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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO VII. DELL'ESAME DELLA COSCIENZA
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CAPO VI. Che non si deve mutare facilmente la materia dell'esame particolare; e quanto tempo sarà bene il farlo sopra una stessa cosa.
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1. Mutare spesso l'esame particolare è dannoso.
2. Insistere fino a conseguir il fine.
3. Senza desistere.
4. Quando sarà conseguito?
5. Per mutar la materia consigliarsi col Padre Spirituale.
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1. Bisogna qui avvertire che non abbiamo da mutare facilmente la materia dell'esame, prendendo ora una cosa ed ora un'altra; perché questo è un andare, come si suole dire, l'aggirandosi, e non far viaggio; ma abbiamo da procurare di proseguire una cosa sino al fine, e poi mettersi dietro ad un'altra. Una delle cagioni per cui alcuni cavano poco frutto dall'esame particolare suole essere questa; perché non fanno altro, per così dire, che dare certi furiosi assalti, facendo l'esame sopra una cosa per otto o quindici giorni, o per un mese, e subito si stancano e se ne passano ad un'altra, senza aver conseguito quello che intendevano nella prima: e così danno un impetuoso assalto, e poi un altro. Come uno che pigliasse per impresa il tirar su per le coste d'un monte fino alla cima di esso una pietra grossa; e dopo averla tirata su un pezzo si stancasse e libera la lasciasse rotolare fino al basso, e di poi tornasse una e più altre volte a fare lo stesso; giammai, per molto che si affaticasse, finirebbe di collocare la pietra nel luogo preteso; così avviene a coloro i quali cominciano a far l'esame d'una cosa, e prima di condurla al fine e di conseguire il primo intento, la lasciano e ne pigliano un'altra e poi un'altra. Questo è stancarsi e non finir mai; «un imparar sempre, come dice l'Apostolo, senza giungere mai alla cognizione del vero» (II Tim. 3, 7). Questo negozio della perfezione non si acquista per via di certi impeti furiosi, che presto finiscono; ma bisogna con molta perseveranza insistere e pigliare a petto prima una cosa e poi l'altra, facendo sforzo sino a riuscire con essa, ancorché ci costi assai.
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Pubblicato: marzo 11, 2012, 2:01pm CET da admin
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J. *** TRATTATO VII. DELL'ESAME DELLA COSCIENZA *** CAPO V. Come si ha a tirare e dividere l'esame particolare nelle parti e nei gradi delle virtù. * * * 1. Atti e gradi dell'umiltà. 2. Della carità fraterna. 3. Della […]
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO VII. DELL'ESAME DELLA COSCIENZA
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CAPO V. Come si ha a tirare e dividere l'esame particolare nelle parti e nei gradi delle virtù.
* * *
1. Atti e gradi dell'umiltà.
2. Della carità fraterna.
3. Della mortificazione.
4. Della temperanza.
5. Della pazienza.
6. Dell'obbedienza.
7. Della povertà.
8. Della castità.
9. Vari gradi e pratiche per far bene le cose ordinarie.
10. Del far tutte le cose per Dio.
11. Per la conformità alla volontà di Dio.
12. Avvertenza.
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1. Dell'umiltà.
1. Non dir parole che possano ridondare in mia lode e riputazione.
2. Non compiacermi quando un altro mi loda e dice bene di me; anzi pigliare da ciò occasione d'umiliarmi e di confondermi più, vedendo che non sono tale quale gli altri si pensano, né quale dovrei essere. E con questo si potrebbe congiungere il rallegrarmi quando è lodato un altro e si dice bene di lui. E quando di ciò avrò qualche dispiacere, o qualche movimento d'invidia, notarlo per difetto e per errore. E così ancora quando avrò qualche gusto e compiacenza vana del dirsi bene di me.
3. Non far cosa alcuna per rispetti umani, né per esser veduto e stimato dagli uomini, ma puramente per Dio.
4. Non scusarmi, e molto meno buttar la colpa addosso ad altri, né esteriormente, né interiormente.
5. Troncare e soffocare subito i pensieri vani, altieri e superbi, che mi vengono, di cose concernenti il mio onore e la mia riputazione.
6. Tener tutti per superiori, non solo speculativamente, ma praticamente, e nell'attuale modo di procedere con essi portandomi verso tutti con quell'umiltà e rispetto che si deve a superiori.
7. Accettar volentieri tutte le occasioni che mi si porgeranno in materia d'umiltà; e circa di ciò andar crescendo e ascendendo per questi tre gradi. 1° Tollerandole con pazienza: 2° con prontezza e facilità: 3° con gusto ed allegrezza. E non mi ho da quietare, sinchè non giunga a provare allegrezza e gusto nell'essere disprezzato e vilipeso, per assomigliare ed imitar Cristo nostro Redentore, il quale volle esser disprezzato e vilipeso per me.
8. Si può condurre l'esame particolare sì in questa materia, come in altre simili, facendo alcuni atti ed esercizi d'umiltà e di qualsisia altra virtù sopra della quale si farà l'esame particolare, sì interiori, come esteriori, a questo applicandomi tante volte la mattina e tante la sera, cominciando con meno e andando sempre aggiungendo di più, sinchè vada acquistando abito e consuetudine in quella virtù.
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Pubblicato: marzo 3, 2012, 8:46pm CET da admin
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J. *** TRATTATO VII. DELL'ESAME DELLA COSCIENZA *** CAPO IV. Che l'esame particolare si ha da tirare sopra una cosa sola. * * * 1. Utilità di questa pratica. 2. Risposta ad un'obiezione. 3. Dividere in parti un vizio o una virtù. […]
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO VII. DELL'ESAME DELLA COSCIENZA
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CAPO IV. Che l'esame particolare si ha da tirare sopra una cosa sola.
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1. Utilità di questa pratica.
2. Risposta ad un'obiezione.
3. Dividere in parti un vizio o una virtù.
4. Modo di fare ciò.
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1. L'esame particolare sempre si ha da tirare sopra una cosa sola, siccome dice il nome stesso. E la ragione per la quale conviene che così si faccia è, perché in questa maniera questo mezzo è più efficace e di maggior effetto che se lo tirassimo sopra più cose insieme. Perché è cosa chiara, e la stessa ragione naturale ce lo insegna, che è molto più potente un uomo contro un vizio solo che contro tutti insieme. «Chi a più cose è intento, può meno attendere a ciascuna in particolare», dicono i filosofi. Chi molto abbraccia, poco stringe; e presi ad uno ad uno si vincono meglio i nemici. Questo modo di vincere i nostri nemici, cioè i nostri vizi e le passioni, dice Cassiano (CASS. Coll. 5, c. 14), ce lo insegnò lo Spirito Santo, dando l'istruzione ai figliuoli d'Israele circa il modo di governarsi con quelle sette genti e nazioni per vincerle e distruggerle. Non le potrete vincere tutte insieme; ma a poco a poco Dio vi darà la vittoria di tutte esse (Deut. 7, 28).
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Pubblicato: febbraio 25, 2012, 11:10am CET da admin
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J. *** TRATTATO VII. DELL'ESAME DELLA COSCIENZA *** CAPO III. Di due ricordi e avvertimenti importanti per far buona elezione della cosa sopra della quale si ha da tirare l'esame particolare. * * * 1. Prima i difetti esteriori. 2. Poi gl'interiori. 3. […]
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO VII. DELL'ESAME DELLA COSCIENZA
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CAPO III. Di due ricordi e avvertimenti importanti per far buona elezione della cosa sopra della quale si ha da tirare l'esame particolare.
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1. Prima i difetti esteriori.
2. Poi gl'interiori.
3. Spesso tolti gli interni, si dileguano anche gli esterni.
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1. Discendendo in questa materia più al particolare, si hanno qui da avvertire due cose molto principali. La prima, che quando vi sono difetti esteriori che offendono e scandalizzano i nostri fratelli, questi hanno da essere i primi che si ha da procurar di levare coll'esame particolare, ancorché vi siano altre cose interne di maggior momento. Come sarebbe se uno non è corretto nel parlare, o perché parla assai, o perché parla con impazienza e collera, o perché dice parole che possono mortificare il suo fratello, o forse parole di mormorazione e che possono oscurar alquanto un altro, o altre simili. Perché la ragione e la carità ricercano che prima leviamo via q nei difetti, che sogliono offendere e scandalizzare i nostri fratelli, e che procuriamo di vivere e conversare di tal maniera fra essi, che ninno possa lamentarsi né offendersi di noi, come dice il sacro Vangelo del padre e della madre del glorioso Battista; che cioè erano entrambi giusti dinanzi a Dio e vivevano senza querela dinanzi agli uomini (Luc. 1, 6). Questa è una gran lode d'un servo di Dio e una delle cose che ha da procurar assai un religioso che vive in comunità. Non basta che egli sia giusto dinanzi a Dio; ma ha da procurare che il suo modo di procedere nella religione sia tale, che niuno si possa lamentare di lui; che non si possa di lui dire alcun male. E se vi è qualche cosa che possa offendere, su questa si deve cominciare a tirare l'esame particolare.
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Pubblicato: febbraio 18, 2012, 5:13pm CET da admin
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J. *** TRATTATO VII. DELL'ESAME DELLA COSCIENZA *** CAPO II. Circa quali cose si ha da fare l'esame particolare. * * * 1. Esame generale e particolare. 2. Materia dell'esame particolare. 3. Vantaggi se fatto sopra la passione predominante. 4. […]
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO VII. DELL'ESAME DELLA COSCIENZA
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CAPO II. Circa quali cose si ha da fare l'esame particolare.
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1. Esame generale e particolare.
2. Materia dell'esame particolare.
3. Vantaggi se fatto sopra la passione predominante.
4. Esempio del re Acabbo.
5. Consigliarsi col Padre Spirituale
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1. Due esami usiamo nella Compagnia, uno particolare e l'altro generale. Il particolare si fa sopra una cosa sola, e perciò si chiama particolare: il generale si fa sopra tutti i mancamenti ed errori che abbiamo commessi tra giorno, con pensieri parole e opere; e per questo si chiama generale, perché abbraccia ogni cosa. Tratteremo in primo luogo dell'esame particolare; e indi diremo poi brevemente del generale quello che vi sarà da aggiungere, atteso che in molte cose il medesimo si ha da fare nel generale e nel particolare: e così quello che si dirà del particolare servirà ancora pel generale.
2. Due cose spiegheremo circa questo esame particolare. La prima, sopra quali cose si ha da fare; la seconda, come si ha da fare. Quanto alla prima, acciocché sappiamo sopra quali cose abbiamo principalmente da tirar questo esame, si ha da notare bene una regola o avvertenza, che il nostro S. Padre mette nel libro degli Esercizi spirituali (Exerc. spirit. Reg. 14 ad motus nunt discern.) ed è altresì di S. Bonaventura (S. BONAV. Brevit. p. 3, c. 2). Dice che il demonio fa con noi come un capitano che vuol battere e prendere una città, o fortezza, il quale procura di riconoscere prima con ogni diligenza la parte più debole della muraglia, e verso quella drizza tutta l'artiglieria, ed ivi impiega tutti i suoi soldati, ancorché vi sia pericolo della vita per molti di essi; perché gettata a terra quella parte, entrerà e prenderà la città. Così procura il demonio di riconoscere in noi altri la parte più debole dell'anima nostra, affine di batterci e vincerci per quella. Or questo ci deve servire d'avviso, per premunirci e prepararci contro il nostro nemico, che abbiamo a considerare e riconoscere con attenzione la parte più debole dell'anima nostra e più manchevole di virtù; che è quella cosa alla quale più ci tira l'inclinazione naturale, o la passione, o la cattiva consuetudine, o il mal abito; e in questa parte abbiamo da invigilare con maggiore attenzione e a provvederci di maggior riparo. Questa tal cosa, dicono i Santi e i maestri della vita spirituale (S. DOROTH. Doctr.12, n. 5; S. BERN. Medit. c. 5), questa è quella che principalmente e con maggiore diligenza e sollecitudine dobbiamo procurare di sradicare da noi; perché di questo abbiamo maggiore necessità; e così a questo principalmente si deve applicare l'esame particolare.
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO VII. DELL'ESAME DELLA COSCIENZA
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CAPO I. Quanto sia importante l'esame della coscienza
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1. E raccomandato dai Santi.
2. Danni del trascurarlo.
3. Anche i filosofi ne conobbero l'efficacia.
4. Molto inculcato da S. Ignazio.
5. Stima che dobbiamo farne
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1. Uno dei principali e più efficaci mezzi che abbiamo pel nostro profitto è l'esame della coscienza: e come tale ce lo raccomandano i Santi. S. Basilio, il quale è stato dei più antichi che abbiano dato regole ai monaci, comanda che ogni sera facciano questo esame (S. BASIL. Serm. ascet. et serm. de ascet. discipl. n. 10). S. Agostino nella sua regola comanda il medesimo (S. AUG. Serm. 338. c. 1). S. Antonio abate insegnava e ingiungeva assai questo esame ai suoi religiosi (S. ATHAN. Vita S. Ant. abb.)3. S. Bernardo (S. BERN. De inter. dom. c. 36), S. Bonaventura (S. BONAV. De exter. etc. l. 1. c. 41), Cassiano (CASSIAN. coll. 5, c. 14) e tutti comunemente convengono in caldamente raccomandarlo.
S. Giovanni Crisostomo (S. Io. CHRYS. Hom. Non esse ad orat. concion. n. 4) tra gli altri, sopra quelle parole del reale profeta David, «pentitevi nei vostri letti» (Ps. 4, 5), trattando di questo esame e consigliando che si faccia ogni sera prima d'andar a dormire, ne adduce due buone ragioni. La prima, acciocché nel giorno seguente ci troviamo più disposti e preparati a guardarci dai peccati e dal cadere nelle colpe nelle quali siamo caduti oggi; perché essendoci noi oggi esaminati e pentiti di esse, e avendo fatto proponimento di emendarci, chiara cosa è che questo ci servirà di qualche freno per non tornar a commetterle domani. La seconda, che ancora per questo medesimo giorno d'oggi ci sarà di qualche freno l'averci ad esaminare la sera; perché il sapere che in questo medesimo giorno abbiamo da render conto, ci farà stare sopra di noi e vivere più circospettamente. Come un padrone, dice il Santo, non comporta che il suo spenditore lasci di dar ogni giorno i suoi conti, acciocché questo non dia occasione di procedere con trascuraggine e di dimenticarsi, onde poi il conto non si possa veder netto; così anche sarà ragionevole che noi altri rivediamo ogni giorno i conti a noi stessi, acciocché la trascuraggine e la dimenticanza non vengano ad imbrogliarli.
Il novello dottore della Chiesa S. Efrem (S. EPHR. SYR. Serm. ascet. Roma, v. 1, p. 54-55) e S. Giovanni Climaco (S. IO. CLIM. Scala parad. grad. 20) vi aggiungono una terza ragione, e dicono che, come i mercanti diligenti ogni giorno bilanciano e fanno conto delle perdite e dei guadagni di quel giorno, e se trovano d'aver fatta qualche perdita, procurano di rimediare ad essa e di ripararla con molta diligenza; così noi altri dobbiamo ogni giorno esaminarci e vedere i conti delle nostre perdite e dei nostri guadagni; acciocché la perdita non vada avanti né si dia fondo al capitale, ma lo rimettiamo e vi rimediamo subito. S. Doroteo (S. DOROTH. Doctr. 11, n. 5) vi aggiunge un'altra utilità grande, la qual è che, esaminandoci noi e pentendoci ogni giorno dei nostri errori e mancamenti, non si radicherà in noi il vizio e la passione, né verrà a crescere l'abito cattivo e la cattiva consuetudine.
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO VI. DELLA PRESENZA DI DIO
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CAPO V. Di alcune differenze e vantaggi che sono nel fine qui proposto esercizio della presenza di Dio, relativamente ad altri che si sogliono proporre
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1. Consiste negli atti della volontà, i quali sono più meritori.
2. Si rende più facile e soave.
3. Aiuta a far meglio le nostre azioni
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1. Affinché si passa veder meglio la perfezione e l'utilità grande di questo esercizio e modo di camminare e di stare alla presenza di Dio, del quale abbiamo ragionato, e resti con ciò la cosa meglio dichiarata; noteremo ora alcune differenze a vantaggi che trovansi in questo esercizio, rispettivamente ad alcuni altri.
Primieramente, in altri esercizi, che alcuni sogliono proporre di camminare e stare alla presenza di Dio, ogni cosa pare che sia atto d'intelletto e ogni cosa pare che finisca in immaginarsi Dio presente; ma questo nostro presuppone quest'atto d'intelletto e di fede, che Dio sia presente, e passa avanti a fare atti d'amor di Dio, e in questo consiste principalmente: e questa seconda cosa senza dubbio è migliore e più utile che la prima. Come nell'orazione diciamo che non ci dobbiamo fermare nell'atto dell'intelletto, che è la meditazione e considerazione delle cose, ma passare agli atti della volontà, cioè negli affetti e desideri della virtù e dell'imitazione di Cristo, e che questa ha da essere il frutto dell'orazione; così qui la parte principale, migliore e più utile di quest'esercizio sta negli atti della volontà: onde questa è la cosa nella quale abbiamo da insistere.
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO VI. DELLA PRESENZA DI DIO
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CAPO IV. Si dichiara anche meglio la pratica di questo esercizio e si propone un modo di camminare e stare alla presenza di Dio molto facile ed utile e di gran perfezione.
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1. Far tutto a gloria di Dio.
2. Utilità di questa pratica.
3. Aver Dio sempre presente.
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1. Fra le altre aspirazioni ed orazioni giaculatorie che possiamo usare è molto principale e molto a proposito per la pratica di questo esercizio quella che c'insegna l'Apostolo S. Paolo (I Cor. 10, 31). «O mangiate, o beviate, o facciate qualsivoglia altra cosa; tutto fate a gloria di Dio». Procurate in tutte le cose che farete, e quanto più frequentemente potrete, d'alzare il cuore a Dio, dicendo: Per voi, Signore, fo questa cosa: per darvi gusto e per piacere a voi, perché così voi volete. La vostra volontà, Signore, è la mia, e il vostro gusto è il mio; né ho io altro volere, né altro non volere che quello che voi volete, o non volete: questa è tutta la mia allegrezza, tutto il mio gusto, tutta la mia ricreazione, l'esecuzione e l'adempimento della vostra volontà, il piacere e dar gusto a voi; né v’è altra cosa che volere, né che desiderare, né in che metter l'occhio né in cielo né in terra. Questo è un modo molto buono di camminare e star sempre alla presenza di Dio molto facile ed utile, e di gran perfezione: perché è star sempre in un continuo esercizio d'amor di Dio.
E perché in altri luoghi abbiamo toccato e per l'avvenire toccheremo di nuovo questa cosa, qui solamente voglio dire che questo è uno dei migliori e più utili modi di stare sempre in orazione che vi siano e che possiamo usare. Né pare che vi manchi altra cosa, per finire di canonizzare e di esaltare questo esercizio, che dire che con esso staremo in quella continua orazione che Cristo nostro Redentore ricerca da noi, come abbiamo dal sacro Vangelo: «Bisogna sempre pregare e non mai stancarsene» (Luc. 18, 1). Perché qual orazione può essere migliore che lo star sempre desiderando la maggior gloria ed onore di Dio, e lo starci sempre conformando alla volontà sua, non avendo altro volere, né altro non volere che quello che vuole, o non vuole Dio, e che tutto il nostro gusto e la nostra allegrezza sia il gusto e la soddisfazione di Dio!
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO VI. DELLA PRESENZA DI DIO
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CAPO III. Degli atti della volontà nei quali principalmente consiste quest'esercizio; e come abbiamo da esercitarci in essi.
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1. Utilità delle giaculatorie.
2. Di una in particolare.
3. Prender occasione da tutto per ricordarsi di Dio. Giaculatorie secondo le tre vie della perfezione.
4. Ma sono buone per tutti.
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1. S. Bonaventura, nella sua Mistica Teologia (S. BONAV. Myst. Theol. c. 3 et Epist. 25, n. 22) dice che gli atti della volontà, coi quali in questo santo esercizio abbiamo da alzare il cuore a Dio, sono certi accesi desideri del cuore, coi quali l'anima desidera unirsi con Dio con perfetto amore; certi affetti infiammati, certi sospiri vivi, coi quali ella chiama Dio; certi moti pii e amorosi della volontà, coi quali, come con ali spirituali, si stende ed alza in alto e si va accostando e unendo più a Dio. Questi desideri e affetti del cuore veementi ed accesi sono dai Santi chiamati aspirazioni; perché con essi il cuore si alza a Dio, che è lo stesso che aspirare a Dio: ed anche, come dice S. Bonaventura, perché, siccome respirando ricaviamo e tramandiamo senza alcun altro atto deliberato il fiato, dalla parte più intima del nostro corpo, così con gran prestezza e alle volte senza deliberazione, o quasi senza essa, caviamo questi accesi desideri dall'intimo del nostro cuore. Queste aspirazioni e questi desideri vengono dall'uomo espressi con certe brevi e frequenti orazioni che chiamano giaculatorie; perché sono come certi dardi e saette infocate che escono dal cuore e in un punto si lanciano e drizzano a Dio (S. AUG. Epist. 130 ad probam, c. 10).
Usavano assai queste orazioni quei monaci dell'Egitto come dice Cassiano, «brevi sì, ma frequentissime» (CASSIAN. De coenob. inst. l. 2, c. 10); e le stimavano e ne facevano gran conto; sì perché, brevi come sono, non stancano il capo; sì anche perché si fanno con fervore e con spirito elevato, e in un punto si trovano nel cospetto di Dio; e così non danno tempo al demonio di frastornare colui che le fa, né di mettergli nel cuore impedimento alcuno. Dice S. Agostino certe parole degne di considerazione per tutti quelli che fanno professione d'orazione; le quali mostrano l'utilità di queste giaculatorie, che servono acciocché quella vigilante e viva attenzione, che è necessaria per orare colla dovuta riverenza e rispetto, non si vada rimettendo e perdendo, come suole avvenire nell'orazione lunga (S. AUG. Loc. cit.). Ora con queste orazioni giaculatorie procuravano quei santi monaci di star sempre in questo esercizio, alzando molto spesso il cuore a Dio e trattando e conversando con lui.
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO VI. DELLA PRESENZA DI DIO
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CAPO II. In che cosa consiste quest'esercizio di camminar sempre alla presenza di Dio
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1. Consiste in un atto di fede viva.
2. Similitudini espressive dell'immensità di Dio manchevoli.
3. Non sempre sono a proposito le immaginazioni fantastiche.
4. Cautela perciò da usare.
5. Basta un atto di fede viva.
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1. Per poter noi cavar maggior frutto da quest'esercizio bisogna che dichiariamo in che cosa consiste. In due punti consiste, cioè in due atti, l'uno dell'intelletto, l'altro della volontà. Il primo atto è dell'intelletto, poiché questo sempre si ricerca e si presuppone per qualsivoglia atto della volontà, siccome insegna la filosofia. La prima cosa dunque ha da essere il considerare coll'intelletto che Dio è qui e in ogni luogo, che riempie tutto il mondo e che sta tutto in tutto, e tutto in qualsivoglia parte di esso e tutto in qualsivoglia creatura, per piccola che sia. Su questo si ha a fare un atto di fede, perché questa è una verità che la fede ci propone da credere. «Poiché egli non è lungi da ciascuno di noi: perocchè in Lui viviamo e ci moviamo e siamo» (Act. 17, 27-28) dice l'Apostolo S. Paolo. Non avete da immaginarvi Dio come lontano da voi, o come fuori di voi; perché è dentro di voi. S. Agostino (S. AUG. Conf. l. 10, c. 17) dice di se medesimo: Signore, io cercava fuori di me quello che avevo dentro di me. Dentro di voi sta egli più presente, più intimo e più intrinseco è Dio in me, che non sono io stesso. In esso viviamo, ci moviamo e abbiamo l'essere: egli è quegli che dà vita a tutto quello che vive; è quegli che dà forza a tutto quello che opera; è quegli che dà l'essere a tutto quello che è. E se egli non stesse presente, mantenendo tutte le cose, tutte lascerebbero d'essere e si ridurrebbero al niente. Considera dunque che sei tutto pieno di Dio e circondato da Dio, e che stai come nuotando in Dio. Quelle parole: «Della gloria a di Lui sono pieni i cieli e la terra» (Isai. 6, 3), sono molto a proposito per questa considerazione.
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO VI. DELLA PRESENZA DI DIO
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CAPO I. Dell'eccellenza di questo esercizio e dei gran beni che sono in esso.
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1. Anticipazione del cielo.
2. Famigliare agli antichi Patriarchi.
3. Efficace per evitare il peccato.
4. Dalla sua mancanza vengono tutti i peccati.
6. Raccomandato dai Santi.5. E mezzo compendioso per la perfezione.
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1. «Cercate il Signore e fatevi forti, cercate sempre la sua faccia», dice il profeta Davide (Ps. 104, 4). La faccia del Signore dice S. Agostino (S. AUG. Enarr. in Ps. 104, n. 3) che è la presenza del Signore; e così cercare la faccia del Signore sempre è camminar sempre alla presenza di Dio, volgendo il cuore a lui con desiderio e con amore. Eschio nell'ultima centuria, e lo apporta anche il glorioso S. Bonaventura (S. BONAV. De exter. etc. l. 3, c. 26), dice che lo star sempre in questo esercizio della presenza di Dio è cominciare ad esser di qua beati; perché la beatitudine dei Santi consiste in veder Dio perpetuamente, senza giammai perderlo di vista. Ora giacché in questa vita non possiamo veder Dio chiaramente, né com'egli è, perché questo è proprio dei beati; almeno imitiamoli nel modo nostro e secondo quello che comporta la nostra fragilità cercando di star sempre riguardando, riverendo e amando Dio. Di maniera che, come Dio Signor nostro ci creò per avere a stare eternamente alla sua presenza nel cielo ed ivi goderlo; così volle che avessimo qui in terra un ritratto e un saggio di quella beatitudine, camminando sempre alla sua presenza, contemplandolo e riverendolo sebbene all'oscuro. «Vediamo adesso attraverso di uno specchio per enimma, ma allora faccia a faccia» (I Cor 13, 12). Adesso lo vediamo e contempliamo per mezzo della fede come per mezzo di uno specchio; dipoi lo vedremo alla scoperta e a faccia a faccia. Quella vista chiara, dice Isichio, è il premio e la gloria e beatitudine che aspettiamo; questa altra oscura è merito, per mezzo del quale abbiamo da arrivare a conseguir quella. Ma in fine al modo nostro imitiamo i Beati, procurando di non perdere mai Dio di vista nelle nostre operazioni, come gli angeli santi, i quali sono mandati per nostro aiuto, per nostra custodia e nostra difesa, si occupano in tal maniera in questi ministeri in pro nostro che mai non perdono Dio di vista; come disse l'angelo Raffaele a Tobia: «Sembrava veramente che io mangiassi e bevessi con voi: ma io mi valgo di un cibo e di una bevanda che non possono essere veduti dagli uomini» (Tob. 12, 19). Stanno gli angeli santi del continuo come nutrendosi e sostentandosi di Dio. «Vedono sempre il volto del Padre mio, che è. nei cieli» (Matth. 18, 10), così noi, dice Gesù; sebbene mangiamo, beviamo, trattiamo e negoziamo cogli uomini, e pare che ci occupiamo e tratteniamo in questo; abbiamo nondimeno da procurare che non sia questo il nostro cibo né il nostro trattenimento, ma un altro invisibile che gli uomini non vedono; cioè lo star sempre riguardando ed amando Dio e facendo la sua santissima volontà.
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
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CAPO XXVIII. Della lettura spirituale: quanto sia importante e d'alcuni mezzi che ci aiuteranno a farla bene e utilmente
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1. E’ gran mezzo per il nostro profitto.
2. E’ prescritta da tutti i fondatori di religioni.
3. In essa Dio parla a noi.
4. E’ una lettera spedita dal cielo.
5. E’ specchio in cui contemplare il nostro interno.
6. Come farlo.
7. E' sorella della meditazione.
8. Non ha da essere studio.
9. Né troppe cose, né troppo sottili.
10. Tenere a mente quanto si legge.
11. Prima di leggere alzare la mente a Dio.
12. Suoi vantaggi sopra la predica.
13. Conversione di S. Agostino.
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1. La lettura spirituale è sorella della meditazione e grande aiutatrice di essa; onde l'Apostolo S. Paolo consiglia Timoteo, suo discepolo, che attenda ad essa: «Attendi alla lettura» (I Tim 4, 13). È di tanta importanza questa lettura spirituale per quelli che fanno professione di servire a Dio, che S. Atanasio (S. ATHAN. in exhort. ad monach.), in un'esortazione che fa ai religiosi dice: Non vedrai nessuno che davvero attenda al suo profitto, il quale non sia dato alla lettura spirituale; e se alcuno la lascerà, ciò presto ancora si conoscerà dal vederlo nel profitto suo a scapitare. S. Girolamo, nell'epistola ad Eustochia, esortandola assai a darsi a questa sacra lettura, le dice: «Prendati il sonno mentre leggi, e quando vinta dal sonno ti cadrà il capo, ti cada questo sopra del libro santo» (S. HIER. Ep. ad Eustoch. n. 17). Tutti i Santi commendano grandemente questa lettura spirituale; e ben ci mostra l'esperienza di quanto giovamento ella sia; poiché abbiamo le storie piene di conversioni grandi, che il Signore ha operate per questa strada.
2. Per esser questa lettura un mezzo tanto principale e tanto importante pel nostro profitto, gli istitutori delle religioni, fondati sulla dottrina dell'Apostolo e sull'autorità ed esperienza dei Santi, vennero ad ordinare che i loro religiosi si èsercitassero ogni giorno nella lettura spirituale. Umberto dice di S. Benedetto, che ordinò che ogni giorno vi fosse tempo assegnato a questa lettura, e insieme ordinò che nel tempo di farla due dei monaci più antichi andassero visitando il monastero, per vedere se qualcuno la lasciava, o l'impediva agli altri. Dal che si può vedere quanto conto egli ne facesse. Al tempo stesso si può ancora da ciò vedere che queste visite, che qui nella religione si sogliono fare ogni giorno per gli esercizi spirituali, sono fondate nella dottrina e nella costumanza dei Santi antichi. Per la prima e per la seconda volta comandava il Santo che quel tale, il quale fosse trovato manchevole in questo, venisse corretto piacevolmente; ma che se non si emendava, fosse corretto e penitenziato di tal maniera, che gli altri ne concepissero timore e terrore.
Nella Compagnia abbiamo particolar regola per questa lettura spirituale, la quale dice così: «Ciascuno dia ogni giorno con ogni diligenza nel Signore ai due esami di coscienza, orazione, meditazione e lettura quel tempo che gli sarà ordinato» (Reg. 1, comm, Epit. 182, § 1). E il Superiore e il prefetto delle cose spirituali tengono cura che ciascuno deputi sempre a ciò qualche tempo. Per esser questo uno dei mezzi principali che abbiamo pel nostro profitto, e che ogni giorno usiamo, e per essere tanto proprio di tutti quelli che attendono a virtù e perfezione, diremo qui alcune cose che aiuteranno a praticarlo con maggior frutto.
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
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CAPO XXV. Quanto convenga pigliare alcuni tempi straordinari per darsi più all'orazione
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CAPO XXVII. Di alcuni avvertimenti che ci aiuteranno a cavar maggior frutto da questi esercizi spirituali.
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1. Prefiggersi il frutto.
2. Dopo l'orazione fare la riflessione.
3. Scrivere i lumi dell'orazione.
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1. Per profittar più con questi esercizi spirituali e per cavar da essi il frutto di cui abbiamo parlato, bisogna avvertire per la prima cosa, come abbiamo detto di Sopra, che come quando uno va a far orazione? non solo ha da portar preveduti i punti che ha da meditare nell'orazione, ma anche il frutto che ha da cavar da essa; così ancora colui che ha da far gli esercizi deve portar preveduto in particolare quello che ha da cavar da essi, in questo modo: che prima di ritirarsi a farli, ha da considerare e trattar con se stesso molto posatamente e con molta attenzione, qual sia la maggior necessità spirituale ch'egli abbia; qual sia la cosa alla quale la sua viziosa natura, o le sue passioni, o il cattivo costume più lo facciano inchinare; che cosa è quella che fa maggior guerra all'anima sua; che cosa è in lui della quale si possono offendere e scandalizzare i suoi fratelli; e questo è quello che ha da mettersi avanti gli occhi, e l'emendazione di questo ha da essere il frutto che si ha da prefiggere di cavare dagli esercizi. Questa è molto buona preparazione per entrare negli esercizi.
Onde bisogna avvertire, che quando uno si ritira a far gli esercizi, non si ha egli a prefiggere di avere a fare molto alta orazione; né s'ha da pensare che per ritirarsi e per rinchiudersi in essi sia subito per avere una grande introduzione nel trattar con Dio e molta quiete é attenzione; perché potrà essere che abbia più distrazioni, maggiore inquietudine e maggiori tentazioni che quando attendeva agli uffizi e ai ministeri suoi esteriori; ma ha da mettersi in mente di cavar da essi quel che abbiamo detto, e in ciò risolversi molto davvero. Se ne cava questo, avrà fatto buoni esercizi, ancora che non abbia quella divozione che desiderava: e se non ne cava questo, ancor che dal principio sino al fine si liquefaccia in lagrime e in divozione, non avrà fatto buoni esercizi; perché non è questo il fine di essi, ma quell'altro che abbiamo accennato.
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
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CAPO XXV. Quanto convenga pigliare alcuni tempi straordinari per darsi più all'orazione
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CAPO XXVI. Del frutto che abbiamo da cavare da questi esercizi.
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1. Migliorarci nelle azioni ordinarie.
2. Emendare i nostri difetti più abituali.
3. Uscirne cambiati.
4. Acquistare qualche particolare virtù.
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1. In tre cose principalmente abbiamo da metter gli occhi, affine di cavarle per frutto dagli esercizi. La prima è rinnovarci in quelle cose ordinarie che facciamo ogni giorno e perfezionarci in esse; perché tutto il nostro profitto e la nostra perfezione consiste nel far queste cose ordinarie ben fatte, come abbiamo detto a suo luogo. Né si pensi alcuno, che il far gli esercizi sia per starcene ivi ritirati otto o dieci giorni, e per far orazione per molto tempo. Non è per questo che si fanno gli esercizi; ma perché l'uomo abbia da uscir da essi con aver preso un buon abito a far meglio la sua orazione e a osservar le addizioni e i documenti che si danno per farla come si deve; con aver preso un buon abito a far bene i suoi esami, a udire o dir bene la santa Messa e l'ufficio divino, a far con frutto la lettura spirituale; e così di tutto il resto. Per questo effetto si disoccupa uno per quel tempo dalle altre occupazioni, per attuarsi e per esercitarsi in far bene queste cose, acciocché così esca fuori rinnovato e avvezzo a farle poi in quel modo in cui le ha fatte in quel tempo.
E così dice il nostro Santo Padre che in tutto il tempo che dureranno gli esercizi si faccia l'esame particolare sopra l'osservanza delle addizioni e sopra il far con diligenza ed esattezza gli esercizi spirituali, notando i mancamenti che si faranno circa l'uno e l'altro, acciocché la persona resti abituata e avvezza a fare per l'avvenire tutte queste cose molto bene. E replica questo molte volte, come quegli che ben conosceva la grande utilità che ne può provenire. E non solamente circa gli esercizI spirituali, che è la cosa principale e quel che ha da dar forza e spirito a tutto il resto; ma circa tutti gli altri esercizi ed occupazioni esteriori ha da uscir uno dagli esercizi molto approfittato, cavando da essi lena per far meglio per l'avvenire il suo ufficio e i suoi ministeri, e per osservare meglio le sue regole. Di maniera, che il frutto degli esercizi non è per quei giorni soli, ma principalmente per dopo. Onde quando uno esce dagli esercizi si ha da vedere il frutto di essi nelle opere ed azioni sue.
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
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CAPO XXV. Quanto convenga pigliare alcuni tempi straordinari per darsi più all'orazione
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1. Se ne ha necessità.
2. Specie per non scapitare nella virtù.
3. Anche per più giovare al prossimo.
4. L'orazione è all'anima ciò che il sonno al corpo.
5. Quando fare gli Esercizi Spirituali?
6. Almeno una volta all'anno.
7. Vi è l'indulgenza plenaria.
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1. Come gli uomini del mondo hanno per il corpo, oltre la refezione di ciascun giorno, le loro feste straordinarie e i loro banchetti, nei quali sogliono eccedere l'ordinario, così anche conviene che noi altri, oltre l'orazione quotidiana, abbiamo le nostre feste e facciamo i nostri banchetti spirituali, nei quali le anime nostre non mangino a misura come gli altri giorni, ma più tosto cerchino di riempirsi ad abbondanza della dolcezza e grazia del Signore. E la natura stessa ce lo insegna; poiché vediamo che essa non si contenta della rugiada, che cade ogni notte sopra, la tèrra, ma vuole che alle volte ancor piova una settimana, o due, senza cessare: e tutto ciò fa di bisogno, acciocché venga la terra ad essere tanto inzuppata d'acqua, che non valgano poi le solate né i venti a disseccarla. Ora così ancora conviene che le anime nostre, oltre l'ordinaria rugiada d'ogni giorno, abbiano assegnati alcuni tempi straordinari, nei quali vengano ad essere tanto riempite di virtù e di sugo di divozione, che non siano bastanti le occupazioni né i venti delle tentazioni e gli avvenimenti del mondo a disseccarle. E così leggiamo di molti Santi e prelati della Chiesa che, lasciate le occupazioni e i negozi, si ritiravano molte volte per qualche tempo a luoghi remoti per darsi maggiormente all'orazione e alla contemplazione. Si legge del Santo abate Arsenio (S. THEOD. Stud. Laud. S. Arsen. anach. c. 2; De vitis Patr. l. 3, n. 211; 1. 5, lib. 12, n. 1; SUR. De S. Arsen. erem. § 34, vol. 7) che aveva per costume di pigliare un giorno della settimana per far questo, ed era il sabato, nel quale perseverava in orazione dalla sera sino alla mattina del giorno seguente.
2. E questa cosa è molto importante, non solo per camminare avanti e per crescere maggiormente in virtù e perfezione, ma anche per non tornare indietro; perché è tanto grande la debolezza e la miseria dell'uomo e l'inclinazione che abbiamo al male, che sebbene alcune volte cominciamo con fervore i nostri esercizi spirituali, nondimeno andiamo allentando e declinando a poco a poco da quel primo fervore. Come l'acqua, per molto bollente che sia, subito che è scostata dal fuoco ritorna a poco a poco alla sua naturale freddezza; così noi altri ritorniamo subito alla nostra tiepidezza e lentezza, parendo che l'abbiamo più radicata e connaturalizzata, che l'acqua il freddo. «Perché la mente e i pensieri dell'uomo sono inclinati al male fin dall'adolescenza sua», dice lo Spirito Santo (Gen. 8, 21); ed altrove: «Perché la loro stirpe è cattiva e naturata in loro la malizia» (Sap. 12, 10). Come veniamo dal niente, così ce ne ritorniamo al nostro niente.
A questo s'aggiunge che, stando noi tanto occupati, quanto stiamo, chi negli studi, chi nei suoi ministeri, chi negli uffici e nelle occupazioni esteriori, abbiamo di ciò più particolare necessità; perché quantunque le occupazioni siano buone e sante, nondimeno, come il coltello s'ingrossa di filo e lo va perdendo con l'adoperarsi ogni giorno, e di tempo in tempo bisogna tornare ad arrotarlo; così noi altri andiamo ingrossandoci di spirito e trascurando ci circa il proprio nostro profitto per aiutar gli altri. Anche i filosofi dicono che colui che opera, patisce anch'esso e si va consumando da sé; e ciascuno prova bene in se stesso questa cosa. Per questo dunque importa grandemente il ritirarci incerti tempi, sbrigandoci da tutte le altre occupazioni, per rimediare a questo danno, per riparare quello che si va consumando ogni giorno e per acquistare nuove forze da poter passare avanti; perché siamo più obbligati a noi medesimi che ai nostri prossimi, e la carità bene ordinata ha da cominciar da se stesso.
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
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CAPO XXIV. Della tentazione del sonno: d'onde procede e dei rimedi contro di essa
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1. Varie cagioni e vari rimedi.
2. Esempi.
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1. La tentazione del sonno, che è un'altra specie di distrazione, può procedere alcune volte da cagione naturale, come da mancanza di dormire, da grande stanchezza e fatica, dall'età, dal troppo mangiare e soverchio bere, benché sia acqua. Alcune altre volte procede da tentazione del demonio; siccome raccontavano quei santi Padri dell'eremo, che Dio faceva vedere loro in ispirito, che vi erano certi demoni i quali si mettevano sopra i colli e le teste dei monaci e li facevano dormire; e altri che mettevano loro il dito in bocca e li facevano sbadigliare. Alcune altre volte procede da nostra rilassatezza e negligenza e dallo starsene uno nell'orazione con tal composizione di corpo che dà occasione al sonno.
Il principale rimedio che si dà per questo è quello che abbiamo detto per l'attenzione; cioè, che ci ricordiamo di stare alla presenza di Dio. Ché, come uno che sta alla presenza di un gran principe, non ardisce d'addormentarsi; così noi altri, se consideriamo che stiamo dinanzi alla Maestà di Dio e che egli ci sta guardando, ci vergogneremo assai di addormentarci nell'orazione. È anche buon rimedio l'alzarsi in piedi, il non appoggiarsi, il lavarsi gli occhi con acqua fresca; e sogliono alcuni portare a questo effetto un pannicello bagnato, per quando sono molestati da questa tentazione. Altri si aiutano col guardare il cielo, o con tenere il lume acceso nella stanza, o coll'andarsene a far orazione avanti il Santissimo Sacramento in compagnia di altri; o col farsi una disciplina prima dell'orazione, con che restano svegliati e devoti. Altri nella stessa orazione si danno qualche stimolo, col quale si svegliano; e quando stanno soli, si mettono per qualche poco di tempo colle mani in croce. Aiuta anche a questo il parlare e dire alcune orazioni vocali, con che la persona si sveglia e si ravviva assai, come abbiamo detto di sopra. Di questi e di altri simili rimedi è bene che ci valiamo, chiedendo insieme al Signore che ci guarisca da questa infermità.