-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO XXIII. Di una consolazione grande per quelli che sono molestati da distrazioni nell'orazione.
* * *
1. Le distrazioni non pregiudicano all'orazione.
2. Per esse non si ha da lasciare l'orazione
* * *
1. Per consolazione di quelli che sono molestati da questa tentazione delle distrazioni nell'orazione, nota S. Basilio (S. BASIL. Constit. mon. c. 1. n. 4) che nell'orazione allora solamente si offende Dio con questi pensieri e distrazioni, quando uno per volontà sua, avvertentemente e conoscendo quello che fa, sta distratto e con poca reverenza e rispetto. Colui che nell'orazione si mette a posta a pensar allo studio, o all'ufficio, o al negozio, merita molto bene che Dio lo lasci star solo e lo castighi. Qui calza bene quello che dice S. Giovanni Crisostomo (S. Io. CHRYS. Hom. de Cham, n. 10; Loc. cit, v. 63, col. 581): Come vuoi che Dio ti oda, se tu non odi te stesso? Ma quando uno fa moralmente quello che è in sé e per fragilità si distrae, né può stare con tanta attenzione quanta vorrebbe; ma il cuore lo lascia e se ne scappa altrove, secondo quello che dice il Profeta: «Il mio cuore mi è mancato» (Ps. 39, 12); allora il Signore non se n'offende; anzi se ne muove a compassione e misericordia; perché conosce benissimo la nostra infermità e debolezza. «Come un padre ha compassione dei suoi figliuoli, così il Signore ha avuto compassione di quelli che lo temono; perché egli conosce di che siamo formati» (Ps. 102, 13). Come un padre che ha un figliuolo frenetico lo compatisce e sente gran dolore quando vede che, cominciando egli a parlare a tono, tutto in un tratto salta fuori in spropositi; così quel pietosissimo Padre celeste si muove a pietà e compassione di noi altri quando vede che è tanta la debolezza e l'infermità della nostra natura, che nel meglio del nostro parlare seco sensatamente saltiamo in mille pensieri spropositati.
E così, quantunque uno non senta devozione né quiete nell'orazione, ma molto grande aridità e combattimento di pensieri e d'immaginazioni e stia a questo modo tutto il tempo dell'orazione, non lascia per questo quella orazione di essere molto grata a Dio Nostro Signore e di gran valore e merito nel suo divino cospetto. Anzi suole molte volte, essere più grata e meritoria, che se gli fosse passata con molta divozione e consolazione, per avere patito e sopportato in essa maggiore travaglio e difficoltà per amore di Dio. Né meno lascia egli di conseguire con quella orazione grazia e favori per servir meglio il Signore e per crescer maggiormente in virtù e perfezione, ancorché egli non se ne accorga: come avviene all'infermo, quando mangia un cibo di sostanza, che sebbene non vi sente gusto né sapore, ma fastidio e tormento, ne riceve nondimeno forza e si conserva e si alimenta con esso.
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO XXII. Di alcuni altri mezzi per stare con attenzione e riverenza nell'orazione
* * *
1. Tenerci alla presenza di Dio.
2. Vari modi di praticarla.
3. Metterci alla presenza del SS., guardare sante immagini e parlare con Dio.
4. Preparare bene i punti.
5. Richiamarli appena svegliati.
6. Non prepararsi all'orazione è tentare Dio.
* * *
1. S. Basilio (S. BASIL. in Reg, brev. tract. 202 et 306; const. monast. c. 1, n. 4) domanda, come potrà uno tenere il suo cuore fermo, attento e non distratto nell'orazione; e risponde che il mezzo più efficace per questo è considerare che sta dinanzi a Dio e che Dio sta osservando come egli ora. Perché se colui che si trova alla presenza di un principe terreno, parlando con esso lui, sta con gran rispetto e riverenza, e con grande attenzione a quel che fa e dice, e alla maniera che in ciò tiene; e stimerebbe per molto mala creanza il voltargli le spalle, o inframmischiare in quel ragionamento altre cose fu or di proposito; che farà colui il quale consideri attentamente che sta alla presenza della maestà di Dio, che lo sta mirando e sta osservando in lui, non solo l'esteriore che si vede al di fuori, ma anche l'interno del suo cuore? Chi vi sarà, dice, che abbia ardire di levar gli occhi e il cuore da quello che sta facendo, e di voltar le spalle a Dio, e ivi stare pensando in altre cose non appartenenti?
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO XXI. Delle cagioni delle distrazioni nell'orazione e dei rimedi di esse.
* * *
1. Non dissiparsi e pensare fra giorno a cose sante.
2. Le tentazioni del demonio. Esempio.
3. Di qui si vede l'importanza dell'orare.
4. La nostra fiacchezza.
* * *
1. Quello delle distrazioni nell'orazione suole essere un lamento molto ordinario; onde trattano di esso i Santi comunemente, ma Cassiano molto in particolare (CASSIAN. Coll. 4, c. 2-3). Da tre cagioni o radici dicono che può procedere la distrazione nell'orazione. Alcune volte dalla nostra trascuraggine e negligenza, perché ci dissipiamo troppo fra giorno, custodiamo poco il nostro cuore e teniamo poco raccolti e raffrenati i nostri sensi. Chi fa così non ha occasione di domandare d'onde gli venga lo star distratto nell'orazione e il non potersi introdurre in essa; perché è cosa chiara che le immagini, le figure e le rappresentazioni delle cose che lascia entrare colà dentro nella sua mente lo hanno da molestare e da inquietare poi nell'orazione. Dice l'abate Mosè (CASSIAN. Coll. 1, c. 17; Loc. cit. col. 506 seg.), e dice benissimo, che sebbene non è in poter dell'uomo il non esser combattuto dai pensieri; è nondimeno in poter suo il non ammetterli e lo scacciarli quando vengono. E aggiunge di più, che sta in mano dell'uomo in gran parte il correggere ed emendare la qualità di questi pensieri, e far che gli vengano pensieri buoni e santi, e che gli altri pensieri di cose vane e impertinenti gli vadano uscendo dalla mente e dalla memoria. Perché se si darà ad esercizi spirituali di lettura, di meditazione e di orazione, e si occuperà in opere buone e sante, avrà pensieri buoni e santi. Però se fra il giorno non attende a questo, ma a pascere i suoi sensi di cose vane e impertinenti, saranno con simili i suoi pensieri.
E apporta una similitudine, la quale è anche di Sant’Anselmo e di S. Bernardo (S. BERN. De hum. condit. c. 9, n.13). Dicono questi Santi che il cuore dell'uomo è come la pietra e la mola del mulino, èlle sempre macina, ma sta sempre in mano del mugnaio il fare che macini frumento, o orzo, o altra sorta di legume; quello che vi metterà, quello macinerà. Così è il cuore dell'uomo: non può stare senza pensare a qualche cosa, sempre macina; ma colla tua industria e diligenza puoi fare che macini frumento, o orzo, o altro legume, o terra; quello che vi metterai dentro, quello macinerà. Ora secondo questo, se vuoi star raccolto nell'orazione, bisogna che fra il giorno procuri di tenere raccolto il cuore e custodire le porte dei tuoi sensi, perché il Signore gusta di conversare colle anime che sono orti rinchiusi. Onde era comun detto di quei Padri antichi, e l'apporta Cassiano, che bisogna pigliare il corso molto all'indietro, ed esser tale fra giorno, qual vuoi trovarti nel tempo dell'orazione; perché dallo stato e dal temperamento che ha il cuore fuori dell'orazione viene essa ad impastarsi e formarsi (CASSIAN. coll. 9, c. 3; Loc. cit. col. 773-74). E dice S. Bonaventura: «Qual sarà il liquore che metterai nel vaso, tale sarà l'odore che ne uscirà; e quali saranno le erbe che pianterai nell'orto del tuo cuore, tale sarà il frutto e il seme che produrranno» (S. BONAV. De exter. etc. l. 3, c. 52, n. 2).
E perché è una cosa molto comune e naturale il pensar uno molte volte a quello che ama; se vuoi tener fermo é stabile il cuore nell'orazione, e che i pensieri di cose varie e impertinenti si vadano dissipando e finendo, bisogna mortificare l'affezione di esse, sprezzando tutte le cose terrene e applicando il cuore alle celesti. E quanto più andrai profittando e crescendo in questo, tanto maggior profitto e aumento andrai facendo nella fermezza, stabilita e attenzione nell'orazione.
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO XX. Che ci dobbiamo contentare dell'orazione che abbiamo detto e non angosciarci né lamentarci perché non arriviamo ad altra più alta.
* * *
1. L'umile non desidera favori straordinari nell'orare.
2. Senza di essi si può aver l'effetto d'una buona orazione.
3. Non ho consolazioni: lamento vano.
* * *
1. Alberto Magno (ALB. MAGN. De adhaer. Deo) dice che il vero umile non ardisce, né il suo cuore s'innalza a desiderar l'alta e sublime orazione e quei favori straordinari che il Signore suole alcune volte comunicare ai suoi più diletti; perché ha egli sì bassa stima di se stesso, che si reputa indegno di ogni grazia e consolazione spirituale. E se qualche volta, senza che egli lo desideri; il Signore lo visita con alcuna consolazione, la riceve con del timore, parendogli di non meritare quei favori e quelle consolazioni, né sapersi approfittare di essi come dovrebbe. E così se fosse in noi umiltà, Ci contenteremmo bene di qualsivoglia di quelle sorta d'orazioni. che abbiamo detto; anzi terremmo per particolar grazia del Signore che ci conducesse per la via dell'umiltà; poiché per questa ci conserveremmo e per quell'altra forse ci pavoneggeremmo e andremmo in perdizione.
S. Bernardo (S. BERN. Serm, 5 in quadrag. n. 7) dice che Dio fa con noi come fanno di qua i padri coi loro figliuolini piccoli, che quando il figliuolino domanda del pane, glielo danno volentieri; ma se domanda il coltello per tagliarlo, non glielo vogliono dare, perché vedono che egli non ne ha bisogno, anzi che gli potrebbe far male, tagliandosi con esso. Il padre però piglia egli il coltello e taglia il pane acciocché il figliuolino non abbia quella briga, né corra pericolo alcuno. Così fa il Signore: ti dà il pane tagliato, e non ti vuol dare i gusti e le consolazioni che sono in quella altissima orazione; perché forse ti taglieresti e ne riceveresti nocumento, alzando la cresta e diventando perciò vano, tenendoti per spirituale e preferendoti ad altri. Maggior grazia ti fa Dio dandoti il pane tagliato, che se ti desse il coltello da tagliarlo. Se Dio con questa orazione ti dà gran fermezza e fortezza per morire più tosto che peccare, e ti conserva in tutta la tua vita senza che tu cada in peccato mortale; che miglior orazione e che miglior frutto vuoi?
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO XIX. Di alcuni mezzi e modi facili per far buona e fruttuosa orazione.* * *
1. Pensare seriamente ai casi nostri.
2. Considerarsi avanti a Dio come fanciullo, cieco ecc.
3. Chiedere perdono dei peccati. Esempio di S. Taide.
4. Desiderare di fare orazione come la fanno i Santi.
5. Tenersi in grande umiltà avanti a Dio.
6. Accettare le aridità in pena dei nostri peccati.
7. Più aridità nell'orazione e più mortificazione nella giornata.
8. Desiderare di far orazione meglio di quel che si faccia, facendo offerte a Dio.
* * *
1. Vi sono altri modi molto facili i quali ci aiuteranno grandemente a far orazione; dal che si vedrà similmente come è sempre in poter nostro il far buona e fruttuosa orazione, e che l'orazione mentale è cosa per tutti, e che non vi è alcuno che non la possa fare.
Il primo modo, e molto buono, può esser quello che qui avvertono alcuni maestri di spirito, i quali dicono che non facciamo che la nostra orazione sia una cerimonia, o un artifizio; ma che facciamo quello che fanno gli uomini in negozi di roba, che si fermano a pensar di proposito a quello che fanno, come vanno le cose e come possono andar meglio. Così il servo di Dio semplicemente e senza artifizio ha da trattare con se stesso nell'orazione: come va per me il negozio del mio profitto e della salute dell'anima mia? ché questo è il nostro negozio, e non stiamo in questa vita per altro che per assicurare questo negozio. Faccia dunque i conti seco stesso il religioso, e pongasi a pensare molto a bell'agio: come va per me questo negozio? che frutto e che utilità ho io cavato da questi dieci, venti, trenta o quarant'anni che sono stato in religione? quanta virtù ho io guadagnata e acquistata? quanta umiltà? quanta mortificazione? Voglio vedere che conto potrò rendere a Dio delle comodità e dei mezzi tanto grandi che ho avuti nella religione per accumulare e per aumentare il capitale e il talento che mi diede. E se fin qua ho male impiegato il tempo, e non ho saputo approfittarmi di esso, voglio provvedervi per l'avvenire, acciocché non se ne passi tutta la vita mia come per l'addietro.
Nello stesso modo può ciascuno nello stato suo semplicemente e senza artifizio alcuno fermarsi a pensare in particolare, come vanno le cose circa il suo ufficio e la sua professione; come l'eserciterà bene e conforme alla volontà di Dio; come farà a trattare i negozi cristianamente; come farà a governare la sua casa e la sua famiglia di maniera che tutti servano Dio; come farà a portarsi bene nelle occasioni, nei disturbi e nelle molestie che reca seco il suo stato, il suo ufficio, la sua professione. Nel che troverà assai materia da pensare, da piangere e da emendare; e questa sarà molto buona ed utile orazione.
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO XVIII. Si mostra praticamente come sta in man nostra il far sempre buona orazione e il cavar frutto da essa
* * *
1. E in mano nostra il far bene l'orazione ordinaria.
2. Non è che l'esercizio delle tre potenze.
3. Nei cui atti sta la sostanza dell'orazione.
4. Si prova dal contrario.
5. Dobbiamo migliorarci coll'orazione.
6. Questa supplisce a tutto il resto.
* * *
1. L'orazione specialissima e straordinaria, della quale abbiamo parlato di sopra, è un dono particolarissimo di Dio, il quale non lo dà a tutti, ma a chi piace a lui; ma l'orazione mentale ordinaria e semplice, della quale adesso andiamo trattando, il Signore non la nega a nessuno. Ed è errore quello di alcuni, ai quali, perché non arrivano a quella alta orazione e contemplazione, pare che non possano far orazione, o che non siano atti per essa; essendo quest'altra molto buona e molto utile orazione, e potendo noi con essa essere perfetti. E di più essendo questa molto buona e molto propria disposizione per quell'altra più elevata e sublime orazione, se Dio ce la vorrà concedere. Ora di questa orazione andremo dichiarando adesso come, colla grazia del Signore, sta in man nostra il farla sempre bene e il cavar frutto da essa; il che è cosa di grande consolazione. Per due vie possiamo raccogliere questo molto bene da quello che si è detto.
2. La prima è, perché il modo d'orazione che c'insegna il nostro Santo Padre è l'esercitar ivi le tre potenze dell'anima nostra, proponendo colla memoria agli occhi dell'intelletto il punto o mistero, sopra del quale vogliamo far orazione, e subito entrare coll'intelletto a discorrere, meditare, considerare quelle cose che più ci aiuteranno a muovere la volontà nostra; e poi subito hanno da seguitare gli affetti e desideri della volontà. E questa terza cosa abbiamo detto che è la principale e il frutto che abbiamo da cavare dall'orazione: di maniera che non consiste l'orazione nelle dolcezze e nei gusti sensibili, che sentiamo e sperimentiamo alcune volte; ma negli atti che facciamo colle potenze dell'anima nostra. Ora il far questo sta sempre in man nostra, ancorché ci troviamo molto aridi e mesti. Perché quantunque io mi trovi più secco che un legno e più duro che un sasso, sta in mia mano il fare, col favore del Signore, un atto di odio, di aborrimento e di dolore dei miei peccati; un atto di amor di Dio, un atto di pazienza e un atto di umiltà e di desiderio di esser disprezzato e vilipeso, per imitar Cristo disprezzato e vilipeso per me.
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO XVII. Che nella considerazione dei misteri abbiamo anche da procedere con posatezza, e non passarli superficialmente: e di alcuni mezzi che ci aiuteranno a far questo
* * *
1. Utilità del trattenersi a lungo in una stessa considerazione.
2. Cosa facile nella consolazione.
3. Diligenza dal canto nostro.
4. E' gran mezzo l'amar Dio e le cose spirituali
* * *
1. Nella considerazione dei misteri divini importa anche grandemente scavar bene addentro e profondarsi in una medesima cosa, e non passarla correndo: perché ci gioverà più un mistero ben considerato e ponderato, che molti superficialmente mirati. E perciò il nostro Santo padre nel libro degli Esercizi fa tanta stima delle ripetizioni, che dopo ciascun esercizio subito comanda che si facciano una o due ripetizioni; perché quello che non si trova la prima volta, si trova col perseverare tuttavia più nella stessa considerazione: «poiché chi cerca trova, e sarà aperto a colui che picchia» (Matth. 7, 8). Mosè percosse la pietra colla verga, e non cavò acqua: tornò a percuotere, e la cavò (Num. 20, 11); e Cristo nostro Redentore non guarì quel cieco del Vangelo in un tratto, ma lo andò guarendo a poco a poco: prima gli pose la saliva sugli occhi, e gli domandò se vedeva qualche cosa; ed egli rispose che vedeva certe cose grosse, ma non discerneva bene quel che si fossero: gli uomini gli parevano alberi. Tornò poi il Signore a mettergli le mani sopra gli occhi, e lo risanò affatto, di maniera che già vedeva chiaramente e distintamente (Marc. 8, 23-25).
Così suole avvenire nell'orazione, che tornando la persona una e più volte sopra una cosa medesima e, perseverando in quella, va sempre scoprendo per suo profitto nuove circostanze, non prima osservate: come quando uno entra in una stanza oscura, che da principio non vede niente; e se si trattiene, va vedendo alquanto. E particolarmente abbiamo da procurare di trattenerci sempre nella considerazione delle cose sino a tanto che restiamo molto illuminati e persuasi della verità, e molto convinti e assodati in quello che ci conviene: perché questo è uno dei principali frutti che abbiamo da cavare dall'orazione e nel quale bisogna che stiamo ben fondati, come di sopra dicevamo.
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO XVI. Come nell'orazione ci potremo trattenere a lungo in una stessa cosa: e si propone la pratica d'un buon modo d'orazione, che è andar discendendo ai casi particolari.
* * *
1. Con varie considerazioni insistere sulla stessa cosa.
2. Venire ai casi particolari.
3. utilità di ciò.
4. Esempio di S. Ignazio.
5. Prevedere i casi possibili.
6. Ampia materia da meditare.
7. In ogni virtù tre gradi di perfezione.
* * *
1. Resta che dichiariamo il modo che potremo osservare per andar nell'orazione trattenendoci nell'affetto d'una stessa virtù assai tempo; poiché è cosa tanto utile, quanto abbiamo detto. Il mezzo comune e ordinario che si suole dare per questo è, procurare di continuare questo medesimo atto ed affetto della volontà, o tornarlo a replicare e reiterare di nuovo, come chi dà un'altra spinta alla ruota, acciocché non si fermi; o come chi va gettando legna nel forno, acciocché il fuoco duri; servendoci per quest'effetto alle volte della medesima prima considerazione che da principio ci mosse a quest'affetto e desiderio, e tornando a svegliar con essa la volontà, quando vediamo che si va raffreddando, dicendo col Profeta (Ps. 114, 7): Svegliati, anima mia, e ritornatene al tuo riposo: guarda quanto è conveniente e quanto vuole la ragione che tu faccia pel tuo Signore, a cui tanto sei obbligata e a cui devi tanto.
E quando più non basterà né ci muoverà la prima considerazione, abbiamo da valerci d'un'altra nuova considerazione, o da passare ad un altro punto; perché a tal effetto abbiamo da portar sempre preveduti diversi punti, acciocché quando l'uno ci venga meno sotto alla considerazione, e perciò non ci muova più, ce ne possiamo passare all'altro, che come punto di rinforzo e di nuova virtù ci muova e ci affezioni alla cosa che desideriamo. E di più, come talvolta, per evitare il fastidio che suole cagionar ci il continuar a mangiar spesso un medesimo cibo, siamo soliti di condirlo in diversi modi, e con questo ci par cibo nuovo e ci dà nuovo gusto; così ancora, per poter perseverare assai tempo in una medesima cosa nell'orazione, che è il cibo e nutrimento dell'anima nostra, è buon mezzo condirla in diverse maniere. E questo possiamo fare alcuna volta passandocene ad un altro punto e ad un'altra considerazione, come ora dicevamo; perché ogni volta che con diversa ragione, o considerazione, si muove e si attua uno in una cosa, gli riesce questa come nuova. E ancora, benché non vi sia nuova ragione né nuova considerazione, si può l'affetto d'una stessa virtù condire in molti modi; come se uno tratta dell'umiltà, può alcune volte stinsi trattenendo nella cognizione delle sue proprie miserie, debolezze e fragilità, confondendosi e disprezzandosi per esse: alcune altre si può trattenere in desideri d'essere disprezzato da altri, non curandosi dell'opinione e stima degli uomini, ma tenendo ogni cosa per vanità: alcune altre si può trattenere nel confondersi e vergognarsi di vedere i mancamenti e gli errori nei quali ogni giorno viene a cadere, e nel dimandare a Dio il perdono e il rimedio di essi: alcune altre nell'ammirare la bontà di Dio che lo sopporta, non potendo noi altri alle volte sopportare noi stessi: alcune altre nel ringraziarlo che non l'abbia lasciato cadere in altre cose maggiori. Con questa mutazione e varietà si rimedia al fastidio che suole cagionare la continuazione di una medesima cosa, e si fa facile e gustoso il durare e perseverare negli atti ed affetti di una stessa virtù, con che ella si va radicando e inviscerando più nel cuore. Perché in fine, come la lima ogni volta che passa sopra il ferro se ne porta via qualche cosa: così ogni volta che facciamo un atto di umiltà, o di altra virtù, si va scagliando e levando via qualche cosa del vizio contrario.
2. Oltre di questo vi è un altro modo molto facile ed utile da perseverare nell'orazione in una medesima cosa molti giorni, che è l'andar discendendo a cose particolari. Notano qui i maestri della vita spirituale, che non ci dobbiamo contentare di cavare dall'orazione un desiderio e proponimento generale di servir Dio, di fare profitto e di esser perfetti, così in comune; ma che dobbiamo discendere particolarmente a quella cosa, nella quale sappiamo di poter servire e piacere più a Dio. Nemmeno ci dobbiamo contentare di cavar dall'orazione un desiderio generale di qualche virtù particolare, come di esser umili, di esser ubbidienti, di esser pazienti, o mortificati, avendo questo desiderio o velleità della virtù così in generale ancora i viziosi. Perché essendo la virtù cosa bella e onorevole e di grande utilità per questa vita e per l'altra, è facile l'amarla e il desiderarla così in generale. Ma in quella medesima virtù, che desideriamo, abbiamo da discendere ai casi particolari: come se trattiamo di acquistare una conformità grande alla volontà di Dio, abbiamo da discendere a conformarci alla sua volontà in cose particolari, sì nell'infermità come nella sanità; sì nella morte come nella vita; sì nella tentazione come nella consolazione. E se trattiamo di acquistare la virtù dell'umiltà, abbiamo da discendere al particolare, immaginando ci casi particolari, che sogliono o possono accadere, di nostro dispregio; e così nelle altre virtù. Perché questi casi particolari sono quelli che più si sentono e nei quali sta la difficoltà della virtù, essendo che in essi ella più si prova e conosce; e questi sono i mezzi coi quali si acquista la stessa virtù.
E abbiamo a metterci avanti questi casi pratici prima in cose minori e più facili, e dipoi in altre più difficili, che ci pare che sarebbero da noi più sentite se ci avvenissero. E così in queste cose andare crescendo di grado in grado, e ascendendo a poco a poco, attuandoci in esse come se le avessimo presenti, sino a tanto che nessuna cosa ci si pari davanti, in quelle virtù che desideriamo, la quale ci sgomenti; ma in ciascuna ci paia che potremo far fronte e restarcene padroni del campo. E quando vi sono di presente alcune occasioni vere, in quelle abbiamo prima da esercitarci, disponendo ci a sopportarle bene e con profitto, ciascuno secondo il suo stato. Un servo di Dio aggiungeva che sempre nell'orazione dovremmo proporre qualche cosa da fare quello stesso giorno. Ecco con quanta minutezza vogliono questi maestri che discendiamo nell'orazione ai casi particolari.
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO XV. Come s'intende che nell'orazione abbiamo da pigliare a petto quella cosa, della quale abbiamo maggiore necessità, e insistere in essa fin che l'abbiamo conseguita.
* * *
1. Va assecondato qualunque buon sentimento.
2. Ciò si accorda col frutto particolare prefisso.
3. A questo frutto applicare anche l'esame particolare.
4. La meditazione è fontana che tutto innaffia.
5. Meditando trattieniti con pausa negli atti buoni.
6. Danno del contrario.
7. Vantaggio di tal pratica.
* * *
1. Non vogliamo dire per questo che sempre abbiamo da attendere ad una cosa nell'orazione; perché quantunque la nostra particolare e maggiore necessità sia l'umiltà, o altra cosa simile, possiamo bene nell'orazione occuparci negli atti e nell'esercizio di altre virtù. per esempio, ti si porge l'occasione di un atto di conformarti alla volontà di. Dio in ciò che egli vorrà e ordinerà di te; trattieniti in esso quanto potrai, che questa sarà buonissima orazione e molto bene impiegata, né ti leverà questo l'armi di mano per farti forte in genere d'umiltà; che anzi per questa ti darà maggiore aiuto. Ti si porge occasione di un atto di gratitudine e riconoscimento grande dei benefizi che hai ricevuti da Dio, così generali, come particolari; trattieniti in questo quanto ti sarà possibile; che ben è ragione che ogni giorno rendiamo grazie al Signore per i benefizi ricevuti, e specialmente per averci tirati alla religione. Ti si porge occasione di concepire un odio e dolore grande dei tuoi peccati, e un fermo proponimento di morire più tosto mille volte che offendere mai più Dio; trattieniti in questo, che è uno dei buoni e dei più utili atti nei quali ti puoi esercitare nell'orazione. Ti si porge occasione di far un atto di amor di Dio, di concepire zelo e desiderio grande della salvezza delle anime e brama di esporti a qualsivoglia travaglio e fatica per esse; trattieniti in questo. E possiamo anche trattenerci nell'orazione in chiedere a Dio grazie così per noi stessi, come per i nostri prossimi e per tutta la Chiesa, che è una molto principale parte dell'orazione.
In tutte queste cose ed altre simili ci possiamo trattenere nell'orazione, e sarà orazione molto buona: e così vediamo i Salmi, i quali sono una perfettissima orazione, pieni di una infinità d'affetti differenti. Perciò Cassiano e l'abate S. Nilo (CASSIAN. coll. 9, c. 7; S. NILUS in Biblioth. patr. t. 7) dissero che l'orazione è una campagna piena di fiori, e una ghirlanda tessuta di molti fiori di odori tutti diversi. «Ecco l'odore del figliuol mio è come l'odore d'un campo ben fiorito e benedetto dal Signore» (Gen. 27, 27). E in questa varietà vi è un'altra utilità, 'ed è che suole aiutare a renderci più facile l'orazione, e per conseguenza a poter durare e perseverare in essa più lungamente; perché il replicare sempre una medesima cosa suole cagionare fastidio; mentre la varietà diletta e trattiene.
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO XIV. Di due avvertimenti, i quali ci aiuteranno grandemente a far bene l'orazione e a cavar frutto da essa.
* * *
1. L'orazione è mezzo per il nostro profitto.
2. Autorità della Scrittura e dei Padri.
3. E rimedio generale per ogni necessità spirituale.
4. Prima di arare prevedere il frutto da cavare.
5. Pratica di ciò.
6. Da qualunque meditazione puoi cavare lo stesso frutto.
* * *
1. Per far bene l'orazione e per cavar da essa il frutto che si conviene, per la prima cosa ci aiuterà grandemente il persuaderci a tenere fermo questo fondamento, che l'orazione non è fine, ma mezzo che pigliamo pel nostro profitto e perfezione. Sicché non ci dobbiamo fermare nell'orazione, come in termine e fine; perché la nostra perfezione non sta nell'avere grande consolazione, particolare tenerezza, o alta contemplazione; ma nell'acquistare una perfetta mortificazione e vittoria di noi stessi e delle nostre passioni e appetiti, riducendoci, quanto però ci sia possibile, alla perfezione di quel felice stato della giustizia originale nel quale fummo creati, quando la carne e l'appetito stavano totalmente soggetti e conformi alla ragione, e la ragione a Dio. E abbiamo da pigliare l'orazione come mezzo per arrivare a questo. Come nella fucina il ferro diventa molle col fuoco, per potersi lavorare e piegare e farsene quel che si vuole; così ha da essere nell'orazione. Ci si rende molto dura e molto difficile la mortificazione, il rompere la nostra propria volontà, il sopportare quel travaglio e quel sinistro incontro che ci si presenta? Bisogna fare ricorso alla fucina dell'orazione, e ivi col calore e col fuoco della divozione e coll'esempio di Cristo si va mollificando il cuore, per poterlo lavorare e accomodare a tutto quello che sarà di bisogno per servire maggiormente a Dio. Questo è l'ufficio dell'orazione, e questo è il frutto che abbiamo da cavare da essa; e per questo sono fatti i gusti e le consolazioni che il Signore in essa ci vuol comunicare. Non sono fatte le consolazioni per fermarci in esse; ma per potere con maggior prontezza e speditezza correre per la strada della virtù e perfezione.
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO XIII. Si soddisfa al lamento di quelli che dicono, che non possono o non sanno meditare né discorrere con l'intelletto
* * *
1. Spesso il discorso pregiudica l'affetto.
2. Da considerazioni comuni spesso affetti molto elevati.
3. E grazia maggiore l'affetto che non il discorso.
4. Esempio.
* * *
1. Con questo si risponde ad un lamento molto comune di alcuni, i quali si rammaricano, dicendo che non possono o non sanno discorrere nell'orazione, perché non si presentano loro considerazioni onde potersi stendere sui punti, ma subito se ne restano in secco. Non accade pigliarsi di ciò fastidio alcuno, perché, come abbiamo detto, questo negozio dell'orazione consiste più in affetti e desideri della volontà, che in discorsi e speculazioni dell'intelletto. Anzi notano qui i maestri della vita spirituale, che bisogna avvertire che la meditazione dell'intelletto non sia soverchia, perché questo suole impedire assai il movimento e l'affetto della volontà, che è la cosa principale. E specialmente viene questo movimento ed affetto impedito di più, quando uno si trattiene in considerazioni sottili e delicate. E la ragione è naturale; perché è cosa chiara che se una fontana non ha più che una vena d'acqua, e vi sono molti canali; quanto più acqua correrà per uno di essi, tanto meno ne correrà per gli altri. Ora la virtù dell'anima è finita e limitata e quanto più ne scorre per il canale dell'intelletto, tanto meno ne scorrerà per quello della volontà.
E così vediamo per esperienza che se l'anima sta con divozione e sentimento, e l'intelletto si distrae con qualche speculazione o curiosità; subito il cuore si secca e si estingue quella divozione. Il che avviene perché la fontana va smaltendo l'acqua per l'altro canale dell'intelletto e perciò viene a restare secco quello della volontà. Onde dice Gersone (GERSON, De mont. contempl. prolog.) che di qui procede che quelli che non sono dotti, alcune, anzi molte volte sono più divoti e riescono meglio nell'orazione che i dotti; perché si attuano meno per mezzo dell'intelletto, non occupandosi, né distraendosi in speculazioni, né in curiosità; ma procurano subito con considerazioni facili e semplici di muovere e affezionare la volontà. E quelle considerazioni ordinarie e famigliari li muovono più e fanno maggior effetto in essi, che non. fanno in altri le alte e sottili. Come vedemmo in quel santo cuoco, di cui abbiamo di sopra fatta menzione (Tratt. 3, c. 9, n. 3), il quale dal fuoco materiale che adoperava prendeva occasione di ricordarsi del fuoco eterno, ed era uomo di tanta divozione, che aveva dono di lagrime nelle sue operazioni.
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO XII. Di quanta importanza sia il trattenerci negli atti e affetti della volontà.
* * *
1. Negli affetti è la perfezione dell'orazione.
2. Qui sia tutto il nostro studio
* * *
1. E di tanta importanza il trattenerci e il far pausa negli atti ed affetti della volontà, e lo stimano tanto i Santi e i maestri della vita spirituale, che dicono che in questo consiste la buona e perfetta orazione, e ancora quella che è chiamata contemplazione; quando cioè l'uomo non cèrca più colla meditazione incentivi d'amore, ma gode dell'amore trovato e desiderato, e si riposa in esso come nel termine della sua investigazione e del suo desiderio, dicendo colla Sposa dei sacri Cantici: «Ho trovato quello che l'anima mia ama: già lo tengo, e non lo lascerò più» (Cant. 3, 4). E questo è quello che ivi dice ancora la medesima Sposa: «Io dormo, e il mio cuore veglia» (Ibid. 5, 2); perché nella perfetta orazione l'intelletto sta come addormentato, avendo lasciato il discorso e la speculazione, e la volontà sta vegliando e liquefacendosi nell'amore del suo Sposo. E piace tanto allo Sposo questo sonno nella sua Sposa, che comanda che la lascino quietare in esso e non la risveglino fino a tanto ch'ella ne gusterà: «Io vi scongiuro, o figliuole di Gerusalemme, pei caprioli e pei cervi dei campi, che non rompiate il sonno della diletta e non la facciate vegliare fino a tanto che ella il voglia» (Ibid. 3, 5).
Di maniera che la meditazione e tutte le altre parti che costituiscono l'orazione sono ordinate e indirizzate a questa contemplazione, e sono come tanti scalini per i quali abbiamo da salire ad essa. Così dice S. Agostino in un libro chiamato da lui Scala del Paradiso (S. AUG. Scal, parad.). «La lettura cerca; la meditazione trova; l'orazione chiede, ma la contemplazione gusta" e gode di quello che è stato cercato, chiesto e trovato. È apporta quel luogo del Vangelo: «Cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto», (Matth. 7, 7) soggiungendo: «Cercate leggendo e troverete meditando; bussate orando e vi sarà aperto contemplando» (S. AUG. loc. cit.).
E così avvertono i Santi, e l'apporta Alberto Magno (ALB. MAGN. De adhaerendo Deo, c. 9), che questa è la differenza che corre fra la contemplazione dei fedeli cattolici e quella dei filosofi gentili; che la contemplazione dei filosofi tutta è ordinata a perfezionar l'intelletto colla cognizione delle verità conosciute, e così si ferma nell'intelletto, perché questo è il suo fine, cioè il sapere e il conoscere sempre più; ma la contemplazione dei cattolici e dei Santi, della quale trattiamo adesso, non si ferma nell'intelletto, ma passa avanti a dilettare e a muovere la volontà e ad infiammarla ed accenderla nell'amor di Dio, come lo significano quelle parole della sacra Sposa: «L’anima mia s'è liquefatta subito che il mio Diletto ha parlato» (Cant. 5, 6). E notò molto bene questa cosa S. Tommaso (S. THOM. 2-2, q. 180, a. 1 et 7), il quale trattando della contemplazione dice che, sebbene la contemplazione essenzialmente consista nell'intelletto, nondimeno la sua ultima perfezione sta nell'amore e nell'affetto della volontà. Di maniera che l'intento e il fine principale della nostra contemplazione ha da essere l'affetto della volontà e l'amor di Dio.
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO X. Di altri beni e utilità che sono nella meditazione.
* * *
1. Gli affetti del cuore frutto dell'orazione.
2. Quindi non vada tutto in discorsi.
3. Il discorso è mezzo, non fine.
4. Alla cognizione segua l'affetto.
5. Quali saranno questi affetti?
6. Quanto valerci del discorso?
* * *
1. «Si accese dentro di.me il cuor mio e un fuoco divampò nelle mie considerazioni» (Ps. 38, 4). In queste parole ci dichiara il profeta Davide il modo che abbiamo da tenere nell'orazione, giusta la spiegazione che ne apportano molti dottori e Santi (S. HIERON. Brev. in Ps. 38; S. GREG. Moral. l. 23, c. 11), i quali dichiarano questo luogo del fuoco della carità ed amor di Dio e del prossimo, che colla meditazione delle cose celesti s'accendeva e ardeva nel petto del reale Profeta. Il mio cuore dice egli, si riscalda, e tutto dentro di sé si accende. Questo è l'effetto dell'orazione. Ma come prese questo calore, come si accese questo fuoco colà dentro nel cuore? Sai come? colla meditazione. Questo è il mezzo e lo strumento per accendere questo fuoco. Di maniera che la meditazione, dice S. Cirillo Alessandrino, è come il batter coll'acciarino la pietra focaia, acciocché n'esca fuoco. Col discorso e colla meditazione dell'intelletto hai da battere codesta dura pietra del tuo cuore, sin a tanto che s'accenda nell'amor di Dio e in desiderio dell'umiltà, della mortificazione e delle altre virtù; e non t'hai da fermare sinchè non abbi cavato ed acceso in esso questo fuoco.
2. Benché la meditazione sia molto buona e necessaria, non se ne ha però da andar tutta l'orazione in discorsi e considerazioni dell'intelletto, né ci abbiamo da fermar ivi; perché questo sarebbe più studio che orazione; ma tutte le meditazioni e considerazioni che faremo hanno da esser prese da noi come mezzo per eccitare ed accendere nel nostro cuore gli affetti e i desideri delle virtù, perché la bontà e santità della vita cristiana e religiosa non consiste nei buoni pensieri e nell'intelligenza di cose sante, ma nelle virtù sode e vere, e specialmente negli atti e nelle operazioni di esse, nelle quali, come dice S. Tommaso (S. Th 1-2, q. 3, a. 2), sta l'ultima perfezione della virtù. Onde in questo principalmente abbiamo noi da insistere e occuparci mentre facciamo orazione.
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO X. Di altri beni e utilità che sono nella meditazione.
* * *
1. Dalla meditazione nasce la divozione.
2. Qual è la vera pratica dell'orazione.
3. Vantaggi della meditazione.
* * *
1. Un altro bene e utilità grande dice S. Tommaso che è nella meditazione; cioè, che da essa nasce la vera devozione, cosa tanto importante nella vita spirituale e tanto desiderata da tutti quelli che camminano per la via di essa. Devozione non è altro che una prontezza e prestezza della volontà ad ogni cosa buona: onde uomo devoto è quegli che sta pronto e disposto ad ogni bene. Ora S. Tommaso (S. THOM. 2-2, q. 82, a. 3) dice che due cagioni vi sono di questa devozione; una estrinseca e principale, che è Dio; un'altra intrinseca dalla parte nostra, che è la meditazione; perché codesta volontà pronta alle cose del servizio di Dio nasce dalla considerazione e meditazione che fa l'intelletto; atteso che questa è quella che dopo la grazia di Dio muove ed accende cotesto fuoco nel nostro cuore. Di maniera che non sta la 1era devozione e il fervore di spirito nella dolcezza e gusto sensibile, che provano e sentono alcuni nell'orazione; ma nell'avere una volontà pronta e disposta a tutte le cose del servizio di Dio. E questa è la devozione che dura e persevera, ché l'altra presto finisce; perché consiste in certi affetti di devozione sensibili, che nascono dal subito desiderio che uno ha di qualche cosa appetibile e amabile, e molte volte procede da complessione naturale, dall'avere un certo temperamento dolce ed un cuore tenero e che subito si muove a sentimento e a lagrime; e tosto che questa devozione è esausta si sogliono seccare i buoni proponimenti. Questo è un amor tenero, fondato in gusti e consolazioni sensibili. Mentre dura quel gusto e quella devozione sarà uno molto diligente e puntuale, e amico del silenzio e del ritiramento; ma subito che cessa, ogni cosa è finita. Per contrario, quei che vanno fondati nella verità per mezzo della meditazione e considerazione, convinti e disingannati colla ragione, perseverano e durano nella virtù. E benché manchino loro i gusti e le consolazioni sensibili, sono sempre i medesimi di prima, perché dura in loro il principio del loro fervore, che è la ragione che li convinse e li mosse.
Questo è amor forte e virile; e da ciò si vengono a conoscere i veri servi di Dio e quelli che hanno fatto profitto; non dai gusti né dalle sensibili consolazioni. Si suoI dire che le nostre passioni sono come certi cagnolini che abbaiano, e nel tempo della consolazione tengono le bocche turate; a ciascuna getta Dio il suo pezzo di pane, e con ciò se ne stanno quiete né domandano cosa alcuna; ma finito o tolto questo pane della consolazione, abbaia l'una e abbaia l'altra: e allora così si vede quel che ciascuno è. Si sogliono anche paragonare i gusti e le consolazioni sensibili ai beni mobili, i quali si consumano presto, e le virtù sode ai beni stabili, i quali si conservano e durano, e perciò sono di maggior estimazione.
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO IX. D'un bene e utilità grande che abbiamo da cavare dalla meditazione; e come si ha da fare per cavarne gran frutto
* * *
1. Come cavar frutto dalla meditazione.
2. Gran differenza da meditare a meditare.
3. Esempio dell'Emorroissa
* * *
1. Molto buona cosa è nell'orazione esercitarci in affetti e desideri della volontà; del che in breve tratteremo; bisogna però che questi affetti e desideri vadano ben fondati in ragione; perché l'uomo è ragionevole e vuol essere guidato dalla ragione e per via d'intelletto. Onde una delle principali cose alla quale si ha da ordinare e indirizzare la meditazione ha da essere il restare molto disingannati, molto asso dati nella verità, molto convinti e molto fermi in quello che è espediente per noi. E questo ha da essere uno dei principali frutti che dobbiamo procurar di cavare dall'orazione; e si deve ben riflettere a questo punto, perché è molto principale in questa materia. Specialmente bisogna che nei principi la persona si eserciti più in questo, per poter camminare con miglior fondamento e rimaner ben persuasa della verità. Per potere dunque meglio cavar questo frutto dalla meditazione, acciocché essa ci sia di profitto, bisogna che non si faccia superficialmente, né correndo, e nemmeno lentamente e con languidezza, ma con impegno e con molta attenzione e posatezza.
Hai da meditare e considerare molto adagio e con molta quiete la brevità della vita e la fragilità e vanità delle cose del mondo, e come colla morte ogni cosa ha da finire; acciocché così tu venga a dispregiare tutte queste cose di qua e a porre tutto il tuo cuore in quello che ha da durare eternamente. Hai da considerare e ponderar molte volte quanto vana cosa sia la stima e l'opinione degli uomini, che tanta guerra ci fa; poiché non ti dà né ti toglie niente; né questa ti può fare migliore né peggiore; acciocché tu venga a dispregiarla è a non fare conto; e così di tutto il resto. In questa maniera la persona si va disingannando e convincendo e risolvendosi in quello che le conviene, e si va facendo uomo spirituale. Si va elevando sopra di sé, come dice il profeta Geremia (Ierem, Thren, 3, 8), e facendo un cuor generoso e disprezzatore di tutte le cose del mondo; e viene a dire con S. Paolo: «Quel che prima tenevo per guadagno, ora lo tengo per perdita e per spazzatura, per guadagnar Cristo» (Philip. 3, 8).
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO VIII. Della necessità della meditazione
* * *
1. E principio d'ogni buon sentimento.
2. La sua mancanza principio d'ogni male.
3. Credi all'inferno e vivi male?
* * *
1. Ugo di S. Vittore dice che l'orazione non può esser perfetta se non la precede o non l'accompagna la meditazione (HUGO DE S. VICT. De modo oranti, c. 1). Ed è dottrina di sant'Agostino, il quale dice che l'orazione senza la meditazione è tiepida (S. AUG. Scala Parad. c. 11). E lo provano molto bene; perché se l'uomo non si esercita in conoscere e considerare la miseria e debolezza sua propria, se ne resterà ingannato e non saprà chiedere nell'orazione quello che gli conviene, né lo chiederà col dovuto calore. Molti, per non conoscere se stessi e per non considerare i loro difetti, stanno molto ingannati e presumono di sé quel che non presumerebbero se si conoscessero; onde attendono nell'orazione ad altre cose differenti da quelle delle quali hanno bisogno. Se dunque vuoi saper orare e chiedere a Dio quello che ti conviene, esercitati in considerare i tuoi difetti e le tue miserie; e in questa maniera saprai quello che hai da chiedere; e considerando e conoscendo la tua gran necessità, lo chiederai con calore e come lo devi chiedere; nella guisa che fa il povero bisognoso, il quale conosce bene la necessità e povertà sua.
S. Bernardo, trattando di questo punto e avvertendoci che non dobbiamo salire alla perfezione volando, ma camminando, dappoichè, come egli dice: «nessuno d'un tratto diventa sommo: col salire e non già col volare si raggiunge la cima della scala», soggiunge che il camminare e salire alla perfezione si ha da fare con questi due piedi, meditazione e orazione; «perché la meditazione ci mostra quel che ci manca, e l'orazione l'impetra. La meditazione ci mostra la strada; e l'orazione ci conduce ad essa. Colla meditazione infine conosciamo i pericoli che ci sovrastano; e coll'orazione li evitiamo e ci liberiamo da essi» (S. BERN. Serm. 1 de S. Andrea, n. 10). Quindi S. Agostino viene a dire che la meditazione è principio di ogni bene (S. AUG. in lib. Sent.): perché chi considera quanto Dio è buono in se stesso, e quanto buono e misericordioso è stato verso di noi, quanto ci ha amati, quanto ha fatto e patito per noi; subito s'accende nell'amore di tanto buon Signore: e chi considera bene le sue colpe e miserie, viene ad umiliarsi e a dispregiarsi: e chi considera quanto male ha servito Dio e quanto grandemente l'ha offeso, si reputa degno di qualsivoglia travaglio e castigo. E in questa maniera colla meditazione viene l'anima ad arricchirsi di tutte le virtù.
Per questo ci è raccomandata tanto nella Sacra Scrittura la meditazione. Beato l'uomo che medita giorno e notte nella legge del Signore, dice il profeta Davide. «Questo tale sarà come l'albero piantato lungo la corrente dell'acque, il quale a suo tempo darà il suo frutto» (Ps. 1, 3). E «beati coloro che osservano le istruzioni del Signore: con tutto il cuore cercano Lui» (Ps. 118, 2). Questi che meditano quanto Iddio ci ha detto nella Scrittura, questi sono quelli che lo cercano di tutto cuore, e il meditar che ciò fanno, questo è quello che li stimola a cercarlo in tal modo. E così questo a Dio chiedeva il Profeta per osservare la sua legge: «Dammi intelletto, ed io attentamente studierò la tua legge e la osserverò con tutto il mio cuore» (Ps. 118, 34). E per contrario dice: «Se la mia meditazione non fosse stata la tua legge, allora forse nella mia afflizione sarei perito» (Ps. 118, 92), cioè nelle mie angustie e nei miei travagli, come dichiara S. Girolamo (S. HIER. Brev. in Ps. 118). E così una delle maggiori lodi della meditazione e considerazione che mettono i Santi, o assolutamente la maggiore, è che ella è una grande aiutatrice di tutte le virtù e di tutte le opere buone. «Sorella della lettura, nutrice dell'orazione, direttrice dell'azione e del pari perfezionatrice di ogni cosa» (GERSON, De medit. p. 3), la dice il Gersone.
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO VII. Dell'orazione mentale ordinaria
* * *
1. Il metodo d'orazione negli Esercizi di S. Ignazio.
2. Esercizio delle tre potenze.
3. E usato dai Santi ed è scevro d'illusioni.
4. La ragione ne conferma l'utilità e la sicurezza.
* * *
1. Lasciata da parte l'orazione specialissima e straordinaria, giacché non possiamo né insegnare né dichiarare quello ch'ella è, né come sia fatta, né è in mano nostra avere il dono di essa, né da Dio ci viene comandato che l'abbiamo, né ci domanderà conto di questa cosa; tratteremo ora dell'orazione mentale ordinaria e comune, la quale si può in qualche modo insegnare, e arrivarvi a forza di fatiche e indirizzi, aiutati dalla grazia del Signore. Fra le altre grazie e benefici, che il Signore ci ha fatti nella Compagnia, questo è stato uno molto particolare, che ci ha dato il metodo di orazione che abbiamo da tenere, approvato dalla Sede Apostolica, nel libro degli Esercizi spirituali del nostro S. P. Ignazio, come consta dal Breve che è nel principio di esso. In questo Papa Paolo III, dopo aver fatto esaminare molto esattamente i detti Esercizi, li approva e conferma, dicendo che sono molto utili e salutiferi, ed esorta grandemente tutti i fedeli ad esercitarsi in essi.
Il Signore comunicò al nostro Santo Padre questo modo d'orazione, ed egli lo comunicò a noi altri collo stesso ordine, col quale il Signore lo comunicò a lui; onde abbiamo ad aver gran fiducia in Dio che per questa strada e modo proposto da Sua Divina Maestà ci aiuterà e farà delle grazie; poiché con esso guadagnò il nostro Santo Padre e i suoi compagni, e successivamente altri molti; e insieme con questo comunicò al Santo l'idea e il disegno della Compagnia che egli aveva a fondare, come egli stesso disse. E così non abbiamo da cercar altre vie né altri modi straordinari d'orazione, ma procurare di conformarci a questo modello che i vi abbiamo, come buoni e veri figliuoli.
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO VI. Si dichiara e si conferma maggiormente questa dottrina
* * *
1. Prima Giacobbe che lotta, poi Israele che vede.
2. Lettera del P. Mercuriano.
3. I tre gradini, via purgativa, illuminativa, unitiva.
* * *
1. Per maggior conferma e dichiarazione di questa dottrina avvertono qui i Santi e i maestri della vita spirituale che, per arrivare a quell'orazione e contemplazione alta che dicevamo, vi bisogna gran mortificazione delle nostre passioni, e che l'uomo si fondi prima molto bene nelle virtù morali e si eserciti lungo tempo in esse; altrimenti dicono che in vano pretenderà di salire a codesta contemplazione e di far professione di essa. «Bisogna, dicono, che vi sia un Giacobbe che lotti; prima di esservi un Israele che veda Dio e dica: Ho veduto Dio faccia a faccia» (S. GREG. Moral. l. 6, c. 37; S. BERN. Serm. 46 in Cant. n. 7-8; S. THOM. 2-2, q. 182, a. 3). Bisogna che prima tu sii lottatore molto gagliardo e che vinca le tue passioni e male inclinazioni, se vuoi arrivare a quell'unione intima con Dio.
Dice il Blosio (BLOS. in tab. spir. § 4, Append. 1) che colui che vuole arrivare ad un grado molto eccellente dell'amor divino, e non procura con gran diligenza di correggere e di mortificare i suoi vizi e di scacciare da sé l'amore disordinato delle creature, è simile a uno che, essendo ben carico di piombo e di ferro e avendo legate le mani e i piedi, voglia salire in cima di un alto albero. E così questi maestri danno per avvertimento ai direttori delle cose spirituali, che prima di trattare di questa contemplazione con quelli che vogliono dirigere, hanno da fare opera, che i loro discepoli attendano prima a mortificare molto bene tutte le loro passioni e ad acquistare gli abiti delle virtù della pazienza, dell'umiltà e dell'ubbidienza, e che in ciò s'esercitino assai. Il che chiamano essi vita attiva, la quale ha da precedere la contemplativa. Essendo che, per mancamento di questo, molti, che non hanno camminato con questi passi, ma hanno voluto salire alla contemplazione senza ordine, dopo molti anni d'orazione si trovano molto vuoti di virtù, impazienti, iracondi, superbi; che subito che sono tocchi in alcuna di queste cose, vengono a prorompere con impazienza in parole disordinate e sconce, colle quali fanno assai bene manifesta la loro imperfezione e poca mortificazione.
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO V. Come la Sacra Scrittura ci dichiara queste due sorta d'orazione.
* * *
1. Natura dell'orazione mentale ordinaria.
2. Natura della straordinaria.
3. Per conto nostro contentarci dell'ordinaria.
* * *
1. Queste due sorta d'orazione, delle quali abbiamo parlato, ci vengono meravigliosamente dichiarate dallo Spirito Santo nell'Ecclesiastico. Dice ivi dell'uomo savio, il quale dalla Chiesa è interpretato per l'uomo giusto: «Egli di buon mattino svegliandosi rivolgerà il cuor suo al Signore, che lo creò, e al cospetto dell'Altissimo farà la sua orazione» (Eccli, 39, 6). Mette prima l'orazione ordinaria, dicendo che il giusto si leverà la mattina di buon'ora, che è il tempo comodo per l'orazione, e per questa molto rammemorato nella Scrittura. Così in più luoghi dei Salmi leggiamo che diceva David: «Al mattino mi porrò innanzi a te... Prevenni il mattino ed alzai le mie grida... Prima del mattino a te si volsero gli occhi miei per meditare la tua legge... A te aspiro al primo apparire della luce» (Ps. 5, 4; 118, 147-48; 62, 1). Dice poi, svegliandosi, perché intendiamo che conviene stare all'erta e non addormentarsi, né farsi, a modo di dire, un cuscinetto dell'orazione. Di più dice che «darà il suo cuore» in potere dell'orazione, per significarci che non sta ivi solamente col corpo, tenendo poi il cuore in altri affari; ché questo non è fare orazione, anzi è questa chiamata dai Santi «una sonnolenza di cuore» ed effetto di cuore sonnacchioso e rilassato. Che è di grande impedimento per l'orazione, perché impedisce la riverenza che dobbiamo avere per trattare con Dio. E qual è quella cosa che cagiona questa riverenza nell'uomo giusto? Eccola. Il considerare che sta alla presenza di Dio e, che va a parlare a quella sì grande Maestà, questo lo fa stare con riverenza e con attenzione. Questa è la preparazione e disposizione colla quale abbiamo da andare all'orazione.
Ma vediamo che orazione è quella che fa il giusto. Aprirà la sua bocca nell'orazione e comincerà col chiedere a Dio perdono dei suoi peccati e col confondersi e pentirsi di essi (Eccli. 19, 7). Questa è l'orazione che noi altri abbiamo da fare dalla parte nostra, piangere le nostre colpe e peccati, e chiedere a Dio misericordia e perdono di essi. Non ci dobbiamo contentare di dire: già feci una confessione generale nel principio della mia conversione, e allora mi trattenni alcuni giorni in piangere e in pentirmi dei miei peccati. Non conviene che, confessati i peccati, ci dimentichiamo di essi, ma che procuriamo di tenerli sempre dinanzi agli occhi, come confessa di sé che faceva il Santo David: «Il mio peccato mi sta sempre davanti» (Ps. 50, 5).
Dice molto bene S. Bernardo sopra quelle parole: «il talamo nostro è fiorito» (S. BERN. in Cant. serm. 46, n. 6). Il tuo letto, cioè il tuo cuore, se ne sta tuttavia puzzolente; non è finito ancora di levarsi via da esso il cattivo odore dei vizi e delle male inclinazioni che portasti dal secolo; e hai ardire d'invitare lo Sposo, che venga ad esso; e già vuoi trattare d'altri esercizi alti ed elevati d'amore e d'unione con Dio, come se tu fossi perfetto? Tratta prima di mondare e di lavar molto bene il tuo letto con lagrime, dicendo con David: «Laverò di pianto tutte le notti il mio letto; il luogo del mio riposo irrigherò colle mie lagrime» (Ps. 6, 6). Tratta prima di adornarlo coi fiori della virtù, e poi inviterai lo Sposo che venga ad esso, come faceva la Sposa. Tratta del bacio dei piedi, umiliandoti e dolendoti grandemente dei tuoi peccati; e del bacio delle mani, cioè d'offrir a Dio opere buone, e di procurar di ricevere dalle sue mani le vere e sode virtù; e cotesto altro terzo bacio della bocca lascialo per quando Dio si compiacerà d'innalzarti ad esso.
Si dice d'un Padre molto antico e molto spirituale, che se ne stette vent'anni in questi esercizi della via purgativa; e noi altri subito ci stanchiamo e vogliamo salire al bacio della bocca e ad esercizi d'amore di Dio. Vi bisogna buon fondamento per tirar su una fabbrica tanto alta. E v'è in questo esercizio, oltre molti altri beni e utilità, di cui appresso parleremo, questo particolar bene, che è un rimedio molto grande e una medicina molto preservativa per non cader in peccato. Perché uno che continuamente sta odiando il peccato e confondendosi e dolendosi d'aver offeso Dio; sta molto lontano dal commetterlo di nuovo. E per contrario avvertono i Santi, che la cagione d'esser caduti alcuni, che parevano molto spirituali e uomini di orazione, e forse erano tali, è stato il mancamento di questo esercizio; perché si diedero di tal maniera ad altri esercizi e ad altre considerazioni soavi e gustose, che si dimenticarono dell'esercizio della cognizione di se stessi e della considerazione dei loro peccati. Onde vennero a fidarsi troppo di se medesimi e a non camminare con tanto timore e circospezione quanto dovevano; e con ciò incorsero in quello in cui non dovevano incorrere. Perché presto si dimenticarono della loro bassezza, presto anche caddero dall'altezza nella quale pareva loro di essere. Per questo dunque conviene grandemente che la nostra orazione per lungo tempo sia il piangere i nostri peccati, come dice il Savio, sin a tanto che il Signore ci porga la mano e ci dica: «Amico, vieni più in su» (Luc. 14, 10).
-
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
***
TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
***
CAPO IV. Di due sorta d'orazione mentale
* * *
1. Orazione mentale ordinaria e straordinaria.
2. La straordinaria è dono speciale di Dio.
3. Non si ha da pretendere
* * *
1. Lasciata da parte l'orazione vocale, tanto santa e tanto usata nella Chiesa di Dio, tratteremo adesso solamente della mentale, della quale parla l'Apostolo S. Paolo scrivendo a quei di Corinto: Orerò, canterò e alzerò la mia voce a Dio con lo spirito e col cuore (I Cor 14, 15). Due sorte vi sono d'orazione mentale: una è comune e ordinaria; l'altra è specialissima, straordinaria e molto sublime, la quale più è ricevuta che fatta, come dicevano quei Santi antichi, molto esercitati nell'orazione. S. Dionigi Areopagita dice del suo maestro Ieroteo che era patiens divina (De Div. Nomin. [auct. nic.] c. 2, § 9)2, il che vuol dire che più stava ricevendo quello che Dio gli dava, che facendo. Tra queste due sorte d'orazione v'è molto gran differenza; perché la prima si può in qualche modo insegnare di qua con parole; ma la seconda non può esser da noi insegnata, perché non si può con parole spiegare: «perché non saputa da nessuno, fuorché da chi la riceve» (Apoc. 2, 17). È una manna nascosta, che niuno sa quel che sia, se non chi la gusta. E né anche quel medesimo che la gusta può spiegare come ella sia fatta, neppure egli stesso comprende intieramente come vada la cosa; come notò molto bene Cassiano, il quale porta a questo proposito una sentenza di Sant'Antonio abate, chiamata da lui divina e celeste. «Non è perfetta orazione, diceva il Santo, quando uno si ricorda di sé, o intende quel che ora» (CASS. Coll. 9 abb. Isaac, c. 31). Questa alta e sublime orazione non comporta che colui che ora si ricordi di sé, né che faccia riflessione in quel che sta facendo o, per dir meglio, patendo più che facendo.
Come avviene di qua molte volte, che sta una persona tanto assorta e ingolfata in un negozio, che non si ricorda di sé, né ove stia, né fa riflessione sopra quel che pensa, né avverte come lo pensa. Ora così in questa perfetta orazione sta l'uomo tanto assorto e rapito in Dio, che non si ricorda di sé, né intende come stia quella cosa, né dove vada, né donde venga; né bada allora a metodi, a preamboli, né a punti, né al venire ora una cosa ora un'altra, come avveniva allo stesso Antonio, e l'apporta Cassiano (ID. loc. cit. col. 807), che cominciava l'orazione verso la sera, e se ne stava in essa sin a tanto che il sole la mattina seguente levandosi gli batteva su gli occhi; e si lamentava ora del sole, perché si levava tanto per tempo a togliergli il lume che Nostro Signore gli dava interiormente. È S. Bernardo dice di questa orazione: «È rara questa ora, ed è sempre breve il tempo che si spende in essa» (S. BERN. Serm. 23 in Cant. n. 15); poiché per lungo che sia diventa un soffio. E S. Agostino, sentendo in sé questa orazione, diceva: M'avete dato, o Signore, un affetto e una dolcezza e soavità tanto nuova e inusitata, che se la cosa andrà avanti, io non so che fine sarà per avere (S. AUG. confess. l. 10, c. 40).
Ed anche in questa medesima specialissima orazione e contemplazione mette S. Bernardo tre gradi: il primo lo paragona al mangiare; il secondo al bere che si fa con più facilità e soavità che il mangiare, perché non vi è la fatica del masticare; il terzo all'inebriarsi (S. BERN. Serm. 87 de divers. n. 4). Ed apporta a questo proposito quello che dice lo Sposo nei Cantici: «Mangiate, o amici, e bevete, e inebriatevi, carissimi» (Cant. 5, 1). La prima cosa dice, mangiate; la seconda, bevete; la terza, inebriatevi di quest'amore: e questa è la cosa più perfetta. Tutto questo è più ricevere che fare. Alcune volte l'ortolano cava l'acqua a forza di braccia dal suo pozzo; alcune altre, standosene egli con una mano sopra l'altra, viene la pioggia dal cielo, la quale inzuppa la terra, e l'ortolano non ha da far altro che riceverla e avviarla ai piedi degli alberi, acciocché rendano frutto. Così sono queste due sorte d'orazione, che l'una si cerca coll'industria aiutata da Dio, e l'altra si trova fatta: per la prima tu vai faticando, mendicando e campando di questa mendicità; la seconda ti mette innanzi una mensa che Dio t'ha preparata per saziare la tua fame, mensa ricca ed abbondante. «M'introdusse il re nei suoi penetrali» (Cant. 1, 3), diceva la Sposa dei sacri Cantici. «Li consolerò nella casa mia d'orazione» (Isa. 56, 7), dice Dio per bocca d'Isaia. Vi rallegrerò e v'accarezzerò nella casa della mia orazione.