia famiglia. “E adesso, vescovo, che si fa?ˮ. Quante volte in questi giorni, amici miei, mi son sentito ripetere questa domanda. Dai familiari delle vittime; da chi si ritrova senza famiglia e senza casa; dai giornalisti in cerca di notizie; dai parenti e dagli amici nell’obitorio fra le salme che aumentano con il passare delle ore e dei giorni. Domande spesso solo pronunciate con il pianto e lo sguardo perso nel nulla. Esiste una risposta? (…) Questa stessa domanda – “E adesso che si fa?ˮ – l’ho rivolta in queste interminabili giornate di commozione e di strazio a Dio Padre, suscitato dall’angoscia di padri, madri, o figli rimasti orfani, dall’avvilimento di esseri umani derubati dell’ultima loro speranza. “E adesso, Signore, che si fa?ˮ. Quante volte, nel silenzio agitato delle mie notti di veglia e d’attesa, ho diretto a Dio la medesima domanda: a nome mio, a vostro nome, nel nome di questa nostra gente tradita dal ballo distruttore della terra. Mi è venuto subito in mente l’avventura di Giobbe, questo giusto perseguitato dal male». La polvere, ha proseguito il Vescovo, è «tutto ciò che è rimasto a questa gente, Signore, dopo la tragedia. Tutto sembra diventato polvere (…) Un intero pezzo di storia adesso non c’è più. Polvere, nient’altro che polvere: la polvere che per Giobbe, dopo il dramma di una fatica disumana, diventa altare sul quale brilla la vittoria di Cristo».
Da Giobbe alla citazione di uno scrittore cattolico, legato, per idee religiose e civili, alla gloriosa Tradizione cristiana, quella con la T maiuscola, fiera della sua identità, quella Tradizione che ha permesso, con la semina della Buona Novella, di raccogliere nel mondo abbondanti frutti miracolosi di vita, sia terrena che eterna. La frase guareschiana citata da Monsignor d’Ercole è stata estrapolata da un’omelia di Don Camillo, tenuta dopo un’alluvione a Brescello: l’acqua ha tutto ricoperto, ma non la voce della Fede: «Le acque escono tumultuose dal letto del fiume e tutto travolgono: ma un giorno esse torneranno placate nel loro alveo e ritornerà a splendere il sole. E se, alla fine, voi avrete perso ogni cosa, sarete ancora ricchi se non avrete perso la fede in Dio. Ma chi avrà dubitato della bontà e della giustizia di Dio sarà povero e miserabile anche se avrà salvato ogni cosa».
Il sisma, che ha tragicamente coinvolto molti paesi e molti abitanti, è simbolo dei terremotati giorni dell’età contemporanea, dove non soltanto l’ateo si rivolta contro le leggi divine, ma gli stessi ministri di Dio si contrappongono alla logica del diritto naturale e del diritto divino, alle Sacre Scritture, come alla professione di Fede, queste ribellioni dovrebbero far tremare i polsi di ogni persona che non ha occultato la coscienza: perdere un proprio caro, perdere la propria casa, perdere la propria attività lavorativa sono dolori terribili, ma sono temporanei, a fronte della perdita per sempre della propria e/o delle altrui anime. Per chi crede, esiste la Divina Provvidenza che agisce attraverso la virtù della speranza in Gesù Cristo, l’Agnello immolato per ciascuno, che ha portato la salvezza anche per le vittime del 24 agosto.
Due figure letterarie sono emblematiche nell’aver avuto o non avuto fiducia nella Divina Provvidenza, rispettivamente Silvio Pellico e Primo Levi. Basta osservare il termine della loro vita per rendersene conto.
Il cattolico Pellico, seppure fiaccato dal carcere dello Spielberg, morì in pace con se stesso e con il mondo: fu la Fede a salvarlo.
Il non cattolico Levi non resse alla memoria della prigionia del campo di concentramento e si suicidò.
Scrisse Pellico «Sia benedetta la Provvidenza, della quale gli uomini e le cose, si voglia o non si voglia, sono mirabili stromenti ch’ella sa adoprare a fini degni di sé».
Aveva scritto Levi: «Se non altro perché un Auschwitz è esistito, nessuno dovrebbe oggi parlare di Provvidenza».
Invece siamo ancora qui a parlarne, forte e chiaro. La invochiamo supplicanti. E grazie alla Divina Provvidenza, che ha già permesso la presenza di suoi «stromenti» (pompieri che hanno salvato vite, volontari che hanno dispiegato e dispiegano forze ed energie, milioni di euro raccolti con i soli sms…), su queste povere terre martoriate la polvere scomparirà per far spazio a case e chiese, come ha affermato Monsignor d’Ercole: «Le torri campanarie dei nostri paesi, che hanno dettato i ritmi dei giorni e delle stagioni, sono crollate, non suonano più. Ma un giorno, esse continueranno a suonare, riprenderanno a suonare».
(Cristina Siccardi, per Corrispondenza romana del 31/8/2016)
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Gli psichiatri Usa sdoganano la pedofilia, da malattia a “orientamento”
La stampa conservatrice parla già di “mainstreaming della pedofilia”, della sua definitiva normalizzazione. I liberal più militanti esultano per la “destigmatizzazione della pedofilia”.
E’ successo che l’Associazione degli psichiatri americani, una delle più importanti associazioni scientifiche del mondo, ha modificato nel suo ultimo manuale la linea sulla pedofilia: non più “disordine” ma “orientamento” come gli altri. In sostanza, le “attenzioni” degli adulti nei confronti dei bambini non sono più considerate un “disturbo”.
La decisione è stata subito denunciata dall’Associazione della famiglia americana e va a completare un ciclo di ripensamenti della pedofilia cominciato negli anni Cinquanta.
Una sorta di evoluzione linguistica che indica però una trasformazione culturale.
Nel precedente “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders”, una specie di “bibbia” occidentale per gli psichiatri, il manuale usato per i trattamenti psichiatrici e che si prefigge l’obiettivo di “fornire alla comunità psichiatrica internazionale un linguaggio comune sui disturbi mentali basato sull’evidenza scientifica”, la pedofilia era stata declassata da “malattia” a “disordine”, a un “orientamento sessuale o dichiarazione di preferenza sessuale senza consumazione”.
Adesso l’Apa, a tredici anni di distanza dall’ultima revisione del testo, fa un passo ulteriore: “Come l’Apa dichiarò negli anni Settanta che l’omosessualità era un orientamento sotto la forte pressione degli attivisti omosessuali, così ora sotto la pressione degli attivisti pedofili ha dichiarato che il desiderio sessuale verso i bambini è un orientamento”, denuncia l’Associazione cattolica.
Nel precedente manuale, a cui hanno lavorato oltre mille esperti in psichiatria, psicologia, assistenza sociale, pediatria e neurologia, si considerava “disordine mentale” quello di un molestatore di bambini, se la sua azione “causa sofferenze clinicamente significative o disagi nelle aree sociali, occupazionali o in altri importanti campi”.
La pedofilia viene definita “amore intergenerazionale”. Una trasformazione avvenuta sotto la spinta degli studi di Alfred Kinsey, il guru della rivoluzione sessuale occidentale che ha ispirato molti studi psichiatrici in campo sessuale.
Nel suo secondo “Rapporto” c’è un paragrafo intitolato “Contatti nell’età prepubere con maschi adulti”, nel quale vengono descritti rapporti sessuali tra adulti e bambini: “E’ difficile capire per quale ragione una bambina, a meno che non sia condizionata dall’educazione, dovrebbe turbarsi quando le vengono toccati i genitali, oppure turbarsi vedendo i genitali di altre persone, o nell’avere contatti sessuali ancora più specifici”.
Già nel 1998 il prestigioso Bollettino di psichiatria aveva pubblicato uno studio di tre professori (Bruce Rand della Temple University, Philip Tromovitch della Università della Pennsylvania e Robert Bauserman della Università del Michigan) che per la prima volta ridefinivano l’espressione e il significato di “abuso sessuale sui bambini”.
Si legge nel volume che “questi studi dimostrano che le esperienze sofferte da bambini, sia maschi che femmine, che hanno avuto abusi sessuali sembrano abbastanza moderate. Essi asseriscono inoltre che l’abuso sessuale su un bambino non necessariamente produce conseguenze negative di lunga durata”.
Dopo le accuse questa settimana di aver normalizzato la pedofilia, l’Associazione degli psichiatri ha detto che rettificherà il nuovo manuale, distinguendo stavolta fra “pedofilia e disordine pedofiliaco”.
Se la seconda resta una patologia psichiatrica, la prima diventerà “un orientamento normale della sessualità umana”.
Il discrimine è nella mano che accarezza?
Sofismi da parte di chi per anni, nelle aule dei tribunali americani e sui media, ha scatenato la caccia alla chiesa cattolica a suon di psichiatri-testimoni e che adesso considera la pedofilia al pari di ogni altro comportamento sessuale.
D’altronde questa è la forza di chi scrive i manuali scientifici: un disturbo psichiatrico non esiste se non c’è nel manuale degli psichiatri americani.
E’ il potere di scrivere, letteralmente, la realtà.
di Giulio Meotti, per Il Foglio
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Maestro nella vita spirituale? Intransigente custode della fede? Campione nella lotta contro la modernità? Niente di tutto questo.
Vaticano, promosso il vescovo che ha fatto il barbone
Città del Vaticano - Largo ai vescovi da strada. La Chiesa da tre anni in qua, pian piano, procedendo gradualmente, sta mutando volto. Man mano che nelle diocesi i vescovi se ne vanno in pensione raggiungendo il 75esimo anno, il Papa li sta sostituendo con candidati di rottura, pastori disposti a tutto pur di evitare ogni scontro. Si tratta di successori degli apostoli che si avvicinano al suo modo di agire per costruire l'ospedale da campo, decisamente più aperti alla modernità, accoglienti solo verso gli emarginati, propensi ad un dialogo a 360 gradi capace di ignorare l'esistenza di steccati culturali o ideologici.
In sintesi meno ardimentosi e più conformisti.
L'ultima nomina che va in questa direzione riguarda il Canada, la città di Regina. A ricoprire la sede vacante è andato un giovane vescovo, Donald J. Bolen, noto forse soltanto per avere provato a vivere come un homeless per tre giorni, facendo la fila alle mense, chiedendo l'elemosina, dormendo in alloggi di fortuna, fraternizzando con gli altri senza tetto di Saskatoon, una cittadina canadese di 200 mila abitanti, dove le estati sono calde e gli inverni sono capaci di arrivare anche a meno 50 gradi.
Dopo qualche anno di seminario e di sacerdozio, Bolen in quei giorni ha finalmente riportato una esperienza capace di cambiarlo. “Ho capito molte cose”.
Insomma l'identikit del vescovo 'modello' è il prete callejero, il prete da strada, colui che non ha paura a ignorare l'odio del mondo alla Chiesa, per immergersi solo in uana parte della realtà circostante abbandonando, se occorre, le certezze della fede.
L'orientamento di Bergoglio era stato chiaro sin dall'inizio, anche in Italia, con la nomina di Galantino che da vescovo di Cassano allo Jonio si è ritrovato a fare il segretario della Cei. Catapultato dalla periferia al centro da un giorno all'altro. Uno che non si è mai fatto chiamare “eccellenza” ma solo don Nunzio e che ha sempre viaggiato in seconda classe o guidato la sua utilitaria un po' scassata. Pronto a inchinarsi davanti ai potenti della politica, dell'economia, dei mass media.
Poi è stata la volta dei nuovi arcivescovi di Bologna e Palermo. Altri due esempi illuminanti. Anche lì si è trattato di una sorpresa per il profilo dei prescelti. Il nuovo vescovo di Palermo, Corrado Lorefice, prima era uno sconosciuto parroco siciliano che ha scritto un libro sulla Chiesa dei poveri secondo il Concilio Vaticano II.
A Bologna, invece, Bergoglio ha nominato Matteo Zuppi, già vescovo ausiliare di Roma, con alle spalle una storia di impegno per i poveri e per la pace in Africa. La scorsa estate, invece, aveva mandato a Padova un parroco di Mantova, Claudio Cipolla, anche in questo caso andando a pescare fuori dalla regione ecclesiastica del Triveneto e dai nomi proposti.
L'idea del Papa è di mescolare le carte, ricoluzionare le logiche delle promozioni e delle ambizioni di chi spera in uno scatto di posizione fino arrivare alla porpora. Insomma la Chiesa 3.0.
da Il Messaggero del Mercoledì 13 Luglio 2016, di Franca Giansoldati con integrazioni
Sulla stessa incredibile vicenda Cfr. La Stampa.
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Nomine episcopali
I nuovi vescovi “targati” Francesco: in tre anni cambiato il volto delle diocesi
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Gustave Thibon – La libertà dell’ordine – Un sentiero aperto per il ritorno – Fede & Cultura – Verona – 2015 pp. 127 - €. 12,00
di Andrea Gasperini
Nel 1972, un gruppo di giovani pisani, tra i quali il futuro docente di storia medievale Marco Tangheroni, spinse Giovanni Volpe, figlio dello storico Gioacchino Volpe e proprietario a Roma di una piccola casa editrice, a pubblicare una raccolta di brevi saggi, poco più che aforismi, del francese Gustave Thibon (1903-2001) dal titolo “Ritorno al reale-Nuove diagnosi”. Ad essa, l’anno, dopo seguì la pubblicazione dell’altra raccolta del medesimo autore dal titolo “Diagnosi-Saggio di fisiologia sociale”[1].
In quegli anni di forte tensione politica, i due libri di Thibon poterono essere diffusi pressoché esclusivamente in ambienti che oggi diremmo ‘di nicchia’. In questo caso, si trattava di quella piccola -ma assai attenta culturalmente- parte del mondo cattolico che si opponeva alla deriva progressista postconciliare della Chiesa ed insieme, alla diffusione del marxismo nella società.
Dei due libri che l’autore aveva scritto negli anni ‘40, quei giovani ed altri in Italia, si servirono principalmente come testi di lettura nei loro incontri formativi. I brevi saggi di Thibon ben si prestavano infatti sia ad essere esauriti nello spazio di una riunione che a fornire argomento di riflessione e di discussione di gruppo.
Per comprendere il motivo di tale particolare interesse, servirà soffermarsi anzitutto sulla figura dell’autore. Thibon, nato da famiglia contadina del sud della Francia, aveva presto abbandonato le scuole (preferendo ad esse la terra: come ricorderà più volte in seguito) ma aveva ugualmente proseguito gli studi da autodidatta con molteplici letture impadronendosi delle lingue classiche e del pensiero di autori anche distanti tra loro; ad esempio, San Tommaso d’Aquino e Friedrich Nietzsche.
Intorno ai 25 anni, dopo l’esperienza della guerra ed il rientro definitivo a casa (dove, nel 1941, avrebbe ospitato anche la nota scrittrice ebrea Simone Weil), Thibon recuperò la fede cattolica e si dedicò allo scrivere coniugandolo però sempre con l’amore alla terra così da divenire il ‘filosofo contadino’.
La sua riflessione, affidata a numerosi saggi di vario argomento più d’uno dei quali (oltre a quelli indicati) tradotti nel tempo anche in italiano, non è però costituita da argomentazioni logico-deduttive da citazioni o dal diretto confronto con gli autori. Essa nasce piuttosto da un incessante chinarsi sulla realtà per coglierne il ritmo vitale e comprendere il senso delle singole cose senza pregiudizi ideologici. Né più né meno di come il contadino osserva instancabilmente il lento evolversi della natura sapendo che in essa non vi sono schemi geometrici da applicare o rigide soluzioni valide una volta per tutte ma che vi è invece un organismo vitale da accompagnare nella crescita riequilibrandone di volta in volta, ma sempre con estrema delicatezza, le immancabili deviazioni che incessantemente si presentano.
Questo vero e proprio ‘realismo della terra’ si traduce per Thibon in un modo di vedere l’uomo e la realtà sociale che, pur senza citarli ad ogni momento, fa sua la lezione politica dei classici: a cominciare dai greci (Aristotele) e dai romani (Cicerone e Seneca) sempre però filtrati attraverso San Tommaso d’Aquino. La società che Thibon analizza non è dunque una meccanica unione di individui tutti uguali cui imporre ricette ideologiche e dunque, leggi, cibi, vestiti, gusti identici in ogni luogo ed in ogni tempo. Come la terra, essa costituisce invece un insieme organico di persone (uomini e donne, giovani e vecchi, ricchi e poveri, sani e malati, bianchi e neri, fisicamente ed intellettualmente dotati ed altri che lo sono meno), ciascuno con la propria individualità e la propria dignità. Spetta dunque all’autorità politica aiutare ognuno (ed i più deboli certamente per primi) ad incarnare il proprio ruolo sapendo che la salute –non solo fisica- di ogni membro del corpo sociale è fondamentale per il benessere del’intero organismo. Ad ogni passaggio, Thibon ricorda che per la società non esistono soluzioni pre-confezionate, che i problemi non potranno mai essere risolti né le ingiustizie eliminate una volta per tutte; al pari di quanto avviene nell’individuo i cui mali non sempre possono essere eliminati del tutto e comunque, anche dopo esservi riusciti, è inevitabile che altri si presenteranno fino alla fine sempre nuovi. Da qui la diffidenza per le ideologie e per le grandi costruzioni burocratiche ed invece l’attenzione per tutte le concrete realtà sociali soprattutto quelle piccole (familiari, professionali, locali), ciascuna delle quali dev’essere preservata, amata, e quindi aiutata nella crescita perché è solo in esse che l’uomo, ogni uomo, può realizzare sé stesso.
Gli aforismi/brevi saggi di Thibon si occupano così di problemi quali il concetto di ordine, di libertà, del retto uso della proprietà, sempre evitando di volare nel regno delle utopie o auspicare piaceri a buon mercato o fare facile propaganda di diritti senza doveri. I rimedi che Thibon propone non sono così le riforme, costose ed inutili, tanto care ai politici in cerca di voti quanto il recupero del senso comune delle cose, dell’equilibrio delle persone, dello spirito di sacrificio e del senso di responsabilità di ciascuno: nulla dunque di più distante dai miti della modernità.
Il suo periodare è sempre leggero e facile e molti sono gli esempi ed i riferimenti al concreto vissuto che rendono per chiunque agevole la lettura.
È pertanto merito della casa editrice “Fede & cultura” e del Curatore l’avere, a distanza di oltre 40 anni da quelle vecchie edizioni “Volpe”, raccolto circa 30 brevi saggi di Thibon comparsi negli anni ’70 su varie riviste, per lo più di area francese. Essi hanno il non piccolo pregio di affrontare, con il particolare stile dell’autore, la società uscita dalla progressiva dissoluzione dei legami sociali prodotta dai sommovimenti del ’68 che ancora stiamo vivendo. Si tratta di questioni che certamente non potevano costituivano materia delle vecchie raccolte delle quali però costituiscono l’ideale prosecuzione, stimolando ancora un volta la riflessione non ideologica del lettore.
Andrea Gasperini
[1] Sarebbero poi stati entrambi ristampati nel 2007, dall’editore milanese Effedieffe, in unico volume, con il titolo ‘Ritorno al reale’
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Il finanziere George Soros ha dato consistenti contributi ad organizzazioni cattoliche per «spostare le priorità della Chiesa cattolica americana» dai temi vita e famiglia a quelli della giustizia sociale: occasione particolare, la visita di Papa Francesco negli Usa nel settembre 2015. È quanto emerso nei giorni scorsi, in aggiunta alle precedenti rivelazioni, dai numerosi documenti riservati hackerati alla sua Open Society Foundation. La notizia è circolata soprattutto negli Stati Uniti, focus dell’azione di Soros, ma merita di essere ripresa e conosciuta ovunque perché le sue implicazioni riguardano la Chiesa universale.
Se la Chiesa cade nelle mani di Soros
di Riccardo Cascioli
artiamo dai fatti contenuti nei documenti pubblicati da DC Leaks: nell’aprile 2015 la Open Society ha versato 650mila dollari nelle casse di due organizzazioni legate ad ambienti cattolici progressisti, PICO e Faith in Public Life (Fpl), con lo scopo di «influenzare singoli vescovi in modo da avere voci pubbliche a sostegno di messaggi di giustizia economica e razziale allo scopo di iniziare a creare una massa critica di vescovi allineati con il Papa». Le due organizzazioni destinatarie dei versamenti sono state scelte, spiegano i documenti, perché impegnate in progetti a lungo termine che hanno lo scopo di cambiare «le priorità della Chiesa cattolica statunitense». La grande occasione è data dalla visita del Papa negli Stati Uniti e la fondazione di Soros punta esplicitamente ad usare i buoni rapporti di PICO con il cardinale honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga, tra i principali consiglieri di papa Francesco, per «impegnare» il Pontefice sui temi di giustizia sociale e anche avere la possibilità di inviare una delegazione in Vaticano prima della visita di settembre in modo da far ascoltare direttamente al Papa la voce dei cattolici più poveri in America.
C’è poi un Rapporto del 2016, un bilancio dell'anno precedente, in cui la fondazione di Soros si ritiene soddisfatta di come sia andata la precedente campagna in vista della visita del Papa e anche per il numero di vescovi che, in vista delle presidenziali, hanno apertamente criticato i candidati che puntano sulle paure della popolazione, con evidente riferimento a Donald Trump ed altri candidati repubblicani.
Se questa soddisfazione sia giustificata o meno e quanto la visita del Papa sia stata effettivamente influenzata da questa azione di lobby, è certo materia di discussione. Ma ognuno può trarre le sue conclusioni ripercorrendo discorsi, incontri, conferenze stampa e polemiche legate a quella visita. Quello che qui preme sottolineare sono invece due realtà che tali documenti portano alla luce e che hanno un valore ben oltre la contingenza di una visita papale.
Il primo e più importante è il grande investimento che organizzazioni filantropiche tradizionalmente anti-cattoliche stanno facendo per sovvertire l’insegnamento della Chiesa. È questo il vero scopo del cambiamento di priorità invocato, dai temi su famiglia e vita a quelli di giustizia sociale. In questo Soros si colloca nel solco di una tradizione ultradecennale che vede protagoniste le principali fondazioni americane, dai Rockefeller ai Ford, dai Kellog a Turner e così via. È un progetto di “protestantizzazione” che il sottoscritto aveva già documentato in un libro pubblicato venti anni fa (Il complotto demografico, Piemme). Il motivo? La Chiesa cattolica che, in sede di organizzazioni internazionali ha come obiettivo fondamentale di difendere la dignità dell’uomo, è l’ultimo baluardo che si oppone all’instaurazione di un nuovo ordine mondiale che vuole ridurre l’uomo a semplice strumento nelle mani del potere.
Parte fondamentale di questo progetto è la diffusione universale del controllo delle nascite, dell’aborto come diritto umano, della distruzione della famiglia e della promozione dell’ideologia di genere. Proprio negli anni ’90 del secolo scorso, in un ciclo di conferenze internazionali dell’ONU (dal vertice di Rio de Janeiro sull’ambiente nel 1992 fino al summit di Roma sull’alimentazione nel 1996) si scatenò una battaglia diplomatica senza precedenti tra Stati Uniti e Unione Europea da una parte e Santa Sede dall’altra proprio su questi temi. Sebbene possiamo oggi notare come quell’agenda abbia fatto passi da gigante a livello mondiale, la strenua resistenza della Chiesa, che aveva trascinato con sé molti Paesi in via di sviluppo (vittime di questo neo-colonialismo) ha ritardato e sta ostacolando quel progetto. Molto lo si deve a Giovanni Paolo II, il quale ha sempre avuto chiaro che la famiglia e la vita sono oggi il principale terreno su cui si gioca la battaglia per la dignità dell’uomo. Vale la pena ricordare per inciso che proprio per questo motivo e per questa battaglia, il Papa istituì allora il Pontificio Consiglio per la Famiglia e anche l’Istituto per gli studi su Matrimonio e Famiglia presso la Pontificia Università Lateranense (l’Istituto Giovanni Paolo II che nei giorni scorsi ha visto un cambiamento significativo alla sua guida).
Si può capire quindi come si siano intensificati gli sforzi internazionali per indebolire la Chiesa su questo fronte. Negare l’esistenza di princìpi non negoziabili e la promozione quasi esclusiva della giustizia sociale a scapito dei temi di famiglia e vita è la via maestra per raggiungere questo scopo. E i soldi di Soros sono parte di questi sforzi che però vanno ben oltre l’attività della sua Fondazione.
Del resto - e qui è la seconda questione - questi personaggi e queste organizzazioni trovano una facile sponda all’interno della Chiesa stessa in certi ambienti progressisti che già per conto loro condividono questo approccio. Proprio le due organizzazioni finanziate da Soros nel 2015 ne sono una dimostrazione. PICO, ad esempio, è stata fondata nel 1972 dal padre gesuita John Baumann e si propone di affrontare i problemi sociali attraverso l’organizzazione di cellule fondate sulle comunità delle varie religioni presenti, per intenderci un modello evoluto di comunità di base di sudamericana memoria. Proprio per questo PICO si è guadagnata il supporto del cardinale Maradiaga (c’è un video promozionale del 2013 in cui il cardinale invita a sostenere PICO). Ma tale organizzazione è anche ispirata dal “guru” comunista Saul Alinski, conosciuto come il “profeta” dell’organizzazione delle comunità di base e delle minoranze etniche. Del resto nell’elenco dei finanziatori di PICO troviamo le Fondazioni Ford e Kellogg in aggiunta a un’altra decina di fondazioni dalla forte identità liberal. Curiosamente, poi, si trova Alinski anche all’origine della carriera politica di Hillary Clinton e non può quindi sorprendere l’impegno di PICO, tra l’altro, nella campagna elettorale per le presidenziali.
Impegno ancora più esplicito per l’altra organizzazione finanziata da Soros, Faith in Public Life, che tra i successi del 2015 – oltre alla “preparazione” della visita del Papa, tra cui un sondaggio ad hoc sui cattolici americani teso a supportare l’agenda liberal – cita anche la mobilitazione per bloccare la legge sulla libertà religiosa della Georgia, finalizzata tra l’altro a garantire l’obiezione di coscienza contro l’imposizione dell’ideologia gender e delle nozze gay.
Quanto il cardinale Maradiaga e altri esponenti dell’episcopato sono coscienti o partecipi di questo disegno decisamente anti-cattolico? Non lo sappiamo e non ci azzardiamo a processarne le intenzioni. Possiamo solo notare come certi esponenti ecclesiali di primo piano vengano individuati come omogenei ai progetti di chi vuole distruggere la Chiesa, a prescindere poi dal successo o meno che abbiano certi tentativi di approccio.
Però qui corre l’obbligo di aggiungere un dato inquietante ai documenti rivelati. Si può infatti facilmente capire che di tale progetto di cambiamento nella dottrina della Chiesa faccia parte anche un'opera di infiltrazione di specifici personaggi nei centri decisionali della Chiesa. E non si può non andare immediatamente al caso di Jeffrey Sachs, l’economista dell’ONU e direttore dell’Earth Institute che ha avuto un ruolo importante nell’enciclica “Laudato Sii”, tanto da essere chiamato dal Vaticano sia per le presentazioni dell’enciclica sull’ambiente sia per i convegni internazionali sullo sviluppo sostenibile.
La sua inspiegabile onnipresenza è stata contestata nei mesi scorsi – oltre che dal nostro giornale (clicca qui, qui e qui) – dalle principali organizzazioni pro-life e pro-family internazionali perché Sachs è ben noto come grande sostenitore delle politiche di controllo delle nascite. Ma è stato difeso a spada tratta dal presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, il vescovo argentino Marcelo Sanchez Sorondo, che ne ha anche sponsorizzato la nomina da parte di papa Francesco nella Pontificia Accademia da lui presieduta. Ebbene, ciò che forse non è stato detto, è che Sachs è anche conosciuto per essere un uomo di Soros (peraltro entrambi sono ebrei originari dell’Est Europa), da diversi decenni impegnato nella concezione e diffusione di teorie economiche a sostegno dell’Open Society perseguita da Soros.
Alla luce dei documenti che attestano le strategie di Soros nei confronti della Chiesa cattolica, la presenza di Sachs nei piani alti del Vaticano risulta meno inspiegabile, sebbene ancora più inquietante. A questo punto sarebbe però opportuno che a spiegarsi siano il vescovo Sorondo, il cardinale Maradiaga e quanti altri sono coinvolti in questa rete.
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Aborto, immigrazione, Lgbt e lotta all’islamofobia
Tutti i sogni nel cassetto di George Soros
Per alcuni conservatori è il diavolo in persona, un puparo che si cela dietro a ogni evento funesto. Per altri è solo un cinico speculatore che compie ogni mossa per lucrare sulle perdite altrui. Stiamo ovviamente parlando del finanziere George Soros, uno degli uomini più ricchi del pianeta, classe 1930, ungherese ed ebreo “non sionista”. Torna alla ribalta in questo periodo ferragostano perché è vittima di una delle operazioni di hacker più eclatanti del decennio. Oltre 2500 documenti della sua Open Society Foundation sono stati infatti pubblicati sul sito DC Leaks. Dai quali possiamo capire meglio chi sia veramente e soprattutto a cosa miri.
L’Open Society nacque nel 1984 per contribuire alla liberazione dell’Est europeo dal giogo comunista. La prima sede fu aperta in Ungheria, sfidando la repressione del regime, per distribuire fotocopiatrici, con cui potevano essere replicati scritti proibiti. Altre sedi vennero aperte anche in Polonia e in Russia, negli anni a cavallo del collasso del blocco orientale. In parte la prima missione della Open Society è rimasta la stessa: aiutare i paesi usciti dal comunismo a compiere una transizione verso la democrazia e il libero mercato. L’impegno prosegue tuttora con l’Ucraina, di cui Soros è uno strenuo difensore. E’ soprattutto per questo motivo che non gode di buona stampa nella Russia post-sovietica (che ne ingigantisce a dismisura le colpe). E pare che anche lo stesso furto di dati di cui si parla sia opera di hacker russi, stando a fonti dell’agenzia Bloomberg. Tuttavia, a questa missione storica nell’Est europeo post-comunista, si è poi aggiunto tutto il resto dell’agenda progressista, come nel caso di tante altre organizzazioni non governative per la difesa dei diritti umani nate durante la guerra fredda e poi cresciute nel ventennio successivo. Ci limitiamo a sottolinearne gli aspetti principali, quelli che interessano anche direttamente i principi non negoziabili, la politica europea e italiana. Ne emerge quella che è l’agenda di tutta la sinistra occidentale, nordamericana ed europea.
Immigrazione
Un documento pubblicato da DC Leaks invita a considerare il fenomeno dell’immigrazione in Europa, non come una crisi, ma come un “nuovo standard di normalità”, dunque permanente. L’obiettivo implicito della Open Society è quello di sottrarre le decisioni sull’immigrazione agli Stati nazionali per trasferire la loro gestione a enti sovranazionali. Insomma, quel che l’Ue ha provato a fare (senza riuscirci) con le quote di distribuzione dei rifugiati. Secondo un memorandum redatto da Anna Crowley e Kate Rosin dell’International Migration Initiative, si sollecita con un certo cinismo ad “approfittare della condizione creata dalla crisi attuale (sic!) per influenzare il dibattito sul ripensamento della gestione delle migrazioni”, cioè “riforme volte a una governance globale delle migrazioni”. Obiettivo dichiarato è quello di far accettare all’Ue almeno 300mila rifugiati all’anno, in cambio di 30 miliardi di euro all’anno per realizzare un piano di asilo completo. Anche all’Ucraina (con 2 milioni di profughi interni causati dalla guerra nel Donbass) si propone di accettare una quota di rifugiati in cambio di aiuti economici. In un documento che riguarda gli Stati Uniti, risalente al febbraio del 2015, risulta che la Open Society abbia anche cercato di influenzare un verdetto della Corte Suprema, nel caso Texas contro Corte Suprema: lo Stato americano confinante col Messico aveva fatto causa contro un ordine esecutivo del presidente Obama, che avrebbe permesso il ricongiungimento dei parenti con gli immigrati regolari. L’arma che la fondazione di Soros ha scelto per influenzare il parere dei giudici è una campagna a mezzo stampa, attraverso i suoi membri inseriti nei media più influenti, come Danielle Allen (Washington Post) Rosa Brooks (Foreign Policy) e Steve Coll (decano della scuola di giornalismo della Columbia University).
Islam
Ovviamente la campagna pro-immigrazione, specialmente in Europa, non può essere disgiunta dal tema dell’islam. In questo caso, DC Leaks rivela lo sforzo per combattere contro l’“islamofobia” a tutti i livelli. Un memorandum del 2011, “U.S. Models for Combating Xenophobia and Intolerance”, propone un finanziamento al Center for American Progress (fondato da John Podesta, capo della campagna elettorale di Hillary Clinton) per un programma contro l’islamofobia. Un programma articolato in tre punti: “studiare il fanatismo anti-musulmano nella sfera pubblica”, “condurre un’inchiesta sul movimento islamofobo” e “riunire un convegno di esperti, compresi i rappresentanti di organizzazioni progressiste e della comunità araba, mediorientale, musulmana e sudamericana per formulare una strategia comune contro la xenofobia anti-islamica”. Fra gli “islamofobi” identificati nello studio figurano anche opinion maker di punta del mondo conservatore, come Pamela Geller e David Horowitz, Liz Cheney (figlia dell’ex vicepresidente Dick Cheney) e Cliff May. La campagna riguarda soprattutto Israele. Con buona pace dei teorici della cospirazione che vedono in Soros un sionista volto a promuovere lo Stato ebraico, la sua fondazione finanzia iniziative anti-israeliane arabe e di sinistra, come l’Ong araba Adalah (beneficiaria di 2,7 milioni di dollari dal 2001) che considera Israele come una “impresa colonialista”. E l’Ilam Media Center (beneficiario di 1 milioni di dollari) che nel 2014 chiese al Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu di condannare e isolare lo Stato ebraico per la sua guerra a Gaza contro Hamas. In generale, citando uno dei documenti trapelati dal suo ufficio mediorientale, la fondazione di Soros vanta un “successo nella sfida alle politiche razziste e antidemocratiche di Israele nell’arena internazionale”.
Xenofobia
La lotta all’islamofobia è chiaramente una parte di una più ampia battaglia contro la xenofobia. Una lotta contro i mulini a vento, se consideriamo quanta attenzione venga riposta dal legislatore nordamericano ed europeo alla lotta contro il razzismo. Eppure la Osepi, la branca della Open Society che si occupa delle politiche europee, fornisce agli eurodeputati socialisti e democratici un corso di aggiornamento su come contrastare e letteralmente tacitare gli “xenofobi” europei, fra cui figura anche l’italiana Lega Nord. La Osepi, in uno dei documenti pubblicati da DcLeaks, ammette di organizzare incontri con gli eurodeputati per “riscrivere le regole del Parlamento al fine di vietare ogni discorso di odio”. Termine generico in base al quale si potrebbe tacitare ogni argomento non gradito alla sinistra multiculturale. Tra i beneficiari della campagna di Soros contro la xenofobia risulta anche l’italiana Associazione 21 Luglio un’organizzazione non profit impegnata nella promozione dei diritti umani di rom e sinti. Ha ricevuto 49.782 dollari per il progetto “Per i diritti, contro la xenofobia”, svoltosi dal 1 gennaio al 1 luglio 2014, nell’anno delle elezioni europee. Ma un impegno ancor più vasto è volto a sostenere la lotta all’omofobia, quella che viene considerata come la nuova forma di “razzismo”…
LGBT
In Italia, l’Arcigay ha ricevuto ben 99.690 dollari per un progetto durato dal dicembre del 2013 al dicembre del 2014, sempre l’anno delle elezioni. Il titolo del progetto era “LGBT Mob-Watch Italy-Europe 2014”, e aveva quale obiettivo: “smuovere, canalizzare ed ampliare la voce e la domanda del popolo LGBT italiano ed i loro alleati per le elezioni europee del 2014, costruendo uno strumento permanente di monitoraggio, campagna, mobilitazione e lobbying per queste e le prossime elezioni”. Negare che esista una “lobby gay” d’ora in avanti non sarà più possibile. Chiaramente il programma di Soros non si limita alla sola Italia, ma va a beneficiare anche la Ilga Europa (68.000 dollari ricevuti) per il progetto “European elections 2014: Cross-communities mobilization project for a universal and indivisible EU equality agenda”. In Grecia, l’organizzazione “Athens Pride” ha ricevuto 26.000 dollari per il progetto “Vote for your rights” volto a promuovere la comunità LGBTQ greca sempre in vista del voto europeo. Il grosso dello sforzo per promuovere i “nuovi diritti” è ovviamente negli Usa, dove Soros ha elargito nel 2013 altri 100.000 dollari alla Gay Straight Alliance, la stessa organizzazione che ha promosso l’ormai celebre “guerra dei bagni pubblici” nella North Carolina. L’anno successivo, Soros ha elargito una somma ingente, mezzo milione di dollari, a Justice at Stake, un’associazione che promuove la “difesa della diversità” nei tribunali. Perché “una maggior diversità negli uffici dei giudici migliora la qualità della giustizia per tutti i cittadini”. Cosa vorrà dire? Sarà possibile intuirlo dopo le prime sentenze sulla diversità e sulla libertà di religione.
Vita
Ovviamente, assieme all’impegno per la comunità Lgbt non poteva mancare anche la campagna per l’aborto. La Open Society si è impegnata a promuoverlo in Irlanda e l’anno scorso si preparava a festeggiare la vittoria così, come leggiamo in un documento pubblicato da DC Leaks: “Con una delle leggi più proibizioniste del mondo, una vittoria là (in Irlanda, ndr), potrà avere un notevole impatto sull’opinione pubblica di altri paesi cattolici in Europa, come la Polonia, e fornire la necessaria prova che un cambiamento è possibile, anche nei posti più conservatori”. Cora Sherlock, attivista pro-life, dichiara a Catholic News Agency che ora si spiega il perché di tanta potenza di fuoco del partito avversario: era estremamente difficile esprimersi a favore del diritto alla vita, difficile competere contro un avversario super-finanziato che alla fine è riuscito ad abrogare l’Ottavo Emendamento della Costituzione irlandese, quello che proteggeva la vita sin dal concepimento. L’impegno della Soros, dopo l’Irlanda, proseguirà in Messico, Zambia, Nigeria e Tanzania. Ovunque ci sono organizzazioni locali pronte a ricevere il messaggio e i soldi necessari, in un piano triennale che si dovrebbe concludere entro il 2019.
Sebbene sia impossibile trarre conclusioni definitive su una piccola parte di documenti rivelati e consultabili da meno di una settimana, il quadro che emerge sinora è quello di una fondazione che sta contribuendo a plasmare l’agenda delle sinistre occidentali. La Open Society non è unica nel suo genere: anche altre iniziative filantropiche miliardarie, come la fondazione di Bill Gates, hanno agende simili, a cui si aggiunge la campagna contro il riscaldamento globale. Lascia perplessi, piuttosto, che una fondazione che si intitola Società Aperta (dal titolo del classico del liberalismo di Karl Popper) agisca con metodi non molto aperti, né troppo trasparenti per influenzare classi dirigenti in tutto il mondo. Lo dimostra il fatto stesso che c’è voluto un gruppo di hacker per sapere cosa bolle in quella pentola. E’ segno che queste politiche non potrebbero essere sostenute da ampie maggioranze dell’opinione pubblica, se fossero palesi sin da subito. La sinistra ha perso il marxismo, ma non rinuncia alla sua agenda globalista in cui l’unico valore è ora la “diversità”, nuova declinazione dell’uguaglianza sociale. E sempre con i vecchi esponenti della vecchia sinistra, se è vero che, nel nostro paese, i possibili “compagni di strada” delle politiche europee promosse da Soros sono Sergio Cofferati (ex Cgil), Barbara Spinelli (L’Altra Europa con Tsipras) e Cécile Kyenge.
(di Stefano Magni su La Nuova Bussola Quotidiana del 24 agosto 2016)
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Vescovi coraggiosi. L'aquila di Ferrara:
"No ai musulmani alle messe cattoliche"
di Andrea Morigi, per Libero del 17 agosto
Ora basta con i musulmani a messa. Al termine della celebrazione eucaristica del 15 agosto, nella Cattedrale di Ferrara, l' arcivescovo Luigi Negri ha qualche sassolino da togliersi dalle scarpe. Così, prima della benedizione solenne, torna all' ambone e si rivolge all' assemblea: «Mi sembra fondamentale una chiarificazione», esordisce. Quel che aveva ritenuto di omettere nella predica è un avvertimento: «È certamente importante che in un tempo così delicato come quello che stiamo vivendo, si attivino tutte le possibilità di dialogo e di incontro per favorire la reciproca conoscenza tra gli appartenenti alle diverse religioni. Sono infatti sinceramente convinto che la conoscenza attraverso il dialogo possa favorire un clima sociale migliore».
Fin qui, tutto bene. Se non che, dopo la partecipazione di alcuni esponenti della comunità islamica alle celebrazioni liturgiche anche nel territorio della diocesi di Ferrara-Comacchio, un decreto di espulsione disposto il 10 agosto dal Viminale nei confronti dell' albanese Hidri Sajmir, residente nella vicina Vigarano Mainarda, ha fatto venire alla luce il lato oscuro delle moschee locali, quello violento. Per dirla con le parole del ministro dell' Interno Angelino Alfano, l' uomo svolgeva «un' attività di proselitismo rivolta ai fedeli con un linguaggio denso di tratti di fanatismo e consultava online, freneticamente, siti con contenuti riferibili allo Stato Islamico».
Gente così, meglio tenerla fuori dai confini italiani. In ogni caso, per quanto riguarda la pratica pastorale, non è di nessuna utilità invitare in chiesa fedeli di altre religioni o persone non battezzate che generano soltanto confusione e sconcerto fra i cattolici. Soprattutto dopo che meno di un mese fa, il 26 luglio, a Saint-Etienne-du-Rouvray, in Normandia, proprio dei fedeli di Allah hanno sgozzato un prete che stava celebrando. È naturale che anche fra i cattolici praticanti sorga qualche dubbio sull' improvviso embrassons-nous.
Infatti, in Francia, un' indagine sociologica dell' istituto Ifop pubblicata da Le Monde il 12 agosto indica che il 45% dei cattolici francesi percepiscono l' islam come «una minaccia». L' anno scorso, erano appena il 33%. Fra i francesi in genere, invece, solo una lieve variazione, dal 32 al 33%. Il buonismo delle gerarchie ecclesiastiche appare sempre meno convincente, secondo il sondaggio che registra anche l' opinione del 71% dei fedeli, per i quali l' islam è troppo influente e troppo visibile, alla faccia dei proclami sulla laicità. Quattro anni fa chi la pensava così era soltanto il 60%. E ora i cattolici non sopportano più nemmeno l' ostentazione del velo da parte delle donne musulmane: dal 54% di quattro anni fa, sono saliti al 67, contro il 63% della media francese. Altro che sottomissione.
Indipendentemente dalla lettura dei quotidiani d' Oltralpe, monsignor Negri coglie la medesima atmosfera nel suo piccolo gregge. È convinto «che le iniziative intraprese nelle celebrazioni eucaristiche delle scorse domeniche - da inquadrarsi nel momento drammatico dell' uccisione di P. Jacques Hamel, in cui i rappresentanti delle comunità islamiche hanno espresso vicinanza alle comunità cristiane - dopo aver raggiunto il loro obiettivo abbiano anche esaurito la loro funzione». Grazie a tutti, insomma.
Ma adesso ognuno torni a frequentare i propri luoghi di culto.
«È infatti un bene che i cattolici possano ora vivere autonomamente la santa messa come è nella natura della celebrazione liturgica di questo sacramento, che non è stato istituito allo scopo di far dialogare le diverse religioni, ma per far partecipare i battezzati al mistero della passione, morte e risurrezione del Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio», spiega ancora il vescovo.
Quel che gli preme, infine, è scardinare le argomentazioni di quanti nell' occasione hanno sottolineato la presunta devozione mariana dei musulmani, o almeno la significativa presenza della Vergine Maria in una sura del Corano. La differenza con chi la venera come Madre di Dio è enorme. Dunque «noi non possiamo accettare che neanche per scherzo si possa parlare di Maria con un' accentuazione soltanto storica o storicistica. Non possiamo accettare di ridurre il mistero della Madre del Signore a realtà secondaria, che non toccherebbe la sostanza del dogma di Cristo. Chi riduce l' importanza del mistero della divina maternità della Vergine Maria attacca decisamente la sostanza della fede».
Non è nemmeno necessario che nomini i musulmani. Tanto il popolo di Dio, raccolto lì davanti, ha già capito tutto.
di Andrea Morigi
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Cannabis: Non c’è niente di leggero!
di Don Chino Pezzoli – Fondatore della Cooperativa Sociale Promozione Umana.
agosto 2016
Spesso ritorna questa notizia: uso della cannabis a scopo terapeutico.
Si ripetono le solite sparate, la solita superficialità.
Dopo tanti anni di esperienza con i tossicodipendenti non riusciamo proprio a classificare alcune droghe come “leggere”. Se per droghe leggere si intendono le sostanze canna biche (hashish e marijuana) occorre spiegare ai giovani e adulti che cosa si intende per “leggere”.
Un errore, ormai diffuso, consiste nel classificare come “leggere” le sostanze con le quali si può convivere. Si procede nel pubblicizzare l’uso delle sostanze canna biche.
Si assicura l’opinione pubblica che tali sostanze non fanno male, che occorre permettere l’uso.
Autorevoli personaggi fanno conoscere la loro opinione in merito, che il più delle volte suona come una sentenza o peggio, invito alla trasgressione.
Non va dimenticato poi come l’uso della cannabis è il consolidato “rito” iniziale per passare alle altre sostanze “pesanti” come eroina ma in particolar modo la cocaina. Le schede che compiliamo ai nostri centri d’ascolto, quando i ragazzi vengono per chiedere la comunità, ci danno questo dato chiaro e preciso: più dell’85% dei ragazzi dipendenti da droga hanno iniziato con gli “spinelli”.
E ormai più che certo, oggi, che la cannabis è diventata la droga d’inizio.
L’uso precoce di cannabis può avere un ruolo importante nella sensibilizzazione cerebrale verso la ricerca e la sperimentazione di sostanze stupefacenti a più alto rendimento farmacologico.
In molte persone, non in tutte, l’uso precoce può indurre un comportamento di ulteriore sperimentazione evolutiva di droghe.
Chi usa cannabis corre un rischio 60 volte maggiore di passare ad altre sostanze illecite rispetto a chi non consuma. Credo, poi, che sia necessario considerare, prima di tutto, il significato dell’uso di una sostanza stupefacente all’interno della cultura giovanile e le sue implicanze psichiche sullo sviluppo dell’io.
Bisogna riconoscere che nella cultura contemporanea c’è un’alta incidenza e un’ampia accettazione dell’uso di marijuana, di hashish.
La maggior parte dei diciottenni (2/3 circa) hanno sperimentato tali sostanze.
Un tasso di sperimentatori e consumatori così alto ci preoccupa e non può essere considerato un comportamento deviante da tollerare o da legittimare con una legge.
Il periodo dell’adolescenza è difficile, il giovane affronta il compito evolutivo di differenziazione dai genitori per raggiungere una identità autonoma.
La sperimentazione dei nuovi valori e delle nuove convinzioni, la ricerca di nuovi ruoli e identità, la verifica dei propri limiti e dei confini del proprio sé, non possono essere turbati da una sostanza alternativa della psiche. Affermare che gli adolescenti, proprio per la loro esigenza di sperimentazione evolutiva e verifica dei propri limiti, sono tentati di sperimentare l’uso di sostanze canna biche è davvero una pazzia scientifica.
La mente debole e non ancora strutturata dell’adolescente passa facilmente dall’uso all’abuso delle sostanze canna biche. Spesso l’adolescente trova in queste sostanze lo sfogo emotivo e la compensazione per la carenza di rapporti umani significativi.
E’ estremamente pericoloso favorire al giovane l’uso di sostanze disinibitorie per permettergli un inserimento adeguato nel gruppo dei pari.
Non è la marijuana il “farmaco” che disinibisce e permette la comunicazione, il dialogo.
Una mente alterata non comunica con gli altri, ma solo riesce a fondersi nel gruppo perdendo completamente l’autonomia, l’identità.
Forse alla nostra cultura piace il giovane in balia di spinte emozionali incontrollate, di gesti euforici e disordinati, di comportamenti rambeschi.
Ecco perché si scrive e si dice che i giovani che consumano cannabis hanno migliori capacità di istaurare rapporti sociali, hanno un maggior senso d’avventura e si preoccupano maggiormente dei sentimenti degli altri.
Sono bugie professionali che non possono essere sostenute se non si vuole confondere la maturità dell’io con la stupidità.
Qualcuno poi ha anche sostenuto che l’uso della marijuana e hashish facilità un concetto positivo di sé. Ipotecare una simile eresia equivale a sostenere la tesi che tutte le persone per evolvere e prendere coscienza del proprio io, dovrebbero conoscere l’impiego di cannaboidi o di altre sostanze. Siamo veramente in una cultura demenziale! Si vuole a tutti i costi legittimare una devianza con tesi assurde.
Si cerca, inoltre, di sostenere che il consumo di cannabis abbia assunto, nella cultura giovanile, gli stessi significati psico-sociali che erano associati all’alcool nelle generazioni precedenti.
Di fronte a simili affermazioni pericolose, sarà bene precisare alcuni rischi derivanti dall’uso delle cannabis.
Prima di tutto, è bene ribadirlo, che sono pochissimi gli sperimentatori della cannabis che riflettono una normale fase di esplorazione e di curiosità. I giovani sperimentatori, ben presto, diventano consumatori. I consumatori abituali sono incapaci di investire energie in relazioni interpersonali significative o di trarne soddisfazione.
Inoltre, la loro sfiducia, la loro ostilità e il loro isolamento emotivo, impediscono che le relazione ottenute sotto l’effetto della sostanza divengano realtà.
Non sono in grado di investire le loro energie nella scuola, nel lavoro, o di impegnarle per il raggiungimento di obiettivi significativi.
In altre parole, sono alienati “dall’amore e dal lavoro”, da ciò che da significato alla vita e permette di trarne soddisfazione. Parallelamente si sentono infelici e inadeguati con tutti e con tutto. Sentendosi infelici e incapaci, questi giovani rifiutano qualsiasi rapporto continuo e costruttivo e vivono in un “mondo-altro” palesando reattività e aggressività verso una vita normale.
Dimostrano, quindi, incapacità nel controllare e regolare gli impulsi. Non c’è in loro interessi per i rapporti umani, vale a dire, non c’è rapporto con ciò che dà alla vita un senso di stabilità, uno scopo.
L’impulso del momento diventa per loro fondamentale, non viene però trasformato gradualmente e mediato da un sistema più ampio di valori e di obiettivi, perché il sistema psichico è alterato e quindi carente di funzionalità elaborativa dei contenuti.
Nella mancanza e abbassamento delle capacità interiori, la pazienza e tolleranza sono impossibili. Gli stessi sentimenti vengono “offuscati”in quanto la sostanza offre momentanee gratificazioni illusive di relazione, di contenuto, di rapporto con gli altri.
Si hanno, inoltre, seri motivi (questo è grave) per ritenere che l’uso della cannabis procuri al consumatore disagi assai gravi, come la riattivazione di stati latenti schizofrenici. Sono ormai parecchi i casi accertati di giovani compromessi nella psiche in modo irreversibile per l’uso di tali sostanze.
Cannabis e alterazioni cerebrali
Secondo gli studi del Dott. Ameri (1999), la tossicità della marijuana è stata sottovalutata per molto tempo. Tuttavia, recenti scoperte hanno evidenziato che il principio attivo della THC tetraidrocannabinolo (quintuplicato in questi ultimi anni), induce la morte cellulare con restringimento dei neuroni e la frammentazione del DNA nell’ippocampo. L’esposizione al THC nella fase dell’adolescenza è stata associata a deficit cognitivi a lungo termine e ad una minore efficienza delle connessioni sinaitiche nell’ippocampo in età adulta. Gli studi sugli effetti cognitivi dell’uso di cannabis riportano deficit nell’attenzione sostenuta, nell’apprendimento, nella memoria, nella flessibilità mentale. Gli studi sugli umani indicano che più precoce è l’inizio d’uso di cannabis, maggiori e più gravi sono le conseguenze cognitive associate.
Cannabis e disturbi psicotici
Il consumo i cannabis ha effetti molto gravi sempre a partire dall’adolescenza: confermano che le alterazioni conseguenti all’uso di cannabis alterano la capacità dei neuroni di svilupparsi in maniera appropriata, con il risultato che il cervello di un adulto che da adolescente ha consumato cannabis risulta (più leggero) più vulnerabile ed esposto all’insorgere di disturbi mentali (depressione, psicosi, e disturbi affettivi) (Le Bec 2009)
Dipendenza e astinenza
L’uso di cannabis a lungo termine può condurre a dipendenza. I sintomi di una possibile dipendenza, quali umore irritabile o ansioso, accompagnato da modificazioni fisiche come tremore, sudorazione, nausea, modifiche dell’appetito e turbe del sonno, sono stati descritti anche in associazione a dosi molto alte di cannabis.
Cannabis e cancro
Il fumo di cannabis altera la composizione genetica del DNA aumentando il rischio di cancro. La tossicità colpisce a livello osseo, respiratorio (danno alle mucose bronchiali 3-4 spinelli al giorno corrispondono a quello derivante da 20 o più sigarette al giorno) e psichiatrico.
Cannabis e sessualità
Molti soggetti consumatori di cannabis possono risultare incapaci di raggiungere l’erezione. E’ noto da tempo, infatti, l’effetto negativo sulla sfera sessuale del principio attivo della cannabis (THC) sia sugli uomini che sulle donne. Il consumo di marijuana è stato anche associato all’inibizione dell’orgasmo. L’abuso di sostanze potrebbe contribuire a provocare l’infertilità nell’uomo. E’ stato osservato una minor incidenza di spermatozoi competenti, cioè in grado di fecondare, nei fumatori di cannabis rispetto ai non fumatori. Per la fertilità femminile, aumento dei livelli testosterone, alterazione del ciclo mestruale.
Cannabis, alcool ed effetti sulla guida
Alcool e cannabis sono le due sostanze psicoattive più diffuse tra i consumatori di droghe, spesso assunte in maniera combinata anche prima di mettersi alla guida e, per questo causa di numerosi incidenti stradali. Gli effetti della cannabis alla guida variano in relazione alla dose di principio attivo assunta, alla via di somministrazione, alle esperienze pregresse dell’utilizzazione, alla vulnerabilità individuale e al contesto di assunzione. Sia gli studi sperimentali che gli studi epidemiologici che analizzano gli effetti della cannabis sulle prestazioni psicomotorie evidenziano scompensi gravi rispetto ad una serie di funzioni necessarie alla guida.
Uso di cannabis e comportamenti criminali
Il consumo di cannabis in età adolescenziale aumenta la possibilità di essere successivamente coinvolti in attività criminali.
Conclusioni
Facciamo nostre le parole del Dipartimento Nazionale delle Dipendenze: “..gli effetti negativi della cannabis e dei suoi derivati sulla salute sono molteplici e tutt’altro che sottovalutabili. La letteratura scientifica, a questo proposito, non lascia dubbi. Non si comprende quindi come, alla luce di queste evidenze, vi siano ancora percezioni e opinioni secondo cui tali sostanze non sarebbero pericolose o addirittura dotate di effetti positivi per l’organismo umano. Si ritiene per tanto che il termine comunemente ed erroneamente usato di “droghe leggere” per definire queste sostanze sia completamente fuori luogo e totalmente inadatto, oltre che fonte di interpretazioni distorte e non veritiere. Nessun altra sostanza al mondo, con queste caratteristiche così ben documentata da studi autorevoli, verrebbe altrettanto classificata come “leggera” e quindi fatta percepire come non pericolosa, consentendone, quindi, implicitamente, se non addirittura esplicitamente l’uso. E’evidente, a questo punto, che esistono altri fattori, al di là della razionalità e della semplice logica, che sottostanno alle ragioni di chi ritiene queste sostanze scevre da rischi e pericoli per la salute e pretende la loro esclusione dalla lista delle sostanze proibite”.
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Poligamia, burka e burkini: l’Islam sveglia l’Occidente ?
di Rodolfo de Mattei, per Osservatorio Gender del 20 agosto 2016
L’Islam suona la sveglia all’Occidente mettendone a nudo le intrinseche fragilità ed evidenti contraddizioni. Negli ultimi mesi, l’Europa laica e liberale, di fronte all’intensificarsi dei tragici attentati, dei sempre più massicci flussi migratori provenienti dalle incendiarie coste libiche, in aggiunta agli impietosi dati statistici sul pesantissimo inverno demografico che attende il nostro continente, si è infatti trovata di fronte ad un’accesa e paradossale discussione in merito alla “tollerabilità” di alcuni diritti sociali costitutivi dell’Islam. Tra questi, in particolare, il diritto alla poligamia e il diritto ad indossare il cosiddetto “burkini” sulle spiagge europee.
La polemica sulla poligamia
A far scoppiare il caso sulla poligamia è stato Hamza Roberto Picardo il fondatore dell’Ucoii, l’Unione delle Comunità islamiche, il quale, il giorno della celebrazione della prima unione gay a Palazzo Reale da parte del sindaco di Milano Beppe Sala, ha così commentato su Facebook:
“Se è solo una questione di diritti civili, ebbene la poligamia è un diritto civile”. «I musulmani – ha aggiunto Picardo- non sono d’accordo neppure sulle unioni omosessuali e tuttavia non possono che accettare un ordinamento che le ha consentite. Il problema è che se le convinzioni etico e spirituali delle persone non hanno titolo d’interdizione nella sfera pubblica, allora non si capisce perché una relazione tra adulti edotti e consenzienti possa essere vietata, di più, stigmatizzata, di più, aborrita».
La dichiarazione del rappresentante dell’Ucoii ha immediatamente suscitato un fiume di prevedibili sdegnate reazioni, come quella del senatore del PD Luigi Manconi, il quale, in un editoriale pubblicato sul “Corriere della Sera” del 8 agosto 2016, ha replicato a Picardo, sottolineando come l’istituto della poligamia non abbia diritto ad alcuno spazio nell’ordinamento giuridico italiano in quanto violerebbe in nuce i principi fondanti del nostro “vivere civile”:
“Piccardo sbaglia di grosso, sin dalla premessa: la poligamia non è affatto «una questione di diritti civili». La poligamia, per contenuto morale e per struttura del vincolo, si fonda — e non può che fondarsi — su una condizione di disparità, che viene riprodotta e perpetuata. Comunque la si voglia argomentare e manipolare fino a immaginare il suo rovesciamento speculare (più uomini sposati con una sola donna), si tratta in ogni caso di un rapporto fondato su uno stato di diseguaglianza”.
Il fatto non tollerabile evidenziato da Manconi sarebbe quindi lo stato di diseguaglianza in cui si verrebbe a trovare la donna all’interno di una relazione poligama, una disparità nei suoi confronti inaccettabile, da rifiutare senza indugio:
“La parità tra i sessi e la tutela della dignità contro ogni discriminazione, costituiscono un diritto fondamentale della persona, che è (proprio per questo) non disponibile. Ovvero, un diritto non alienabile (e non limitabile, modificabile o cedibile) persino da parte del suo stesso titolare. Un diritto, cioè, sottratto ad ogni potere dispositivo: fosse anche quello del suo stesso beneficiario (…). Questa discussione è di cruciale importanza perché consente di tracciare un discrimine limpido tra quanto – delle tradizioni, delle confessioni e delle culture di diversa origine – è accettabile all’interno del nostro ordinamento giuridico e della nostra vita sociale e quanto, al contrario, deve essere rifiutato. (…) Di conseguenza, il relativismo culturale, che è manifestazione propria di una concezione liberale della società, non può accettare l’esclusione delle ragazze dall’istruzione scolastica o la loro subordinazione ai maschi, i matrimoni precoci e le mutilazioni genitali femminili (…)”.
La polemica sul burkini
Il secondo “tormentone” di questa estate 2016 è stato il “si o no” al burkini, vocabolo ibrido tra burqa e bikini on il quale viene indicato il particolare costume da bagno per le donne musulmane, ideato nel 2000 da una stilista australiana di origini libanesi, che lascia scoperti solo viso, mani e piedi.
A scatenare l’infuocato dibattito sono stati i divieti di indossarlo istituiti da alcuni sindaci della Costa Azzurra e della Corsica, intenzionati con le loro decisioni a dare un messaggio forte alla comunità musulmana.
Contro il burkini si è schierato anche lo stesso primo ministro francese Manuel Valls, definendolo “incompatibile con i valori della Francia“ in quanto “espressione di un’ideologia basata sull’asservimento della donna”.
Sulla stessa linea, anche la Germania della cancelliera Angela Merkel, che attraverso il suo ministro dell’Interno Thomas de Maiziére si è espressa contro l’utilizzo del burka e del burkini, dichiarando:
“rifiutiamo, all’unanimità il velo integrale. Mostrare il proprio volto è fondamentale nella nostra società”. Quello che si prospetta in Germania, come si legge sul “Corriere della Sera” del 20 agosto è dunque “una parziale messa al bando del velo integrale islamico (burqa o niqab): nessuna donna potrà indossarlo a scuola, nelle università, durante manifestazioni, ai controlli di sicurezza, mentre guida o quando svolge funzioni pubbliche”.
Alcune riflessioni sul tema
Gli accesi dibattiti attorno poligamia e burkini di queste settimane suggeriscono alcune riflessioni.
La discussione sul diritto alla poligamia e quella sulla messa la bando del burkini hanno fatto emergere le due anime contrapposte dell’Occidente contemporaneo: l’anima relativista e libertaria e l’anima laicista e ugualitaria.
La prima in nome del liberalismo e dell’autodeterminazione della donna, abituata in Occidente a disporre senza limiti del proprio corpo, sente di non poter “proibire” alla donna la libertà di scelta di intraprendere una relazione poligama o di coprire il proprio corpo dove, quando e come crede.
La seconda anima, emblematicamente incarnata dalla laicité francese, applicando il secolarismo di Stato, rifiuta per principio qualsiasi simbolo che richiami una qualche appartenenza religiosa.
Per uscire dall’ angusto ed imbarazzante vicolo cieco, che vede l’Islam mettere in crisi il decantato pluralismo occidentale, la via di fuga, ben espressa dal senatore Manconi, è quella di passare con un agile balzo dall’ideologia liberale a quella egualitaria, affermando che
“la parità tra i sessi e la tutela della dignità contro ogni discriminazione, costituiscono un diritto fondamentale della persona, che è (proprio per questo) non disponibile. Ovvero, un diritto non alienabile (e non limitabile, modificabile o cedibile) persino da parte del suo stesso titolare. Un diritto, cioè, sottratto ad ogni potere dispositivo: fosse anche quello del suo stesso beneficiario (…)“.
DA VOLTAIRE A ROUSSEAU
Vista la mala parata del liberalismo sfrenato ci si rifugia nell’egualitarismo radicale. Da Voltaire si passa a Rousseau. Liberalismo ed egualitarismo mostrano così di essere frutto dello stesso albero. Il passaggio dal primo al secondo non è altro che una tappa del processo rivoluzionario descritto dal pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995):
«Quando la Rivoluzione si rese conto che, se si lasciano liberi gli uomini, diseguali per le loro attitudini e la loro volontà di impegno, la libertà genera la diseguaglianza, decise, in odio a questa, di sacrificare quella. Da ciò nacque la sua fase socialista. Questa fase ne costituisce soltanto una tappa. La Rivoluzione spera, al suo termine ultimo, di realizzare uno stato di cose in cui la completa libertà coesista con la piena uguaglianza. Così, storicamente, il movimento socialista è un semplice compimento del movimento liberale».
L’attuale scontro culturale attorno ai presunti “diritti” della comunità musulmana mette in luce la debolezza dell’impianto relativista sulla quale è stata costruita la società occidentale. L’odierna politica occidentale volta ad allargare all’infinito la sfera dei diritti soggettivi, se vuole essere coerente con sé stessa, non può negare la rivendicazione del diritto alla poligamia di Picardo o la richiesta di poter coprire il proprio corpo sulle spiagge europee.
La stessa “madrina” della legge sui diritti civili alle coppie omosessuali, Monica Cirinnà, ha sottolineato che, essendo la
“libera scelta e l’autodeterminazione delle donne il faro guida, è giusto che la donna possa liberarsi del burkini o di altri simboli se vi è un’imposizione o un obbligo e la donna non vuole subirlo. Ma se lo indossa per libera scelta deve essere libera di indossarlo”.
D’altro canto, l’Occidente che si scandalizza per le donne coperte e vieta il burkini è lo stesso che permette sulle proprie spiagge la libera esibizione di topless e nudismo integrale senza colpo ferire.
La verità sembra essere che l’Occidente secolarizzato, che ha preteso di espellere la religione da ogni ambito pubblico, rinnegando la propria identità cristiana, dopo decenni di fallimentari politiche multiculturali, si trova oggi a fare i conti con la radicata identità politico-religiosa della popolazione musulmana presente sul suo territorio.
La strategia della “mano tesa” finalizzata a favorire l’integrazione dei musulmani sul suolo europeo attraverso costruzioni di moschee ed innumerevoli concessioni dimostra nei fatti il suo disastroso fallimento. La tanto sbandierata “reciprocità” non c’è e non c’è mai stata. In cambio della nostra politica di accoglienza abbiamo ricevuto solo bombe e il più grande esodo di cristiani dal Medio Oriente della storia.
In questo contesto, il no di alcuni governanti europei alla poligamia e al burkini sembra essere una estemporanea prova di forza, fatta anche per accontentare l’esasperato elettorato, destinata a rivelarsi del tutto velleitaria, senza una autentica riscoperta e valorizzazione dell’identità e delle radici cristiane dell’Europa.
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Dalla Prefazione di Magdi Allam.
"Pietro Castagneri non è, almeno formalmente, un islamologo, ovvero un esperto di islam. Di fatto ha realizzato un’opera di islamologia di valore scientifico per la correttezza dei dati e l’elaborazione oggettiva dei temi.
Al punto che considero “Obamallah” un testo di riferimento di particolare interesse non solo per i neofiti ma anche per coloro che vogliono approfondire la complessa e mistificata realtà dell’islam.
Vi consiglio calorosamente di leggerlo.
Castagneri è riuscito brillantemente nella sua impresa esponendo l’insieme dei fatti e dei concetti in modo semplice e pacato in modo da risultare comprensibile e avvincente al grande pubblico.
Vi troverete una solida struttura fondata sulla ragione che ci consente di pervenire alla realtà dei fatti e di valutarli criticamente, ma potrete toccare con mano una profonda spiritualità che nasce dall’amore sconfinato per la vita, la verità e la libertà. Se pertanto il giudizio sull’islam come religione è rigoroso evidenziando la sua negatività, ciò è sempre e comunque correttamente rapportato alla violazione dei diritti fondamentali della persona che incarnano i valori non negoziabili della nostra comune umanità e civiltà"
L'eBook
"Obamallah"
che da oggi è scaricabile gratuitamente, è un file compresso di grandi dimensioni (7Mb) che contiene il testo in versione PDF, EPub e Mobi.
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Lo scopo: rivoluzione contro la famiglia. La tattica: infiltrarsi nelle scuole e intimidire chi resiste.
Un elenco dei progetti pro-gender nelle scuole (cliccare su Leggi tutto in fondo a questa pagina)
Dopo il portale del Governo Renzi per diffondere l'omosessualismo, un esempio
Nuovi obiettivi per l’associazione Lgbt “RAIN”
’associazione “RAIN” di Caserta facente parte addirittura della categoria ONLUS, ha da poco eletto i nuovi organi. Fra tutti spicca il nome di Bernardo Diana, che ricoprirà la carica di nuovo presidente, confermando la sua voglia di fare, a partire dalle tante attività che devono esser promesse sul territorio.
Il neo-presidente, che fra l’altro risulta studente presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, lo stesso in cui vengono organizzate le manifestazioni sportive e non contro “omofobia” e “bullismo omofobo”, ha espresso un commento in seguito all’inaspettata elezione:
«Assumere la presidenza di questa associazione mi rende fiero e davvero felice: abbiamo molte attività che bollono in pentola, speriamo di essere all’altezza ed essere pronti per questo periodo post Pride nel quale ci prepariamo per la celebrazione delle prime unioni civili a Caserta»
Nel mirino di tutti come possiamo vedere, ci sono i frutti del ddl Cirinnà, che si estende ora sempre più in ogni città, sotto il presidio degli entusiasti sindaco e delle comunità LGBT locali.
Tra le attività che inizieranno a settembre sono in evidenza lo sportello di assistenza legale, la biblioteca e centro di documentazione di cultura omosessuale e queer, una rassegna cinematografica nonché appuntamenti settimanali di discussione e conoscenza presso la nuova sede che sarà inaugurata in autunno proprio a Caserta. Siamo certi che in tutte queste “belle” attività di formazione sociale vi sarà l’accompagnamento dei partiti, ivi del comune stesso.
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Gender: “paradigma etico” o rivoluzione contro la famiglia?
L’ideologia gender negli ultimi tempi ha conquistato, rapidamente, spazi sempre più ampi, arrivando a mettere in discussione e a ribaltare concetti elementari e fondamentali del vivere quotidiano di qualsiasi società.
Essa si presenta come un nuovo “paradigma etico“. In realtà è una vera rivoluzione morale.
Il fondamento di tale rivoluzione etica è riassumibile nell’espressione “negazione della realtà”.
In tal senso, alla realtà, così come noi la vediamo e la conosciamo, si sostituisce una pura astratta costruzione sociale, priva di alcun carattere stabile e oggettivo. Tutto è lasciato alla illimitata interpretazione del singolo che, in maniera del tutto soggettiva ed autonoma, sarà libero di attribuire, a qualsiasi fatto o cosa, la propria personale ed esclusiva spiegazione.
Da qui discende, in maniera logica e coerente, il rifiuto di ogni limite o confine naturale o morale.
Come ben osserva, infatti, a tal proposito, la Peeters, se il “dato” non esiste, allora le norme e le strutture sociali, politiche, giuridiche, spirituali possono venire decostruite e ricostruite a piacere, secondo le trasformazioni socioculturali del momento e l’assoluto diritto di scelta. Il “diritto di scelta” diviene, dunque, l’intoccabile valore supremo di questa nuova cultura al quale tutto si deve sottoporre e sacrificare.
In tale ottica, il nuovo paradigma prescinde da implicazioni etiche e morali reclamando ed esercitando ogni diritto «contro la legge naturale, contro le tradizioni e contro la rivelazione divina».
Da tale constatazione si evince il carattere distruttivo di questa ideologia che, per affermare se stessa, deve prima fare tabula rasa delle strutture portanti e consolidate della società.
Un altro lucido autore, mons. Michel Schooyans, ricorda come, il sociologo tedesco Max Weber (1864-1920) distingue tra “etica della convinzione” ed “etica della responsabilità”.
La prima, di origine cristiana, impone di sottomettere le proprie azioni alle norme e ai principi morali, anche a costo della propria vita, secondo l’esempio dei profeti, degli eroi e dei santi; ad essa, si contrappone la nuova “etica della responsabilità”,
«l’etica dell’uomo politico che, impegnato in un mondo violento, dovendo salvare la vita e affermare la sua supremazia, non si lascia intralciare da considerazioni sul bene e sul male». Un etica procedurale per la quale, «ciò che è corretto (right) o non corretto (wrong) risulterà da una decisione consensuale, convenzionale, nata – se necessario – da un voto. Una decisione “democratica” sarà una decisione uscita da un voto di maggioranza».
Per la teoria del gender, la famiglia naturale composta da un uomo e da una donna, che costituisce il nucleo primario di formazione dell’uomo, viene considerata come il principale nemico da abbattere.
Essa viene vista come un’istituzione che frena ed ostacola la libera autodeterminazione dell’individuo e, per tale ragione, va combattuta.
All’interno del processo storico descritto dal pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira si tratta di una Rivoluzione, la Quarta, che punta a distruggere la più importante microsocietà che è la famiglia naturale, dopo aver distrutto o almeno gravemente ferito, la “macrosocietà” politica.
Se i teorici del Sessantotto proclamavano la “morte della famiglia”, gli ideologi del gender celebrano la comparsa di diverse forme di famiglia per proclamare che “tutto è famiglia”: uno slogan astuto e dall’evidente sapore ideologico per dire che “niente è famiglia”. Si tratta di un chiaro stratagemma che, equiparando i diversi modelli di unione, punta a minare l’identità dell’istituto famigliare naturale, svuotandolo della sua peculiarità e specificità.
Le nuove “famiglie” si basano su legami volubili e appaiono come giocattoli, componibili e scomponibili secondo i propri gusti. Una famiglia emancipata dalla natura, costruita a misura dei propri desideri dove la confusione dei ruoli regna sovrana con buona pace dei figli. Un imprudente e letale approccio teorico che, mettendo da parte il giudizio morale, spalanca, potenzialmente, le porte a qualsivoglia tipo di relazione e rapporto.
(tratto da Gender Diktat. Origini e conseguenze di un’ideologia totalitaria – Rodolfo de Mattei,Solfanelli, Chieti 2014)
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Per i progetti pro omosessualismo introdotti surrettiziamente nelle scuole clicca qui.
In questo dossier riportiamo una selezione dei principali progetti e iniziative, applicati nelle scuole italiane o comunque rivolti a studenti o docenti, che si ispirano alla teoria di genere, prodotto dei “gender studies”, o/e alle teorie omosessualiste delle associazioni LGBT. Questeteorie hanno infatti principi e conseguenze comuni e nella pratica spesso si presentano assieme.
Il dossier riguarda principalmente gli anni 2014 – 2016 e non pretende difornireun elenco completo. Sono stati inclusi solo i progettie le iniziative che ci sono stati segnalati ela cui applicazione poteva essere precisamente determinata quanto a data, luogo e contenuti. Spesso il progetto esaminato non si riferiscesoloa unsingolo “caso”, in quanto un progetto è suscettibile di applicazione in più istituti scolastici ein alcune ipotesisi tratta di progetti che hannocoinvolto gran parte del corpo docente, o molteplici scuole, di intere Regioni o Province.
I progettie le iniziativedi questo tipo, con il pretesto di educare all’uguaglianza edi combattere lediscriminazioni, il bullismo, la violenza digenere o i cattivi stereotipi, spesso promuovono: l’equiparazione di ogni orientamento sessuale e di ogni tipo di “famiglia”; la prevalenza dell’ “identità di genere”sul sesso biologico(e la conseguente normalizzazione della transessualità e del transgenderismo); la decostruzione di ogni comportamento o ruolo tipicamente maschile o femminile insinuando chesi tratterebbe sempre di arbitrarie imposizioni culturali; la sessualizzazione precoce dei giovani e dei bambini.