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L'eresia che ha distrutto l'unità culturale e spirituale europea.
Il disprezzo dei sacramenti, una delle ragioni della inconciliabilità.
LA MESSA DI LUTERO
Di Matteo Carletti, per Libertà e persona | 26 maggio 2016
Il cuore della liturgia cattolica è costituita dal Sacrificio della Croce di Cristo per la salvezza dell’uomo.
Questo Sacrificio si rende sempre presente, allora come oggi, nella celebrazione Eucaristica ed è destinato a rimanere attraverso i secoli nel modo in cui Gesù stesso l’aveva istituito, contemporaneamente al sacerdozio.
Nell’ultima Cena Egli, non solo ha istituito il sacerdozio, ma lo ha fatto in vista del proprio Sacrificio, poiché esso costituisce la sorgente di tutti i meriti, di tutte le grazie e di tutta la ricchezza della Chiesa.
Quindi non si può comprendere il sacerdozio senza il Sacrificio, poiché il sacerdozio è fatto per il Sacrifico. In questo Gesù stesso è voluto essere anche la Vittima.
Senza la reale presenza di Gesù non può esserci la Vittima e neanche il Sacrificio.
Tutto è unito: presenza reale, Vittima e Sacrificio. Questa (in estrema sintesi!) la liturgia cattolica.
Veniamo a Lutero. Il monaco tedesco, volendo colpire il sacerdozio, diede un colpo definitivo anche a tutta la Chiesa.
Egli sapeva bene che, venendo meno il sacerdote, sarebbe sparito anche il sacrificio e, conseguentemente, anche la vittima e quindi la fonte di tutte le grazie della Chiesa.
Lutero era persuaso che non ci fosse differenza sostanziale fra i preti e i laici, ma che tutti costituissero un “sacerdozio universale”.
Questo era il primo di “tre muri” che circondavano la Chiesa e che, secondo Lutero, dovevano essere abbattuti.
“Se un Papa o un vescovo – sosteneva Lutero – da l’unzione, fa delle tonsure, consacra o da un abito differente ai laici o ai preti, crea degli imbrogli”. Tutti, di fatto, sono consacrati nel Battesimo e, dunque, non può esistere un sacramento speciale per i preti.
Il secondo muro da abbattere era la transustanziazione.
Nella messa luterana viene rifiutata in toto l’idea di “sacrificio” e con essa di vittima e di presenza reale.
Rimane la sola presenza spirituale, un ricordo, tanto che la Messa non può essere indicata più come un Sacrificio ma solamente con i termini di Comunione, Cena, Eucarestia.
Secondo le parole del Vangelo “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” si compie la vera e sola Messa. È per questo che Lutero rifiutò da subito la celebrazione di messe private perché mancanti della comunione col popolo.
Per Lutero l’Eucarestia era “Sacramento del pane” e non più Sacrificio, considerato, ormai, come elemento di corruzione.
Il terzo ostacolo era rappresentato dal valore espiatorio del Sacrificio della Messa.
Sempre secondo il monaco ribelle l’Eucarestia è un “Sacrificio di lode” ma non un “Sacrificio di espiazione”.
Quindi l’unico scopo della Messa diventa, per Lutero, solamente quello di rendere grazie a Dio.
È dentro questa lettura che oggi alcuni protestanti parlano ancora di “Sacrificio”, ma non come un Sacrifico che rimette i peccati, ma di semplice ringraziamento per l’opera di Dio.
Questi cambiamenti di sostanza hanno generato modificazioni anche nella forma come l’orientamento (coram populo) del sacerdote durante la Consacrazione, l’introduzione della lingua volgare, la Comunione ricevuta sulla mano.
Per non parlare anche delle conseguenze in campo artistico e architettonico. La chiesa concepita come Domus Dei, nella quale tutto (altare, pareti, affreschi, materiali, uso della luce, ecc…) deve parlare di Dio, lascia spazio, nel mondo protestante, ad edifici essenzialmente sobri, se non vuoti di decorazioni e raffigurazioni sacre.
“Scompare – ricorda Francesco Agnoli – il tabernacolo, segno della Presenza divina; scompaiono spesso reliquie, santi e Madonne, abitatori della simbolica città di Dio, la Gerusalemme Celeste; non servono più, a rigore, la pianta a croce, la posizione ad Oriente, l’abside, il coro, il ciborio. […] Anche l’altare perde il vecchio significato e la vecchia forma: diviene mensa, solitamente semplice tavola, non più sopraelevata, distaccata da scalinate e balaustre, bensì posizionata in modo da creare un rapporto più diretto, partecipativo, comunitario, fra celebrante e popolo”.
Un generale e diffuso sentimento iconoclasta si diffonderà nel mondo protestante, soprattutto verso le immagini della Vergine e dei Santi, un ripudio verso questi ultimi, è bene ricordarlo, “che nasce – sempre secondo Agnoli – dal terribile pessimismo antropologico luterano, secondo il quale l’uomo non è capace di compiere alcunché di buono, ma è solo e soltanto un peccatore, senza libertà, conteso tra Satana e Dio”.
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Per approfondire:
1- Roberto Coggi O.P.: RIPENSANDO LUTERO. Biografia sintetica e completa di Martin Lutero, vista nei suoi rapporti con Roma, con Calvino e Zwingli. Padre Roberto Coggi approfondisce anche l’analisi del libro di Lutero intitolato «De servo arbitrio» e quindi tutto il problema della libertà umana. Poi, esamina il concetto di «salvezza dell'anima» nella sua dottrina e la natura della fede.
Il libro si conclude con la riproduzione della Bolla Exsurge Domine, con la quale papa Leone X condannò le «quarantuno proposizioni» di Lutero; di alcuni brani Decreto «Sulla giustificazione» votato dal Concilio di Trento; e infine della «Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione» votata dalla Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale.
2- Mons. Leon Cristiani: La rivolta protestante. "Chi oggi parla di ‘protestantizzazione’ della Chiesa cattolica, intende in genere con questa espressione un mutamento nella concezione di fondo della Chiesa, un'altra visione del rapporto fra Chiesa e vangelo. Il pericolo di una tale trasformazione sussiste realmente; non è solo uno spauracchio agitato in qualche ambiente integrista. […] Il protestantesimo è nato all'inizio dell'epoca moderna ed è pertanto molto più apparentato che non il cattolicesimo con le idee-forza che hanno dato origine al mondo moderno. La sua attuale configurazione l'ha trovata in gran parte proprio nell'incontro con le grandi correnti filosofiche del XIX secolo. E' la sua chance ed insieme la sua fragilità questo suo essere molto aperto al pensiero moderno" (Card. J. Ratzinger, Rapporto sulla Fede, cap. XI, ed. Paoline 2005).
3- Altri Cinque libri sono scaricabili gratuitamente da totustuus.it nella sezione apposita:
[www.totustuus.it]
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Il capoluogo emiliano ancora una volta è come un laboratorio per la sperimentazione delle tecniche con cui diffondere l'ideologia omosessualista. Un Comune che, ogni anno, finanzia con decine di migliaia di euro dei contribuenti di euro l'arcigay e ogni progetto inteso a cambiare la nostra cultura e mentalità.
Bologna e la 3º Edizione di “Educare alle differenze”
di Cristiano Lugli, per Osservatorio Gender
Nell’instancabile e rossa Bologna se ne sono viste nel corso degli anni sempre delle belle, in particolar modo per quel che riguarda gli ambienti LGBT presenti sul territorio di cui il capoluogo emiliano è la “capitale”.
Con il passare del tempo si sono formate ed organizzate tantissime associazioni che lottano sul campo dei “diritti uguali per tutti” cooperando liberamente con asili, scuole pubbliche, università e tanti altri enti che godono comunque del beneplacito comunale o addirittura ministeriale.
Una di queste è sicuramente “ProgettoAlice“, un’associazione “educativa” fatta di pedagogisti e quant’altro che pone i propri tentacoli ovunque, tanto che non è fissa solo sul territorio bolognese, ma si presta a trasferte pur di poter proporre le proprie assurdità che, fondamentalmente, sono tutte basate sul superamento delle differenze di genere.
Parlammo di questa associazione anche tempo fa qui sull’Osservatorio, poiché venne a tenere – con due suoi rappresentanti – due lectio sul gender nella scuola primaria San Giovanni Bosco a Reggio-Emilia.
Progetto Alice insieme all’Associazione Scosse ( anche questa trattammo, poiché presente sul territorio di Parma ) , Stonewall, e altre 200 associazioni un po’ meno conosciute in foro esterno, presenteranno la 3º edizione di “Educare alla differenze”.
Nelle giornate del 24 e 25 settembre, a Bologna insegnanti, attivisti/e, operatrici del privato sociale, educatori, psicologhe, editrici e ricercatori lavoreranno ancora una volta insieme, per condividere strumenti di lavoro, “buone pratiche” e metodologie didattiche:
“Convinti che l’educazione alle differenze debba essere un elemento imprescindibile della scuola pubblica, laica e plurale” – secondo quanto sostenuto dall’Associazione Scosse, a cui fa ovviamente coda il pensiero degli altri gruppi coinvolti.
Gli organizzatori però sembrano non essere ancora soddisfatti dei risultati ottenuti, e nonostante l’intenso lavoro di sovversione culturale per cui si applicano annualmente, la resistenza a questo tipo di “pedagogia gender” sembra non aver attecchito abbastanza:
“Nonostante il successo della scorsa edizione, l’anno che ne è seguito non è stato facile: tante e tanti di noi hanno dovuto fare quotidianamente i conti con l’inasprirsi della campagna “anti-gender” e con la recrudescenza di razzismo e xenofobia che hanno reso il lavoro educativo – dentro e fuori la scuola – una sfida sempre più complessa.”
La campagna anti-gender, di cui ci sentiamo anche un po’ responsabili ( e per fortuna! ) ha quindi ostacolato il lavoro operato dal comitato “Educare alle differenze“, ed è per questo che ci si mobilita per rilanciare una 3º edizione ancora più protesa ad inserirsi efficacemente nell’istruzione pubblica:
“Da quanto emerso dalla plenaria dello scorso anno, però, ci è parso che vi sia anche un bisogno diffuso di trovare occasioni per pensare insieme e costruire un lessico comune su educazione e differenze. Per questa ragione, quest’anno i laboratori di scambio di buone pratiche saranno affiancati da quattro laboratori del pensiero che affronteranno altrettanti nodi in chiave educativa: stereotipi di genere e identità; violenza tra pari, maschilità e omofobia; intersezioni tra identità di genere, sessualità e provenienza culturale; intolleranza e paura della diversità. A partire dagli stimoli che ci forniranno alcuni studiosi/e di queste tematiche, i laboratori del pensiero saranno un’occasione per confrontarsi insieme e costruire delle connessioni tra pratiche quotidiane e teorie educative.”
Non c’è bisogno di commentare ciò che già da sé si commenta, ma si può mettere bene a fuoco la chiave di volta che occorre per stravolgere tutto: “un lessico comune su educazione e differenze”.
Proprio con la rivoluzione del linguaggio, agglomerando una nebulosa di neologismi mai sentiti prima, sformando le parole del loro contenuto essenziale e principale – a volte persino mutandolo – così si ottiene il modello educativo che inizia alle differenze, introducendo senza colpo ferire il gender nella scuola.
In apertura ed in chiusura del “festival educativo” si terranno come di consueto gli incontri plenari “che – dicono gli organizzatori – ci auguriamo portino quest’anno alla formale realizzazione di una rete di di associazioni su scala nazionale che possa diventare un’interlocutrice delle istituzioni per la promozione dell’educazione alle differenze.”
Il punto è proprio questo, non ci si spiega come eventi di questo tipo che si dicono essere “auto-finanziati dai contributi di tutte le associazioni co-promotrici”, abbiano un così enorme e grave peso su scala nazionale. Se si fa una breve ricerca si riscontrerà infatti che una gran parte delle associazioni che lottano sul campo LGBT hanno influenza su MIUR e UNAR, dettano gli schemi a livello ministeriale.
Coloro che potremmo definire dei perfetti sconosciuti o comunque delle normali e piccole associazioni come in tanti casi, sono invece quelli e quelle che, assieme ai voleri e ai poteri nazionali ( e sovranazionali ) tessono silenziosamente e rapidamente la tela del ragno, mascherati da filo-buonisti che hanno a cuore la “pace”, l'”amore”, l’ “uguaglianza” e tutte le altre sciocchezze che si inventano per indossare meglio il vestito da agnellino sopra la loro vera natura di lupi feroci.
Per quanto ci è possibile allora, oltre a pensare valide alternative per non lasciare i nostri figli in mano a questo soggetti, è necessario continuare a rendere il subdolo lavoro di costoro più che mai difficile.
Non lasciandosi prendere dall’inerzia, e nemmeno dalla noia di ripetere sempre le stesse cose, perché questo è ciò che vogliono: l’assuefazione e l’anestetico stordimento collettivo. Continuiamo a gridare la Verità, anche a costo di rimanere gli unici a farlo!
“Tanto abbiamo fatto, ma tanto c’è ancora da fare!” Concludono gli organizzatori di questo nefando evento. Ebbene, non lasciamo che siano i soli a dirlo.
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Per il Comune di Brescia è #omofobo pure il vescovo?
Un tweet del vicesindaco socialista Laura Castelletti contro un bravo sacerdote "colpevole" di criticare le unioni civili apre un caso preoccupante sulla libertà di espressione in città
A Brescia è in atto una escalation contro la libertà d’espressione? Due gravi episodi in pochi giorni direbbero che forse è così. Prima una conferenza di Massimo Gandolfini osteggiata con metodi sulla stampa locale definiti “fascisti”, e poi la vicesindaco Laura Castelletti che si scaglia contro don Giorgio Rosina, curato di una parrocchia del centro, accusandolo di omofobia.
La colpa del giovane sacerdote? Aver affisso nell’oratorio un poster (distribuito in migliaia di copie all’ultimo Family Day) in cui le unioni civili si definivano «sbagliate anche se dovessero diventare legge».
Partiamo da qui. La vicesindaco della città, espressione di una lista civica apparentatasi con il sindaco del Pd Emilio Del Bono, non si è fatta molti scrupoli nel lanciare un tweet in cui accomuna sic et simpliciter misoginia, condotta antidemocratica e razzismo alla semplice contrarietà alla legge sulle unioni civili.
Nel tweet diretto a don Rosina così scrive Laura Castelletti: «Per me chi sosteneva che il voto alle donne era “sbagliato” è un #misogino #antidemocratico. Chi sosteneva “sbagliato” considerare bianchi e neri uguali è un #razzista. Chi dichiara che le unioni civili riconosciute dalla legge sono “sbagliate” è un #omofobo».
In città ovviamente sta montando la polemica su quello che è un caso tutto politico (se non interverranno smentite, per il Comune di Brescia essere contrari alla legge sulle unioni civili da oggi significa automaticamente essere omofobi), polemica che l’opposizione è intenzionata a portare nelle opportune sedi di palazzo Loggia.
Se il momento in cui è stato lanciato il tweet è apparso quantomeno intempestivo (il vescovo Luciano Monari nella recente omelia per il Corpus Domini, particolarmente apprezzata dalla cittadinanza, aveva parlato delle unioni civili come «strada sbagliata»), per la città appare decisamente singolare il destinatario del borioso cinguettio: un giovane sacerdote.
Forse la spia della nascita di un nuovo e viscerale anticlericalismo destinato a spezzare la tradizione non avendo molto da condividere con il cattolicesimo democratico bresciano.
Quello che in città sta colpendo maggiormente della vicenda è però l’estrema leggerezza con cui dalla seconda carica della città è partita la pesante bollatura al sacerdote; va ricordato che con il “ddl Scalfarotto” – fermo alla Camera ma sempre in attesa di riprendere il suo iter parlamentare – accusare di omofobia qualcuno significa imputargli un reato. In pratica augurargli la galera.
Ora più di qualcuno paventa un crescendo di violenza.
Su Facebook si sprecano i commenti, perché «il gesto irresponsabile di una carica che dovrebbe rappresentare tutti» equivale ad «“armare la mano” al fronte lgbt bresciano già violento di suo».
È di poche settimane fa la dura contestazione di un gruppo di attivisti arcobaleno, le “Caramelle in Piedi”, a una conferenza sul gender che vedeva come relatore il portavoce del Family Day Massimo Gandolfini (si noti che proprio alle Caramelle in Piedi – oltre che a don Rosina – Laura Castelletti ha indirizzato il tweet incriminato).
Questo è il racconto fatto al Giornale di Brescia da Giuseppe Marenda, uno degli organizzatori del convegno tenuto da Gandolfini a San Felice del Benaco: «Un manipolo di attiviste Lgbt ha cercato di impedire ai cittadini di partecipare. Intimidivano gli esercenti, strappavano le locandine dai negozi, vituperavano il Prof. Gandolfini, mettevano alla berlina sui social i negozianti che non si piegavano, attaccavano alle vetrine manifestini con cuori arcobaleno e la scritta “convegno omofobo”, postando poi le foto su Facebook».
Per poi concludere amaramente: «Nel primo dopoguerra si usavano manganelli e olio di ricino, qui hanno usato parole, manifestini e social media, ma la violenza è stata la stessa. Abbiamo imparato cosa può fare una piccolissima minoranza sfrontata e violenta quando la maggioranza dei cittadini è passiva».
Se il papa bresciano esaltava la politica come «la più alta forma di carità», oggi Brescia sembra squalificarla a più bassa forma di persecuzione. Via tweet.
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da:
[www.tempi.it]
Leggi di Più: Brescia, "omofobo" chi critica le unioni civili | Tempi.it del 31/05/2016
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Scuola condannata
per licenziamento “gay” mai avvenuto
(di Andrea Zambrano)
Il titolo è di quelli sparati a sei colonne: “Scuola cattolica condannata a risarcire un’insegnante licenziata perché lesbica”. E il circo mediatico ieri non ha fatto altro che rilanciare la notizia come se fosse l’ultima tappa del cammino dei diritti dell’uomo nel nome della non discriminazione. Approda ad una sentenza, che non mancherà di far discutere e soprattutto di sollevare inquietanti interrogativi sulla libertà di educazione degli istituti paritari, la vicenda del presunto licenziamento di una insegnante dell’Istituto Sacro Cuore di Trento a causa di una sua altrettanto presunta inclinazione omosessuale. Anche la Nuova BQ negli anni scorsi aveva raccontato la storia, mettendo tra l’altro in evidenza alcuni dettagli sfuggiti ai giornali mainstream.
Ma con la sentenza del giudice del lavoro di Rovereto di ieri possiamo ragionare su uno scatto in avanti della Giustizia che si frappone tra l’autonomia di un istituto privato paritario e le rivendicazioni di un gruppo ben organizzato secondo la consueta tecnica radicale del caso pilota.
25mila euro. Tanto l’Istituto Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Trento dovranno risarcire alla voce danni patrimoniali e non, alla docente. Ma non solo lei è stata beneficiaria della sentenza. Anche la Cgil di Trento e l’associazione radicale Certi diritti riceveranno dall’istituto cattolico 1.500 euro a testa. La decisione del giudice si basa sul fatto che «la presunta omosessualità dell’insegnante nulla aveva a che vedere con la sua adesione o meno al progetto educativo della scuola», ma anche che la docente «ha subito una condotta discriminatoria tanto nella valutazione della professionalità, quanto nella lesione dell’onore». E siccome la decisione della scuola ha danneggiato non soltanto l’insegnante, ma anche ogni potenziale lavoratore interessato a quella cattedra, ecco che il risarcimento, simbolico, è stato esteso anche al sindacato rosso in rappresentanza di un del tutto ipotetico “lavoratore discriminato ignoto”.
Esulta il legale della donna, l’avvocato Alexander Schuster, il quale ribadisce come la decisione del giudice del lavoro fissi un punto di non ritorno: “I datori di lavoro di ispirazione religiosa o filosofica non possono sottoporre i propri lavoratori a interrogatori sulla loro vita privata o discriminarli per le loro scelte di vita. L’uso di contraccettivi, scelte come la convivenza, il divorzio, l’aborto, sono decisioni fra le più intime che una persona può compiere e non possono riguardare il datore di lavoro”. Messa così, tra interrogatori e scelte intime, la logica porterebbe a pensare che la cosa possa avere un senso e in ultimo una sua giustizia, con la scuola a giocare la parte della Gestapo e la vittima dall’altra parte.
Ma come spesso accade, anche nelle pieghe di questa storia si intravvedono alcuni fili lasciati dai giornali e dal giudice inspiegabilmente su un binario morto.
Tutto nasce il 16 luglio 2014 quando la direttrice dell’istituto suor Eugenia Liberatore convoca l’insegnante in scadenza di contratto per discutere del rinnovo. La docente ha riferito di essere stata convocata per parlare di alcune voci sentite sul suo conto. Sempre la docente ha riferito che la religiosa le avrebbe fatto pressioni per smentire o confermare la sua tendenza omosessuale perché “ci sono dei bambini da tutelare”. Da lì si è arrivati al licenziamento. Che però non era tale dato che il contratto era scaduto. Quindi sarebbe stato più corretto parlare di mancato rinnovo, ma per la causa questo può essere ben tradotto in licenziamento.
Andò davvero così? Purtroppo non potremo mai saperlo perché la suora nel frattempo è morta e il processo che è approdato sul tavolo del giudice del lavoro ha visto la maestra da un lato e la persona che veniva accusata di discriminazione assente per avvenuto decesso. Ciononostante le dichiarazioni sulle quali si è basata la sentenza sono quelle della docente e non della suora che non ha potuto così difendersi.
Tanto più che la religiosa, successivamente intervistata, aveva sempre detto di aver approcciato la donna con rispetto, per chiarire quelle che erano le voci che sentiva sul suo conto. Ma il tentativo di approccio con la donna naufragò di fronte alla sua reazione.
Anche perché la vicenda sembrava risolta dopo l’intervento tanto della Provincia quanto del Ministero della pubblica istruzione. La prima avviò un’indagine pochi mesi dopo, che approdò ad un esito negativo. La Provincia, guidata da una giunta di centrosinistra, confermò i finanziamenti all’Istituto perché «non ci sono elementi per mettere in discussione la parità scolastica dell’istituto religioso Sacro Cuore di Trento». Ma anche il Ministero, che aveva minacciato provvedimenti seri nei confronti della scuola se fossero emersi elementi che confermassero quelle accuse, non ha fatto sapere mai nulla in merito. Venne coinvolto persino il ministro Stefania Giannini, poi la cosa finì nel dimenticatoio perché evidentemente a carico della religiosa non emerse nessuna violazione del diritto del lavoro. Dunque né la Provincia né il Ministero si fecero carico della richiesta di reintegro dell’insegnante.
Ma nel frattempo l’insegnante aveva portato lo scottante caso davanti al giudice del lavoro e sempre nel frattempo la suora era passata a miglior vita dopo essere stata presa di mira sui giornali come omofoba e annessi moderni vituperi.
Ieri la sentenza che tocca un passaggio molto delicato sul quale non sarà difficile per i Radicali, che sanno sfruttare certi casi pilota, porre il tema del controllo delle scuole paritarie. Il giudice infatti ha preso in esame la cosiddetta clausola di salvaguardia prevista nel decreto legislativo 2016/2003 per le cosiddette organizzazioni di tendenza. Si tratta cioè, e qui siamo di fronte ad una scuola di ispirazione religiosa, di una clausola a tutela delle scuole cattoliche o di qualunque altra associazione religiosa secondo la quale, si legge all’articolo 3 comma 5 «non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell’ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività».
Il tribunale però ha sottolineato che “nel caso qui in esame è stata perpetrata una discriminazione per orientamento sessuale e non per motivi religiosi”. E pazienza se lo stesso giudice riconosce che “l’orientamento sessuale di un’insegnante» è «certamente estraneo alla tendenza ideologica dell’Istituto».
Però la stessa legge, poco prima, all’articolo 3, comma 3, recita testuale: “Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell’ambito del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima”.
Insomma: come giustificare ai fini di questa legge la sentenza di ieri?
Tanto più che ancor oggi la vittima è definita dalla stampa “presunta omosessuale”, dunque è impossibile capire se il giudice abbia accertato o no la sua inclinazione, cosa che pure sarebbe decisiva, come pure accadde alla madre superiora durante il colloquio. Ma il principio è passato e adesso ci si potrà “sguazzare” liberamente: non rientra nei compiti educativi di una scuola scegliersi, come una qualunque iniziativa privata, i propri insegnanti come meglio crede.
La sentenza ha tutta l’aria di essere eminentemente politica. E non solo per la presenza di un’associazione radicale e della Cgil. Ma anche perché la docente ha puntato su un avvocato specializzato sul tema dei diritti Lgbt. Sul sito dell’università di Trento si può scorrere il curriculum dell’avvocato Alexander Schuster, nel quale figurano numerosi incarichi come ideatore e coordinatore di progetti su orientamento sessuale e identità di genere. Progetti cofinanziati molto spesso dalla Commissione Europa con cifre ingenti che raggiungono anche i 500 e i 600mila euro.
Resta la domanda di fondo: sulla base della sentenza di ieri quanto spazio rimane alla libertà d’educazione, per continuare ad essere esercitata nel rispetto delle libertà altrui? Domande alle quali forse un giudice potrebbe rispondere ribaltando la decisione nel caso la scuola, che ha preferito non commentare, scegliesse per il ricorso. In ogni caso: per la vera libertà, di educazione, di impresa e di religione, quella di ieri è stata una giornata nera.
da:
[osservatoriogender.famigliadomani.it]
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La rivolta di un cardinale cinese.
Dopo l'umiliazione degli ucraini uniti a Roma, si apre un’altra ferita nella chiesa?
L’ex arcivescovo di Hong Kong: “Se il Vaticano si accorderà con Pechino, dovremo seguire la nostra coscienza”
di Matteo Matzuzzi | Il Foglio 02 Luglio 2016
Roma. Il cardinale Joseph Zen Ze-kiun, arcivescovo emerito di Hong Kong, si appella ai cattolici cinesi affinché contemplino l’idea di non considerare valido l’eventuale accordo che la Santa Sede potrebbe raggiungere con le autorità di Pechino, se riterranno che l’agreement “sia contrario al principio di fede”. Il porporato salesiano lo scrive sul suo blog personale, attaccando “i filogovernativi” e “gli opportunisti della chiesa” auspicanti che Roma firmi al più presto “un accordo per legittimare l’attuale situazione anomala”. Zen parte dal presupposto che ogni intesa possibile – che appare probabile, se si leggono le pur prudenti dichiarazioni degli ultimi mesi rese dai principali tessitori del negoziato vaticani – porterà la firma del Papa. Se pace sarà, insomma, lo si dovrà al via libera di Francesco. Di conseguenza, prosegue il cardinale cinese, bisognerà obbedire “a tutto ciò che egli dirà”. Però, aggiungeva, “il criterio ultimo per giudicare come comportarci è la coscienza” e quindi “se secondo la coscienza il contenuto di un accordo è contrario al principio di fede, non va seguito”.
Zen è sempre stato contrario a ogni intesa con Pechino, perché essa significherebbe chiaramente una capitolazione dinanzi ai desiderata dei vertici comunisti che hanno costretto per decenni i cattolici del paese alla clandestinità. Il lavorIo diplomatico procede, lo scorso ottobre il segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin – conoscitore come pochi altri del dossier cinese, avendo avuto un ruolo non indifferente nella preparazione della Lettera ai cattolici cinesi promulgata da Benedetto XVI nel 2007 – ammetteva che “non è la prima volta che una delegazione del Papa si reca a Pechino, fa parte di un certo percorso in vista di una normalizzazione dei rapporti e il solo fatto di poterci parlare è significativo”. Zen, solo pochi mesi prima, aveva detto che “avevo sempre avuto fiducia in Parolin, fino a quando non ho saputo che anche lui era a favore di un accordo che in questa fase sarebbe stato solo una resa incondizionata”. A Pechino, proseguiva, “non c’è volontà di dialogo. Vogliamo sacrificare la nomina e la consacrazione dei vescovi per un dialogo fasullo?”. Il punto dolente è proprio la nomina dei vertici episcopali, che la Santa Sede considera propria prerogativa mentre il governo ritiene essere affare di politica interna. La Lettera firmata da Joseph Ratzinger, a tal proposito, era chiara nell’indicare la linea da seguire: “La dichiarata finalità di attuare i princìpi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della chiesa è inconciliabile con la dottrina cattolica, che fin dagli antichi Simboli di fede professa la chiesa una, santa, cattolica e apostolica”.
Che la questione sia delicata e quanto mai attuale lo dimostra quanto accaduto nelle ultime settimane a Shanghai, con il vescovo ausiliare Taddeo Ma Daqin che, dopo quattro anni di arresti domiciliari per essersi pubblicamente dimesso dall’Associazione patriottica nel momento – fu arrestato il giorno stesso dell’ordinazione – in cui ha pubblicato un articolo confessando i suoi errori ed elogiando “il ruolo insostituibile nello sviluppo della chiesa in Cina” rivestito dall’Associazione, emanazione diretta del Partito comunista. Vi sono dubbi, anche tra chi conosce mons. Ma Daqin, sul fatto che il ravvedimento sia genuino e non, piuttosto, indotto dalle autorità. C’è chi, ad esempio, sostiene che il presule abbia deciso di “umiliarsi” per il bene della diocesi, così da poter tornare a occuparsene in modo attivo e da uomo libero. Conservando nell’intimità la propria indiscussa fedeltà al Papa e manifestando in modo pubblico e visibile il sostegno all’organismo di controllo governativo.
A ogni modo, ha scritto Bernardo Cervellera, direttore di Asia News (portale del Pontificio istituto per le missioni estere), la vicenda pone ulteriori interrogativi: “L’articolo (del vescovo Ma Daqin, ndr) pieno di elogi sperticati verso l’Associazione patriottica, vanifica quanto Benedetto XVI aveva stabilito nella sua Lettera ai cattolici cinesi”.
Lo stupore più grande in molti cinesi, aggiunge Cervellera, “è dovuto al silenzio del Vaticano”, al punto che da più parti se ne chiede un intervento. Il voltafaccia di mons. Ma Daqin, poi, rappresenterebbe “un fallimento della politica vaticana verso la Cina, secondo quanto osserva Cervellera riportando le dichiarazioni rese ad Asia News da un “professionista di Pechino”. In sostanza, “se l’articolo pubblicato è di mons. Ma Daqin, dobbiamo dire che il Vaticano ha fallito nella sua politica, che cercava il rapporto con il governo ma affermava che l’Associazione patriottica è inconciliabile con la dottrina cattolica. Se non è stato lui a scriverlo, allora è un gesto forzato e di persecuzione, che però nessuno denuncia, nemmeno la Santa Sede”.
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Sembra incredibile, ma c'è ancora qualche vescovo che ha il coraggio di dire che l'islam è una religione di guerra e violenza, e che si propone di dominare il mondo: si teme però che tali vescovi vengano presto rimossi.
Invece, dopo la strage, altri vescovi sono corsi nelle moschee: il musulmano interpreta questi gesti come il riconoscimento della sua superiorità rispetto al cristianesimo, e bisogno di sottomettersi alla sua religione.
Ci si dimentica delle parole di chi l'islam lo conosce bene:
"Il Corano permette al musulmano di nascondere la verità al cristiano e di parlare e agire in contrasto con ciò che pensa e crede. Il Corano dà al musulmano il diritto di giudicare i cristiani e di ucciderli con la jihad (guerra santa). Ordina di imporre la religione con la forza, con la spada".
Così, svelando qualcosa che non è certo un segreto, si è pronunciato mons. Raboula Antoine Beylouni, vescovo di Curia di Antiochia dei Siri nell'aula del Sinodo 2010, a Roma.
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Dacca, i vescovi ora attaccano l'islam: "Secoli di guerre per Allah"
Una parte dell'episcopato italiano si schiera contro il mito dell'islam religione di pace. Ma ci sono forti divisioni all'interno della Cei
Claudio Cartaldo - il Giornale - Lun, 04/07/2016 - 09:30
In questo caso il coro non è all'unisono. Stona. E' malamente diviso in due parti, col rischio di dare adito a chi pensa che nella Chiesa italiana ci sia uno scontro in corso tra l'ala progressista, vicina a Papa Francesco, e quella più tradizionalista.
Quest'ultima, dopo ogni attentato islamico che insanguina l'Europa, non teme di dire la verità. Alcuni Vescovi non temono di sollevare dubbi riguardo il "mito dell'islam religione di pace", che tanti buonisti vogliono far passare.
Dopo Dacca, l'attacco dei Vescovi all'islam
Ebbene, anche dopo la strage di Dacca, questa parte più defilata del vescovato italiano è tornata a farsi sentire. Il capofila di questa frangia (non organizzata) può essere considerato il vescovo di Ferrara, monsignor Luigi Negri, che a pochi giorni dall'attentato a Charlie Hebdo disse che era necessario "opporsi nettamente alle religioni nelle quali la violenza è teorizzata e indicata come atto pratico". Ovvero l'islam e il suo Corano.
Ma non c'è solo Negri. Come riporta il Resto del Carlino, il vescovo di Ascoli Piceno, Giovanni d'Ercole, smonta la teoria dell'islam religione di pace. E lo fa ricordando a quelli che si dimentiano la storia, che in nome di Allah i musulmani hanno fatto conquiste, distrutto civiltà cristiane, insediato l'Occidente. "Non voglio dire - afferma al Carlino - che ci sia unc erto buonismo nell'immagine che viene offerta della fede coranica. Credo, però, che sia importante ragionare a partire da una certa freddezza storica. Quella che ci porta a ricordare come nei secoli si siano avuti conflitti orditi da musulmani, in nome del loro credo, che hanno determinato la distruzione di fiorenti terre cristiane in Nord Africa, Asia minore e anche Europa". "Con l'emergere della furia terroristica - conclude - non si può negare il rischio di un ritorno al passato".
Sulla stessa linea anche il vescovo di Imola, Tommaso Ghirelli: "E' fanatismo religioso" - attacca - ma va detto che i terroristi "separano accuratamente gli ostaggi musulmani dagli altri". Quindi inutile dire che l'islam non c'entra. C'entra eccome. E' anzi il centro del problema. E' il problema. E infatti Ghirelli, due anni fa, disse chiaramente che se i musulmani non cambiano posizioni "dovrebbero avere il coraggio di allontanarsi dalle nostre terre, perché nessuno vuole avere nemici in casa". E infatti oggi aggiunge che gli "imam debbano investire di più nell'opera di isolamento e denuncia degli integralisti. Non possono limitarsi a dire che ci devono pensare la polizia e le forze dell'ordine. Così scadono nell'irresponsabilità e immaturità civile".
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Buongiorno amici. Sono stati probabilmente barbaramente uccisi, mutilati e sgozzati, i 7 italiani che si trovavano insieme a una ventina di ostaggi massacrati dai terroristi islamici dell'Isis a Dacca nel Bangladesh.
Rezaul Karim, padre di uno degli ostaggi, ha detto che "gli assalitori non si sono comportati male con i connazionali del Bangladesh. Controllavano la religione degli ostaggi. Chiedevano a ognuno di recitare versetti del Corano. Quelli che li conoscevano venivano risparmiati, gli altri torturati".
Cari amici, in queste ore tragiche per l'atroce uccisione dei nostri connazionali, esigiamo quantomeno da chi ci governa di smetterla di ripetere che i terroristi islamici non hanno a che fare con l'islam. Se hanno ucciso barbaramente, mutilandoli e sgozzandoli con il machete, solo i non musulmani che non sono stati in grado di recitare i versetti del Corano, e se invece hanno lasciato vivi e liberi solo i musulmani, come si fa a dire che non hanno nulla a che fare con l'islam?
di Magdi Cristiano Allam 02/07/2016
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Ai musulmani che ci condannano per 2 secoli di Crociate, ricordiamo che in Europa da 14 secoli continuiamo a subire la violenza dell'islam
Mi pare che sia arrivato il momento di mettere i puntini sulle “i”. E il titolo scelto per questa puntualizzazione anticipa molto sinteticamente una questione che dovrebbe essere chiarita una volta per tutte. Va detto a questo proposito che sta per essere diffuso a livello mondiale un film sulle Crociate, prodotto da “Al Jazeera Documentary Channel". Il direttore del canale tv citato, Ahmed Mahfuz, precisa che lo scopo del film è quello di diffondere “la versione araba delle Crociate” e su tale intento non abbiamo il benché minimo dubbio.
Molti dubbi invece li abbiamo su un'altra affermazione del suddetto direttore, il quale, per motivare ulteriormente l’esigenza di produrre quel film, sostiene che “l’argomento delle Crociate è conosciuto solo dal punto di vista occidentale”. Il che dimostra due cose: la prima è che Mahfuz probabilmente ignora la ricca letteratura e storiografia occidentale sulle Crociate, connotata da una lettura critica del fenomeno, non di rado fieramente avversa ai “crociati”, e la seconda è che “un punto di vista dell’Occidente” unico ed ufficiale non esiste ma esistono “vari punti di vista” che afferiscono a differenti “letture” storiche o ideologiche del fenomeno.
Quindi sarebbe opportuno che il Mahfuz precisasse qual è secondo lui il punto di vista “occidentale”, perché la cosa sommamente ci incuriosisce. E ancor più ci incuriosisce dopo che la Chiesa Cattolica, col Documento “Nostra Aetate”, redatto mezzo secolo fa in occasione del Concilio Vaticano II, ha preso di fatto, anche se in modo indiretto, le distanze dalle Crociate allo scopo apparente di promuovere un dialogo con l’islam. Tentativo, questo , quanto mai improduttivo poiché l’atteggiamento cristianofobo dell’islam mostra una crescita inarrestabile. Cosa che rende ulteriormente dubbia, in termini di efficacia e anche di opportunità, la richiesta di "perdono per le Crociate” che papa Giovanni Paolo II, che fu fra l’altro oggetto di un attentato da parte di un musulmano turco, formulò il 12 marzo 2000, ribadendo con ciò il nuovo corso conciliare, ma questa volta nel contesto di una più ampia ammissione di colpe della Chiesa.
A quanto pare anche questa iniziativa del papa polacco non ha sortito esiti positivi. Il film di Al Jazeera pare quindi volto a sostenere una campagna di attacco all’Occidente cristiano. Va infatti denunciato l’uso martellante e viepiù insistito del termine “Crociati" a titolo di insulto o giudizio infamante contro l’intero mondo cristiano, così com’è oggi , a distanza di ben otto secoli da quei fatti.
Ma è incontestabile che il periodo storico in cui si svolsero le Crociate è ricompreso nell’arco di due secoli scarsi, grosso modo fra gli ultimi anni dell’11° secolo e quelli finali del 13°, cioè fra il 1099 e il 1272. Un periodo, questo, a sua volta incluso in quell’epoca storica, convenzionalmente definita come “Medioevo”, e che anche nelle vicende crociate inevitabilmente vive e interpreta nello spirito e nei fatti quello che il termine “medievale” ha assunto come giudizio di valore storico, connotato oggi da negatività, sommando alla definizione cronologica un’accezione valoriale spregiativa. Peraltro, come va doverosamente ricordato, è sommamente erroneo generalizzare quel giudizio su ogni e qualsiasi evento di quel periodo, poiché nel Medioevo iniziano e allignano processi e trasformazioni che preludono e preparano l’era moderna.
Ma tant’è: medioevale significa medioevale e le Crociate sono vicende medioevali. Ne consegue che certa cristianofobia del nostro tempo, dissimulando il suo evidente filoislamismo, è tenacemente aggrappata ad una critica strumentale contro quel periodo del medioevo cristiano, che più che al passato appartiene al “trapassato remoto”.
Per altro verso la cristianofobia odierna ignora o peggio tace in merito a quello che da 1400 anni accade e continua ad accadere attorno a noi, per le responsabilità dell’espansionismo islamista. Continuano così a perpetrarsi in pieno 21° secolo vicende e fatti di gravità tale da mostrare chiaramente come il Medioevo, finito per la maggior parte della popolazione mondiali, continua nelle peggiori forme in una parte del mondo islamico. Mentre la storia delle Crociate è limitata a due secoli e conclusa ormai da otto, continuano tutt’oggi le guerre e gli eccidi connessi all’espansionismo islamista, ivi comprese le sue specifiche espressioni terroristiche che, nell’arco temporale di 14 secoli, riesumano ancora ai giorni nostri il peggior Medioevo che sia possibile immaginare.
La guerra scatenata dallo “Stato islamico”, noto come ISIS o IS o Daesh o Califfato, con le sue assurde manifestazioni di barbarie e di terrorismo di ispirazione strettamente coranica, ripropone ad una attonita platea mondiale decapitazioni, sgozzamenti in massa e crocifissioni. E poiché la ferocia islamica non conosce limiti, per l’uccisione di migliaia di innocenti si inventano sempre nuovi e crudeli espedienti, cui nemmeno nel più “buio” Medioevo pare si fosse usi ricorrere. Si sa così, e i filmati degli eccidi vengono impunemente diffusi via internet, di vittime condannate ad essere bruciate vive rinchiuse in gabbie di ferro o di gabbie immerse nell’acqua per provocare l’annegamento dei prigionieri in esse rinchiusi, mentre gli omosessuali vengono fatti precipitare nel vuoto dal tetto dei palazzi, o impiccato o lapidati, come gli adulteri o presunti tali.
Le vittime vengono scelte fra i cristiani o comunque fra persone di fede non islamica, non risparmiando i supplizi e le esecuzioni nemmeno ai bambini. Come se non bastasse, a conferma dell’ “interminabile e redivivo Medioevo islamista”, nel “Califfato”, prospera il mercato delle “schiave sessuali”, scelte fra le prigioniere catturate nelle aree geografiche temporaneamente occupate dall’ISIS. Questo succede oggi: altro che Crociate!
Le cartine sottoriportate mostrano quanto il peso guerresco delle Crociate sia assai inferiore alla diffusa aggressività dell'islam storicamente documentata e riferita ad oltre un millennio di assalti o guerre di conquista musulmane condotte contro il mondo non-islamico. Ma il reale aspetto delle "guerre crociate" potrebbe essere in vari casi meno truce di quello che certa narrazione storica ci ha trasmesso. Non si può escludere infatti che la narrazione sia stata "adattata" o "curvata", in epoche di molto successive ai fatti, alle esigenze di immagine o di propaganda politica, delle parti a confronto. Come accade sempre nei confronti di narrazioni controverse, ogni vicenda storica andrebbe riconsiderata e verificata risalendo a documenti storici originali di riconosciuta validità.
Assai interessante a questo riguardo è un libro da poco edito da Einaudi di Paul M. Cobb , "La conquista del Paradiso- Una storia islamica delle Crociate". L'autore, esperto conoscitore dell'arabo e di storiografia araba antica, rifacendosi e traducendo cronache arabe dell'epoca, svela una realtà in buona parte diversa da quella a noi nota. A parte la Crociata sostanzialmente incruenta condotta da Federico II di Svevia e conclusasi con un accordo con la controparte per garantire l’accesso dei pellegrini cristiani ai Luoghi Santi, è noto che in alcune crociate si formarono alleanze "strane" fra cristiani e musulmani per battere comuni nemici in quell'area mediorientale allora frantumata in regni, califfati, emirati in permanente e confuso conflitto interno non specificamente religioso. La minuziosa ricerca di Cobb, partendo, va ribadito, da fonti arabe dell'epoca, fornisce una descrizione della divisione interna del mondo islamico di allora, tutta basata su interessi economici concreti, giochi di potere e scontri guerreschi, spesso tra musulmani di fazioni contrapposte, in cui sovente anche il confronto interreligioso (fra sunniti e sciiti, fra cristiani e musulmani) assume occasionalmente un valore secondario, a fronte di opposte esigenze di supremazia politica, commerciale, territoriale, per il controllo di vie di comunicazione e porti.
In molti casi la presenza dei "Franchi", come vengono genericamente indicati i Crociati in riferimento ad una loro consistente componente, in quelle terre è vista anche da fazioni o tribù arabe come un'opportunità per buoni affari. In conseguenza di ciò, il Jihad viene proclamato o sospeso secondo convenienza. L' ideale religioso, esaltato in certa storiografia postuma, come "puro ed eroico" o "barbaro e sanguinario" secondo punti di vista interessati, viene ridimensionato o ridisegnato, in riferimento a specifici fatti, dalla ricerca di Cobb, che appare quanto mai dettagliata e realistica. Dall’opera di Cobb emerge quindi confermato e assodato in tutta chiarezza come le Crociate vadano viste e contestualizzate in quel lontano periodo storico, ormai perso nella notte dei tempi e di quei tempi realtà ed espressione coerente.
Ai giorni nostri parrebbe umoristico pretendere che i romani d’oggi chiedessero perdono per la conquista della Gallia, condotta da Giulio Cesare nel 1° secolo a.C. Parimenti oggi si manifesta come evidentemente assurdo, strumentale e provocatoria la campagna di odio islamista contro il mondo cristiano, definito con intento malevolo “crociato”, mentre in almeno tre continenti, Europa, Asia e Africa, continua ancora ai giorni nostri una ultramillenaria “crociata al contrario” condotta dall’islamismo integralista contro un Occidente vile e sottomesso, senza più orgoglio, ragione e valori. Non ci colga impreparati quindi la nuova offensiva islamista antioccidentale: i fatti e gli argomenti per rispondere all’attacco certo non ci mancano.
di Vittorio Zedda 29/06/2016
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Gandolfini e la Leopolda della Lega, il Family day e la politica
Da Libertà e Persona
Tra qualche giorno, il 25, Massimo Gandolfini, portavoce del Family day, sarà ospite alla Leopolda della Lega, in quel di Parma.
Così come in passato era stato ospite ad un convegno di Magna Carta, organizzato da Gaetano Quagliariello, Eugenia Roccella ed altri parlamentari di Idea.
La notizia, purtroppo, ha destato qualche polemica, quando avrebbe dovuto accolta per quello che è: un bellissimo segnale.
Se la politica si accorge del popolo del Family day, questo non può che essere positivo.
Soprattutto perchè a chiedere un contributo al suo portavoce sono state due realtà, Idea e Lega, che davvero si sono battute contro la legge Scalfarotto e contro la legge Cirinnà.
E che erano presenti in modo ufficiale allo stesso Family day (si ricordino i gonfaloni di Veneto, Liguria e Lombardia).
Nessuno strumentalismo, dunque, nè da parte di chi ha invitato, nè da parte di chi ha ricevuto l’invito.
Massimo Gandolfini, infatti, non è mai stato uomo di partito; ha tenuto ai margini, il più possibile i partiti dal Family day, con l’intento di farne un evento di tutti; epperò sa bene che con loro bisogna dialogare, perchè le leggi si fanno in parlamento.
Il suo ruolo di uomo super partes, che va dove viene invitato a spiegare le ragioni della famiglia, è importantissimo.
Perchè così facendo dichiara esplicitamente che coloro che hanno a cuore certi valori possono avere un ruolo all’interno di realtà diverse (esclusi Pd e M5S, con cui ogni dialogo è impossibile).
Anche la scelta di tenere il Comitato Difendiamo i nostri figli schierato su una battaglia politica di scopo, come in tante occasioni hanno fatto, sul versante opposto, i radicali, è molto intelligente.
Serve infatti a mantenere mobilitato il popolo della famiglia, su un obiettivo potenzialmente comune, non divisivo, e nello stesso tempo essenziale.
Per ribadire un concetto: se vi sono scelte in cui si può marciare divisi, ve ne sono altre che vanno fatte tutti assieme.
Si può difendere e promuovere la famiglia lavorando nei partiti in cui questo è possibile; si deve difendere e promuovere la famiglia impedendo che il rovesciamento della Costituzione affidi un potere dittatoriale a chi della famiglia e della vita è un nemico giurato.
Gli attacchi a Gandolfini, però, purtroppo, non vengono solo da Renzi.
Anche personalità che hanno dato un indubbio contributo al Family day, lo hanno attaccato, in questi giorni, sia per la sua scelta riguardo al referendum, sia per la sua presenza alla Leopolda di Parma.
Questi attacchi vengono condotti in nome di un purismo e di un protagonismo, terribilmente nocivi.
Nessuna persona e nessun partito ha il monopolio del Family day; chi sino a ieri ha militato nel Pd o in altri partiti di centro, come il candidato sindaco del coraggioso PDF di Bologna, continui la sua meritoria battaglia e la strada intrapresa, ma senza ergersi a unico rappresentante dell’unica, presunta, scelta giusta possibile.
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Divorzi. Aborti. Droga diffusa nelle scuole. Scristianizzazione della Diocesi. Abusi liturgici. Invasione islamica sempre più aggressiva e arrogante.
Ma la priorità è un'altra.
"Un luogo di culto agli islamici".
Intesa tra Sala e Scola per la costruzione della moschea
Faccia a faccia tra il neo sindaco e il cardinale di Milano.
"Il dialogo interreligioso sia portatore di integrazione vera".
E concordano sulla costruzione della moschea
Sergio Rame - Sab, 25/06/2016
Asse tra Palazzo Marino e la Diocesi di Milano per garantire il diritto di culto a tutti i fedeli, dunque anche ai musulmani.
Il neo sindaco Giuseppe Sala e il cardinale Angelo Scola hanno concordato sulla necessità di lavorare per garantire alla comunità islamica la costruzione di una moschea nel capoluogo lombardo.
Questa mattina, durante la seconda uscita pubblica del neo sindaco, Sala è andato a trovare Scola alla curia milanese.
Sul tavolo l'emergenza casa, le periferie e la povertà.
Nel faccia a faccia non poteva mancare il nodo moschea.
"Ci siamo impegnati - ha detto Sala, parlando a fianco del cardinale di Milano - a lavorare insieme, ad aiutarci e sostenerci affinché il dialogo interreligioso sia portatore di integrazione vera".
I due hanno, infatti, concordato sul fatto che "un luogo di culto deve essere garantito a tutti, nel rispetto di regole chiare e nella trasparenza, per aver modo di controllare quel che avviene all'interno di questo centro di preghiera".
Come già promesso in campagna elettorale Sala vuole, infatti, premere l'acceleratore per dare il via libera alla costruzione della moschea a Milano.
Durante l'incontro in curia, Sala ha ringraziato il cardinale e la Chiesa cattolica per "tutto quello che hanno fatto per tenere le fila di questo dialogo fra le fedi e non farlo scemare".
Sindaco e arcivescovo sono, infatti, d'accordo sul fatto che "si presti attenzione e sostegno alle fasce più povere della popolazione nelle periferie, anche alle popolazioni immigrate".
"È necessaria - ha sottolineato Scola - una proposta che garantisca sicurezza e nello stesso tempo non rinunci all'accoglienza".
Da: Il Giornale.
Clicca su Leggi tutto per la fondamentalista islamica nella giunta del Comune di Milano.