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Nella foto a sinistra: manifestazione di forza delle comunità islamiche di Milano davanti al Duomo.
Veneto, approvata la legge anti-moschee. Schiaffo di Zaia e Tosi al patriarca di Venezia: "il consiglio regionale dice sì alla modifica della legge regionale sulle "norme in materia di paesaggio". L'assessore Donazzan: "Abbiamo il dovere di governare questo tempo, che ci richiama a emergenze legate all’islam. Questo è un dibattito ideologico"
Lombardia, nasce l'assessore anti-islam. Maroni: «Stop a chi vuole ammazzarci».
Il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni lo aveva detto: «Voglio rendere la vita impossibile a chi cerca di ammazzarci». Detto fatto. Il primo passo è la creazione dell'assessore anti Islam. L'incarico è stato affidato a Viviana Beccalossi (Fratelli d'Italia), già assessore all'Urbanistica e autrice della cosiddetta legge anti moschee.
Magdi Cristiano Allam: Conosciamo il nemico, mettiamolo fuorilegge. "È ora di dire basta a ignoranza, buonismo, viltà, ipocrisia e vocazione al suicidio di quest'Europa che immagina che per salvarsi dai terroristi tagliagole ci si debba affidare ai terroristi taglialingue, quelli che ci impongono di legittimare l'islam a prescindere dai suoi contenuti e di concedere loro sempre più moschee".
Luttwak: europei vi state suicidando con il vostro buonismo. "Siamo al suicidio della civiltà europea. Ci scontriamo con il sistematico rifiuto di accettare una verità lampante: in questa fase storica l’Islam conduce una «guerra santa» contro l’Occidente. È la seconda invasione dei barbari, dopo quella avvenuta tra il III e il VI secolo. L’Europa riuscì allora a rimettersi in piedi. Può reagire anche oggi. Eppure c’è chi dice che l’Islam è una religione di pace".
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Il “sorpasso” musulmano in Francia: come moschee e come fedeli
di Marco Tosatti per La Stampa, 9 luglio 2017
Resi noti i risultati di uno studio dell’Hudson Institute, che offre un quadro certamente inedito del panorama religioso del Paese
In Francia si costruiscono più moschee islamiche, e più di frequente, delle chiese cattoliche, e ci sono più praticanti musulmani che cattolici praticanti nel paese.
Circa 150 nuove moschee sono in costruzione attualmente in Francia, che ospita la più grande comunità islamica in Europa, I progetti sono in diversi stadi di completamento, secondo Moahmmed Moussaoui, presidente del Consiglio musulmano di Francia, che ha fornito questi dati in un’intervista del 2 agosto scorso alla Radio Rtl.
Il numero totale di moschee in Francia è già raddoppiato per superare le duemila nei dieci anni passati, secondo una ricerca intitolata: “Costruire moschee: il governo dell’islam in Francia e in Olanda”. Il più noto leader islamico francese, Dalil Boubakeur, rettore della gran moschea di Parigi di recente ha ipotizzato che il numero totale delle moschee dovrà raddoppiare, fino a quattromila, per soddisfare la domanda crescente.
Al contrario la Chiesa cattolica in Francia ha costruito solo venti nuove chiese negli ultimi dieci anni, e ha chiuso formalmente più di 60 chiese, molte delle quali potrebbero diventare moschee, secondo una ricerca condotta dal quotidiano cattolico francese La Croix.
Sebbene il 64 per cento della popolazione francese (41.6 milioni di persone, su 65 milioni di abitanti) si definisce cattolico romano, solo il 4.5 per cento (circa un milione e 900mila persone) sono cattolici praticanti, secondo l’Istituto francese della Pubblica opinione (Ifop).
Sempre nel campo dei paragoni, il 75 per cento (4 milioni e mezzo) dei circa 6 milioni di musulmani nord-africani e sub-sahariani in Francia si identifica come “credenti”, e il 41 per cento (circa due milioni e mezzo) sostiene di essere “praticante”, in base a un rapporto sull’islam in Francia pubblicato dall’Ifop il 1 agosto scorso. La ricerca afferma che più del 70 per cento dei musulmani francesi dice di osservare il Ramadan nel 2011.
Mettendo questi elementi l’uno a fianco dell’altro, questi dati forniscono un’evidenza empirica della tesi secondo cui l’islam è sulla via di superare il cattolicesimo romano come religione dominante in Francia. Dal momento che i numeri crescono, i musulmani in Francia stanno diventando più assertivi che mai prima. Un caso per tutti: gruppi musulmani in Francia stanno chiedendo alla Chiesa cattolica il permesso di usare le sue chiese vuote come strumento per risolvere i problemi di traffico provocati da migliaia di musulmani che pregano per strada.
In un comunicato dell 1 marzo scorso, diretto alla Chiesa di Francia, la Federazione nazionale della grande moschea di Parigi, il Consiglio dei musulmani democratici di Francia e un gruppo islamico chiamato Collectif Banlieues Respect hanno chiesto alla Chiesa cattolica, in uno spirito di solidarietà interreligiosa, di permettere che le chiese vuote venissero usate dai musulmani per la preghiera del venerdì, così che i musulmani “non siano obbligati a pregare per strada” o “siano tenuti in ostaggio dai politici”.
Ogni venerdì, migliaia di musulmani a Parigi e in altre città francesi chiudono strade e marciapiedi (e di conseguenza, bloccano il commercio locale, e intrappolano i residenti non islamici nelle case e negli uffici) per sistemare i fedeli che non riescono a entrare in moschea per la preghiera del venerdì. Alcune moschee hanno cominciato a trasmettere sermoni e canti di “Allahu Akbar” nelle strade. Questi disagi hanno provocato ira e reazioni, ma nonostante molte lamentele ufficiali, le autorità non sono intervenute finora nel timore di accendere incidenti. La questione delle preghiere di strada illegali è giunta al top dell’agenda politica francese quando nel dicembre 2010 Marine Le Pen, il nuovo leader carismatico del Fronte nazionale le ha denunciate come “un’occupazione senza soldati o carri armati”.
Durante un incontro nella città di Lione, Le Pen ha paragonato le preghiere islamiche nelle strade all’occupazione nazista. Ha detto: “Per quelli che amano parlare un sacco della Seconda Guerra mondiale, possiamo anche parlare di questo problema (le preghiere islamiche in strada, n.d.r.), perché si tratta di un’occupazione di territorio. E’ occupazione di sezioni di territorio, di distretti in cui la legge religiosa entra in vigore. E’ un’occupazione. Naturalmente non ci sono carri armati e soldati, ma non di meno è un’occupazione e pesa fortemente sui residenti”.
Molti francesi sono d’accordo. In effetti la questione delle preghiere di strada islamiche – e la più ampia questione del ruolo dell’islam nella società francese – è diventata un problema di prima grandezza in vista delle elezioni presidenziali del 2012. Secondo un sondaggio dell’Ifop il 40 per cento dei francesi è d’accordo con Le Pen sul fatto che le preghiere per strada sembrano un’occupazione. Un altro sondaggio pubblicato da Le Parisien dimostra che i votanti vedono Le Pen, che sostiene che la Francia è stata invasa dai musulmani, e tradita dalle sue élite, come il candidato migliore per affrontare il problema dell’immigrazione musulmana.
Il presidente francese Nicolas Sarkozy, la cui popolarità era a luglio al 25%, il dato più basso mai registrato per un presidente uscente un anno prima delle presidenziali, secondo TNS-Sofres sembra deciso a non farsi superare da Le Pen in questa battaglia. Di recente ha dichiarato che le preghiere per strada sono “inaccettabili”, e che le strade non possono diventare “un’estensione della moschea”. E ha ammonito che questo fenomeno può minare la tradizione laica della Francia di separazione fra Stato e religione. Il ministro degli Interni Claude Guéant ha detto ai musulmani di Parigi, l’8 agosto, che invece di pregare nelle strade possono utilizzare una caserma in disuso. “Pregare nelle strade non è qualche cosa di accettabile, deve cessare”.
Alcune dichiarazioni di leader musulmani sono sembrano destinate a sopire le preoccupazioni dei francesi (e non solo dei francesi). Il Premier turco Tayyp Erdogan per esempio, che ha fatto cpaire che la costruzione delle moschee, e l’emigrazione fanno parte di una strategia di islamizzazione dell’Europa. Ha ripetuto pubblicamente le parole di una poesia turca, scritta nel 1912 dal poeta nazionalista turco Ziya Gökalp. “Le moschee sono le nostre caserme, i minareti le nostre baionette, e i fedeli i nostri soldati”. L’arcivescovo emerito di Smirne, Giuseppe Germano Bernardini, racconta la conversazione avuta con un leader islamico: “Grazie alle vostre leggi democratiche, vi invaderemo. Grazie alle nostre leggi religiose, vi domineremo”.
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La messinscena di Fermo: due immigrati di colore stavano rubando una macchina e hanno picchiato un italiano che cercava di impedirgielo.La Presidente della Camera, esponenti del Governo e persino sacerdoti hanno subito solidarizzato con gli immigrati ladri e violenti.
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Il buonismo dell'ex presidente del Consiglio, Massimo d'Alema, che vuole istituire l'8x1000 a favore dell'islam e costruire molte moschee.
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Il grande politologo Luttwak spiega il funzionamento delle tre moschee: "E' una catena di montaggio che comincia con una moschea simpatica, il cui l'imam non si trova mai perché è sempre a qualche incontro interreligioso, oppure in televisione per dire a tutti che l'islam è una religione di pace. Lì non si predica minimamente la violenza, mai, però si predica l'identità musulmana. Quindi tu non sei un italiano di fede musulmana, tu sei un musulmano in Italia. C'è poi un secondo tipo di moschea, meno bella, più piccola, il cui imam si trova in giro spesso per qualche incontro interfede e così via. E lui dice: poiché voi siete musulmani, avete il dovere di essere solidali con tutti gli altri musulmani del mondo. Quindi non sei un cittadino italiano, che magari si incazza con qualche nemico dell'Italia: tu sei un musulmano che vive in Italia, quindi ti devi arrabbiare con chi attacca qualsiasi musulmano, ovunque. Sono quelli che si schierano con Hamas, con chi abita nella Striscia di Gaza. Poi c'è una terza moschea, che è molto disorganizzata, molto piccola, c'è poca gente. Lì vengono quelli usciti dalla seconda e dalla prima moschea. Quelli sono i "fratelli" e quelli, sì, vogliono agire. Molti chiacchierano, però poi qualcuno agisce."
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L'apologeta Corrado Gnerre, spiega che non siamo di fronte nè a malati mentali, nè a terroristi, ma soltanto a musulmani coerenti con il Corano:
"fa specie che l’attentatore di Nizza fosse un violento con i suoi parenti, un ubriacone, uno border-line, ecc… Ciò è del tutto irrilevante ai fini dell’atto definitivo, in questo caso dell’atto del cosiddetto “martirio”: immolarsi per la Jihad uccidendo se stesso per uccidere quanti più “crociati” possibile. Anzi, proprio perché finora si è vissuti in un certo modo, cioè in maniera difforme alla legge islamica, una scelta definitiva per Allah e la Jihad può cancellare tutto e far sì che si diventi addirittura più “santi” di coloro che invece, pur professando coerentemente la fede, non riescono a decidersi per atti del genere.
Queste considerazioni ci fanno capire quanto fuorvianti siano due approcci: quello di valutare questi atti sganciandoli dal contesto religioso e quindi dalla conoscenza dell’Islam, e quello di (approccio ancora più ingenuo) considerare l’Islam come una religione tutto sommato simile al Cristianesimo".
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L’insopportabile autorazzismo di politici e media italiani
di Riccardo Piccinato, per Azione culturale del 14/07/2016
In questi giorni sono avvenuti quattro episodi degni di nota, risaltati dai media italiani: la strage degli italiani a Dacca, la bufala dei bengalesi pestati in Italia “perché non sapevano il Vangelo”, l’omicidio di Fermo e la strage di Dallas. Quattro episodi, tutti molto diversi tra loro in modalità, responsabili, contesto, ma purtroppo tutti riconducibili alla matrice “razziale” del problema.
Pare però che i media di casa nostra trattino le vicende in maniera nettamente diversa, soffermandosi in particolare a sottolineare il razzismo italiano (o presunto tale). Una sorta di cieco inno all’autorazzismo italico. Vediamone alcuni stralci pubblicati o scritti a grancassa, cominciando proprio dalla tragedia di Fermo, sulla quale il ministro Alfano ha dichiarato: “Siamo qui per scongiurare un contagio nazionale, ma l’Italia è campione d’accoglienza”. Gli fa eco Renzi su Twitter: “Il governo oggi a Fermo con don Vinicio e le istituzioni locali in memoria di Emmanuel. Contro l’odio, il razzismo e la violenza”.
Lo stesso Don Vinicio afferma che tra l’aggressione al nigeriano di 36 anni e gli ordigni trovati nei mesi scorsi davanti a parrocchie attive al fianco di immigrati “ci potrebbe essere qualche collegamento”. E aggiunge: “È’ un’aggressione razzista, sta crescendo un clima di aggressività e di razzismo”.
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, “addolorato dal gravissimo episodio di intolleranza razziale“. “È un episodio terribile che ci dà la misura di come non si è mai vaccinati, in nessun Paese, da qualcosa che pensavamo di non vedere mai più”, ha detto il ministro della Difesa, Roberta Pinotti. Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia: “Fa rabbrividire il fatto che un uomo, scampato insieme alla sua fidanzata al terrore di Boko haram in Nigeria abbia trovato la morte in Italia, per mano di un aggressore spinto da motivi di odio razziale”.
Tocca poi al segretario regionale del Pd Marche, Francesco Comi: “E chi sbaglia, come chi, in questo caso, si è fatto strumento di odio razziale e portatore del male assoluto, deve pagare. Non può rimanere impunito”. “Da sindaco di una città accogliente e aperta da sempre all’integrazione, mi sembra di precipitare in un incubo con quanto accaduto”, è il commento del sindaco di Fermo Paolo Calcinaro.
“È d’obbligo, ma non per questo taciuta, la ferma condanna non solo per quanto accaduto ma per quanto emerge dall’episodio, ovvero lo strisciante razzismo che non può e non deve trovare spazio nel modo più assoluto nella nostra città. La mia vicinanza va anche a don Vinicio Albanesi e a chi opera nelle strutture di accoglienza, per il loro lavoro quotidiano, perché il germe del razzismo non può in alcun modo proliferare in questa comunità”.
Per non parlare poi proprio dei titoli dati dai media. Una lista infinita, ma nella quale è giusto inserire qualche esempio: “La tranquilla crudeltà di provincia”, Huffington post. “Nigeriano ucciso a Fermo, ultrà fermato per omicidio: contestata aggravante razzismo” Il sole 24 ore, mentre NeXt quotidiano scrive addirittura : “Per Matteo Salvini è colpa della vittima” o “Ecco come Salvini giustifica l’omicidio di Emanuel” (concetti, ovviamente, mai espressi dal leader della Lega). “L’omicidio di Fermo è l’ultimo atto del profondo razzismo italiano”, l’Internazionale. Il livello è così elevato da avviare addirittura una petizione su change.org sul tema.
In più o meno tutti gli articoli viene sottolineato direttamente o indirettamente il razzismo italico verso i migranti, a causa di sciacalli e speculatori seriali come Salvini, puntualmente accusato di essere fomentatore dei sentimenti più beceri.
Stesso taglio nei vari articoli, poi puntualmente smentiti, sulla bufala del pestaggio dei bengalesi “che non sapevano il Vangelo” in una sorta di contrappasso per i fatti di Dacca. Peccato fosse tutto inventato, ma anche in quel caso quotidiani e telegiornali non hanno perso occasione si sottolineare il terrificante razzismo italico, quasi sia diventato lo sport nazionale.
Arriviamo poi ai fatti di Dacca e Dallas, dove i razzisti sono gli altri e i bersagli sono gli occidentali. Questa volta i media italiani sembrano quasi sottolineare una presunta “colpa” degli italiani morti, sfruttatori del Paese povero come imprenditori. E in fondo pare se lo siano meritati anche i poliziotti uccisi, perché le persecuzioni della polizia negli States dovevano finire.
Insomma, pare proprio che per le tragedie che vedono nostri connazionali vittime ci debba essere per forza una spiegazione socialmente giustificatrice, mentre quando avviene il contrario dalle nostre parti non c’è nessuna tendenza a cercar scuse, anzi, partono le condanne a raffica. Intendiamoci, nessuno cerca né giustificazioni né scuse, ogni violenza deve essere punita. Ma perché questi due pesi e due misure?
L’autorazzismo è, a tutti gli effetti, un fenomeno culturale di massa presente nella società italiana. Il fatto che sia autoriferito, masochistico, e non offensivo verso altre culture non lo rende certamente “meno razzista” di altri atteggiamenti. È un cancro arrivato a livelli tali che lo stesso sindaco di Fermo arriva a dire, quasi in lacrime: “Non criminalizzate la città”.
I media puntano immediatamente il dito sui colpevoli o presunti tali, rei di agire con pregiudizio, con il non trascurabile dettaglio di essere mossi a loro volta da pregiudizio: un paradosso non da poco.
Una dimostrazione si ritrova proprio nei fatti di Fermo: il migrante non aveva ancora fatto a tempo a morire che le agenzie battevano già la notizia di un assassino ultrà fascista della destra razzista. Salvo poi, rivedere diverse considerazioni. Stessa cosa per la ricostruzione dei fatti: subito aperture sul pestaggio di natura fascista per poi poi scoprire, referti alla mano, che l’omicida si era difeso da un pestaggio avvenuto addirittura con pali stradali, sferrando un unico pugno che poi ha provocato la morte solo a causa di una caduta scomposta.
La gestione dei testimoni della vicenda: ci mancherebbe altro, anche loro immediatamente definiti razzisti (e come tali minacciati di morte) e inattendibili perché a “difensori” del razzista italiano per poi scoprire che sì, erano attendibili, addirittura simpatizzanti di sinistra.
L’unica cosa che non appare, ad ora, smentita, è l’insulto iniziale, quello “scimmia” inteso in sfondo razziale. Non stiamo a raccontarci frottole e ovvietà: il gesto è da condannare e rappresenta un pessimo esempio da qualunque lato lo si guardi. Ma basta questo per ritenere che tale persona debba meritare un pestaggio multiplo? Qualcuno direbbe di sì, ma non sarebbe migliore di quei fascisti violenti che tanto critica e di cui ha tanta paura.
È stato sicuramente un fatto grave e degno di nota, ma vogliamo almeno attendere la vera ricostruzione dei fatti? La verità è che la stampa sta diventando peggio dei racconti al bar dello sport: solo tifoserie attira click, a chi grida più forte razzista, antirazzista, autorazzista.
Mentre il Bangladesh ricorda anche i nostri caduti con due giorni di lutto, l’Italia è impegnata a dimenticare i suoi morti e a colpevolizzare un’intera comunità a causa di un violento. Mentre lui rappresenta tutta l’Italia, i media ci ripetono che gli attentatori islamici invece sono solo casi isolati. Forse un po’ troppo frequenti, a dire il vero. E si parla di sciacallaggio di Salvini e della destra razzista, ma a quanto pare l’unico interesse sia di stanare/inventare gli sciacalli e mai di risolvere i problemi.
Le tifoserie continuano, eppure lo scontro culturale si allarga. Segno che, forse, sarebbe completamente da rivedere il modello del matrimonio forzato tra culture, anche e soprattutto per l’imbecillità di una classe politica che non è in grado di proporre ed attuare nulla, ma solo di fare il tifo.
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Nella foto a sinistra: "Allah akbar", scritta di oltraggio e profanazione della statua di San Petronio patrono di Bologna, una città in cui l'accoglienza agli immigrati - senza limiti nè condizioni - è una priorità sia per il sindaco che per l'arcivescovo.
Ci sono tantissime prove che gli islamici vengono in Occidente senza alcuna intenzione di integrarsi. Ecco soltanto qualche articolo.
1. Dita mozzate, Madonne distrutte, Sharia: la città italiana dove governa l'islam (Libero, 27/3/2016)
... lui sta lì a far da sentinella a uno degli ingressi del «Selestan», neo-ribattezzata area a sud di Salerno, nella sconfinata Piana del Sele di Eboli. Sì, proprio dove s’è fermato Cristo ma dove Allah qualcosa da dire sembra ce l’abbia. Fracassando statue della Madonna di Lourdes al grido di «maledetti cristiani», per esempio, com’è successo non più tardi di quindici giorni fa, per opera di un immigrato musulmano che s’è anche premurato di girare verso est, in direzione della Mecca, la statua di Santa Bernadette. Ne è seguito uno scontro con la popolazione locale, infastidita dal raid islamico, con parroci, comitati di quartiere e qualche «imam» a tentare di attenuare un fuoco sempre pronto a riaccendersi sotto la cenere. Non piace molto ammetterlo ma è così, l’ordine pubblico è solo uno dei problemi legati alla concentrazione islamica in un territorio come questo, che ha un tasso di immigrazione di circa l’11%, il più alto della Campania (dopo la casertana Sessa Aurunca). Eboli conta meno di 40mila residenti, gli immigrati sono oltre cinquemila, tanto per capirci.
2. "Qui troppi simboli cristiani". Migranti scioperano a Lucca
Un gruppo di profughi pachistani, ospiti di una cittadina in provincia di Lucca, ha incrociato le braccia in segno di protesta contro i troppi simboli religiosi presenti al camposanto in cui sono impiegati.
3. "E' sbagliato", urla un musulmano magrebino, e distrugge un crocifisso in una Chiesa veneta.
4. Fidenza, musulmane vestite nella piscina pubblica.
“Sono senza parole: nelle piscine pubbliche non si può fare il bagno vestiti per chiare ed evidenti ragioni di tutela igienico sanitarie. È vergognoso che questo sia stato consentito con la scusa dei motivi religiosi a dei fedeli musulmani”.
5. Milano: egiziano cosparge la moglie di benzina e le dà fuoco
Ahmed El Sayed Abdelghany è un nullafacente. In Italia è arrivato da clandestino. E irregolarmente ci è rimasto finché non si è sposato e ha usufruito del ricongiungimento familiare. La donna è arrivata nel 2007 in Italia in modo regolare, assunta da un parente che aveva un ristorante nel Pavese dove lavorava come lavapiatti e cameriera. Conosciuto l’egiziano, i due si sono sposati in quattro e quattr’otto. All’inizio hanno vissuto separati in alloggi che ospitavano rispettivamente soli uomini e sole donne. Quando si sono trasferiti a Milano, dove sono andati a vivere insieme, la marocchina ha trovato lavoro in una pizzeria dove tuttora è regolarmente assunta, mentre lui ha continuato a farsi mantenere.
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6. Sono quasi quotidiani gli stupri, i furti, le rapine, le violenze in Italia.
Ma i media non ce lo dicono.
Ecco perchè.
Raccomandazione alle Questure: nascondete i crimini dei profughi
Necessario "tutelare" i richiedenti asilo, anche se delinquono. È discriminazione al contrario
Salvatore Tramontano - Il Giornale, 23/10/2015
La gogna non è uguale per tutti. Le Questure italiane, e i comandi dei carabinieri, hanno ricevuto una strana raccomandazione, un consiglio disceso da molto in alto, una sorta di velina a uso interno.
Se un profugo, un richiedente asilo, viene denunciato o addirittura arrestato mentre sta commettendo un reato non dovete raccontarlo a nessuno. Acqua in bocca. Omertà. Silenzio. Niente comunicati stampa, nessuna soffiata ai giornalisti. L'obiettivo è tutelare il migrante. Se, infatti, uno sta chiedendo aiuto allo Stato perché magari è perseguitato in patria significa che la sua vita è in pericolo. Nome, cognome e residenza sarebbero informazioni pericolose, notizie che i «regimi» potrebbero usare per colpire lui o la sua famiglia.
Uno viene a sapere una cosa del genere e pensa: bello, uno Stato garantista. Non c'è più il mostro in prima pagina. Solo che il principio vale solo per gli ospiti. Gli italiani devono solo pagare le tasse. Niente garantismo, nessuna tutela, neppure uno straccio di presunzione di innocenza. Anzi, quando poi si va a processo c'è la gara a far scappare dalle procure notizie, intercettazioni, frullati di vita privati, perfino di chi è capitato in quelle carte per caso, senza neppure essere indagato. E c'è anche una strana regia che calcola e razionalizza i tempi politici delle indiscrezioni. Questo è il Paese dove la condanna arriva per mezzo stampa prima dei processi e dove la carcerazione preventiva viene usata come arma di ricatto e addirittura di tortura.
Per gli italiani, insomma, il garantismo è un lusso che non si possono permettere. Siano essi personaggi famosi o sconosciuti, potenti o povera gente. È una forma di democrazia della gogna. Ora perché i profughi vengono risparmiati? Non per bontà. A quanto pare il governo non vuole turbative alla linea politica sull'immigrazione. Non parlate dei delitti dei profughi perché siccome accogliamo tutti, senza alcun controllo, pubblicizzare le loro malefatte potrebbe intaccare il consenso del governo e portare voti a chi critica le maglie larghe di Alfano e company. Meglio nascondere la realtà e continuare a raccontare agli italiani che tutto va bene, che tutto è sotto controllo. E se una notizia scappa dalle Questure, nessun problema, ci penserà Renzi a coprire Alfano. La colpa sarà stata di un gufo. Magari profugo.
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L'avvertimento: "Vi spiego perché le vostre figlie avranno il velo"
«Allora ti vengo a prendere domani, arrivi con l' aereo delle velate».
Mi scusi, onorevole Sbai, ma chi sono le velate?
«Le italiane, mia sorella le chiama così. Quando vado a trovarla a Casablanca mi vede scendere dall' aereo che arriva da Roma circondata da marocchine immigrate. Sono tutte velate, vestite di nero, con gli occhi bassi».
E non è normale?
«Per niente. Sono arrivata in Italia a 19 anni, per amore, e prendo quell' aereo dagli anni '80. Era un tripudio di voci e colori. Sbarcavano sorrisi, donne felici, vestite di arancione, giallo, azzurro. Ora sembrano tutte vedove, solo che il marito è vivo e il lutto che portano è per la loro vita. La cosa terribile è che sono partite dal Marocco libere. Sono diventate schiave in Italia».
Mi spiega più nel dettaglio questo processo di schiavizzazione?
«L' islamico arriva in Italia per lavorare e ha tutte le difficoltà dell' immigrato: è solo, disorientato, debole. Ma noi non lo integriamo, non gli diamo i nostri valori, le regole, i costumi, ce ne disinteressiamo con la scusa di rispettarlo. Così l' unico riferimento che gli resta è la moschea fai da te. Lì predica un imam che risponde direttamente a Riad, quando non a Raqqa, e su cui lo Stato non esercita alcun controllo e l' immigrato impara l' islam estremista. Quando torna a casa lo impone alla famiglia. Quando poi in un palazzo la prima donna porta il velo, il gioco è fatto, gli altri mariti per dimostrare di essere loro a comandare in casa, lo impongono alle loro mogli. E, quando compiono 11 anni, alle figlie».
Il Qatar finanzia la costruzione di 33 nuove moschee in Italia...
«Non dovremmo consentirlo. Diventeranno vivai di terroristi. Il Marocco chiude le moschee integraliste, noi le apriamo. Siamo ignoranti, non capiamo che la seconda generazione farà più danni della prima. Nell' islam lo scontro tra padri e figli è più forte che in Italia ed è capovolto: nell' islam i giovani sono più rigidi e tradizionalisti dei padri. Io la chiamo la generazione dei convertiti, perché sono passati dall' essere musulmani a essere fanatici».
Com' è potuto accadere?
«La prima ondata migratoria, negli anni '80, era culturale o di lavoro qualificato; erano pochi, arrivavano da un islam pacificato, volevano integrarsi e avevano curiosità per il diverso, come l' avevo io. Poi è arrivata l' immigrazione rurale, su cui ha avuto presa l' islam estremista salafita predicato in molte moschee. Si è formata una comunità poco aperta al dialogo ma ancora rispettosa delle leggi. Ora tocca ai figli, che dovrebbero integrarsi in un' Italia in crisi, di valori ed economica. Non hanno lavoro né soldi ma vedono i soldi dei loro coetanei italiani, e non hanno neppure la propensione al sacrificio dei loro padri. Sono carne da macello per il jihad, migliaia di potenziali reclute del terrorismo islamico».
Come avviene il reclutamento?
«Con i soldi. L' Arabia, lo Yemen, il Qatar, l' Isis, fanno arrivare soldi alle moschee. I giovani vengono coccolati, pagati, viziati. Cadono nella rete e non possono più venirne fuori. Verrebbero uccisi se ci provassero».
Ma l' Italia cosa può farci?
«Deve smettere di dare soldi alle associazioni islamiche, perché vengono usati per fare proselitismo. E deve imporre il proprio modello, non lasciar fare. L' integrazione dev' essere obbligo non optional. Servono regole e divieti, perché gli estremisti vanno dove hanno più libertà. La nostra tolleranza ci condanna; gli islamici la interpretano come debolezza, si esaltano, ci giudicano molli e incapaci e attaccano. La conquista dell' Occidente è stata pianificata nella penisola araba negli anni '90. Punta a radicalizzare lo scontro e islamizzare l' Occidente infedele. È stata messa a bilancio una somma, sono state costruite moschee, formati imam, spediti in Europa soldi, armi e uomini per fare proselitismo».
Le aggressioni di Colonia rientrano in questo piano?
«Certo, alla voce terrorismo sessuale. È stata una rappresaglia. Dopo che la Merkel aveva annunciato una stretta sull' accoglienza e sulle norme anti-terrorismo è esplosa la rabbia integralista. Stuprare le donne del nemico è uno dei più classici atti di guerra».
Le donne occidentali hanno sottovalutato l' episodio?
«Le donne occidentali sono più buone e tolleranti con gli immigrati islamici che le stuprano che con i loro mariti. Immagini se quello di Colonia fosse stato un raid dell' estrema destra cosa avremmo sentito. Queste signore radical chic con la borsa Hermés che dicono che non bisogna strumentalizzare gli stupri di Colonia sono prigioniere dei loro stereotipi e non possono più tornare indietro. Identificano l' immigrato con il debole e non vedono altro. Ma così lo trattano da inferiore, sempre da immigrato e mai da uomo, si preoccupano solo di mettergli il panino in bocca. È un misto di buonismo perverso e ingenuità».
Cosa possono fare le donne italiane per le islamiche d' Italia?
«Farle uscire di casa, creare una rete amicale, degli incontri. E battersi contro il velo».
Dovremmo vietarlo in Italia?
«Il burqa, ma anche il velo. Difendere il velo non è rispetto per la cultura islamica ma complicità con chi sottomette le donne. Non conosco donne che portino il velo con orgoglio».
Ultimamente alcuni grandi stilisti occidentali hanno firmato collezioni con la donna velata...
«Sono contrarissima. Gli stilisti studino la moda marocchina, con capi bellissimi e rigorosamente senza velo. Avanti così, i padri italiani tra qualche anno si vedranno tornare a casa le figlie con il velo. Si comincerà per gioco, per imitare la compagna di classe, ma non si sa come finirà».
La Serracchiani in Iran ha esibito il velo, pubblicando un' allegra e orgogliosa fotogallery...
«Doveva rifiutarsi, per le straniere è obbligatorio solo in moschea. Ha voluto essere più realista del re. La Fallaci era diversa, non si mise il velo neppure davanti a Khomeini. Altre donne e altri tempi, l' Occidente è regredito. E la prova sono le velate. Oggi il Marocco importa estremismo dall' Italia. Da ragazza andavo in spiaggia in costume da bagno, ora non potrei. L' islam estremista, quello arabo-wahabita, attraverso l' Europa sta conquistando Paesi musulmani dove non aveva mai attecchito in centinaia d' anni».
Pensa che anche i media abbiano delle responsabilità?
«Enormi. I media hanno fame di islam integralista. Ormai in tv se non hai il velo non sei ritenuta attrezzata per parlare di islam, non ti chiamano come esperta di mondo arabo. Io sono un' eccezione, ma lo devo anche all' esperienza politica. E pensare che ero venuta in Italia per laurarmi in Lettere e studiare Petrarca e Leopardi».
E poi cos' è successo?
«Alla Sapienza mi hanno detto che di studiosi di Leopardi ne avevano tanti e che serviva qualcuno che si specializzasse in diritto islamico, per confrontarsi con il mondo arabo. Ho avuto un osservatorio privilegiato per studiare il fallimento dell' integrazione e della società multiculturale».
I moderati islamici chiedono un' intesa con lo Stato che regolamenti e dia diritti alla religione musulmana in Italia. Cosa ne pensa?
«Assolutamente no, la comunità islamica non ha nessun referente autorizzato a trattare. Sono tutte associazioni rappresentative solo di loro stesse. Sarebbe il caos, esattamente come nel mondo arabo di oggi».
C' è chi dice che l' islam è una religione che si nutre di violenza...
«Sono già destinataria di tante fatwe, non vorrei arricchire la collezione. C' è perfino una vignetta in cui vengo minacciata di morte».
Rischiamo un' altra fatwa, via...
«Posso dirle che alcune sure inneggiano alla guerra e alla sottomissione delle donne. Ma non è il punto decisivo, analoghi passaggi ci sono nella Bibbia. Il problema è che oggi in Europa l' islam moderato non esiste più, non parla, non scrive, neppure interessa».
Lei è cattolica o musulmana?
«Io sono laica. Ma posso dirle che in Italia non c' è libertà religiosa. Penso a Rachida, uccisa dal marito a Brescello perché si è convertita. In Italia i musulmani convertiti al cristianesimo non possono nemmeno indossare un crocifisso, pena la morte».
Cosa pensa del Papa, molto aperto al dialogo con l' islam?
«Che non si discute, è il Papa. Io sono arrivata con Wojtyla, grande politico e anticomunista. Di Ratzinger ho amato l' autenticità. Bergoglio non capisco dove vuole andare a parare. Dovrebbe occuparsi di più della mancanza di libertà religiosa dei cristiani nel mondo, e perfino in Italia».
Come mai è una così fervente anticomunista?
«Sono nata musulmana. La sinistra coccola gli islamici ma forse ignora che l' islam odia il comunismo almeno quanto il cristianesimo. Comunque sì, sono di destra, ho bisogno di regole, ordine. Mio padre invece era socialista, un medico, un musulmano illuminato, che ha mandato me e i miei sette fratelli alla scuola francese. E anche mia madre lo era».
I partiti di centrodestra li ha girati un po' tutti...
«Non li ho girati tutti, sono entrata nel Pdl da An. Ora a destra c' è solo la Lega, e quindi sono emigrata. Sono convinta che Salvini abbia le doti per diventare premier».
Non è troppo estremista?
«Al contrario, il suo difetto è che è un buono. E poi basta accusarlo di populismo e razzismo. Interpreta l' insofferenza mia e di molti verso il disordine. Gli italiani sono disperati, i giovani vanno via. Tra trent' anni rischiamo di essere completamente islamizzati».
Berlusconi le manca?
«Lui esiste ancora, ma solo lui. Se vuole far sopravvivere Forza Italia deve cambiare del tutto la classe dirigente. Mi manca molto in politica estera. Aveva capito gli arabi, teneva in pugno la Libia. Tra i motivi principali del complotto internazionale che l' ha destituito c' era la volontà di Usa e mezza Europa di sostituirlo nei rapporti privilegiati con molti Paesi arabi».
Complotto internazionale?
«Partiti e politici islamici sono profondamente antidemocratici, divisi e incapaci di gestire il potere. I dittatori erano funzionali alla stabilità del Medio Oriente e avevano rapporti consolidati con l' Europa. L' Arabia per ragioni economiche e religiose e gli Usa per ragioni economiche e politiche hanno voluto cambiare lo scenario puntando sui partiti religiosi e sono nate le primavere arabe. L' Europa non ha capito e ci è cascata, uscendone con le ossa rotte, ma anche Usa e Arabia hanno sbagliato i calcoli».
Perché?
«Per l' incapacità dei partiti islamici di governare, basta vedere quello che è successo in Egitto. È il Paese culturalmente più attrezzato e non a caso sono scesi in piazza in 30 milioni contro i Fratelli Musulmani».
E cosa pensa dell' Isis? Ha appena vinto il premio Nabokov con «Isis, il palcoscenico dell' orrore», il suo libro sullo Stato Islamico...
«È il risultato del fallimento delle primavere arabe. Agli estremisti sunniti è stata data una terra, tra Iraq e Siria, per portare la guerra in aree sciite, fino alle porte dell' Iran. L' Isis è un problema interno all' islam. Ora si troverà un accordo per spartirsi la Siria e lasciare una via di fuga ad Assad».
Di Putin possiamo fidarci?
«Conosce l' islam meglio di tutti, per averlo sconfitto in casa. Se vogliamo battere l' Isis militarmente dobbiamo farlo attraverso di lui. Gli Stati Uniti, abbiamo visto in Iraq e Afghanistan, non ne sono capaci. L' Europa non ne ha le forze e l' Italia non è nulla».
Pietro Senaldi
Libero, del 18/1/2016
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Il cardinale Burke: "La Chiesa abbia paura dell'islam"
Il cardinal Raymond Burke in un libro-intervista spiega perché l'islam vuole conquistare l'Occidente: "Musulmani e cristiani sono diversi nella relazione con Dio"
Giuseppe De Lorenzo - Il Giornale, 26/07/2016
Raymond Burke è famoso per essere uno dei cardinali di Santa Romana Chiesa più fedeli all'ortodossia. Infatti, è tra coloro che, durante il Sinodo sulla famiglia, ha più volte contrastato gli sconti sulla fede: adulterio, divorzio, convivenze, gay e tutte le altre concessioni contrarie al cristianesimo. Niente divisioni, certo. Ma divergenza di opionioni con la linea "tedesca" di cui il Papa sembra fidarsi.
Anche sull'islam e sulla relazione tra musulmani e Occidente, Burke ha le idee chiare. E le ha messe nere su bianco in un libro-intervista dal titolo: "Hope for the World: To Unite All Things in Christ". Parole che alla luce di quanto accade in Normandia, Germania e Francia in questi giorni hanno il sapore della profezia.
"La Chiesa abbia paura dell'islam"
Secondo Burke, la Chiesa dovrebbe "avere paura dell'islam" e in particolare della sua incapacità di convivere insieme ad altre religioni. L'islam è minaccia, un pericolo per l'unità del mondo occidentale. "Non c'è dubbio che l'Islam vuole governare il mondo - ha scritto il patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta - Quando i musulmani diventano una maggioranza in qualsiasi paese poi hanno l'obbligo religioso di governarlo".
Un modo per dire che se tutto dovesse rimanere così come è, con la totale apertura del mondo occidentale a qualsiasi richiesta venga dalla cultura musulmana, il futuro non potrà che essere quello del dominio islamico sull'Europa. E questo perché "per sua natura", l'islam oltre che religione "deve farsi anche Stato". Ovvero permeare con la legge islamica tutte gli aspetti della società e del governo dove i musulmani vivono. A tutto ciò basta sommare la massiccia immigrazione e la frittata è fatta. I fedeli di Allah lo sanno e per questo non hanno timore a dire che la "sharia sarebbe una cura per la decadenza dell'Occidente".
"È importante - ha aggiunto Burke - che i cristiani si rendano conto delle differenze radicali tra Islam e cristianesimo in materia di loro insegnamento su Dio, sulla coscienza, ecc. Chi conosce davvero l'Islam, comprende facilmente che la Chiesa dovrebbe averne paura".
In una recente intervista a Religion News Service, inoltre, il cardinale ex prefetto del tribunale della Segnatura apostolica, ha ribadito che l'unico modo per rispondere alla diffusone dell'islam è recuperare la fonte cristiana dell'Europa. Le sue radici.
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Presentiamo un lungo studio di Gianluca Martone. Per motivi tecnici viene completato cliccando su "Leggi tutto".
LE DONNE TEDESCHE STUPRATE DAGLI IMMIGRATI
da
[caserta24ore.altervista.org] del 19 luglio 2016
Nel corso di questi ultimi mesi, si stanno diffondendo in Germania i casi di stupri commessi da parte degli immigrati sulle donne tedesche, fenomeno molto preoccupante e di inaudita gravità, che necessita di un’analisi corretta e precisa.
Di recente, si è conclusa l’inchiesta della polizia federale tedesca sugli agghiaccianti fatti avvenuti a Colonia nella notte di Capodanno. Sono i numeri più di ogni altra cosa a dare la misura di quanto è successo durante il Capodanno tedesco 2016: 1.200 le donne vittime di aggressioni sessuali in strada in una sola notte in tutto il Paese — delle quali 650 a Colonia e 400 ad Amburgo —; 2.000 gli aggressori, che quasi sempre hanno agito in gruppo; 120 gli indagati, in maggioranza provenienti dal Nordafrica e almeno la metà arrivati in Germania nell’anno precedente. Soltanto quattro (sì, quattro) le condanne.
È quanto emerge dal rapporto della Polizia federale anticipato ieri dal quotidiano Süddeutsche Zeitung, e dalle emittenti Ndr e Wdr. «Dobbiamo aspettarci che non riusciremo a individuare i responsabili di molti di questi reati» ha dichiarato il presidente della polizia federale Holger Münch. Da quella notte la Germania non è più la stessa, scosso come mai il tradizionale senso di sicurezza nei luoghi pubblici che è una delle condizioni della libertà delle donne nel Paese. Uno choc che ha costretto la cancelliera Angela Merkel a tirare il freno sulla politica di accoglienza nei confronti dei rifugiati siriani.
Intanto ci sono voluti sette mesi perché fossero resi noti i primi dati raccolti dalla commissione d’inchiesta «Silvester» («ultimo dell’anno») su quello che la polizia ha definito «un fenomeno criminale nuovo», gli attacchi di gruppo alle donne durante eventi di massa: a Capodanno sono stati in tutto 642 i reati puramente sessuali, per i quali sono stati indagati 47 sospetti; 239 quelli in cui le molestie sono state accompagnate da furti o borseggi e 73 i relativi indagati. Sono avvenuti, oltre che a Colonia e Amburgo, anche a Stoccarda e Düsseldorf tra le altre città. Gli aggressori — è il dato che ha sconvolto l’Europa — sono quasi tutti stranieri, perlopiù nordafricani e circa la metà è arrivata in Germania da meno di 12 mesi: «C’è un legame tra l’emergere di questo fenomeno e l’ingente immigrazione del 2015» ha sintetizzato burocraticamente alla commissione d’inchiesta il presidente della polizia federale Münch. Secondo il quale inoltre «non ci sono prove» che le aggressioni siano state pianificate, contrariamente a quanto detto a caldo dal ministro della Giustizia Haiko Mass, che aveva parlato di «criminalità organizzata». Il rapporto, lungo 50 pagine, deve essere ancora sottoposto ai Land (gli Stati federali) prima di essere pubblicato ufficialmente. Ma alcuni elementi sono già evidenti.
Prima di tutto l’impreparazione della polizia: non solo non è riuscita a fermarlo, ma non ha neppure capito ciò che stava succedendo quella notte. E poi la difficoltà di perseguire le molestie di gruppo: Münch la ha attribuita a «ostacoli investigativi», perché non c’erano immagini chiare degli aggressori e le vittime non sono state in grado di riconoscerli o descriverli nel dettaglio. Anche quando c’erano però, non è bastato. Ad Amburgo, dove il numero delle molestie sessuali è stato ancora più alto che a Colonia, un fotografo amatoriale ha scattato inconsapevolmente sei foto dall’alto delle aggressioni nella Große Freiheit (ironicamente «grande libertà»), la strada con più locali della città dove si era ritrovata la folla che festeggiava il nuovo anno. Alcuni dei presunti colpevoli sono stati arrestati. E poi tutti rilasciati anche se erano stati identificati. Il diritto tedesco infatti permetteva di perseguire una violenza sessuale solo se le donne dimostravano di essersi opposte con la forza. E se un determinato reato veniva attribuito nello specifico alla persona che lo aveva commesso. Le mani che a Capodanno hanno molestato le donne tedesche invece sono rimaste anonime.
D’ora in poi però non sarà più così: la scorsa settimana è stata approvata la nuova legge sui crimini sessuali battezzata «No significa No» che punisce con pene fino a due anni tutti coloro che fanno parte del gruppo degli aggressori, anche se non hanno esercitato la violenza di persona ma si sono limitati a renderla possibile.
Inoltre fa sì che sia più facile espellere gli stranieri che hanno commesso reati: potranno essere respinti anche in Paesi dove potrebbero essere perseguitati. Infine introduce il reato di «molestia sessuale», finora non contemplato esplicitamente dal codice e soprattutto prevede che sia considerato violenza qualsiasi atto imposto contro la «volontà riconoscibile» della vittima. Erano anni che il movimento delle donne tedesco chiedeva queste modifiche, che alcuni anche tra nell’Unione cristiano democratica della cancelliera consideravano troppo ampie. Lo choc provocato dai fatti di Colonia ha permesso che venisse approvata in pochi mesi.
Gli eventi di quella notte furono agghiaccianti, in particolare il gioco arabo dello stupro, come riportò “il Giornale”.
Provate a immaginare una donna che cammina per strada e che ha solo una colpa: veste all’occidentale e non è accompagnata da un uomo appartenente alla sua famiglia. Improvvisamente viene circondata da un gruppo di uomini, dieci, venti talvolta di più. Alcuni la circondano, altri fanno da palo e sviano i curiosi. Dal gruppo si staccano tre o quattro che iniziano a toccare i seni della poveretta, le toccano il sedere, se ha la sventura di portare la gonna, gliela alzano, le strappano le mutande e le infilano le mani nelle parti intime tra risa e scherni.
In internet gira il video di una donna filmata durante questa pratica: se ve la sentite ascoltate il suo urlo. E’ agghiacciante. Le più fortunate vengono lasciate andare, le altre vengono violentate dal branco. La pratica si chiama Taharrush ed è segnalata nei Paesi del Golfo, a cominciare dall’Arabia Saudita, ma anche in Tunisia, in Egitto, in Marocco, soprattutto al termine del Ramadan ma in genere in occasione di grandi assembramenti. Perché la folla è ricercata dagli uomini che praticano le molestie di gruppo, la folla aiuta, nasconde, relativizza, la folla aiuta a punire le donne non velate. Come quelle che festeggiavano l’avvento del nuovo anno a Colonia e nelle altre città tedesche la notte di Capodanno.
La Bild l’altro giorno ha pubblicato i verbali delle donne che sono state aggredite. E’ un resoconto dell’orrore. A tutte hanno cercato di infilare dita nelle parti più intime. A tutte sono stati palpati seni e sedere. Tutte sono state circondate, umiliate, derubate. Alcune sono state violentate.
Pochi giorni dopo questi eventi orribili, il collega Andrea Riva de “il Giornale” ha riportato il rapporto di polizia con le testimonianze di quella notte nefasta per moltissime donne tedesche:” La Bild online rende pubblico il protocollo della polizia di Colonia che descrive, nel tipico gergo burocratico, le molestie, le violenze e i furti subiti dalle donne nella notte di Capodanno. Il “protocollo della vergogna” riporta, minuto dopo minuto, quello che è successo nella piazza della stazione centrale.
Tra le altre cose, si legge: “Ore 0:50, piazza del Duomo: più donne vittime. A tutte hanno cercato di infilare dita nella vagina, non riuscito grazie a collant. A tutte sono stati palpati seni e sedere. Una vittima è stata penetrata con un dito. Alle donne sono stati rubati soldi, documenti, iPhone e carte di credito”. “Ore 03:40, piazza del duomo: gruppo di 20 uomini nordafricani ha infilato mani nel pantalone davanti. In seguito rubato portafoglio. Furto: contanti e portafoglio”. O ancora: “Ore 01:30, Breslauer Platz: infilata mano nel pantalone, palpeggiato il sedere. Messa mano nella borsa, rubato il telefonino e toccata dappertutto. Telefonino via”. Scorrendo le descrizioni raccolte durante la notte risulta sempre più incomprensibile il tweet con cui la polizia di Colonia annunciava ufficialmente, al mattino del primo gennaio, che tutto si era svolto pacificamente.
A mezzanotte esatta un altro rapporto: “Ore 0:00: vittima infastidita da un gruppo di persone. Lei e la madre sono state palpeggiate, una persona ha cercato di baciarle mentre un complice rubava il portafoglio dalla borsa. Rubato il portafoglio con diverse carte di credito”. Ci sono anche vittime maschi nel “protocollo della vergogna”. Alcuni erano soli, altri accompagnavano amiche o fidanzate. “Ore 0:30 vittima maschile e femminile: gruppo di 20 uomini nordafricani bloccavano le vittime e infilavano mani nei pantaloni. Alla fine rubavano il portafoglio”.
Questi orrori rappresentano la terribile conferma di cio’ che avvenne alcuni anni fa ad una giovane ragazza tedesca. Un immigrato islamico, in Germania, si vanto’ di avere stuprato insieme ai suoi compagni una ragazza vergine. E’ talmente certo della ‘normalità’ della cosa, dal raccontare alle telecamere i particolari: Breve trascrizione – Ragazzi, eravamo in sette. Alcuni sul pavimento, tre sul letto. Era un letto da cuccetta. – Adin spense la luce e l’abbiamo fottuta. Adin l’ha deflorata, era vergine. Immagina! Era vergine! – E noi eravamo in sei ancora in attesa, davanti al letto. E lui bang! bang! – Poi noi sei ci siamo buttati sul letto: lei gridava e si opponeva, lottava.
– E amico, Sinan e gli altri. Uno dopo l’altro, amico. Vergine, amico! – Lei piangeva dopo lo stupro, e non poteva reggere ancora. E noi, come maiali le abbiamo sputato addosso. Sperma e sporcizia sopra tutto il suo corpo.
Per comprendere nel migliore dei modi questi fatti gravissimi, sono molto interessanti le parole pronunciate dall’economista e sociologo Gunnar Heinsohn, che insegna presso la scuola NATO a Roma, in un’intervista alla Neuen Zürcher Zeitung di quello che sta per accadere ai cittadini europei in un futuro molto prossimo. E’ stato nel Califfato, e ne ha tratta una visione del nostro futuro cupa, con l’arrivo dei profughi. Ha assistito a stupri di massa di donne yazidi e cristiane, al traffico di donne tra i giovani combattenti, la decapitazione di uomini europei, e più e più volte alla proclamazione diretta ai kuffar, i miscredenti: “le vostre donne saranno le nostre puttane, i vostri figli nostri schiavi!”
Heinsohn fa un’analisi interessante delle motivazioni che spingono i cosiddetti profughi (al 90 per cento giovani maschi) a lasciare la Siria e gli altri Paesi islamici: la carenza di donne. La loro, dice in sostanza, è una jihad sessuale. La società occidentale si basa sul matrimonio monogamo, questo la rende equilibrata e pacifica: ogni uomo ‘ottiene’ la sua donna. Nelle società islamiche non è così, vige la poligamia: il maschio dominante (per qualsiasi motivo, ricchezza o brutalità) prende più mogli. Questo restringe la quantità di donne a disposizione, lasciando orde di maschi islamici in quella che Heinsohn definisce ‘modalità caccia-e-saccheggio permanente‘. In altre parole: quando un centinaio uomini dominanti hanno ciascuno quattro mogli, poi ci sono trecento uomini lasciati a mani vuote. Quindi non è la guerra, ma la mancanza di donne nel proprio paese che ha spinto questi giovani in Europa. Quindi, dice il sociologo, dobbiamo prepararci a “ migranti aggressivi, con interessi primari di base, tanto tempo a disposizione e che, molto ben collegati tra di loro con gli smartphone, vanno a caccia di femmine nelle loro vicinanze, che a loro volta, non possono difendersi e sono lasciate senza protezione“.
La collega Annalena Benini sul Foglio esamino’ accuratamente la causa di questi gravissimi episodi:” La prevalenza del maschio ha avuto la sua espressione plastica, carnale, aggressiva e nuova a Colonia (e in almeno altre tre città tedesche) a Capodanno: donne assalite da uomini, soprattutto giovani, arabi e nordafricani. Un rito di umiliazione, ma anche la dimostrazione di una forza maschile, di una pericolosità che può facilmente organizzarsi e attaccare i simboli e i corpi, la libertà e la vita come la conosciamo, come vogliamo viverla e come ci appartiene. Donne minacciate non solo fisicamente da uomini soli, donne occidentali, europee, aggredite da chi è venuto in Europa a cominciare un’altra vita o a odiare la nostra.
Molti giornali inglesi e americani (e anche Lucia Annunziata ieri sull’Huffington Post) hanno individuato una questione “maschilista” in quest’ondata di migranti “senza precedenti nella storia” (un milione solo lo scorso anno), anzi uno squilibrio: la stragrande maggioranza, un numero sproporzionato di migranti, sono, secondo conti ufficiali, giovani, non sposati, uomini non accompagnati. Partono soli, arrivano soli (ma molti sperano, una volta concesso l’asilo, di riunirsi con le proprie mogli e i figli). Più dei due terzi dei rifugiati che hanno raggiunto la Grecia e l’Italia, registrati dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni, sono uomini. Un quinto sono minorenni (la metà arriva senza genitori), il resto giovani adulti soli. In Svezia, paese che è stato particolarmente trasparente nelle statistiche sulle migrazioni, dallo scorso novembre il settantun per cento di tutti i richiedenti asilo è di sesso maschile. Più del ventun per cento, minori non accompagnati: undici ragazzi per ogni ragazza. Sono numeri molto maggiori di quelli cinesi, dove pure c’è un allarme sociale per mancanza di ragazze. “Comunque venga considerata la responsabilità per gli assalti di massa alle donne tedesche – scrive il Times – la crisi dei rifugiati rischia di distorcere l’equilibrio di genere in tutta Europa e nel medio oriente”.
Politico, magazine americano, ha pubblicato un lungo articolo intitolato: “Europe’s man problem”, spiegando che “potrebbe sembrare sessista in apparenza, ma anni di ricerche hanno mostrato che le società dominate dagli uomini sono meno stabili, perché più aperte ad alti livelli di violenza e maltrattamento delle donne”. Scrive il Times che ci sono sicure “correlazioni fra un equilibrio di genere distorto, specialmente se combinato con un ‘incremento di giovani’ e l’aumento della violenza, della radicalizzazione, il pericolo di rivolta, la radicalizzazione e la propensione a fare la guerra”. L’equilibrio va gestito dai paesi che portano il peso del flusso migratorio, ma la connessione è questa: molti uomini (senza donne), molta violenza. E molti uomini che odiano le donne, spesso in nome del fanatismo religioso, di un’idea di dominio, e vedono nella loro libertà di vivere, camminare, bere, ballare, baciare, un’offesa e insieme un’eccitazione, una provocazione insomma (anche senza jihadisti, che comunque sono, nella stragrande maggioranza degli attacchi terroristici, giovani uomini adulti senza legami).
Il Canada ha già chiuso le porte, per il 2016, a uomini soli dalla Siria (teenager non accompagnati e giovani maschi adulti): potranno entrare donne, bambini accompagnati e famiglie. Perché il normale rapporto tra i sessi è un “bene pubblico” e lo squilibrio genera mostri, e li moltiplica.
Queste agghiaccianti analisi fu confermata anche da un’imam di una moschea di Colonia, il quale è voluto tornare sui fatti della notte di Capodanno, sugli stupri ai danni delle donne tedesche ad opera di centinaia di immigrati. La guida religiosa ha voluto dire la sua. Anzi, ha deciso di “difendere” i profughi stupratori. Secondo Sami Abu-Yusu, imam della moschea Al Tawheed, infatti, la colpa delle violenze non è da imputare agli islamici e immigrati, ma al profumo delle donne. Avete capito bene. Al loro profumo: in pratica se una donna europea decide di comprarsi un buon profumo e ha la “folle” idea di indossarlo, dovrà sapere che in questo modo istiga gli uomini a violentarla. Ma la colpa, dice l’imam, non è di chi non rispetta le regole europee, di chi considera le donne poco più di un oggetto. Ma delle ragazze, accusate di vestire troppo all’occidentale e di essere troppo poco consone ai dettami dell’islam.
“Gli eventi di Capodanno – ha detto l’imam in un’intervista rilasciata ad una tv russa e ripresa dal Daily Mail – sono colpa delle donne, perché erano seminude e indossavano il profumo”. “Non mi stupisce che gli uomini le abbiano attaccate – aggiunge – Vestire così è come gettare benzina sul fuoco”.
Nonostante queste incredibili affermazioni, non poteva di certo mancare lo sciacallaggio dell’osservatorio antifascista, come riportò il “Giornale”:” Le giustificazioni dell'”osservatorio antifascista” sui fatti di Colonia, dove circa mille immigrati hanno violentato più di 100 donne, rappresentano in tutta la sua ideologia il pensiero medio di chi, pur di difendere gli immigrati, s’inventa scuse assurde. Che mai avrebbe adottato per uno stupratore italiano. “Gli accusati, molto probabilmente – si legge nel post di Facebook – sono fuggiti da guerre, carestie e indigenze varie. Si saranno sentiti emarginati e in carenza di affetto, quindi hanno agito di conseguenza”.
Carenza di affetto. Se non fosse ancora rintracciabile online, potreste non crederci. Invece è così: pur di regalare una via d’uscita dal crimine che hanno commesso a quei “profughi”, gli “antifascisti” tirano fuori dal cappello la carenza d’affetto. E allora perché non giustificare anche i fidanzati che, abbandonati dalla ragazza, violentano e uccidono le loro “amate”. Nessuno sarebbe in grado di sostenere una tesi del genere. Ma gli “antifascisti” sì, solo se a commettere il reato sono gli stranieri. Poveri. È evidente che chi è in fuga da guerre, senza una casa, sia legittimato a stuprare e derubare delle donne indifese. Tutto torna. In fondo, sempre sullo stesso post si legge: “Non sono stupratori, non è giusto chiamarli in modo tale, ma andrebbero chiamati al massimo molestatori”.
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Per conoscere la storia del dialogo con l'islam, si consiglia la lettura di questo appassionante volume:
[www.totustuus.it]
Nizza: la guerra di religione continua
di Roberto de Mattei
Ha ragione Papa Francesco quando, da oltre un anno, afferma che è già in corso la “terza guerra mondiale”, combattuta “a pezzetti”, ma bisogna aggiungere, che si tratta di una guerra di religione, perché religiosi sono i moventi di chi l’ha dichiarata, e rituali sono perfino gli omicidi che in suo nome vengono perpetrati.
Francesco ha definito il massacro di Nizza un atto di “violenza cieca”, ma la furia omicida che ha spinto il conducente del Tir a seminare la morte sul Lungomare di Nizza, non è un atto irrazionale di follia: nasce da una religione che incita all’odio e istiga alla violenza. Gli stessi moventi religiosi hanno provocato i massacri del Bataclan di Parigi, degli aeroporti di Bruxelles e di Istanbul e del ristorante di Dacca. Tutti questi gesti, per quanto barbari, non sono “ciechi”, ma fanno parte di un piano lucidamente esposto dall’Isis nei suoi documentii
Il portavoce dell’Isis Abu al-Adnani, con un audio diffuso a fine maggio su Twitter ha invitato ad uccidere in Europa in nome di Allah con queste parole: “Spaccagli la testa con una pietra, macellalo con un coltello, investilo con l’auto, gettalo da un luogo elevato, soffocalo o avvelenalo”. Non diversamente si esprime il Corano nei confronti degli infedeli. Continuare a ignorarlo è segno, questo sì, di cieca follia.
Ci si illude che la guerra in corso non sia quella dichiarata dall’Islam all’Occidente, ma una guerra che si combatte all’interno del mondo musulmano e che l’unico modo per salvarsi sia di aiutare l’Islam moderato a sconfiggere l’Islam fondamentalista, Ma l’Islam moderato è una contraddizione perché nella misura in cui i musulmani si secolarizzano e si integrano nella società occidentale, cessano di essere musulmani, o diventano dei musulmani non osservanti, dei cattivi musulmani. Un vero musulmano può rinunciare, per motivi di opportunità, alla violenza, ma la considera sempre legittima nei confronti dell’infedele, perché così insegna Maometto.
La guerra in corso è una guerra contro l’Occidente, ma è anche una guerra contro il Cristianesimo, perché l’Islam vuole sostituire la religione di Maometto a quella di Cristo. Per questo l’obiettivo finale della conquista non è Parigi o New York, ma la città di Roma, centro dell’unica religione che, fin dalla sua nascita, l’Islam vuole annientare. La guerra a Roma risale alla nascita stessa dell’Islam, nell’VIII secolo. Hanno come obiettivo Roma gli arabi che e nell’830 e nel 846 occupano, saccheggiano e poi sono costretti ad abbandonare, la Città Eterna. Hanno di mira Roma i musulmani che decapitano gli 800 cristiani di Otranto nel 1480 e quelli che sgozzano i nostri connazionali a Dacca nel 2016.
Si tratta di’ una guerra religiosa che l’Isis ha dichiarato contro l’irreligione dell’Occidente, e contro la sua religione, che è il Cristianesimo. Ma nella misura in cui il Cristianesimo si secolarizza spiana la strada al suo avversario, che può essere vinto solo da una società dall’identità religiosa e culturale forte. Come osserva lo storico inglese Christopher Dawson, è l’impulso religioso che fornisce la forza di coesione a una società e a una cultura. “Le grandi civiltà non esprimono dal loro seno le grandi religioni come una specie di sottoprodotto culturale; le grandi religioni sono la base su cui poggiano le grandi civiltà. Una società che ha perduto la sua religione è destinata presto o tardi a perdere la sua cultura.”
Questa guerra religiosa è ormai una guerra civile europea, perché si combatte all’interno delle nazioni e delle città di un continente invaso da milioni di migranti. Si sente ripetere che di fronte all’invasione dobbiamo costruire ponti anziché erigere muri, ma una fortezza assediata si difende soltanto sollevando il ponte levatoio e non abbassandolo. Qualcuno comincia a capirlo. Il governo francese ha previsto l’esplosione di una guerra civile destinata a svolgersi soprattutto all’interno dei grandi centri urbani, dove la multiculturalità ha imposto l’impossibile convivenza di gruppi etnici e religiosi diversi. Il 1 giugno 2016 un comunicato dello Stato maggiore ha ufficialmente ha annunciato la creazione di una forza convenzionale dell’esercito. «il Comando di Terra per il territorio nazionale” (COM TN)», destinata a combattere la jihad sul territorio francese. Il nuovo modello strategico, battezzato “Au contact”, comprende due divisioni, sotto un comando unico, per un totale di circa 77.000 uomini destinati a fronteggiare la minaccia di una insurrezione islamica.
Contro questa minaccia occorrono le armi materiali, che si usano in ogni conflitto per annientare il nemico, ma servono soprattutto le armi culturali e morali, che consistono nella consapevolezza di essere gli eredi di una grande Civiltà che proprio combattendo contro l’Islam ha definito nel corso dei secoli la sua identità. Chiediamo rispettosamente e urgentemente a Papa Francesco, Vicario di Cristo, di essere la voce della nostra storia e della nostra tradizione cristiana, di fronte al pericolo che ci minaccia.
(Roberto de Mattei su “Il Tempo” del 16/07/2016)
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Da ricordare innanzi tutto la profonda prolusione del Card. Ratzinger al Senato della Repubblica italiana: "La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie".
Islam, l’arcivescovo: siamo sotto attacco, occorre reagire uniti
Monsignor Negri e il sondaggio di Noto: i musulmani accettino leggi e valori: «Accoglienza non è integrazione»
da: Il Resto del Carlino: 18 luglio 2016
Ferrara, 18 luglio 2016 – «L’equivoco secondo cui basta accogliere per integrare ha mostrato la sua totale inconsistenza». Dal suo buen retiro di Celle Ligure, Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara e Comacchio, non cede al politicamente corretto.
Dal sondaggio realizzato da Ipr Marketing risulta che il 54 per cento degli italiani ritiene i musulmani poco o nulla propensi a integrarsi: concorda?
«Un conto è accogliere, un altro è integrare. L’integrazione ha bisogno di reciprocità: si integra chi vuole essere integrato. E poi serve un’intesa di fondo su leggi e valori. Non avremo mica paura a dire che la società è retta da leggi! La mia diocesi è assalita e si lascia assalire perché è un popolo ospitale, ma l’ospitalità fatta in questo modo non creerà alcuna vicinanza. Poi ci stupiamo se chi non è integrato, perché non è aiutato o non si è lasciato integrare, commette i crimini orribili cui stiamo assistendo».
Lo stesso sondaggio rivela che, dopo gli ultimi attacchi terroristici, il 70 per cento dei giovani è preoccupato del futuro.
«Un dato che mi colpisce ma non vedo tracce consistenti di una preoccupazione che tocchi il fondo della questione: se riguarda la necessità di cambiare il nostro stile di vita, si tratta di una preoccupazione che vale in ogni tempo di crisi. Qui la questione è più radicale e cioè che siamo di fronte a un attacco frontale alle radici della nostra esistenza».
Quali i punti da chiarire per una vera integrazione con l’Islam?
«Formulata in termini ragionevolmente minimalisti, al centro ci sia almeno una concezione condivisa del valore della persona, della sua libertà e della sua dignità! Ci sono regole di fondo alle quali sottostare, altrimenti non ci si incontra. Senza questo, è inutile far scrivere con i gessetti colorati ai bambini di Bruxelles che ‘noi siamo forti e vinceremo’».
Secondo lei siamo di fronte a un conflitto di civiltà?
«Non sono in grado di dirlo. Io da vescovo ho la responsabilità di far rinascere il senso della fede perché essa accompagna a vivere la vita in modo dignitoso anche in circostanze terribili. Il punto è che abbiamo ammazzato Dio nel cuore degli uomini».
Non mi sembra manchi il senso religioso: questi terroristi agiscono invocando Allah!
«Ma questa professione di fede potenzia intelligenza, cuore e sensibilità dell’uomo? Rispetta la posizione altrui? Una religione che limita la libertà degli altri io non la chiamo neanche religione. Una ideologia che pone come missione la distruzione dell’altro non ha la dignità di essere considerata una forma di cultura».
Si tratta di schegge impazzite?
«Non ho la competenza ma di fronte a queste migliaia di morti, in uno stillicidio di attentati che va avanti da anni, dico solo: reagiamo uniti».
Non crede sia un errore minimizzare la componente islamica o islamista degli attentatori?
«Mi diceva un amico gesuita: ostinarsi a trattare il cancro come fosse un raffreddore rende responsabili della malattia. Serve il coraggio di dire le cose col loro nome».
Crede anche lei, come il rabbino Laras, che l’Occidente sia ‘fiaccato e inavvezzo a considerare il ricorso alla forza legittima’?
«Laras è uomo di grande cultura e formula ciò che io ho detto tante volte: l’Occidente ha più paura della religione cristiana e dell’ebraismo, che lanciano ponti, che dell’Isis».
Cosa fare, dunque?
«Faccio totalmente mia la ludicissima lettura di Laras che ho letto sul Qn: siamo circondati da mediocrità a tutti i livelli, non ci sono più leader che rappresentino le istanze profonde dell’uomo e della società. Siamo sotto un attacco radicale al quale bisognerebbe rispondere con una ripresa di coscienza della propria identità umana, prima che cristiana. Non vedo questo. E il profluvio di cose inutili dette da molte delle presunte autorità in questi giorni lasciano il tempo che trovano».
Cristiano Bendin
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Chiesa in Germania, un crollo.
Qualche giorno fa la Conferenza Episcopale tedesca ha fornito cifre che testimoniano di costante e preoccupante declino del cattolicesimo nella patria di Benedetto XVI.
Nel 2015 l’hanno abbandonata 181.925 persone.
Una strana storia sul discorso del Pontefice ai vescovi.
di Marco Tosatti,19/07/2016
Qualche giorno fa la Conferenza Episcopale tedesca ha fornito cifre che testimoniano di costante e preoccupante declino del cattolicesimo nella patria di Benedetto XVI. A dispetto dei numeri, il cardinale di Monaco, Reinhard Marx, ha definito la Chiesa come una “forza energica, il cui messaggio è ascoltato e accettato”.
La Chiesa cattolica continua a essere il più ampio gruppo religioso in Germania, contando su quasi 24 milioni di fedeli (23.7), il 29 per cento della popolazione. Ma è un contenitore che si sta svuotando a ritmi impressionanti: nel 2015 l’hanno abbandonata 181.925 persone. Nello stesso periodo, sono diventati cattolici in 2685, e 6474 cattolici sono tornati alla fede. La Conferenza episcopale ha sottolineato che il numero dei battesimi e dei matrimoni ha segnato una lieve crescita, rispetto all’anno precedente. Ma se si fa un paragone fra oggi e vent’anni fa – metà degli anni ’90 – si vede che il numero dei battesimi è sceso di un terzo: da 260.000 nel 1995 a 167.000 nel 2015.
Situazione ancora peggiore per i matrimoni: diminuiti di circa la metà. Da 86.456 a 44.298. E se nel 1995 la pratica domenicale era del 18.6 per cento, adesso è scesa al 10.4 per cento.
Ma sono soprattutto gli abbandoni il dato clamoroso. I dati sulla confessione non sono noti, ma una ricerca recente affermava che il 54 per cento preti si confessava al massimo una volta all’anno, e anche meno. Fra gli assistenti pastorali, il 91 per cento si confessava meno di una volta all’anno.
Di fronte a queste cifre di abbandoni – un trend ormai stabile da anni – il cardinal Marx ha ribadito la sua strategia: fare sconti sui sacramenti e sulla dottrina.
“Abbiamo bisogno di una ‘pratica pastorale sofisticata’ che renda giustizia ai diversi mondi di vita della gente e trasmetta in maniera convincente la speranza della Fede. La conclusione del sinodo dei vescovi dell’anno scorso e l’esortazione apostolica Amoris Laetitia di papa Francesco sono punti importanti”.
La strategia degli sconti può funzionare? L’evidenza che proviene dalle Chiese protestanti “storiche” sembra negarlo; in realtà può anticipare veramente quella dei saldi di fine stagione.
L’esperienza dei decenni passati infatti ha condotto sia San Giovanni Paolo II che il suo immediato successore, Benedetto XVI, a non seguirla, preferendo l’enunciazione senza ambiguità e compromessi del messaggio evangelico.
Da notare che nell’ultima visita ad limina dei vescovi tedeschi il Pontefice aveva pronunciato un discorso che è stato definito sferzante. Ma l’aveva pronunciato? In realtà sembra di no, e pare che abbia parlato a braccio, dicendo: là in fondo sul tavolo c’è il discorso, chi vuole lo prenda. Successivamente. Vi raccontiamo questa storia, riportata da una buona fonte. Durante una riunione dell’assemblea dei vescovi tedeschi Marx ha raccontato di essere andato in udienza dal papa, e di avergli fatto qualche rimostranza per il tono del discorso scritto: “eravamo tutti sereni, in piena comunione, e poi ci arriva un discorso così”. Il cardinale ha affermato ai vescovi che il Papa gli avrebbe detto: “Non l’ho fatto io, non l’avevo letto, non tenetene conto”. Quindi Marx ha detto: andiamo avanti come prima. Ma a questo punto sono intervenuti alcuni (pochi) vescovi, per dire: “Ho il testo del discorso, ed è firmato dal Papa. Lo devo seguire”. -Ma non l’aveva visto! – ha ribattuto Marx. “Questi sono affari suoi, ma l’ha firmato. E d’altronde crede che le altre cose scritte dal Papa siano scritte dal Papa? Come quelle sull’ecologia? Certamente questo discorso lei dice che l’ha scritto la Curia romana; ma quello là l’ha scritta la Curia argentina, e ha più valore di quella romana. E comunque ha la firma del Papa, e io nella mia diocesi lo leggo, lo diffondo e lo do ai parroci. E dico di seguirne le tracce. E’ quello che il Papa ha voluto dire alla Chiesa di Dio che è in Germania”. Altri l’hanno appoggiato. Marx diventando rosso in faccia è passato a un altro punto dell’agenda.
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"Pastorale" - "Misericordia" - "Ascolto" - "Discernimento" - "Accompagnamento" - "Integrazione".
Una Rivoluzione pastorale che rischia di scardinare la famiglia
Molti conoscono lo schema storico che, basato sui documenti pontifici e sull’osservazione della realtà, propone il prof. Plinio Corrêa de Oliveira nel suo capolavoro «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione».
In sintesi:
- una prima Rivoluzione, il protestantesimo, tendente a distruggere l’ordine ecclesiastico;
- una seconda Rivoluzione, quella francese, tendente a distruggere l’ordine politico;
- una terza Rivoluzione, il comunismo, tendente a distruggere l’ordine sociale ed economico.
Dal 1968 si parla di una quarta Rivoluzione, chiamata genericamente “culturale”, tendente a demolire ogni struttura morale e psicologica. Parte essenziale di questa Rivoluzione è la distruzione della famiglia, istituzione di ordine naturale poi elevata da Nostro Signore Gesù Cristo alla categoria di sacramento.
È preciso dovere morale di ogni cattolico, in realtà di ogni persona di buona volontà, reagire contro l'ondata demolitrice, proteggendo la famiglia, fondamento di ogni ordine psicologico e sociale.
È, dunque, con fondata inquietudine che gli occhi del mondo erano puntati verso i due Sinodi Episcopali sulla famiglia, tenutisi in Vaticano nel 2014 e nel 2015. Dal loro esito sarebbe dipesa la linea pastorale che la Chiesa avrebbe adottato in una materia così delicata.
Duole dirlo, invece di un’esaltazione della sacralità dell’istituzione famigliare, accompagnata da una chiara linea pastorale in sua difesa, come auspicato da tanti prelati, ne è risultata una confusione come forse non si era mai vista nella storia recente della Chiesa.
Anziché ammaestrati e guidati da mano ferma, i fedeli si sono ritrovati nel caotico frullatore di tale confusione, nella quale rischiano di saltare persino quei “valori non negoziabili” così cari a Benedetto XVI.
L’autorevolissima “Civiltà Cattolica” parla addirittura di una vera e propria Rivoluzione pastorale.
Questa Rivoluzione, però, è furba. Non contesta apertamente il Magistero della Chiesa ma lancia una serie di parole magiche o talismaniche che, manipolate dalla propaganda, cercano di produrre nei fedeli un trasbordo ideologico inavvertito. Cioè, vogliono cambiare la loro loro mentalità senza che essi se ne accorgano.
Cosa sono le parole talismaniche? Come operano questo trasbordo ideologico inavvertito? Come può il fedele proteggersi contro di esse?
A questo importantissimo tema, Tradizione Famiglia Proprietà ha dedicato un recente libro, scritto dallo specialista Guido Vignelli: «Una Rivoluzione pastorale. Sei parole talismaniche nel dibattito sinodale sulla famiglia» (TFP, Roma 2016).
E' possibile chiederne copie cartacee cliccando www.tfpitalia.it/libro-una-rivoluzione-pastorale/
Con il consenso della TFP Italia, totustuus.it rende disponibile il volume in formato digitale cliccando qui:
[www.totustuus.it]
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Aumentano nel mondo cattolico le perplessità di fronte ai temi del divorzio, dell'adulterio, delle convivenze, dei silenzi sull'ideologia omosessualista
Critica alla Amoris laetitia di 45 teologi e filosofi cattolici di tutto il mondo
Un gruppo di 45 teologi, filosofi e pastori di anime di diverse nazionalità ha consegnato nei giorni scorsi al Cardinale Angelo Sodano, Decano del Sacro Collegio, una forte critica dell’Esortazione Apostolica post-sinodale Amoris laetitia .
Nelle prossime settimane il documento, in diverse lingue, sarà fatto pervenire ai 218 Cardinali e ai Patriarchi delle Chiese Orientali, chiedendo loro di intervenire presso Papa Francesco per ritirare o correggere le proposizioni erronee del documento. La notizia è stata diffusa da Edward Pentin.
Nel descrivere l’esortazione come contenente “una serie di affermazioni che possono essere comprese in un senso contrario alla fede e alla morale cattoliche“, i firmatari hanno presentato insieme all’appello una lista di censure teologiche applicabili al documento, specificando “la natura e il grado degli errori che potrebbero essere imputati ad Amoris laetitia”.
Tra i 45 firmatari vi sono prelati cattolici, studiosi, professori, autori e sacerdoti di varie università pontificie, seminari, collegi, istituti teologici, ordini religiosi e diocesi di tutto il mondo.
Essi hanno chiesto al Collegio dei Cardinali che, nella loro veste di consiglieri ufficiali del Papa, rivolgano al Santo Padre la richiesta di respingere “gli errori elencati nel documento, in maniera definitiva e finale e di affermare con autorità che Amoris Lætitia non esige che alcuna di esse sia creduta o considerata come possibilmente vera“.
“Non accusiamo il papa di eresia“, ha detto il portavoce degli autori, “ma riteniamo che numerose proposizioni in Amoris lætitia possano essere interpretate come eretiche sulla base di una semplice lettura del testo. Ulteriori affermazioni ricadrebbero sotto altre censure teologiche precise, quali, fra l’altro, “scandalosa”, “erronea nella fede” e “ambigua”.”
Il Codice di Diritto Canonico del 1983 afferma che “In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi [i fedeli] hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli” (CIC, can. 212 §3).
Il documento di 13 pagine cita 19 passaggi dell’esortazione che sarebbero in contrasto con le dottrine cattoliche. Queste dottrine includono la reale possibilità con la grazia di Dio di ubbidire a tutti i comandamenti; il fatto che alcune specie di atti sono errati in ogni circostanza; l’autorità maritale; la superiorità della verginità consacrata sulla vita coniugale; la legittimità della pena capitale in determinate circostanze.
Il documento sostiene anche che l’esortazione pontificia mina l’insegnamento della Chiesa secondo il quale i cattolici divorziati e risposati che non s’impegnano a vivere in continenza non possono essere ammessi ai sacramenti finché permangono in quello stato.
Secondo gli autori, la vaghezza o l’ambiguità di molte affermazioni della Amoris laetitia permettono interpretazioni il cui significato naturale sembra essere contrario alla fede o alla morale. Per questo, il portavoce ha dichiarato:
“È nostra speranza che chiedendo al nostro Santo Padre una condanna definitiva di quegli errori possiamo aiutare a dissipare la confusione che Amoris laetitia ha già provocato tra i pastori e i fedeli laici. Tale confusione infatti può essere efficacemente dissipata solo da un’affermazione esplicita di autentico insegnamento cattolico da parte del Successore di Pietro .”
Le censure dei 45 teologi e filosofi non pretendono di elencare una lista esaustiva degli errori contenuti nella Amoris laetitia ma di identificare nel documento quelle che appaiono essere le peggiori minacce alla fede e morale cattoliche.
L’iniziativa si presenta come la più importante vice critica fin qui espressa nei confronti dell’Amoris laetitia , dopo la sua promulgazione il 19 marzo 2016.
(di Emmanuele Barbieri, per
[www.corrispondenzaromana.it] )
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Cardinale Carlo Caffarra:
"Schönborn sbaglia, e questo è ciò che vorrei dire al Santo Padre"
Così inizia la folgorante intervista sulla "Amoris laetitia" del cardinale Carlo Caffarra alla studiosa tedesco-americana Maike Hickson, pubblicata l'11 luglio sul blog OnePeter5:
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D. – Lei ha già parlato, in una recente intervista, dell'esortazione papale "Amoris laetitia" e ha detto che specialmente il capitolo 8 non è chiaro e ha già causato confusione anche tra i vescovi. Se lei avesse la possibilità di parlare di questo con papa Francesco, che cosa gli direbbe? Quale sarebbe il suo suggerimento su ciò che papa Francesco potrebbe e dovrebbe ora fare, visto che c'è tanta confusione?
R. – In "Amoris laetitia" [308] il Santo Padre Francesco scrive: “Capisco coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione”. Da queste parole deduco che anche Sua Santità si rendeva conto che l’insegnamento dell’esortazione poteva dare origine a confusioni nella Chiesa. Personalmente, e così pensano tanti miei fratelli in Cristo cardinali, vescovi, e fedeli laici, desidero che la confusione sia tolta, ma non perché preferisco una pastorale più rigida, ma perché semplicemente preferisco una pastorale più chiara, meno ambigua.
Ciò premesso, con tutto il rispetto, l’affetto, e la devozione che sento il bisogno di nutrire verso il Santo Padre, gli direi: Santità, chiarisca, per favore, questi punti:
a) Quanto Vostra Santità dice alla nota 351 ["In certi casi… anche l'aiuto dei sacramenti] del n. 305 è applicabile anche ai divorziati-risposati che intendono comunque continuare a vivere "more uxorio"? E pertanto quanto insegnato da "Familiaris consortio" n. 84, da "Reconciliatio et poenitentia" n. 34, da "Sacramentum caritatis" n. 29, dal Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1650 e dalla comune dottrina teologica, è da ritenersi abrogato?
b) L’insegnamento costante nella Chiesa ed ultimamente rinnovato da "Veritatis splendor" n. 79, che esistono norme morali negative che non ammettono eccezioni, in quanto proibiscono atti, quale per esempio l’adulterio, intrinsecamente disonesti, è da ritenersi vero anche dopo "Amoris laetitia"?
Questo direi al Santo Padre. E se poi il Santo Padre, nel suo sovrano giudizio, avesse intenzione di intervenire pubblicamente per togliere la confusione, ha a disposizione molti modi.
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Ma naturalmente anche il seguito dell'intervista è tutto da leggere.
Ad esempio dove il cardinale Caffarra dice che si rivolgerebbe così a un fedele cattolico confuso sulla dottrina del matrimonio:
"Io semplicemente gli direi: Leggi e rifletti sul Catechismo della dottrina cattolica, ai numeri 1601-1666. E quando senti dei discorsi sul matrimonio – anche da parte di preti, vescovi, cardinali – e tu verifichi che non sono in conformità con il Catechismo, non dare ascolto ad essi. Sono dei ciechi che guidano dei ciechi".
Oppure dove definisce l'esercizio dell'omosessualità "intrinsecamente irrazionale e quindi disonesto", argomentando poi con cura questo giudizio tagliente, specie alla luce della "profetica" enciclica di Paolo VI "Humanae vitae".
Ma di grande interesse è anche la confutazione che Caffarra fa di un passaggio chiave della recente intervista a "La Civiltà Cattolica" del cardinale Christoph Schönborn, l'esegeta della "Amoris laetitia" prediletto da papa Francesco:
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D.– Come commenterebbe la recente asserzione del cardinale Christoph Schönborn secondo cui la "Amoris laetitia" è una dottrina obbligante e tutti i precedenti documenti del magistero su matrimonio e famiglia devono ora essere letti alla luce di "Amoris laetitia"?
R. – Rispondo con due semplici osservazioni.
La prima. Non si deve solo leggere il precedente magistero sul matrimonio alla luce di "Amoris laetitia", ma si deve leggere anche "Amoris laetitia" alla luce del magistero precedente. La logica della vivente tradizione della Chiesa è bipolare. Ha due direzioni, non una.
La seconda è più importante. Il mio caro amico cardinale Schönborn nell’intervista a "La Civiltà Cattolica" non tiene conto di un fatto che sta accadendo nella Chiesa dopo la pubblicazione di "Amoris laetitia". Vescovi e molti teologi fedeli alla Chiesa e al magistero sostengono che su un punto specifico ma molto importante non esiste continuità, ma contrarietà tra "Amoris laetitia" e il precedente magistero.
Questi teologi e filosofi non dicono questo con spirito di contestazione al Santo Padre. Ed il punto è questo: "Amoris laetitia" dice che, date alcune circostanze, il rapporto sessuale fra divorziati-risposati è lecito. Anzi applica a questi, a riguardo delle intimità sessuali, ciò che il Concilio Vaticano II dice degli sposi [cfr. nota 329].
Pertanto o è lecito un rapporto sessuale fuori del matrimonio: affermazione contraria alla dottrina della Chiesa sulla sessualità; o l’adulterio non è un atto intrinsecamente disonesto, e quindi possono darsi delle circostanze a causa delle quali esso non è disonesto: affermazione contraria alla tradizione e dottrina della Chiesa. E quindi in una situazione come questa il Santo Padre, come già scrissi, deve secondo me chiarire. Se dico “S è P” e poi dico “S non è P”, la seconda proposizione non è uno sviluppo della prima, ma la sua negazione.
Nè si risponda: la dottrina resta, si tratta di prendersi cura di alcuni casi. Rispondo: la norma morale “non commettere adulterio” è una norma negativa assoluta, che non ammette eccezioni. Ci sono molti modi fare il bene, ma c’è un solo modo di non fare il male: non fare il male.
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La costante opera dei sempre più numerosi Comitati Difendiamo i Nostri Figli ha provocato la scomposta reazione di un vice ministro all'istruzione: il comunista On. Davide Faraone. Qui un resoconto della vicenda.
Quel che sembra infastidire il Partito Democratico è che la famiglie vogliano poter decidere quale tipo di educazione impartire ai propri figli: ciò va contro la politica di diffusione dell'ideologia omosessualista intesa a trasformare gli italiani in schiavi dello Stato, automi senza valori e senza coscienza. Qui una sintesi del progetto socialista del Governo.
Ricordiamo ancora la petizione intesa a fare pressione sul Governo: è solo un modo con cui le famiglie tentano la resistenza:
[www.citizengo.org]
Cosa rappresenta davvero l'Italia del Family day?
L’Italia del Family Day
Roberto de Mattei, per Corrispondenza Romana del 3 febbraio 2016, 3 giorni dopo il Family Day.
Il Family Day del 30 gennaio ha portato alla luce l’esistenza di un’altra Italia, ben diversa da quella relativista e pornomane che ci viene presentata dai media come l’unica reale. L’Italia del Family Day è quella porzione di popolo, più ampia di quanto si possa immaginare, che è rimasta fedele, o ha riconquistato negli ultimi anni, quelli che Benedetto XVI ha definito «valori non negoziabili»: la vita, la famiglia, l’educazione dei figli, nella convinzione che solo su questi pilastri possa fondarsi una società bene ordinata.
L’Italia del Family Day si pone come antitetica all’Italia della legge Cirinnà, che prende nome dal disegno di legge presentato dalla senatrice Monica Cirinnà, per introdurre matrimonio e adozioni omosessuali nel nostro Paese.
L’Italia del Family Day non è solo un’Italia che difende l’istituto famigliare, è anche un’Italia che si schiera contro i nemici della famiglia, a cominciare dal gruppo di attivisti che, dietro lo schermo della legge Cirinnà, vuole imporre al Paese un’ideologia e una pratica pansessualista.
Questa minoranza è supportata dall’Unione Europea, dalle lobby marx-illuministiche e dalle massonerie di vario livello e grado, ma gode purtroppo della simpatia e della benevolenza di una parte dei vescovi e dei movimenti cattolici.
In questo senso l’Italia del Family Day non è quella di mons. Nunzio Galantino, segretario della Conferenza Episcopale Italiana, né è quella di associazioni come Comunione Liberazione, l’Agesci, i Focolari, il Rinnovamento dello Spirito, che il 30 gennaio hanno disertato il Circo Massimo.
Mons. Galantino ha cercato in tutti i modi di evitare la manifestazione, poi nell’impossibilità di fermare la mobilitazione, avrebbe voluto imporre ad essa un altro obiettivo: quello, come osserva Riccardo Cascioli su La Nuova Bussola quotidiana del 1 febbraio di «arrivare a una legge sulle unioni civili che le tenga ben distinte dalla famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna e che eviti l’adozione. In altre parole la CEI vuole i DICO contro cui aveva combattuto otto anni fa».
Il primo Family Day, nel 2007, fu promosso infatti dai vescovi italiani contro la legalizzazione delle unioni civili (DICO), giustamente presentata come porta aperta al pseudo-matrimonio omosessuale. Oggi si sente raccontare che bisognerebbe accettare le unioni civili, proprio per evitare il cosiddetto matrimonio gay.
Lo racconta, tra gli altri, in un’intervista, mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano: «In linea di principio, non ho obiezioni al fatto che sotto il profilo pubblico si dia consistenza giuridica a queste unioni. Mi sembra che la reazione riguardi il tema della generatività, le adozioni, non il riconoscimento pubblico delle unioni. L’importante è che non vengano assimilate alla realtà del matrimonio». E, a scanso di equivoci, aggiunge: «Una legge sulle unioni civili si può senz’altro fare» (Corriere della Sera 31 gennaio).
La posizione è chiara: no all’adozione omosessuale, sì alla legalizzazione delle unioni omosessuali, purché non vengano ufficialmente definite matrimonio. Se dal disegno di legge Cirinnà fossero tolti alcuni elementi che equiparano in tutto le unioni civili omosessuali al matrimonio, allora un cattolico potrebbe consentirvi. Mons. Semeraro è considerato, come mons. Galatino, un uomo di fiducia di papa Francesco.
Sorge quindi spontanea la domanda: qual’è la posizione del Papa in proposito? Antonio Socci, su Libero del 31 gennaio, rileva come sia stata «evidentissima l’assenza e palpabile la freddezza» di Papa Francesco, il quale non ha inviato nemmeno un saluto al Family Day e non vi ha fatto accenno né nel discorso dell’udienza del sabato mattina, né nell’Angelus del giorno successivo. Come giudicare questo silenzio, nel momento in cui il Governo e il Parlamento italiano si apprestano a infliggere una ferita morale al nostro Paese?
Eppure la Congregazione per la Dottrina della Fede ha dichiarato che l’omosessualità non può reclamare alcun riconoscimento, perché ciò che è male agli occhi di Dio non può venire ammesso socialmente come giusto (Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, del 1 ottobre 1986, n. 17).
L’Italia del Family Day ignora forse questo documento, che il Papa non può ignorare, ma, armata solo di buon senso, il 30 gennaio ha espresso il suo no, chiaro e netto, non solo alla cosiddetta stepchild adoption, ma a tutto il decreto Cirinnà. E quale fosse il sentimento della folla che gremiva il Circo Massimo lo si può capire dalla forza degli applausi che hanno accompagnato gli interventi più forti di alcuni relatori italiani e stranieri, come Seljka Marrkic, leader dell’Iniziativa civica che in Croazia ha avviato il referendum che ha bocciato le unione civili e tre mesi dopo ha travolto anche il presidente del Consiglio.
Bisogna dar atto, con serena oggettività alla Marcia per la Vita. che si svolge in Italia dal 2011, di aver rotto il ghiaccio, sfatando un complesso che pesava sul mondo pro-life italiano: l’idea che fosse impossibile, o comunque controproducente una grande manifestazione di piazza in difesa della vita.
Sulla scia della Marcia per la Vita, ma anche della grande Manif por tous francese, è nato il Family Day che, per volere agglomerare una massa il più ampia possibile, raccoglie al suo interno anime diverse. Intransigenti alcune, disponibili al compromesso altre.
La ragione del suo successo in termini numerici è anche la ragione della sua debolezza in termini di sostanza e di prospettive.
La battaglia in atto non è infatti politica, ma culturale, e non si vince tanto con la mobilitazione delle masse, quanto con la forza delle idee che si contrappongono all’avversario. È una battaglia tra due visioni del mondo, fondate entrambe su alcuni princìpi cardine. Se si ammette che esiste la verità assoluta e l’assoluto Bene, che è Dio, nessun cedimento è possibile. La difesa della verità deve essere condotta fino al martirio.
La parola martire significa testimone della verità e oggi, accanto al martirio cruento dei cristiani, che si rinnova in tante parti del mondo, esiste un martirio incruento, ma non meno terribile, inflitto attraverso le armi mediatiche, giuridiche e psicologiche, con l’intento di ridicolizzare, far tacere, e se possibile imprigionare i difensori dell’ordine naturale e cristiano.
Per questo attendiamo dal “Comitato in difesa dei nostri figli”, promotore del Family Day, che, continui a denunciare l’iniquità della legge Cirinnà anche se questa malauguratamente passasse, sia pure addolcita. La Manif pour tous francese, portò per la prima volta quasi un milione di persone in piazza il 13 gennaio 2013, qualche settimana prima della discussione in Parlamento della legge Taubira, ma continuò a manifestare, con vigore ancora maggiore, anche dopo l’approvazione del pseudo matrimonio omosessuale, innescando un movimento che ha aperto la strada a tanti altri in Europa. E proprio in questi giorni Christiane Taubira, da cui prende nome la scellerata legge francese, è uscita di scena, dando le dimissioni da Ministro della Giustizia.
Ci aspettiamo dunque in Italia nuove manifestazioni, condotte con forza e determinazione, anche se il numero dei partecipanti dovesse essere minore, perché ciò che conta non è l’ampiezza del numero, ma la forza del messaggio:
Non abbiamo usato l’espressione “Family Day” per connotare gli organizzatori di quell’evento, ma per attribuire identità a una piazza che va ben al di là di quella fisicamente riunita al Circo Massimo il 30 gennaio. Quest’Italia non è rassegnata, vuole lottare e ha bisogno di guide.
Le guide devono essere veritiere, nelle intenzioni, nelle idee, nel linguaggio e nei comportamenti. E l’Italia del Family Day è pronta a denunciare le false guide, con la stessa forza con cui continuerà a combattere i veri nemici.
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Priorità per il Governo del Partito Democratico è l'imposizione al paese dell'omosessualismo: il “Portale Nazionale LGBT” è operativo e si propone di “promuovere una maggiore conoscenza della dimensione LGBT per contrastare ogni forma di discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere” (leggere qui).
Aumentano i casi di discrimazione e di violenza verso gli eterosessuali e la famiglia naturale, mentre le amministrazioni locali "rosse" (es. Bologna) finanziano addirittura film porno gay (leggere qui) nell'inquietante silenzio delle opposizioni.
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La famiglie tentano la resistenza: sono ormai settimanali le denunce del Comitato Difendiamo i Nostri Figli e una petizione online:
[www.citizengo.org]
I partiti politici di opposizione al PD si facciano sentire.
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Rivoluzione gay a scuola
Obbligato a studiare omosessualità: la scelta del governo su tuo figlio
di Simona Bertuzzi, Libero del 9 luglio 2016 (con modifiche "cattoliche")
L’insidia è dietro l’angolo. E ha tutto il sapore della cattiva notizia camuffata da buona.
Partiamo dalla cattiva (la buona non c'è): il ministero dell’Istruzione si appresta a varare delle linee guida che di fatto introdurranno nelle scuole la parità di genere e la lotta a ogni forma di violenza e all’omofobia.
E però - questa è ancora più cattiva - il documento, così formulato, potrebbe essere il viatico, o l’inquietante pertugio, attraverso cui arriveranno sui banchi di scuola anche le famose teorie gender, quelle appoggiate da chi, con la scusa della parità uomo-donna, vuole annullare le differenze di sesso, fino ad affermare che anche il trans è normalità e genitore A e genitore B sono meglio di mamma e papà.
Lo dice anche la bozza del Miur: «La differenza sessuale può essere vissuta in un ampio spettro di inclinazioni». Il che, capirete, non c’azzecca molto con i desiderata di milioni di famiglie preoccupate di dare un’educazione tradizionale ai loro figli. O con gli obiettivi di un ministero che dovrebbe tappare le falle della formazione scolastica e riprendersi i cervelli fuggiti all’estero, piuttosto che occuparsi delle questioni di letto dei giovani che andrà a formare.
Nei fatti, e stando alle indicazioni ministeriali, i nostri ragazzi sentiranno parlare di parità di genere a ogni ora del giorno e della notte «perchè il principio deve investire l’intera progettazione didattica». Una full immersion fatta e finita «interconnessa a tutte le discipline».
Non solo: la grammatica dovrà piegarsi alle nostalgie femministe della Boldrini e dunque declinare le professioni e pure gli umori. Avremo un papà astronauto e una mamma assessora come se piovesse, e provi qualcuno a dire il contrario.
Che ci fosse lo zampino della Boldrini, d’altronde, dovevamo capirlo subito. Già nel 2013 la presidente della Camera chiedeva di introdurre la parità di genere nelle scuole ed è sua la recente idea di confezionare l’ora di educazione sentimentale (intesa come eliminazione di pregiudizi). Il che farebbe supporre un piano ben congeniato per arrivare dritti allo scopo. E allora è bene fissare qualche paletto o rischieremo di perderci anche noi tra le pieghe buoniste del testo convinti che basti un sigillo ministeriale ad essere garanzia di buona scuola.
«SOGGETTI DEBOLI»
Il Miur, nel suo sforzo di predicare la parità di genere, descrive il mondo occidentale come imperniato su una tradizione oscurantista di cui sinceramente, da generazioni, si è persa ogni traccia.
Si parla di donne considerate storicamente «deboli, incapaci di pensiero astratto, dominate da una realtà corporea invadente ed emotive». In pratica delle mentecatte e inette, senza vita autonoma, figurarsi un pensiero razionale.
Addirittura nel mondo occidentale immaginato dal Miur, le bambine sono ancora descritte come vittime di una mentalità per cui devono essere gentili e sensibili, amare le faccende sentimentali, e essere ossessionate dal fisico. Mentre ai maschietti sarebbero negate la sensibilità e la dolcezza, e imposti il calcio e la competizione. Costrette le femmine a fare le principesse, i maschi a giocare violento. E non importa se «esistono culture più violente come quelle in cui si operano sulle bimbe mutilazioni genitali, o non si può guidare la macchina e scegliere lo sposo». L’emergenza è in Italia.
Mettano, dunque, i piedi per terra i soloni del ministero e si facciano un giro nelle nostre scuole e nelle nostre case. Abbiamo appena festeggiato la prima donna sindaco di Roma. Abbiamo donne nei cda e a capo dei progetti di ricerca. Quelle che fuggono all’estero non lo fanno perché i maschietti le maltrattano ma perché il sistema universitario e la ricerca fanno acqua e non incoraggiano i talenti. C’è l’esigenza di ridare chance a una generazione di studenti che, arrivati alla maturità, non sanno da che parte voltarsi e vanno a ingolfare le fila di chi non studia e non cerca più lavoro. Semplicemente si è fatta da parte.
Di questo dovrebbe preoccuparsi il Miur. E quanto alle bambine condannate al ruolo passivo e svilente di principessine tonte, ho due figlie femmine, nate nella stessa famiglia e dalla stessa madre, ma una gioca con le macchinine l’altra con le bambole. Una sta con le femmine, l’altra vuole solo far giochi da maschi. Dunque, è la tradizione occidentale e oscurantista che ha infierito sull’una e salvato l’altra, o hanno caratteri diversi e si comportano in base alle loro inclinazioni? Sono di parte, ma propendo per la seconda.
GENITORI A E B
Nossignori, non è la parità di genere l’emergenza. [...] È però l’esigenza, insistita, urlata, oserei dire sclerotica di metterci tutti su uno stesso piano - uomini e donne -, di dire che la differenza sessuale è diseguaglianza e dunque sbagliata, che spaventa.
Perché di questo passo arriveremo dritti al genitore a e genitore b.
Perchè di questo passo lasceremo i nostri figli a scuola la mattina pensando, povere mamme illuse e buontempone, che imparino le tabelline e le poesie mentre invece vengono indottrinati su un certo Cenerentolo, vittima dei fratellastri cattivi, e su papà A che compra 8 mele mentre papà B ne prende solo 5.
Questo preoccupa le povere menti di noi comuni mortali, e il fatto che il Miur si appoggi all’Unhar - organizzazione che per prima accredita le associazioni Lgbt come enti di formazione - non è un buon inizio.
Diceva la circolare ministeriale del 2015 che la teorie gender non sarebbero finite nelle linee guida per le scuole, che le famiglie e il diritto all’educazione dei figli sarebbero stati salvaguardati.
Dicevano, ma stanno già deragliando.
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Sempre più frequenti i casi di discriminazione verso chi difende la famiglia naturale. Gli ultimi casi:
- oscurata la pagina FB del sindaco di Rovigo perchè contrario a presenziare alle unioni civili;
- denunciato un insegnante del liceo Parini per aver detto di esser contrario alle unioni gay.
- all'estero ci sono già casi di licenziamento e violenza con il pretesto dell'omofobia.
I casi di resistenza dei sindaci di:
- Trieste, dove «il "Gioco del rispetto" (bambini costretti a vestirsi da donna e viceversa) verrà tolto dalle scuole»
- Teramo: «Rispetto la legge ma delegherò qualcuno ad applicarla, per i miei principi questi non sono matrimoni»
UNA PRIMA RISPOSTA PUO' ESSERE QUELLA DI SEGNALARE TUTTI, COSTANTEMENTE, LE PAGINE CHE OFFENDONO LA COSCIENZA DEI CREDENTI da questo link:
[https:] DONIAMO TUTTI SESSANTA SECONDI PER LA NOSTRA LIBERTA'
Gender: perché è un’ideologia intollerante e totalitaria ?
Come tutte le teorie contro-natura, proprio per la sua caratteristica di essere qualcosa di innaturale e anormale che sfugge ad un’istintiva comprensione e assimilazione all’interno delle strutture sociali e culturali, l’ideologia del gender utilizza un metodo aggressivo, volto a imporre la propria visione in maniera totalitaria.
In tal senso, si è assistito, anche nel nostro paese, ad una preoccupante escalation di intolleranza nei confronti di coloro che continuano a rivendicare l’unicità e la bellezza della famiglia naturale.
Si verifica quindi un curioso paradosso: l’ideologia relativista per eccellenza, che respinge l’esistenza di qualsivoglia valore assoluto e reclama il riconoscimento dei propri diritti in nome del principio di non-discriminazione, pretende di imporre i propri principi, questi sì insindacabili, senza discussione alcuna.
Non si tratta solo di una astratta ideologia. Il movimento gender per raggiungere i suoi scopi distruttivi si serve di tutti i mezzi a sua disposizione e, potendo contare su un sistema mass mediatico compiacente, mette in campo una strategia tentacolare che si sviluppa su più livelli senza lasciare alcuno spazio al dibattito.
Quello che è in corso è un attacco globale nei confronti dell’ordine sociale naturale da parte di una lobby che pretende imporre, dispoticamente, le proprie rivendicazioni, presentate come i nuovi diritti umani, all’interno delle legislazioni nazionali e dei programmi educativi scolastici.
Un vero e proprio diktat etico globale che, pur non facendo ancora, ufficialmente, parte del diritto internazionale e non vincolando, dunque, giuridicamente i singoli Stati, grazie all’appoggio del mainstream dominante, esercita una pressione ed un’influenza ideologica decisiva sulle menti e i comportamenti delle attuali e future generazioni.
Marguerite Peeters nota come la nuova etica si è imposta, in maniera indolore, attraverso una “rivoluzione silenziosa”, e, in pratica, essa
«già governa le nazioni del mondo. Quale capo di stato, in effetti, ha proposto, elaborato, espresso un’alternativa ai nuovi paradigmi ?Quale organizzazione ha osato mettere in discussione i loro principi soggiacenti? Quale cultura ha opposto loro una resistenza efficace? Il punto è che tutti gli attori sociali e politici influenti, ovunque nel mondo, non solamente non hanno opposto resistenza, bensì hanno internalizzato e si sono appropriati dei nuovi paradigmi. L’allineamento è stato generalizzato».
Tale processo si è svolto subdolamente, “sottotraccia”, a colpi di un martellante bombardamento mass-mediatico e pervasive campagne di sensibilizzazione delle coscienze.
I condottieri, ahinoi, vittoriosi della rivoluzione sono i gruppi di pressione; sono loro, e non i governi nazionali o i cittadini,
«la punta di lancia della rivoluzione, gli esperti che hanno forgiato il nuovo linguaggio con fini manipolatori, i pionieri della nuova cultura, i sensibilizzatori che hanno condotto la campagna, i costruttori di consenso, i facilitatori, i partners di base, gli ingeneri sociali, i campioni della nuova etica».
Il diktat ideologico di una minoranza viene, prepotentemente, somministrato alle incolpevoli nuove generazioni. Sono loro, indottrinati fin dall’asilo al nuovo pensiero unico, le prime innocenti vittime di una rivoluzione, che ne compromette irrimediabilmente l’infanzia e l’adolescenza.
Di fronte a tale violenza colpisce il colpevole silenzio della maggior parte di coloro che dovrebbero essere schierati in prima linea a difesa dei bambini a cominciare dalla categoria degli psicologi.
Come ben osserva, a tale proposito, la sociologa tedesca Gabriel Kuby nel suo saggio Gender Revolution, mettere in discussione il fatto che i bambini abbiano bisogno di una figura paterna e di una figura materna,
«rappresenta un attentato ai dati essenziali dell’esistenza umana ed un cinico rinnegamento delle conoscenze acquisite dalla psicologia. Del resto non c’è bisogno della psicologia per capire che un bambino ha bisogno di un padre e di una madre. In ogni caso è scandaloso il fatto che gli psicologi e la loro corporazione in generale, non si facciano sentire: il formulare terapie per curare i disturbi della personalità causati dal rapporto sbagliato con padre e madre dovrebbe essere il loro pane quotidiano. Così facendo, questa corporazione si piega alla political correctness».
(tratto da Gender Diktat. Origini e conseguenze di un’ideologia totalitaria – Rodolfo de Mattei, Solfanelli, Chieti 2014)
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In vari casi la Chiesa (del postconcilio) si è dimostrata troppo tollerante nei confronti dell'omosessualità. Così facendo ha provocato dolore, morte, inferno alle anime.
Omosessualismo in USA: “La chiesa deve chiedere perdono ai gay?”;
una testimonianza scioccante di Joseph Sciambra, ex omosessuale
9 Lug, 2016 da Il Riformatore
“La chiesa deve chiedere perdono ai gay? ” di Joseph Sciambra
fonte:
[josephsciambra.com]
Traduzione di Pietro Romano
“Ai tempi in cui ero un ragazzino combattuto e impaurito che stava crescendo all’interno dei confini confusi della Chiesa Post Conciliare degli anni Settanta, necessitavo di qualcuno, chiunque, che mi insegnasse e mi affermasse che Gesù voleva da me di più che essermi amico: voleva essere il mio Salvatore, che Gesù voleva salvarmi da me stesso. Sentivo fin dalla tenera età che qualcosa di terribilmente sbagliato stava accadendo dentro di me.
Ero terrorizzato e avevo bisogno di aiuto. Tuttavia, il Cristo che mi presentarono era meramente una figura storica: un tizio che ci stava dentro, ma che era morto e distante; era il Gesù-Hippy di “Godspell” (film del 1973, ndr) che indossava una maglietta di Superman, con la Bibbia, come un supereroe dei fumetti.
Divenuto adolescente, mentre velocemente viravo verso l’omosessualità, poche persone lo notarono, ma non fecero nulla per aiutarmi. A scuola, una sorta di epidemico relativismo veniva celebrato come una regola di vita individuale: una regola fatta su misura per ogni essere umano sulla terra. Il “distaccato” Gesù della mia infanzia si interessava molto poco del mio tran tran quotidiano e delle mie inclinazioni (sessuali).
Ero a un passo dall’accettare la mia omosessulità, quando un prete Cattolico mi disse che non dovevo preoccuparmi perchè, come tutti gli omosessuali, ero nato così. Mi rimandò sulla mia strada con una raccomandazione socialmente responsabile: fare sesso protetto.
A strettissimo contatto con la devastazione portata dall’AIDS e presa coscienza che la mia realizzazione come omosessuale era peggio di quello che pensassi, l’unica presenza Cattolica nel quartiere di Castro a San Francisco era la Parrocchia del Santissimo Redentore (Most Holy Redeemer parish).
Sebbene i sacerdoti che erano assegnati in quella parrocchia stessero con amorevolezza seppellendo tutti i corpi sprecati e senza vita dei nostri amici morti per la malattia, amici che erano in un’età in cui non si desidera per nulla di morire, costoro (i preti) CONFUSERO LA COMPASSIONE per i malati e i morti CON LA TOTALE RINUNCIA DI QUALSIASI SEGNALE DI INSEGNAMENTO CATTOLICO SULL’OMOSESSUALITA’. Volevano esserci amici, ma non Padri.
Fu durante uno di quei momenti, dopo aver perso un altro amico e dopo essermi svegliato nel primo pomeriggio per rendermi conto che avevo riempito la tazza del water con altro sangue, che decisi di abbandonare le pratiche omosessuali; ma un prete a cui mi ero rivolto cercò di minimizzare le mie preoccupazioni e spingermi verso la fede del “gene gay” assicurandomi che ero nel posto a cui appartenevo e che essere gay era quello che mi apparteneva. E così rimasi nelle mie abitudini.
Anni dopo, il sangue usciva copiosamente sul pavimento del mio bagno e non potei più negare che la mia testarda alleanza al sogno gay si stava trasformando in un incubo senza ritorno dal quale non mi sarei mai svegliato.
Per qualche ragione, che non afferro, mi rivolsi di nuovo alla religione della mia infanzia. Pregai perché le cose cambiassero, perché in quel momento nessuno avrebbe potuto convincermi che ci fossero ragioni per le quali io dovessi voler rimanere nelle condizione di essere omosessuale; ma, necessitavo di aiuto. Solo poco cambiò. Andai nuovamente all’uscio della Chiesa Cattolica, un uomo fratturato e sanguinante e, sì, mi fu detto nuovamente che ero gay.
Nonostante ciò, in qualche modo fui perseverante e il Signore Gesù Cristo mi consegnò nelle mani di tre sacerdoti. Per la maggior parte del tempo, questi tre sacerdoti furono molto difficili da trovare. Infatti erano principalmente dei preti semi-licenziati e anche perseguitati o parzialmente rifiutati dalle loro diocesi o congreghe o ordini religiosi. Ma io avevo sentito che avevano il cuore buono, retto e senza timori. E furono Padri di un uomo perso, solo, che in fondo era ancora un ragazzino.
Avanti negli anni, sono ritornato a pensare ai vari amici che avevo e che poi ho perso: il serio e sempre alla ricerca ex-cattolico che ammetteva la caducità delle ondate radicali dello stile di vita gay, ma rimase nella sua condizione di omosessuale perché continuava a leggere “La Chiesa e l’omosessualità” di Padre J. McNeill; l’inspiegabile cattolico gay della domenica che rimase gay-convinto e alla ricerca dell’uomo giusto all’interno della sua chiesa a favore degli LGBT all’interno di gruppi della diocesi di Oakland; oppure il prudente e conservatore tizio del Midwest che ascoltava i consigli dal “pastore” della parrocchia locale di San Francisco e poi si è messo insieme con un uomo. Oggi, sono tutti morti.
La Chiesa deve chiedere scusa ai gay?
A questi uomini, che persero la loro vita in quanto ingannati e disorientati da preti in conflitto con se stessi, la Chiesa dovrebbe chiedere scusa. Ma a cosa servirebbe ora?
In aggiunta, la Chiesa dovrebbe chiedere perdono per aver tollerato troppo a lungo Padre John J. McNeill (Prete gesuita che fondò poi la Queer Teology, ndr), il quale disse: “L’orientamento omosessuale non ha niente a che fare con il peccato, con il disturbo, con il fallimento; invece è un dono di Dio che va accettato, vissuto in pieno e con gratitudine … Gli essere umani non scelgono il loro orientamento sessuale; lo scoprono come un qualcosa che viene loro donato”.
E anche Suor Jeannine Gramick, l’apostata Suora, a cui fu proibito dalla Chiesa di prestare servizio pubblico agli omosessuali, dopo quasi 20 anni di indagine si spostò da un ordine religioso ad un altro (la sua attuale casa – The Sisters of Loretto, è nell’ombra di un’investigazione Vaticana dal 2008 che è ancora in atto); nel frattempo continua a fare convegni e incontrare spesso prelati americani con i quali disquisisce i suoi punti di vista.
Infine, la Chiesa dovrebbe chiedere scusa per preti come Don James Martin S.J. che continua a sottolineare che “gli omosessuali sono nati così”.
……….
[vengono fatti altri esempi, ndr]
……………..
L’idea dell’omosessualità come un qualcosa di “donato” (da chi?) e non “scelto” è direttamente ricavata dalle parole di Padre McNeill; come può un uomo di Chiesa partorire tali parole dalla sua filosofia: “In fondo se una persona è capace di atti solitari come la masturbazione, allora quell’atto masturbatorio, intrapreso con gratitudine verso Dio per il dono del piacere sessuale ricevuto, è sessualità buona. Ancora meglio risulta essere il sesso quando due uomini feriti interiormente si incontrano per condividere un piacere sessuale” ?!
Questi uomini, come gli sfortunati preti che cercarono di darmi consigli, volevano mantenere uomini e donne “gay” come tali. Attraverso la loro pastorale hanno avallato l’omosessualità in tutte le persone che sentivano attrazione per persone dello stesso sesso: l’hanno fatto con me, l’hanno fatto a un numero incalcolabile di altre persone.
E, ripetendoci continuamente che eravamo “gay”, dove pensavano che potessimo finire?
E se questi sono solo alcuni personaggi messi in rilievo all’interno della tetra Chiesa pro-gay che opera all’interno della Chiesa Cattolica, ci sono molti altri ministri e programmi pastorali, operanti e attivi all’interno delle maggiori diocesi degli USA, che appoggiano apertamente l’omosessualità come uno stile di vita autentico e percorribile.
Recentemente, durante un mio intervento alla comunità “gay” di San Francisco, ho parlato con un giovane gay-cattolico a proposito della mia vita dopo aver lasciato l’omosessualità; abbiamo discusso sul perché ho lasciato le pratiche omosessuali e della mia gioia nell’aver abbracciato la castità. Ha risposto seccamente: “eh no! Ma questo non è quello che ci dicono al Santissimo Redentore!”
In conclusione, caro Papa Francesco: chiedere scusa per la dannosa catechesi, per i dannosi programmi pastorali, per i preti negativi, e per i Vescovi Apatici che non fanno nulla per correggerli.
Così come per tutti coloro che se ne sono andati, troppo giovani, perché nessuno si è mai preoccupato di dire loro la Verità.
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In vari casi la Chiesa (del postconcilio) si è dimostrata troppo tollerante nei confronti dell'omosessualità. Così facendo ha provocato dolore, morte, inferno alle anime.
Omosessualismo in USA: “La chiesa deve chiedere perdono ai gay?”;
una testimonianza scioccante di Joseph Sciambra, ex omosessuale
9 Lug, 2016 da Il Riformatore
“La chiesa deve chiedere perdono ai gay? ” di Joseph Sciambra
fonte:
[josephsciambra.com]
Traduzione di Pietro Romano
“Ai tempi in cui ero un ragazzino combattuto e impaurito che stava crescendo all’interno dei confini confusi della Chiesa Post Conciliare degli anni Settanta, necessitavo di qualcuno, chiunque, che mi insegnasse e mi affermasse che Gesù voleva da me di più che essermi amico: voleva essere il mio Salvatore, che Gesù voleva salvarmi da me stesso. Sentivo fin dalla tenera età che qualcosa di terribilmente sbagliato stava accadendo dentro di me.
Ero terrorizzato e avevo bisogno di aiuto. Tuttavia, il Cristo che mi presentarono era meramente una figura storica: un tizio che ci stava dentro, ma che era morto e distante; era il Gesù-Hippy di “Godspell” (film del 1973, ndr) che indossava una maglietta di Superman, con la Bibbia, come un supereroe dei fumetti.
Divenuto adolescente, mentre velocemente viravo verso l’omosessualità, poche persone lo notarono, ma non fecero nulla per aiutarmi. A scuola, una sorta di epidemico relativismo veniva celebrato come una regola di vita individuale: una regola fatta su misura per ogni essere umano sulla terra. Il “distaccato” Gesù della mia infanzia si interessava molto poco del mio tran tran quotidiano e delle mie inclinazioni (sessuali).
Ero a un passo dall’accettare la mia omosessulità, quando un prete Cattolico mi disse che non dovevo preoccuparmi perchè, come tutti gli omosessuali, ero nato così. Mi rimandò sulla mia strada con una raccomandazione socialmente responsabile: fare sesso protetto.
A strettissimo contatto con la devastazione portata dall’AIDS e presa coscienza che la mia realizzazione come omosessuale era peggio di quello che pensassi, l’unica presenza Cattolica nel quartiere di Castro a San Francisco era la Parrocchia del Santissimo Redentore (Most Holy Redeemer parish).
Sebbene i sacerdoti che erano assegnati in quella parrocchia stessero con amorevolezza seppellendo tutti i corpi sprecati e senza vita dei nostri amici morti per la malattia, amici che erano in un’età in cui non si desidera per nulla di morire, costoro (i preti) CONFUSERO LA COMPASSIONE per i malati e i morti CON LA TOTALE RINUNCIA DI QUALSIASI SEGNALE DI INSEGNAMENTO CATTOLICO SULL’OMOSESSUALITA’. Volevano esserci amici, ma non Padri.
Fu durante uno di quei momenti, dopo aver perso un altro amico e dopo essermi svegliato nel primo pomeriggio per rendermi conto che avevo riempito la tazza del water con altro sangue, che decisi di abbandonare le pratiche omosessuali; ma un prete a cui mi ero rivolto cercò di minimizzare le mie preoccupazioni e spingermi verso la fede del “gene gay” assicurandomi che ero nel posto a cui appartenevo e che essere gay era quello che mi apparteneva. E così rimasi nelle mie abitudini.
Anni dopo, il sangue usciva copiosamente sul pavimento del mio bagno e non potei più negare che la mia testarda alleanza al sogno gay si stava trasformando in un incubo senza ritorno dal quale non mi sarei mai svegliato.
Per qualche ragione, che non afferro, mi rivolsi di nuovo alla religione della mia infanzia. Pregai perché le cose cambiassero, perché in quel momento nessuno avrebbe potuto convincermi che ci fossero ragioni per le quali io dovessi voler rimanere nelle condizione di essere omosessuale; ma, necessitavo di aiuto. Solo poco cambiò. Andai nuovamente all’uscio della Chiesa Cattolica, un uomo fratturato e sanguinante e, sì, mi fu detto nuovamente che ero gay.
Nonostante ciò, in qualche modo fui perseverante e il Signore Gesù Cristo mi consegnò nelle mani di tre sacerdoti. Per la maggior parte del tempo, questi tre sacerdoti furono molto difficili da trovare. Infatti erano principalmente dei preti semi-licenziati e anche perseguitati o parzialmente rifiutati dalle loro diocesi o congreghe o ordini religiosi. Ma io avevo sentito che avevano il cuore buono, retto e senza timori. E furono Padri di un uomo perso, solo, che in fondo era ancora un ragazzino.
Avanti negli anni, sono ritornato a pensare ai vari amici che avevo e che poi ho perso: il serio e sempre alla ricerca ex-cattolico che ammetteva la caducità delle ondate radicali dello stile di vita gay, ma rimase nella sua condizione di omosessuale perché continuava a leggere “La Chiesa e l’omosessualità” di Padre J. McNeill; l’inspiegabile cattolico gay della domenica che rimase gay-convinto e alla ricerca dell’uomo giusto all’interno della sua chiesa a favore degli LGBT all’interno di gruppi della diocesi di Oakland; oppure il prudente e conservatore tizio del Midwest che ascoltava i consigli dal “pastore” della parrocchia locale di San Francisco e poi si è messo insieme con un uomo. Oggi, sono tutti morti.
La Chiesa deve chiedere scusa ai gay?
A questi uomini, che persero la loro vita in quanto ingannati e disorientati da preti in conflitto con se stessi, la Chiesa dovrebbe chiedere scusa. Ma a cosa servirebbe ora?
In aggiunta, la Chiesa dovrebbe chiedere perdono per aver tollerato troppo a lungo Padre John J. McNeill (Prete gesuita che fondò poi la Queer Teology, ndr), il quale disse: “L’orientamento omosessuale non ha niente a che fare con il peccato, con il disturbo, con il fallimento; invece è un dono di Dio che va accettato, vissuto in pieno e con gratitudine … Gli essere umani non scelgono il loro orientamento sessuale; lo scoprono come un qualcosa che viene loro donato”.
E anche Suor Jeannine Gramick, l’apostata Suora, a cui fu proibito dalla Chiesa di prestare servizio pubblico agli omosessuali, dopo quasi 20 anni di indagine si spostò da un ordine religioso ad un altro (la sua attuale casa – The Sisters of Loretto, è nell’ombra di un’investigazione Vaticana dal 2008 che è ancora in atto); nel frattempo continua a fare convegni e incontrare spesso prelati americani con i quali disquisisce i suoi punti di vista.
Infine, la Chiesa dovrebbe chiedere scusa per preti come Don James Martin S.J. che continua a sottolineare che “gli omosessuali sono nati così”.
……….
[vengono fatti altri esempi, ndr]
……………..
L’idea dell’omosessualità come un qualcosa di “donato” (da chi?) e non “scelto” è direttamente ricavata dalle parole di Padre McNeill; come può un uomo di Chiesa partorire tali parole dalla sua filosofia: “In fondo se una persona è capace di atti solitari come la masturbazione, allora quell’atto masturbatorio, intrapreso con gratitudine verso Dio per il dono del piacere sessuale ricevuto, è sessualità buona. Ancora meglio risulta essere il sesso quando due uomini feriti interiormente si incontrano per condividere un piacere sessuale” ?!
Questi uomini, come gli sfortunati preti che cercarono di darmi consigli, volevano mantenere uomini e donne “gay” come tali. Attraverso la loro pastorale hanno avallato l’omosessualità in tutte le persone che sentivano attrazione per persone dello stesso sesso: l’hanno fatto con me, l’hanno fatto a un numero incalcolabile di altre persone.
E, ripetendoci continuamente che eravamo “gay”, dove pensavano che potessimo finire?
E se questi sono solo alcuni personaggi messi in rilievo all’interno della tetra Chiesa pro-gay che opera all’interno della Chiesa Cattolica, ci sono molti altri ministri e programmi pastorali, operanti e attivi all’interno delle maggiori diocesi degli USA, che appoggiano apertamente l’omosessualità come uno stile di vita autentico e percorribile.
Recentemente, durante un mio intervento alla comunità “gay” di San Francisco, ho parlato con un giovane gay-cattolico a proposito della mia vita dopo aver lasciato l’omosessualità; abbiamo discusso sul perché ho lasciato le pratiche omosessuali e della mia gioia nell’aver abbracciato la castità. Ha risposto seccamente: “eh no! Ma questo non è quello che ci dicono al Santissimo Redentore!”
In conclusione, caro Papa Francesco: chiedere scusa per la dannosa catechesi, per i dannosi programmi pastorali, per i preti negativi, e per i Vescovi Apatici che non fanno nulla per correggerli.
Così come per tutti coloro che se ne sono andati, troppo giovani, perché nessuno si è mai preoccupato di dire loro la Verità.
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Per un curioso disegno della Provvidenza, proprio il 1517 è l'anno in cui il giovane Sant'Ignazio di Loyola lascia la vita agiata e mondana, iniziando un cammino che - passando per l'eroica difesa in armi di Pamplona - si concluderà con la stesura degli Esercizi Spirituali sotto l'ispirazione della Vergine Maria. Così, proprio mentre lo spretato Lutero, vigliacco e sporcaccione, dava inizio alla più immonda rivolta contro il Redentore, nella solitudine della grotta di Manresa Nostra Signora forgiava il suo campione: la spina dorsale della vera riforma, la Riforma cattolica. Celebriamo dunque i 500 anni di Sant'Ignazio di Loyola! L'Europa pretenda le scuse da tutte le sette luterane!
La cosiddetta “contro-riforma”. Vera riforma e trionfo di santità
da: Il settimanale di padre Pio, del 5 giugno 2016
di Corrado Gnerre
La perenne vitalità del Cattolicesimo prorompe con più vigore e forza proprio nei periodi più critici, e dimostra che lungo i secoli la Chiesa romana non ha mai perso nulla perché ha sempre conservato il dono della santità, da cui è sbocciata una fioritura ..
«Il XVI secolo, tempo di prove terribili nella prima metà, epoca di trionfo nella seconda. Lo storico non mancherà di provare con i fatti che la santità vi appare in proporzione analoga. San Gaetano domina quasi da solo la prima metà; ma non appena scocca l’anno 1550, una fioritura meravigliosa sboccia sui rami dell’albero secolare del Cristianesimo; e mentre il Protestantesimo si arresta finalmente nelle sue conquiste, Dio si compiace di mostrare che la Chiesa romana non ha perduto nulla perché ha conservato il dono della santità. Sarebbe necessario riscrivere una storia cristiana del XVI secolo qualora in essa non si desse giusto rilievo al rinnovamento dei costumi cristiani iniziato da san Gaetano e continuato con tanto vigore e ampiezza da sant’Ignazio di Loyola e dai Santi della Compagnia di Gesù; alla riforma della disciplina formulata nei saggi decreti del Concilio di Trento e resa effettiva da Papi come san Pio V e da vescovi come san Carlo Borromeo; alla rinascita dell’apostolato dei Gentili con san Francesco Saverio e a quello delle città cristiane con san Filippo Neri; alla purificazione dei Chiostri ad opera di Teresa, Giovanni della Croce, Pietro d’Alcantara. È necessario risalire al IV secolo per ritrovare una costellazione di Santi radiosa quanto quella che brillò nel cielo della Chiesa, quando la cosiddetta Riforma ebbe infine stabilito le proprie frontiere».
Queste parole le ha scritte Dom Prosper Guéranger (1805-1875), Abate di Solesmes, nel suo preziosissimo Il senso cristiano della storia. Attenzione a ciò che si detto infine: «È necessario risalire al IV secolo per ritrovare una costellazione di Santi radiosa quanto quella che brillò nel cielo della Chiesa, quando la cosiddetta Riforma ebbe infine stabilito le proprie frontiere».
Non provvedimenti repressivi ma “lievito” per la società
Il periodo della cosiddetta “controriforma” va dalla conclusione del Concilio di Trento fino al XVII secolo. Un periodo difficile per la Chiesa, tanto difficile che da qui è partita una falsità che ha percorso e percorre ancora il divenire storico e gli studi sulla storia, ovvero il fatto che, per reagire al “rinnovamento” protestante, la Chiesa Cattolica avrebbe compiuto un’opera di semplice restaurazione. Da qui il termine “controriforma”. Invece nella cosiddetta “controriforma” non si agì tanto con provvedimenti repressivi quanto con l’influenza sulla società; un’influenza profonda e diffusa per la capacità che il Cattolicesimo stesso ebbe di influire sulla sensibilità collettiva. Un’influenza nel campo dell’arte, nelle forme di devozione popolare, nella cultura e nella vita degli uomini. A proposito della devozione popolare, in quegli anni si sviluppò un forte culto della Madonna e dei Santi. Innumerevoli erano i Rosari recitati in pubblico e i corsi di catechismo per i più giovani.
Un’esplosione di Santi e di Ordini religiosi
Dunque, la “controriforma” fu piuttosto una “riforma” e in essa la Chiesa Cattolica diede il meglio di sé. Ci fu in quel periodo un fiorire di Santi e di Ordini religiosi. Iniziamo dai Santi: sant’Ignazio di Loyola, san Francesco di Sales, san Carlo Borromeo, santa Teresa d’Avila, san Giovanni della Croce, san Francesco Saverio, san Gaetano di Thiene, san Giovanni di Dio e altri ancora... E poi gli Ordini religiosi: i Gesuiti, i Cappuccini, i Teatini, i Barnabiti, le Orsoline... L’Ordine dei Teatini fu fondato nel 1524 da san Gaetano di Thiene per coadiuvare i Parroci. I Cappuccini furono fondati nel 1528 da Matteo da Bascio per la predicazione fra il popolo. I Barnabiti nel 1530 da sant’Antonio M. Zaccaria per l’educazione dei giovani. I Fatebenefratelli nel 1540 da san Giovanni di Dio per la cura degli ammalati. E sempre per la cura degli ammalati in quel periodo san Vincenzo de’ Paoli fondò le Suore della Carità. Nel 1575 san Filippo Neri fondò l’Ordine dei Padri dell’Oratorio (o Filippini), dedito soprattutto all’educazione cattolica dei bambini e dei giovani. Nel 1600 san Giuseppe Calasanzio fondò l’Ordine dei Padri delle Scuole Pie (anche detti Scolopi) per l’istruzione dei giovani. Per non parlare della mistica con i grandi riformatori Carmelitani: santa Teresa d’Avila e san Giovanni della Croce.
Istruzione per tutti
A proposito dell’istruzione, altro che arretratezza della “controriforma”! Il Medioevo aveva avuto buone scuole, ma non ordinate in classi frequentate da ragazzi della stessa età. Fu invece proprio questo che operò delle innovazioni importanti. Sant’Ignazio di Loyola avvertì l’esigenza di riorganizzare il sistema pedagogico nei collegi retti dal suo Ordine e fissò nel 1599 quello che è stato chiamato “L’ordinamento degli studi” (ratio studiorum). Gli allievi dei collegi passavano da una classe all’altra in base ai risultati acquisiti e percorrevano un itinerario scolastico fondato soprattutto sullo studio delle lingue classiche. Il greco e il latino venivano considerati importanti per la formazione della futura classe dirigente non solo per il valore della loro letteratura o per il fatto che una di esse era la lingua ufficiale della Chiesa, ma come esercizio di ordine mentale e strumento formativo per l’intelligenza dei giovani.
Se il Liceo “moderno” si deve a sant’Ignazio di Loyola, la scuola gratuita per tutti si deve soprattutto a san Giuseppe Calasanzio, il quale nel 1597, dopo aver visitato la Parrocchia di Santa Dorotea in Trastevere, dove si trovava una scuola i cui allievi dovevano pagare una retta, riuscì a convincere il Parroco a rendere gratuita quella scuola e ad accogliere tutti i ragazzi, con preferenza per i ragazzi poveri del quartiere. In cambio si sarebbe fatto carico dell’insegnamento personalmente e con alcuni collaboratori.
Contrastare il fideismo protestante
Dunque, al di là delle differenze, il tratto comune dei Santi della “controriforma”, e degli Ordini religiosi che alcuni di questi fondarono, fu quello di contrastare l’errore protestante sul versante della ricomposizione del rapporto opere-fede. Lutero, infatti, con la sua teoria della sola Fide aveva annullato l’apporto salvifico dato dalle opere riducendo tutto a un puro fideismo.
Ebbene, la Provvidenza rispose donando spiritualità che si esprimevano proprio nella valorizzazione sia delle opere sia della fede in una ricomposizione armonica. Fu una “risposta” per riconfermare le fondamenta della societas christiana, per riconfermare la compenetrazione di natura e soprannatura evitando sia la separazione che la confusione. Fu una risposta della Provvidenza per riconfermare la Fede cattolica.
Dom Prosper Guéranger, sempre ne Il senso cristiano della storia, scrive: «Non si devono tacere i miracoli [...] di san Filippo Neri a Roma e di san Francesco Saverio nelle Indie, che nel XVI secolo attestarono clamorosamente che la Chiesa papale, malgrado le blasfemie della Riforma e la decadenza dei costumi, era tuttavia l’unica depositaria delle promesse e roccaforte della fede».
.[Il testo di Dom Gueranger è tra i libri scaricabili gratuitamente da totustuus.it]
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Sant'Alfonso M. de' Liguori scrive: "il Demonio, essendo stato ricettato in sua casa in abito di rigattiere, ebbe commercio colla madre, e così ella avesse conceputo questo parto maledetto [...]. Lutero era sin d'allora pieno di vizj, superbo, ambizioso, petulante, propenso alle sedizioni, alle calunnie, ed anche alle impudicizie [...] In somma dall'anno 1521. sino al 1546, quando morì, egli ne' suoi libri disotterrò tutte le antiche eresie. Il Cocleo, parlando degli scritti di Lutero, scrive: Egli in quelli contamina tutte le cose sacre: così predica Cristo, che conculca i suoi sacramenti: così esalta la divina grazia, che distrugge la libertà: così innalza la fede, che nega le buone opere, ed ingerisce la licenza di peccare: così solleva la misericordia, che deprime la giustizia, e rifonde in Dio la causa di tutti i mali: distrugge in somma tutte le leggi, toglie la forza a' magistrati, concita i laici contra i sacerdoti, gli empj contra il papa, ed i popoli contra i principi".
(Da leggere:
[www.intratext.com]
A sinistra, un dipinto di Lutero con la moglie Caterina Bora, come lui religiosa che gettò l'abito alle ortiche, dei quali Sant'Alfonso scrive: "Avea già l'altro suo compagno eresiarca e sacerdote Zuinglio presa moglie; Lutero, che non avea minore inclinazion di Zuinglio al matrimonio, se n'era astenuto sino ad allora per rispetto dell'elettor di Sassonia, il quale, quantunque eretico, abborriva i matrimonj de' religiosi, ed erasi dichiarato di non volerne soffrir veruno. All'incontro Lutero si era invaghito di Caterina di Bore, la quale era di famiglia nobile, ma perché povera, si era fatta monaca per disperazione nel monastero di Misnia, ed era giunta ad esserne badessa: avendo elle poi letto un libro di Lutero, che parlava della nullità de' voti religiosi, s'invogliò di parlar con Lutero; Lutero andò a visitarla più volte, e finalmente ebbe l'abilità di farla uscire dal monastero e venire in Vittemberga, ove lo sfacciato, essendo morto già l'elettor Federico che l'impediva, nell'anno 1526 la sposò con gran solennità; ed indi col suo esempio ed insinuazioni tirò anche ad ammogliarsi il gran maestro dell'ordine teutonico. Questi matrimonj diedero poi occasione ad Erasmo di dire, che l'eresie de' suoi tempi si riduceano tutte a commedie, perché le commedie tutte finiscono col matrimonio".
«Io non mi lascerò dominare da nulla»
di Cristina Siccardi
La coscienza di ogni individuo che segue i principi del Creatore è quella che segue la Verità, portatrice di libertà (Gv 8, 32); la «libertà di coscienza» di ogni individuo che segue i propri voleri e i propri piaceri è quella che rende la vita avviluppata di problemi e di infelicità. Tuttavia l’individuo, anche cristiano, si ribella e vuole imporre la sua volontà, sfidando Dio e corrompendo, di peccato in peccato, la sua splendente innocenza battesimale.
C’è chi, pur conducendo una vita licenziosa, vuole a tutti i costi vedere legittimati i propri atti dissoluti. Esistono casi eclatanti nella storia, come quello di Enrico VIII, la cui scelta di divorziare da Caterina d’Aragona per contrarre nuovo matrimonio con Anna Bolena originò uno scisma all’interno della Chiesa.
Tuttavia un fatto similare avvenne anche nel Protestantesimo stesso; mentre quest’ultimo, però, si piegò alle voglie di Filippo I d’Assia, la Santa Sede di Roma non si piegò a quelle di Enrico VIII. Fu così che il Parlamento inglese approvò gli atti che sancirono la frattura con Roma nella primavera del 1534. In particolare l’Act of Supremacy stabilì che il Re è «l’unico Capo Supremo della Chiesa d’Inghilterra» e il Treasons Act dello stesso anno rese alto tradimento, punibile con la morte, il rifiuto di riconoscere il Sovrano come tale: molti martiri persero la vita sul patibolo per tale ragione, fra questi san Tommaso Moro.
Alcuni anni prima di tali fatti storici, il Langravio Filippo I d’Assia, dopo poche settimane dal suo matrimonio con la malaticcia e poco piacente Cristina di Sassonia, che probabilmente abusava anche di alcool, commise adulterio e nel 1526 iniziò a considerare l’ammissibilità della bigamia. Scrisse quindi a Martin Lutero per chiedergli la sua opinione in merito, portando come precedente la pratica della poligamia tra i patriarchi dell’Antico Testamento.
Lutero rispose che per un cristiano non era sufficiente considerare gli atti dei patriarchi, ma che, come per i patriarchi, era necessaria una speciale sanzione divina. Poiché nel caso specifico tale sanzione non esisteva, l’eresiarca gli raccomandò di non incorrere in un matrimonio poligamo. Ma Filippo non abbandonò il suo progetto, né tantomeno uno stile di vita basato sul libertinaggio che, per anni, gli impedì di accostarsi alla comunione luterana (memoria dell’ultima cena di Cristo), dove non avviene la transustanziazione, poiché Lutero la negò.
Entrò quindi in scena Melantone con il caso di Enrico VIII: il riformatore propose che le “difficoltà” del Re venissero risolte prendendo una seconda moglie, piuttosto che divorziando dalla prima. Proposta che garbò molto al langravio, avvalorata da alcune affermazioni dello stesso Lutero, contenute nei suoi sermoni sulla Genesi. Tale soluzione parve a Filippo I l’unico “medicinale misericordioso” per curare la sua coscienza malata di vizi e di peccati. Egli quindi pensò di sposare la figlia di una dama di compagnia di sua sorella, Margarethe von der Saale, la quale non voleva a lui unirsi se non con l’approvazione dei teologi di Wittenberg, approvazione che arrivò sotto le minacce dello stesso langravio d’Assia a Rotenburg an der Fulda, dove, il 4 marzo 1540, Filippo e Margarethe vennero uniti in matrimonio. La vicenda, comunque, fu di enorme scandalo per tutta la Germania, tanto che alcuni alleati del langravio smisero di servirlo e Lutero si rifiutò di confermare il proprio coinvolgimento nella questione.
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Come non ricondurre tali vicende alle proposte avanzate all’interno del Sinodo straordinario sulla famiglia conclusosi da poco? L’uomo contemporaneo, tronfio del suo progresso scientifico, culturale, tecnologico e teologico, ripropone gli stessi temi di mezzo millennio fa per andare incontro alle coscienze esigenti non di Verità, ma di soggettiva libertà delle persone: “diritti” per le proprie incontrollate passioni.
«Chi viene a trovarsi in queste ed in altre situazioni del genere, in cui le norme canoniche chiaramente non coincidono con la realtà umana quale si prospetta ad una coscienza deformata, ha diritto all’aiuto ed alla comprensione fraterna ed intelligente del prossimo. Ciò significa non solo trattarli come dei fuorilegge, ma anche aiutarli a giudicare la loro situazione e l’eventuale dissidio fra la norma, da una parte, e l’imperativo della coscienza, dall’altra. In definitiva, si tratta di prestar loro l’attenzione che meritano, facendo sentire inoltre la propria partecipazione alla loro fiducia nell’amore di Dio, che tutto abbraccia e di tutto finisce per avere ragione. Ciò significa anche non impedir loro senza motivo di accostarsi ai sacramenti. Poiché le attuali norme sembrano non consentirlo e non è possibile trovare una via d’uscita neanche ricorrendo all’epicheia, si dovrebbe cercare di riformare queste prescrizioni».
Questo non è un brano tratto dalle discussioni del Sinodo sulla famiglia; non è neppure il passo di un’intervista rilasciata dal Cardinale Kasper e nemmeno una considerazione di Papa Francesco. Questa è una citazione tratta da un libro di Viktor Steininger pubblicato in Germania nel 1968 e tradotto in Italia, l’anno seguente, con il titolo Divorzio anche per chi accetta il Vangelo? Paradossi dell’indissolubilità matrimoniale (Herder-Morcelliana, pp. 174-175).
Lo stratagemma della Misericordia, privata della Giustizia (Dio è sia Misericordia che Giustizia), muterebbe non solo la pastorale nei confronti dei peccatori adulteri o omosessuali, ma si relazionerebbe a quell’auspicato «sviluppo del dogma» sbandierato dai teologi novatori che aprirono la loro breccia nel Concilio Vaticano II e le cui conseguenze, cariche di zolfo, oggi i cattolici sono costretti a respirare. Sono in molti, nel clero, a scalpitare per “soccorrere” le necessità spirituali dei fedeli.
Ma sono così sicuri di voler soccorrere spingendo le loro anime sempre più nelle sabbie mobili del peccato mortale? E quale misericordia userebbero per Nostro Signore? L’anima, quando riceve la Comunione, diventa Tempio di Dio. Rimembrano ancora i custodi del depositum fidei e coloro che odono più le loro teorie degli imperativi del Signore, ciò che scrive san Paolo nella prima lettera ai Corinzi?
«“Tutto mi è lecito!”. Ma non tutto giova. “Tutto mi è lecito!”. Ma io non mi lascerò dominare da nulla […] il corpo poi non è per l’impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! […] non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartiene a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (1Cor. 6, 12-20).
Se tale insegnamento stride alle coscienze nutrite di libertà soggettive e non oggettive, non è un problema di san Paolo, né di quelli a lui fedeli che continuano tenacemente e con perseveranza a non essere né adulteri, né profanatori del Sacramento della Comunione. La Chiesa si è sempre prodigata con carità verso il peccatore, ma ha sempre combattuto contro il peccato, nemico delle anime. Come né il langravio Filippo I d’Assia, né Enrico VIII potranno mai diventare modelli di vita matrimoniale, così nessun tipo di concessione al peccato potrà mutare la rotta di coloro che sono coscienti di essere stati comprati a caro prezzo.
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"Chi oggi parla di "protestantizzazione" della Chiesa cattolica, intende in genere con questa espressione un mutamento nella concezione di fondo della Chiesa, un'altra visione del rapporto fra Chiesa e vangelo. Il pericolo di una tale trasformazione sussiste realmente; non è solo uno spauracchio agitato in qualche ambiente"
Joseph Ratzinger, Rapporto sulla fede.
In:
[www.paginecattoliche.it]
Per i 500 anni di Lutero ora è la Chiesa ad autoaccusarsi
(di Mauro Faverzani, per Corrispondenza romana del 29 giugno 2016)
Per l’occasione si è scomodato persino il presidente federale di Germania, Joachim Gauck, che, tra l’altro, è anche un pastore protestante. Proprio lui, lo scorso 18 febbraio, ha incontrato la presidenza del Dekt, Convegno dei protestanti, ed il ZdK, Comitato Centrale dei cattolici, nel corso di un lungo colloquio, durato un paio d’ore.
Si è fatto il punto sullo stato dell’ecumenismo nel Paese, sull’impegno socio-politico dei laici di ambedue le confessioni ed anche sul contributo offerto dai cristiani in generale allo stato di coesione interna della società tedesca. Infine, il discorso è caduto lì e non poteva essere diversamente, ovvero sull’anniversario della Riforma, sulla ricorrenza nel 2017 dei 500 anni dall’affissione delle famose 95 tesi sulla porta della cattedrale di Wittemberg ad opera di Martin Lutero.
Ma non ci si è limitati ad un aggiornamento sui preparativi, si è andati oltre: Gauck ha chiesto espressamente quale fosse il grado di collaborazione ecumenica tra cattolici e protestanti. Se il presidente italiano Mattarella o ancor più quello francese Hollande si fossero spinti a tanto, subito si sarebbe sentito urlare contro lo Stato confessionale.
Immancabile l’intervento del card. Walter Kasper, che non ha mancato di dare alle stampe un libro, Martin Lutero. Una prospettiva ecumenica (Queriniana, Brescia 2016), in cui, nella scia di un iperecumenismo spinto, ha sposato assolutamente la linea del monaco agostiniano, giungendo a definire la sua come un’azione di «nuova evangelizzazione», con toni di feroce biasimo anzi verso la Chiesa cattolica sorda alle sue proposte ed alle sue “innovazioni”.
Il card. Kasper ha collocato anche Lutero nel calderone della misericordia, ormai distribuita a pioggia, ritenendo che il suo «problema esistenziale» di religioso fosse: «Come posso trovare un Dio misericordioso?». E non si capisce come questo possa in alcun modo legittimare l’eresia derivatane, Sua Eminenza non lo spiega, ma tant’è.
Stupiscono anche i toni del comunicato congiunto, licenziato lo scorso primo giugno dalla Federazione luterana mondiale e dal Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, per confermare il coinvolgimento cattolico nelle celebrazioni dei «doni della Riforma» col culmine, che sarà rappresentato dal viaggio di papa Francesco a Lund, in Svezia, il prossimo 31 ottobre.
Ma proprio del Pontefice è stato l’ulteriore, convinto passo verso l’ecumenismo col discorso da lui rivolto alla delegazione del direttivo della Comunione mondiale delle chiese riformate, ricevuta in Vaticano lo scorso 10 giugno.
Riferendosi alla conclusione della quarta fase del dialogo teologico in corso tra tale organismo ed il Consiglio pontificio per la promozione dell’unità dei cristiani, ha dichiarato: «In questa comunione spirituale, cattolici e riformati possono promuovere una crescita comune per servire meglio il Signore». Ed ancora: «In base all’accordo sulla dottrina della giustificazione, esistono molti campi in cui riformati e cattolici possono collaborare per testimoniare insieme l’amore misericordioso di Dio, vero antidoto di fronte al senso di smarrimento ed all’indifferenza che sembrano circondarci», smarrimento ed indifferenza pari ad una vera e propria «desertificazione spirituale» di fronte alla quale «le nostre comunità cristiane» sarebbero tenute «ad accogliere e ravvivare la grazia di Dio», evidentemente presente in tutte, indistintamente, al di là di ogni distinzione dottrinale, poiché in quest’ottica basterebbe «la fede in Gesù Cristo».
C’è da chiedersi, se si possa ancora parlare di eretici riformati, di “fratelli separati” da ricondurre nella Chiesa Cattolica, specie di fronte a termini come «comune missione», utilizzato espressamente da papa Francesco: «V’è urgente bisogno di un ecumenismo», che «promuova una comune missione di evangelizzazione e di servizio», esortando tutti a «fare di più, insieme, per offrire una testimonianza viva “a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi”: trasmettere l’amore misericordioso del nostro Padre, che gratuitamente riceviamo e generosamente siamo chiamati a ridonare», concetto su cui è più volte tornato.
A mischiare ancor più le carte ha provveduto la conferenza-stampa, tenuta lunedì scorso da papa Francesco durante il volo di ritorno dall’Armenia: «Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate – ha dichiarato il Pontefice –. In quel tempo la Chiesa non era proprio un modello da imitare: c’era corruzione, c’era mondanità, c’era attaccamento ai soldi e al potere. E per questo lui ha protestato. Poi era intelligente ed ha fatto un passo avanti, giustificando il perché facesse questo. Ed oggi luterani e cattolici, con tutti i protestanti, siamo d’accordo sulla dottrina della giustificazione: su questo punto tanto importante lui non aveva sbagliato. Lui ha fatto una “medicina” per la Chiesa, poi questa medicina si è consolidata in uno stato di cose, in una disciplina, in un modo di credere, in un modo di fare, in modo liturgico. Ma non era lui solo: c’era Zwingli, c’era Calvino… Poi sono andate avanti le cose. Oggi il dialogo è molto buono. La diversità è quello che forse ha fatto tanto male a tutti noi e oggi cerchiamo di riprendere la strada per incontrarci dopo 500 anni».
Non si riesce ad evitare un certo sconcerto, raffrontando queste parole con quelle, che, ad esempio, si possono leggere sul Catechismo Maggiore di San Pio X, a proposito della «grande eresia del Protestantesimo, prodotta e divulgata principalmente da Lutero e da Calvino»: «Questi novatori – è scritto –, demolirono tutti i fondamenti della fede, esposero i Libri Santi alla profanazione della presunzione e dell’ignoranza ed aprirono l’adito a tutti gli errori. Il protestantesimo o religione riformata, come orgogliosamente la chiamarono i suoi fondatori, è la somma di tutte le eresie, che furono prima di esso, che sono state dopo e che potranno nascere ancora a fare strage delle anime» (nn. 128-129).
Ciò che più impressiona in questa nuova, frenetica brama di “dialogo” über alles coi protestanti è l’approccio molto sociale, anzi sociologico. Quel continuo richiamo al «camminare insieme» calpesta il fatto che sia escluso dalla grazia di Dio chiunque ne neghi anche un solo dogma, chiunque viva nella dimensione del peccato contro la fede. Di tutto questo non v’è traccia. Con un problema: che un’evangelizzazione solo sociale non è autentica evangelizzazione.
Corriere della sera, 30.10.2008