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Scaricato: maggio 7, 2011, 10:15am CEST
Sulla pratica esterna della virtù di religione
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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
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LIBRO TERZO
LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO
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CAPITOLO SECONDO. SULLA PRATICA ESTERNA DELLA VIRTÙ DI RELIGIONE
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Ogni uomo ha il dovere essenziale di onorar Dio con atti esterni, ma il Sacerdote più di tutti e per motivi specialissimi. Egli è Sacerdote neI suo corpo come nella sua anima, ed è parimenti Ostia, nel suo corpo come nella sua anima, perché è Sacerdote e Ostia in tutta la sua persona. A lui soprattutto sono dirette queste parole di san Paolo: «Ve ne supplico, per la misericordia di Dio; fate del vostro corpo un'Ostia viva, santa e a Dio gradita» (Rm 12, 1) e ancora: «Glorificate e portate Dio nel vostro corpo» (1 Cor 6, 20). Se la Religione interiore del Sacerdote deve essere così perfetta, come non lo sarebbe pure la sua Religione esterna? Si spiritu vivimus, spiritu et ambulemus (Gal 5, 25). Ma il santo Concilio di Trento, perché il Sacerdote ricordi la sua condizione nella Chiesa, ha detto, per lui, queste parole che bisogna meditare con frequenza:
Nihil est quod alios magis ad pietatem et Dei cultum assidue instruat, quam eorum vita etexemplum, qui se, divino ministerio dedicarunt... In eos tanquam in speculum reliqui oculos conjiciunt, ex iisque sumunt quod imitentur. Quapropter sic decet omnino Clericos... vita moresque suos omnes componere... ut nihil, nisi grave, moderatum, ac religione plenum prae se ferant; levia etiam delicta, quae in ipsis maxima essent, effugiant, ut eorum actiones cunctis afferant venerationem (394).
Parole gravi e solenni! «Non v'ha nulla che, con maggior efficacia del nostro esempio, istruisca gli altri nella pietà e nel culto dovuto a Dio!». Quale disgrazia sarebbe la nostra se, con la nostra negligenza, diventassimo per il popolo una pietra d'inciampo! Quale benedizione preziosa invece ci assicuriamo per il giorno del giudizio, se, con una vita sempre degna del nostro carattere, siamo uno specchio purissimo di perfetta Religione, «nel quale i fedeli trovano quanto debbono imitare per rendere a Dio il dovuto onore!».
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Scaricato: aprile 30, 2011, 10:44am CEST
Le virtù sacerdotali. L'unione a Gesù Cristo
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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
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LIBRO TERZO
LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO
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CAPITOLO PRIMO. LA VIRTÙ DI RELIGIONE
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Il Sacerdote è consacrato Vittima; deve quindi tendere a vivere sempre da vittima e aspirare alla unione perfetta con Gesù Cristo. Ma in qual modo potrà applicarsi ad una vita santa e divina quale si richiede dal suo stato così sublime? Come potrà diventare discepolo, amico, apostolo e Vittima perfetta di Gesù Ostia? Con la pratica delle virtù che corrispondono alla santità del suo stato. Nel Libro III tratteremo appunto delle virtù che sono in modo speciale quelle del Sacerdote nella sua vita di Ostia e dei mezzi per arrivare alla unione intima e perfetta con Gesù Cristo.
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Il Sacerdote, per vocazione, per stato e per grazia, è il perfetto Religioso di Dio. In quella guisa che è Sacerdote in tutta la sua persona e in tutto il suo essere, così è Religioso in tutta la sua persona e in tutto il suo essere. È questo il fine della sua elezione eterna, della sua segregazione da tutto ciò che è profano, dell'ammirabile consacrazione di cui egli è stato l'oggetto, e della unione incomparabile che si è compiuta tra GESÙ e lui, prima con l'ordinazione sacerdotale, poi con la celebrazione della Santa Messa. GESÙ, essendo l'Ostia perfettissima e unica del Padre, è la Religione oggettiva e Sostanziale del Padre. Il Sacerdote, in virtù del suo Sacerdozio e dell'unione ineffabilmente santa e perfetta che ha contratta per sempre con GESÙ Ostia, lui pure è, a modo suo in un senso verissimo, la Religione del Padre, poiché con GESÙ, per mezzo di GESÙ e in GESÙ, egli è pure l'umile, costante e perpetua Ostia del Padre. Il Sacerdote è dedicato a Dio, al culto, alla lode, alla gloria di Dio, a tutto ciò che dalla creatura richiedono la Maestà, la Santità, la Bontà e l'Essere infinito di Dio; esso è votato, dedicato e legato a questa eminente condizione, in una maniera così intima, assoluta, stabile e permanente che nulla di simile esiste in tutto il mondo creato, neppure nel mondo angelico. Chi dice Sacerdote, dice «l'uomo di Dio in tutta perfezione ed eccellenza»; (I Tm 6, 11; 2 Tm 3, 17). l'uomo della gloria di Dio; l'uomo creato formato e costituito, in tutto il suo essere, per questa divina gloria» (Is 63, 7); l'uomo dei disegni, degli interessi, della causa di Dio; l'uomo di tutto ciò che Dio è in se stesso, di tutto ciò che Egli vuole, di tutto ciò che risponde ai suoi diritti, alle sue intenzioni nella Creazione e nella Provvidenza, per la Redenzione, la Santificazione e la Rimunerazione delle anime. Il Sacerdote, a qualsiasi creatura che fosse. stupita di una vocazione così ammirabile, dovrebbe rispondere: «Ma, non sapete che io debbo dedicarmi a ciò che riguarda il Padre mio?» (Lc 2, 49). Sono queste le parole di GESÙ CRISTO; il suo Sacerdote ha tutto il diritto di appropriarsele; perché, in una parola, chi dice Sacerdote, dice GESÙ CRISTO.
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Scaricato: aprile 23, 2011, 9:51am CEST
Sanctifica eos in veritate
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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
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LIBRO SECONDO.
Della comunicazione che nostro signor Gesù Cristo fa al suo sacerdote del suo sacerdozio, del suo stato di Ostia e delle sue disposizioni
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CAPITOLO DICIASSETTESIMO. CONCLUSIONE DEL LIBRO SECONDO
«SANCTIFICA EOS IN VERITATE»
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Come conclusione naturale di questo Libro secondo, non possiamo che ripetere quella parole: Sacerdos alter Christus; il Sacerdote non è altro che GESÙ CRISTO, e può dire: «Non sono più io che vivo, è GESÙ CRISTO che vive in me». GESÙ CRISTO è Sacerdote e Ostia: esso pure è Sacerdote e Ostia. GESÙ CRISTO è santo: il Sacerdote è santo: GESÙ CRISTO nella sua Chiesa, è il perfetto Religioso del Padre, dedicato unicamente alla lode, alla gloria ed agli interessi del Padre. La Carità opera l'unione; e il Sacerdote che aspira all'unione con Nostro Signore, ama il divin Salvatore considerato in se stesso e nei suoi timori come Dio, come Sacerdote, come Ostia, come Capo, come Re. Ah, nulla potrebbe esprimere ciò che GESÙ CRISTO è in se medesimo, così grande, così bello, così dolce, così buono, nella sua vita divina, nella sua vita teandrica, nei suoi Misteri, e soprattutto nel suo stato di Ostia! Ed egli aspira senza posa all'unione, e tale unione è la sua vita sino all'ultimo sospiro; perciò egli è e rimane, in ogni cosa, sempre Ostia; vive con GESÙ sull'altare della immolazione, e la sua morte sarà il suo supremo Sacrificio.
Dobbiamo essere convinti, senza che mai nulla possa indebolire o alterare in noi questo intimo e possente sentimento, che il Sacerdote è un altro GESÙ CRISTO medesimo e quindi che deve essere santo. È specialmente e direttamente vero, a nostro riguardo, questo detto di san Paolo: Elegit nos in ipso (in Christo)... Ut essemus Sancti et immaculati in conspectu ejus, in charitateSanti ed immacolati, nei nostri pensieri e nelle nostre intenzioni, nei nostri sentimenti e nelle nostre affezioni, nelle nostre parole e nel nostro contegno, santi ed immacolati in tutte le potenze dell'anima e in tutti i sensi del corpo. Elegit nos in ipso: ecco la ragione primiera e unica di tutte le nostre grandezze, di tutti i nostri poteri e di tutti i nostri privilegi nell'ordine della grazia; ma ecco il fine: Ut essemus sancti... in charitate Dei quae est in Christo Jesu Domino nostro (Rm 8, 39). (Ef 1, 3-4).
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Scaricato: aprile 16, 2011, 2:04pm CEST
L'AMORE VERSO GESÙ, NOSTRO CAPO E NOSTRO RE
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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
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LIBRO SECONDO.
Della comunicazione che nostro signor Gesù Cristo fa al suo sacerdote del suo sacerdozio, del suo stato di Ostia e delle sue disposizioni
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CAPITOLO SEDICESIMO. L'AMORE VERSO NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO NOSTRO CAPO E NOSTRO RE
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Nostro Signore GESÙ CRISTO, infinitamente amabile come Sacerdote e Ostia, merita ancora il nostro amore in quanto è il nostro Capo e il nostro Re.
Come nostro Capo: in primo luogo, perché in tale qualità, Nostro Signore è il Principio e la causa della nostra Predestinazione. Abbiamo già esposto questa verità. Ricorderemo qui soltanto queste parole di san Paolo: Cum essemus mortui peccatis, convivificavit nos in Christo, et conresuscitavit, et consedere fecit... coelestibus in Christo Jesu (360). Non è già forse per noi una gioia immensa, fare una cosa sola con GESÙ CRISTO in tutti i suoi Misteri? Ma ci viene assicurata una gloria ben più prodigiosa, ne abbiamo il pegno e già la possediamo in sostanza: è la gloria del cielo. Il nostro Capo la possiede, ma non la possiede solo; è salito al cielo «a prepararci il posto» (361). Quale non deve essere il nostro amore per il nostro Dio, la nostra Vittima e Ostia, per essersi degnato di essere, in pari tempo, il nostro Capo? Egli, nella sua carità ha operato meraviglie che non avremmo giammai potuto concepire, e che ancora ci lasciano quasi un po’ incerti, tanto le tenerezze di Dio, a motivo dei loro eccessi, sorprendono le nostre povere intelligenze. San Paolo nota espressamente questi eccessi, immediatamente prima di rivelarci che il nostro Capo è causa della nostra predestinazione. Deus autem(Ef 3, 20-21)., dice l'Apostolo, qui dives est in misericordia propter nimiam charitatem suam, qua dilexit nos... qui potens est omnia facere superabundanter quam petimus aut intelligimus, etc.
Nella sua qualità di Capo, nostro misericordioso Redentore non solamente è la causa della nostra predestinazione, ma pure, con un influenza che non cessa mai, ce ne porge costantemente il pegno; e questo pegno è costituito dalla sua divina grazia, ossia, dall'azione incessante dello Spirito Santo che abita in noi e continuamente ci porta a compiere opere di vita, degne del nostro Capo che è la vita. Il primo nostro Capo, Adamo, ha esercitato sopra di noi un influsso mortale; e questo si continua in noi con la concupiscenza che rimane anche dopo il Battesimo. Il nostro secondo Capo, ben più potente per darci la morte, infonde continuamente nelle anime nostre la vita «con lo Spirito Santo che abita in noi». Infatti, questo Spirito di GESÙ CRISTO nostro Capo, è spirito di vita; è il principio di ogni preghiera gradita al Padre e da Lui esaudita; ci conduce e ci dirige, nella nostra qualità di figli di Dio. Egli stesso ci dà il potere di invocare con merito il nome di GESÙ, e la virtù di confessarlo con forza e costanza davanti agli uomini. Sotto la sua azione, l'anima nostra produce ogni sorta di frutti soprannaturali. Infine, siccome Egli è «il pegno dell’eredità, il sigillo della promessa» della vita eterna, Lui ancora risusciterà i nostri corpi mortali» (362).
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Scaricato: aprile 9, 2011, 11:47am CEST
L'amore di Nostro Signore sulla croce e nel SS. Sacramento
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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
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LIBRO SECONDO.
Della comunicazione che nostro signor Gesù Cristo fa al suo sacerdote del suo sacerdozio, del suo stato di Ostia e delle sue disposizioni
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CAPITOLO QUINDICESIMO. L'amore di Nostro Signore Gesù Cristo, nostra vittima, sulla croce e nel SS. Sacramento
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Dobbiamo ancora amare Nostro Signor GESÙ CRISTO come la nostra Vittima e l'Ostia nostra. San Paolo lo raccomanda espressamente: Ambulate in dilectione, sicut et Christus dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis Oblationem et Hostiam Deo in odorem suavitatis (Ef 5, 2). Qui l'Apostolo parlava a tutti i fedeli. Ecco ora una parola speciale per noi; essa è della divina Vittima stessa: «Et pro eis sanctifico meipsum. Ed io mi sacrifico, mi immolo per loro» (347). «Per loro»: questi sono gli Apostoli ed i Sacerdoti tutti, successori degli Apostoli per consacrare il Corpo e il Sangue di GESÙ CRISTO. Ecco, adunque, una prova immensa di amore. Tutta la Passione del Salvatore, la sua agonia, le sue preghiere, le sue lagrime, la sua pazienza, la sua dolcezza, tutto quanto ha sofferto in casa di Hannan, di Caifasso, di Erode e di Pilato, la Flagellazione, la Corona di spine, la salita al Calvario con la Croce, la crocifissione, le tre ore di spaventosi dolori sulla Croce, tanto sangue versato, tante supplicazioni offerte al Padre, tante, lezioni di umiltà, tanto amore, e infine l'umile e dolorosa morte: tutto ciò è stato per noi; per le anime tutte, senza dubbio, e per ciascuna in particolare come se essa sola fosse al mondo. Ma, noi, Sacerdoti, anzi ciascuno di noi, proprio distintamente, è stato l'oggetto di una misericordia, di una tenerezza e di una indulgenza affatto speciali (348). Nelle angosce dell'Agonia dell'orto degli Ulivi, negli obbrobri del Pretorio. negli spasimi della Flagellazione, nello spaventoso supplizio dell'Incoronazione di spine. sotto il peso della Croce. sulla strada del Calvario; quando i carnefici barbaramente conficcavano i chiodi in quelle mani e in quei piedi: quando quel Corpo Adorabile, così dolorosamente sospeso, si accasciava a poco a poco durante le tre ore mortali; quando si sentiva quell'ultimo grido: Consummatum est, e che essendosi chinata la testa, la vita si ritirava da Colui che è l'Autore di ogni vita, quella dolcissima Vittima pensava, con una visione distintissima, a me personalmente che dovevo essere il suo Sacerdote! Et pro eis ego sanctifico meipsum. Se arriveremo, in questo esilio, ad acquistare qualche intelligenza di un tal Mistero, l'amore consumerà il nostro cuore. Fortunato quel Sacerdote, il quale, col pensiero abituale della Passione di Nostro Signor GESÙ CRISTO, giunge ad essere colpito dalle frecce infocate che escono da tutte le ferite della nostra adorabile Vittima, da tutti i suoi dolori, dalle sue ignominie, da ciascuna delle circostanze della sua amorosa Immolazione! Ogni Sacerdote deve tendere ad un tale stato doloroso insieme e delizioso. Chi non vede che è questa una grazia essenziale per lui, per la sua vita, per il compimento di disegni di Dio sull'anima sua privilegiata? Bisogna che Egli possa dire con san Paolo: Christo confixus sum cruci... Non enim judicavi me scire aliquid inter vos nisi Jesum Christum et hunc crucifixum. Mihi autem absit gloriari, nisi in cruce Domini nostri Jesu Christi (349).
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Scaricato: aprile 2, 2011, 6:55am CEST
L'amore verso nostro Signore Gesù Cristo Nostro Dio e Nostro Sacerdote
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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
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LIBRO SECONDO.
Della comunicazione che nostro signor Gesù Cristo fa al suo sacerdote del suo sacerdozio, del suo stato di Ostia e delle sue disposizioni
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CAPITOLO QUATTORDICESIMO. L'amore verso nostro Signore Gesù Cristo Nostro Dio e Nostro Sacerdote
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Nostro Signor GESÙ CRISTO è la Gloria grande e veramente, unica del Padre. Il Sacerdote con la purità dei suoi sentimenti, la religione, lo zelo e tutte le opere sante del suo Sacerdozio, è pure anch'esso la Gloria del Padre. Perché? Perché vive nella più intima ,e stretta unione con GESÙ CRISTO, perché è davvero un altro GESÙ CRISTO!... Ma in qual modo si compie questa unione, questa divina unità? Per mezzo dell'amore (338); e chi deve amare GESÙ CRISTO, come il Sacerdote?
L'amore verso Nostro Signor GESÙ CRISTO!... qual argomento! soprattutto quando si deve trattarne in modo conveniente ad anime sacerdotali! Tutto quanto si potrebbe dire, anche in un convegno di Gertrudi o di Terese, sarebbe poco per i Sacerdoti. Questi sanno benissimo che, a buon diritto, più di qualsiasi persona, possono applicare a se stessi quelle parole ardenti di san Paolo: Mihi vivere Christus et mori lucrum... Charitas Christi urget nos... Quis nos separabit a Charitate Christi(339).Christi divinitas, vita est; ipsius aeternitas... caro... passio... mors... vulnus, vita est. Accedite ad eum et satiamini, quia panis est: potate, quia fons est, illuminamini, quia lux est (340).Vi sono pure altri testi dei Padri, e numerosi, sull'amore che merita Nostro Signore, sopra ciò ch'Egli è per le anime, sull'unione perfettissima che deve esservi tra questo unico Tutto e le sue creature redente dal suo Sangue; e tutti convengono al Sacerdote in un modo oltremodo sublime, eccezionale e assoluto. Il Sacerdote animato dall'amore tende egli medesimo all'unità. Non deve esservi distanza tra lui e GESÙ CRISTO, ma bisogna che si perda in quel centro, in quella vita, in quell'Essere di GESÙ CRISTO. «La divisione è stata la nostra rovina, dice sant'Agostino, ma liberati, per la misericordia divina, dalla molteplicità, noi andiamo a Colui che è unità» (342); GESÙ CRISTO, vivendo Egli stesso in noi, diventa l'unica vita nuova della quale vogliamo vivere. Tale unione veramente ineffabile, che più giustamente sarebbe da chiamarsi unità, è così bene la vita del Sacerdote, che non si potrebbe più dargli questo nome quando non vivesse dell'amore con cui si opera l'unione (343).?..
Sant’Ambrogio diceva: Jam non vitam nostram, sed Christum vivimus...
E san Paolino da Nola: Sibi habeant sapientiam suam philosophi, sibi divitias suas divites, sibi regna sua reges; nobis gloria et possessio et regnum, Christus est... Ergo illum amemus, quem amare debitum est; illum oseulemur, quem osculari castitas est... illi subjiciamur, sub qua jacere super mundum stare est; propter illum dejiciamur, cui cadere resurrectio est; illi commoriamur, in quo vita est, in quo et mortui vivimus (341).
Nostro Signore medesimo ci rivelava questo magnifico Mistero. Mentre stava per uscire dal Cenacolo onde portarsi all'orto degli Ulivi, Egli rivolgeva al Padre suo questa bella preghiera: Pater juste… ut dilectio, qua dilexisti me, in ipsis sit, et ego in ipsis (Gv 17, 26). O Dio! quali meravigliosi splendori! Quell'amore medesimo con cui il Padre ama il Figlio, è quello stesso con cui noi amiamo il Figlio, e allora il Figlio è in noi! Ma qual'è dunque quell'amore con cui il Padre ama il Figlio? Qual'è la potenza, la tenerezza, la costanza di un tale amore, e la compiacenza che il Padre trova nell'amare il figlio suo? Qual'è l'effusione del Padre nel Figlio, e l'unità che si compie in questa effusione infinita ed eterna? È lo Spirito Santo medesimo; non un atto divino a guisa dell'atto creatore, ma una Persona divina, immanente, sostanzialmente una col Padre e col Figlio; lo Spirito Santo è quell'amore, quella potenza, quella tenerezza, quella costanza, quella effusione infinita ed eterna, quella unità adorabile. Lo Spirito Santo, personalmente e sostanzialmente è l'amore con cui il Padre ama il Figlio. Pertanto, ecco l'amore col quale vogliamo amare Nostro Signor GESÙ CRISTO: non già un altro amore, una somiglianza, un'immagine, ma quel medesimo amore potente, tenero e costante, amore che opera l'unione come quello del Padre: dimodochè GESÙ CRISTO per noi, come per il Padre, sia tutto. Perché il Padre non ama che GESÙ CRISTO, e tutto quanto Egli ama nel mondo, lo ama unicamente in GESÙ CRISTO, vede ogni cosa in Lui, e non trova di amabile se non ciò che di GESÙ CRISTO Egli stesso ha posto ih noi e vede in noi: in questo modo il Padre! ama le anime nostre in GESÙ CRISTO.
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Scaricato: marzo 26, 2011, 7:36pm CET
L'amore della gloria di Dio, gloria del sacerdote
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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
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LIBRO SECONDO.
Della comunicazione che nostro signor Gesù Cristo fa al suo sacerdote del suo sacerdozio, del suo stato di Ostia e delle sue disposizioni
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CAPITOLO TREDICESIMO. L'AMORE DELLA GLORIA DI DIO GLORIA DEL SACERDOTE
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Poiché il Sacerdote è in tal modo dedicato e votato alla gloria di Dio, sino ad esserne, in modo perfettissimo, la Vittima immolata e consumata nell'amore più generoso ed eroico, dobbiamo dire che l'amore di questa gloria divina è per lui, il principio della gloria più magnifica.
Dapprima, «servire a Dio», servire soprattutto con tale abnegazione di se medesimo e tale devozione «è veramente regnare» (331). «Aderire a Dio», essere unito a Lui in un modo così perfetto come quello di una Vittima tutta consumata al suo onore, è questo «una beatitudine» (Ps. 72, 27) perfettissima; anzi è una sorta di deificazione, perché così si diventa «una sola cosa con Dio» (I Cor 6, 17). Orbene, havvi forse al mondo una gloria che si possa paragonare a questa? La parola umana non è capace di esprimere la sublimità cui si deva il Sacerdote che viene, in tal modo, trasportato in Dio e come trasformato in Lui (Eccli 23, 38). Perciò, il grande Apostolo, dopo aver detto che scopo del suo Sacerdozio e del suo Apostolato era di fare di «tutte le genti un sacrificio santo e a Dio gradito, aggiungeva: «Habeo igitur gloriam in Christo Jesu ad Deum» (332).
Ma, nel ricercare in ogni cosa la gloria di Dio, il Sacerdote, con gli atti che compie, acquista pure un'altra gloria. Questa sublime ambizione, come per effetto naturale, eleva mirabilmente i suoi pensieri, i suoi sentimenti e il suo carattere; nobilita magnificamente tutte le facoltà della sua mente e del suo cuore e tutta la sua persona: Sant'Ilario ha detto: Angusta peccantium sunt corda et hospitio Deum mens polluta non recipit (333); e sant'Ambrogio, al contrario, che «il cuor dei giusti è vasto, e contiene Colui per il quale il mondo è troppo piccolo» (334). Quando Salomone fece la solenne dedicazione del Tempio, la gloria di Dio riempì il Tempio, e tutto Israele la poté contemplare (335). Abbiamo qui la stessa meraviglia: la maestà di Dio riempie l'anima sacerdotale, e la sua gloria la copre di magnificenza. In quest'anima, non si scorge che una elevazione facile, pronta, generosa verso Colui che per lei è Tutto: intenzione sempre pura, santa, e libera da ogni aspirazione umana; piena e perfetta libertà, senza che nessun egoismo impicci i suoi movimenti; ampiezza e larghezza di propositi, di sentimenti e di affetti, senza che nulla di terreno trovi posto nella sua mente e nel suo cuore che sono riempiti di Dio. Oh! stato veramente bello e delizioso, davanti a Dio e agli angeli suoi! bello nell'ordine soprannaturale: se ci fosse dato di contemplarlo, non solamente ecciterebbe in noi l'ammirazione, ma ci rapirebbe nell'estasi. Bello ancora e magnifico nell'ordine morale della natura; perché, infine, che cosa veramente può mai essere grande e sublime, se non una tale distinzione di intenzioni un disinteresse così generoso, una dignità così grande nella vita, una magnanimità di carattere così forte e costante? Sì! un'anima che non ha altro amore, secondo la parola di sant'Agostino, che per la Bellezza di Dio, riceve, per certo un raggio degli splendori divini di quella Bellezza perfetta ed è veramente bella (336).
Il vero Sacerdote di GESÙ CRISTO, non avendo altra regola che la gloria di Dio, prega con vivo ardore per la buona riuscita delle Opere che intraprende nel procurare questa divina gloria; vi si dedica con gran cuore ed irremovibile costanza, e con ogni sorta di sacrificio. Altri lavorano pure nel campo del Signore; ed egli porta interesse alle opere degli altri come alle sue proprie. Che se riescono meglio di lui, non ne risente ombra di, tristezza volontaria, tanto meno di gelosia; ma, nell'intimo dell'animo, benedice Nostro Signore e gode che vi sia chi fa per il suo onore quanto non è capace di fare lui medesimo. Né mai si renderà colpevole del peccato diabolico di impedire, per amor proprio o gelosia, il bene che altri potrebbero fare; perché allora direbbe, in fatto: quaero gloriam meam, e si metterebbe al posto di Dio.
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Scaricato: marzo 19, 2011, 5:26pm CET
Il sacerdote è l'uomo della gloria di Dio
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Scaricato: marzo 12, 2011, 1:13pm CET
La preghiera sacerdotale
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Scaricato: marzo 5, 2011, 11:22am CET
Il Sacerdote centro divino dove tutta la chiesa si riunisce
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Scaricato: febbraio 26, 2011, 1:49pm CET
Il carattere di universalità della grazia sacerdotale
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Scaricato: febbraio 19, 2011, 9:52am CET
Eccellenza della grazia sacramentale fondamento della santità speciale del sacer
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Scaricato: febbraio 12, 2011, 11:59am CET
Della santità speciale del Sacerdote di Gesù Cristo