F. Agnoli- M. Luscia (a cura di), Contro-canti. Per non omologarsi al pensiero dominante., Edizioni Fede & Cultura , 2010, pp. 80, € 6
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INTRODUZIONE
“Contro-canti”: cioè pensieri, riflessioni, ragionamenti non in linea con il politicamente corretto. Non in accordo con le banalità dei luoghi comuni che assediano una cultura sempre più effimera e superficiale.
Abbiamo semplicemente voluto ragionare, liberamente, sulle questioni importanti: Dio, la vita, l‟amore, la fede, la morte, l‟aborto, l‟eutanasia…
Questa fatica, di analizzare la realtà, la cronaca, ciò che passa e ciò che resta, nasce da uno sguardo sull‟ambiente circostante curioso, speranzoso, dinamico; nasce da un‟amicizia all‟interno di un‟associazione, “Libertà e persona”, che da diversi anni cerca, come una voce fuori dal coro, di dire la sua, ma in accordo con una bimillenaria Tradizione che a noi non pare debba essere così facilmente cancellata in nome di un progresso spesso fasullo e di una mancanza di ideali e di valori, che sfocia sovente nel più triste nichilismo.
Buona lettura e buona riflessione.
Francesco Agnoli e Marco Luscia
CHIESA DEI SÌ E L’ASTICELLA ALTA
C‟è da alcuni di mesi in vendita un libro, La chiesa dei „no‟, scritto dal solito giornalista di “Repubblica”, in cui viene esposto un concetto molto semplice: l‟assurdità anacronistica del comportamento della Chiesa cattolica starebbe nei troppi “no” che essa propone nell‟ambito della dottrina morale. Non c‟è bisogno di leggere il volume, per comprendere che a monte di esso sta la totale incomprensione del messaggio di Cristo. In verità i “no” della Chiesa, assolutamente poco incline a sottoporre la verità al gioco dei sondaggi, sembrano tali a chi poco riflette sulla natura dell‟uomo, sempre alla ricerca di un equilibrio, rotto al principio della sua storia, tra le tensioni animali, impersonali e violente, e le esigenze della ragione e dello spirito. Sembrano “no”, oggi, a coloro che non amano mettersi in discussione, fare l‟esame della propria coscienza, come il buon vecchio Seneca, tutte le sere, per procedere, almeno un poco, nella faticosa strada della virtù.
Siamo abituati da alcuni secoli, infatti, ad un concetto tanto distorto di diritti dell‟uomo, che siamo ormai convinti che la parola “dovere” non esista neppure più e, soprattutto, che non c‟entri nulla con la nostra realizzazione. Eppure proprio la morale cristiana fu accolta all‟origine del cristianesimo, come un grande “sì” che generò una entusiastica accoglienza in molti che videro nella sequela di Cristo il modo per vivere pienamente e trascendere, nello stesso tempo, il momento presente, l‟attimo fuggente, per affermare la nostra durata immortale. La morale cristiana difatti ci ricorda ogni giorno cosa siamo, quale sia l‟immensa dignità umana, per impedirci di precipitare al livello delle bestie, nella servitù, come direbbe Dawkins, ai nostri geni egoisti.
La Chiesa nasce dunque dai “sì”: il fiat della Vergine, quello di Cristo, al calce amaro, e quello di Pietro, chiamato a donare la propria stessa vita nel martirio. Il “no” dei comandamenti, allora, è solo la parte preliminare, per così dire, dell‟atto virtuoso, sommamente libero, che nasce da una rinuncia, un “no”, appunto, per un “sì” più grande.
È come se la Chiesa tenesse sempre alta l’asticella, per ricordarci che abbiamo anche ali e non solo piedi appesantiti; rami e non solo radici; occhi dello spirito, e non solo della carne; desideri nobili e non unicamente appetiti capricciosi e istintivi. Ci addita l‟amore pieno, quando vorremmo godere solamente di quello carnale; e mentre ci sconsiglia le ghiande dei porci, ci dona il pane celeste. Ci libera dalla malinconia dei sensi, dalle passioni tristi, dalla frenesia del potere e del successo, dalla schiavitù del peccato e dell‟io prepotente, e nel contempo ci stimola al “sì” dell‟umiltà, del perdono, della misericordia, della carità…
Ad ogni “no” a ciò che vi è di più basso, oppone un “sì”, sonoro, squillante, affinché non sprofondiamo nel non-essere, nell‟accidia, nell‟istinto di morte. In questo la Chiesa ha una sua pedagogia: conosce nel contempo la bassezza dell‟uomo e la sua grandezza, il nostro “no” e il nostro “sì” alla vita, il nostro essere quasi sospesi tra l‟Essere e il nulla. Per questo il “no” precede il “sì”, l‟Antico Testamento anticipa il Nuovo, il timore servile di Dio, l‟amore filiale per Lui. Perché, resi consapevoli di ciò che ci impedisce di essere veramente uomini, di ciò che ci tiene legati a terra, possiamo intraprendere un cammino positivo, creativo, originale, di libertà e di crescita.
Mi spiego con un esempio: il “no” al divorzio. Perché questa posizione, che oggi appare così rigida, nel passato, invece, segnò la più grande liberazione della donna dall‟arbitrio e dalla prepotenza dell‟uomo? Perché il matrimonio indissolubile è l‟assunzione di un impegno, di un giogo dolce e leggero, che ci rende più uomini, più completi, più felici, più sereni. La Chiesa, per citare Giacomo Balmes, conosce a fondo quello che siamo: di fronte alla passione distruttiva, che può travolgere i sensi e la libertà dell‟uomo più fedele, preferisce frenarla da principio, piuttosto che lasciarla divampare; soffocarla, chiudendole ogni porta, piuttosto che concederle terreno; lasciarla morire di inedia, piuttosto che permettere che ingrossi sempre più, sino a divenire insaziabile. Come con un giocatore d‟azzardo: non è efficace contrattare con lui, permettergli di giocare, ma solo in certi giorni. Non si otterrà nulla: il giocatore dilapiderà il suo patrimonio, e la passione lo divorerà piano piano.
Come il gioco genera gioco, così il divorzio genera divorzio. È un fatto ormai constatato in tutte le società moderne. Per questo la Chiesa non lo accetta, come principio, perché la sua sola possibilità è come un grimaldello, è l‟“occasione che fa l‟uomo ladro”: basta a scardinare un matrimonio solido, in un momento di difficoltà; ad annichilire del tutto la volontà, quando essa è indebolita; a scoraggiarci e ad indurci a cambiare strada, quando invece si dovrebbero stringere i denti, per ripartire lungo la via intrapresa. Sembra solamente un divieto, ma è una proposta, un‟affermazione: amare per sempre si può! È possibile, è umano, è bello, ed è anche doveroso.
Il principio, l‟indissolubilità del matrimonio, nella sua apparente durezza, è il bastone offerto alla nostra fragilità, per tenerci in piedi anche quando staremmo per cadere. È il “no” che dobbiamo dirci, quando giungono lo scoraggiamento, l‟ira, la passione cieca. Devi, perché puoi. È nella nostra natura la durata dell‟amore: farlo crescere, coltivarlo, vivificarlo ogni giorno. Ogni giorno dirgli un nuovo “sì”, impedendo che il tempo, la trascuratezza, l‟incostanza, l‟egoismo, la freddezza, lo uccidano.
Francesco Agnoli