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Ven. Prof. Giuseppe Toniolo
Lettera aperta a don Romolo Murri
l'ex-prete fondatore della Democrazia "cristiana"
"Nessuna innovazione vera, e duratura si può conseguire in ordine alle esigenze presenti e alle più legittime aspirazioni future della civiltà, se non stringendosi di più in più alle dottrine, allo spirito, al governo della Chiesa e del pontificato"
Pisa, 29 giugno, il dì di S. Pietro
da: L’avvenire d’Italia, Bologna, 1 luglio 1903, n. 177
Arrivai questa notte qui da Roma, pieno l'anima di dolorose e fosche previsioni a suo riguardo, egregio ed antico amico, a cui non nascosi mai come l'ammirazione per il suo ingegno ed il suo slancio, così i difetti ed i pericoli della sua propaganda; mentre in taluni sommi e legittimi intendimenti di questa, noi c'incontrammo. Ritornai, ripeto, con l'anima angosciata perocchè nel fondo di essa si ripercotea ognora il monito che in questi dì volle ripetermi un illustre arcivescovo che, a scanso di sospetti, ha altrettanta mente quanto cuore, e che è sincero amico dei giovani e del popolo, quanto inconcussamente fedele a Pietro ed alle sue sapienti direzioni; - monito che suonava così: «in forma minuscola ma sempre lagrimevole siamo già al caso di Gioberti».
Io pur di lunga mano sento corrodermi da questo sospetto; più allarmante per le conseguenze che potrebbero accompagnare il suo avverarsi nel seno di alcuni giovani, che non lei soltanto, ma io stesso, ma tutti amiamo di amore sincero. E che tale sospetto fosse vano sempre mi augurai, e che lo possa divenire anche oggi, anche domani, per una di quelle dichiarazioni sincere, raffermato dai fatti, che tolgono fin l'ultima nube dalla serenità del cielo, io ora novellamente faccio voto e preghiera fervidissima. Ma non le posso negare, caro don Romolo, che l'articolo della Cultura, riportato poi dall'Avvenire, mi pare segni almeno l'esordio di una catastrofe.
E dico fra me: è mai possibile per un animo retto e credente, che una di quelle udienze intime presso il padre dei fedeli, che inondano il cuore di gioie sovrumane e che vi depositano il germe di eroiche virtù per la difesa del papato e della cristiana civiltà, è possibile, ripeto, che per altri divenga pietra di inciampo e di ruina?
Né vale per giustificare il fatto strano e doloroso, che ella (mi perdoni il giudizio) reagisca contro le cause impellenti di questo contegno, lanciando il dubbio, di aver taluno degli avversari suoi, abusato della stampa liberale per comprometterla; come ella e parecchi dei suoi amici già avevano commesso lo stesso errore, colle troppo note e deplorevoli interviste di liberali corrispondenti.
Questi eventuali artifizi, non degni di caratteri aperti ed onesti, non giustificano in alcuna guisa la sua condotta; sicché ella, in luogo di protestare contro quelle insinuazioni di avversari segreti, si accampi contro l'Opera dei congressi, pur cotanto favorevole al movimento democratico, ai giovani, a lei stessa, e quindi contro il conte Grosoli degno rappresentante dei nuovi indirizzi in quella istituzione, affermando che innanzi ad essa, ella intende riprendere intera la sua libertà.
Il presidente dell'Opera non ha bisogno di essere difeso da me, che stimo ed amo come fratello, appunto perché è uno di quegli uomini rari, che non vivono per il proprio io, ma per la santa causa della Chiesa, da cui non si dipartirebbe, se gli costasse l'esistenza. Ma a lei, che sa essere anche generoso, chiedo se sia nobile e giusto reclamare la sua libertà dinanzi all'Opera e quindi a lui che la rappresenta, quando ella sa quanto egli abbia fatto fino a ieri in tutti i modi possibili, seguendo la carità di Cristo e del suo vicario, per ravvicinare e congiungere l'attività sua e quella degli altri cattolici nel seno dell'Opera dei congressi e dietro le norme autorevolmente dettate e con sapiente larghezza applicate. A tutto ciò ella avrà pensato di certo; ma se mai si illudesse che cotanta longanimità e carità trasse infine quell'uomo ad offendere i suoi principi e a menomare l'inconcusso ossequio ai dettami del pontefice, ella s'ingannerebbe a partito!
Perocchè (ciò è più importante ancora) l'atteggiamento che oggi ella dichiara di assumere, è proprio contrario ai dettami del pontefice. Il quale, mirabilmente fermo a voler introdurre nell'azione sociale e negli ordinamenti dei cattolici d'Italia quello spirito democratico, anzi quella espansione di cristiana civiltà che è tanta parte dei voti di lei, di me, di quasi tutti ormai, altrettanto fu ed è coerente di volere, che queste legittime innovazioni, si effettuino entro la cornice dell'Opera dei congressi e sotto l'alta e sapiente disciplina della gerarchia ecclesiastica. Ella invece, inclinò sempre (più o meno latentemente) ad opposto programma, come io ebbi più volte a rilevarlo anche pubblicamente; ed oggi ella dichiara di rivendicare questo programma e con esso la sua azione passata. Io vorrei ingannarmi, ma oggi questo mi pare evidentemente un primo atto, che non oso di dire di ribellione (ché la parola a me e a lei ripugnerebbe) ma di aperta indisciplina, che può peraltro preludere ad altre e vere ribellioni.
Ella, nella sua coscienza di sacerdote e nella sua mente acuta, l'avrà forse presentito fin dal primo momento. Ma la prego di pensarvi un'altra volta, dopo queste mie parole di amico, con serietà e trepidazione; perché l'atteggiamento che sta per prendere è più gravido di risultanze per lei (soprattutto per lei) di quello che prima fronte potrebbe apparire.
Or sono pochi giorni, ad un giovane sacerdote a me ignoto, ma che con confidenza filiale scrivevami di aver letto gli scritti miei e suoi con pari entusiasmo, ma ritraendone nel primo caso sentimenti di fervide e serene speranze, nel secondo, di non so quali indefinite e inquietanti previsioni, e conchiudeva, domandando che cosa in fondo distinguesse le dottrine sue e le mie; - a questo giovane desioso di una parola illuminatrice e rassicurante, credetti dare una breve ma decisiva risposta. In essa io potrei essermi ingannato perché essendovi interessata la mia persona, forse l'amor proprio mi fa velo, e perché ancora (lasci che dica chiaro ciò che molti mormorano tra i denti) i torti suoi stanno, non tanto in ciò che scrive quanto in ciò che non scrive, ma che lascia leggere fra le righe e trapelare da tutto il suo contegno, ciò che i giovani del resto troppo bene intendono. Potrei, ripeto, ingannarmi; ma la distinzione richiesta, compendiai così: - ambedue vagheggiamo una maggiore espansione sociale di cristiana civiltà. Ma ella (forse nolente) insinuò la persuasione nel pubblico è in ispecie fra la gioventù, che questo maggiore slancio non si possa effettuare se non allentando e in qualche parte infrangendo i vincoli di disciplina dalla Chiesa e dalle materne direzioni. Io invece (non so se vi sia riuscito) mi proposi sempre di persuadere che nessuna innovazione vera, e duratura si può conseguire in ordine alle esigenze presenti e alle più legittime aspirazioni future della civiltà, se non stringendosi di più in più alle dottrine, allo spirito, al governo della Chiesa e del pontificato.
Rifletta bene, caro amico, a questa specie di dilemma; il quale ha qualche valore, non già perché impersonato nel nome suo e mio, ma perché risponde a due storiche e solenni esperienze, che sono quasi due vie, lungo le quali camminarono tutti i riformatori (veri o falsi, grandi o piccini) della società; una via al capo della quale si trova la Chiesa e la civiltà cristiana; un'altra al cui termine non c'è né la Chiesa né la civiltà, ma la ribellione e la morte.
Ella, per conto suo, ne la prego e scongiuro in nome della religione e della patria, che sono gli obbietti della nostra comune ebbrezza, badi di non sbagliare nella scelta. Ma riguardo ai cari nostri giovani che certamente amano lei per la parte buona della sua propaganda, ma che in genere amano soprattutto la fede, la Chiesa, il papa e tutto ciò che si aggira intorno agli ideali di cristiana civiltà, - mi lasci dire, che essi, sdegnosi di meschine controversie del passato, e anelanti ai progressi dell'avvenire, di mezzo alle lotte generose del presente cercando non la morte ma la vita perennemente fresca del cristianesimo, non esiteranno dinanzi al bivio!
Ma frattanto prima lei, poi i giovani e con loro tutti gli uomini di intuito e di carattere, riconosceranno la verità di quest'altra proposizione pronunciata dall'illustre dignitario che rammentai al principio, la quale troppo bene si addice qui alla chiusa: si licet parva componere magnis sta per suonare l'ora in cui si distinguerà fra noi chi sono i La Mennais e quali i Lacordaire.
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Ven. prof. Giuseppe Toniolo
La recente lettera apostolica e la sua importanza sociale
da: Rivista internazionale di scienze sociali e disciplne affini, 1902, v. XXVIII, pp. 517-523
Il riferimento è all’Enciclica Vigesimo Quinto Anno di Leone XIII, comunemente indicata come il bilancio del Pontificato
I
Come un papa muore fu il titolo espressivo di uno scritto che nel prossimo passato luglio corse per le mani di tutti, col quale un nostro illustre letterato1, durante la protratta e solenne agonia del santo vegliardo del Vaticano, additava a tutto il mondo civile, quasi soggiogato d'un tratto dalla evidenza della verità e dalla commozione dell'amore, che lassù Leone XIII venia spegnendosi, come si addice al padre dei credenti, anzi come doveva morire questo tipo di romano, di cristiano, di pontefice.
Trascorsi alcuni giorni nelle angosce, e le trepide previsioni divenute realtà, noi tutti come credenti, come cittadini, come uomini dell'età nostra, meditando sul recente passato, siamo tratti a chiederei mutuamente, con eguale sollecitudine amorosa, ma con significato ancor più alto ed istruttivo, «come Leone XIII morì».
Dissi con significato ancor più elevato ed istruttivo, perocchè non trattasi già di ricordare come le meste preoccupazioni del domani sieno divenute l'irrevocabile e doloroso avvenimento di oggi, ma di ricordare a quanti ebbe figli credenti o ammiratori o critici Leone XIII, come questo papa sia disparito, in faccia alla sua Chiesa, dinanzi ai suoi popoli, di fronte ai problemi, alle lotte, alle vocazioni dell'età che fu sua; o, in altre parole, «che cosa abbia egli lasciato di duraturo e fecondo intorno a se e dietro di se».
Allora la risposta, che sgorga spontanea quanto vera, è che Gioacchino Pecci morì come pochi uomini che la posterità chiamò grandi, anzi come pochi pontefici, anche dei massimi della storia. Gregorio Magno moriva vecchio e malaticcio, quando la Chiesa e la società, in cui pure egli avea deposto i germi della risurrezione, giacevano al fondo di ogni desolazione. Papa Ildebrando, colui che avrebbe plasmato fra lotte titaniche la civiltà medioevale, scompariva nell'esilio di Salerno, quando credeva di aver tutto perduto, fuorché la fede nella giustizia di Dio. Innocenzo III, per cui la grandezza del papato e della cultura cristiana italica toccò l'apogeo, spirava vedendo crescere al suo fianco l'astro corrusco di Federico II, il maggiore uomo che avesse mai rivestito la corona imperiale germanica, il quale avea giurato di stritolare, con la sua forza materiale, con la sua paganità, col suo ingegno superiore, la potenza papale, il sapere cristiano latino, la libertà comunale italica. E a tempi più vicini Pio VI, dinanzi al genio di Napoleone, che si apprestava ad imporre al mondo intero le cruente conquiste della rivoluzione di Francia, esalava l'anima a Valenza, mentre l'orgoglio beffardo di tardivi enciclopedisti additava su quel letto derelitto «l'ultimo papa».
Nulla di somigliante oggidì. Leone XIII, con la sua meravigliosa longevità, visse sì a lungo e così sapientemente operoso, da poter non solo tracciare un ciclo compiuto di criteri riformatori della Chiesa e della società, ma da scorgerne in buona parte i risultati o almeno i germogli vegeti e promettenti; e ancor più (privilegio rarissimo) di raccogliere egli stesso prima di scendere nel sepolcro sopra l’opera propria il giudizio e l'elogio da' suoi contemporanei. E il giudizio compendioso ma concorde fu che l'azione sua di pontefice aperse un solco profondo e duraturo nella storia della Chiesa e dell'incivilimento.
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Non apprezzo i monaci atei. Livi, autorevole e venerabile teologo di establishment nega la cattolicità del “profeta” Bianchi
19 aprile 2012 - Paolo Rodari
il Foglio
“Per aver detto ciò che penso su Enzo Bianchi mi danno del cattolico tradizionalista, pigiando con disprezzo sull’aggettivo, ma io non mi sento tale, mi sento piuttosto cattolico punto e basta, uno che senza offendere nessuno cerca di difendere la vera teologia dai falsi profeti, da coloro che dicono di fare teologia e invece altro non fanno che una squallida filosofia religiosa. Bianchi è uno di questi”.
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Se alla Santa Messa si canta Ligabue: “quando questa merda intorno/ sempre merda resterà/ riconoscerai l’odore/ perché questa è la realtà”…
Libero 21 aprile 2012
di Antonio Socci
Ma i vescovi e i preti credono ancora alla vita eterna? Spero di sì, ma dovrebbero farcelo capire. Specie nei funerali, in particolare quelli di personaggi famosi.
Ho letto, per esempio, le cronache sul rito funebre del giovane calciatore Piermario Morosini che pure “Avvenire” ha messo in prima pagina con una grande foto notizia e questo titolo: “L’ultimo gol di Morosini. Folla ed emozione ai funerali a Bergamo”. Un altro sommario del giornale dei vescovi diceva: “Lacrime, canzoni e applausi. Commovente il ricordo del suo parroco”.
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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
AGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA DEI
VESCOVI CATTOLICI DEGLI STATI UNITI D’AMERICA
IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"
Sala del Concistoro
Giovedì, 19 gennaio 2012
... tale consenso, così come racchiuso nei documenti fondanti della nazione, si basava su una visione del mondo modellata non soltanto dalla fede, ma anche dall’impegno verso determinati principi etici derivanti dalla natura e dal Dio della natura.
Oggi tale consenso si è ridotto in modo significativo dinanzi a nuove e potenti correnti culturali, che non solo sono direttamente opposte a vari insegnamenti morali centrali della tradizione giudaico-cristiana, ma anche sempre più ostili al cristianesimo in quanto tale.
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Commento al Vangelo — III Domenica di Pasqua
Cristo è risorto! Viva è la nostra Fede!
La notizia della Resurrezione di Gesù suscitò nel Cenacolo e nel Sinedrio un clima febbricitante. Il tema era lo stesso, le testimonianze, però, del tutto differenti, e ancor più i destinatari dei racconti. Il dogma della Resurrezione sarebbe stato fondamentale per la Religione ed era indispensabile la testimonianza, con una solida e fondata dichiarazione, di coloro che avevano visto Gesù vivo, nei giorni successivi alla Sua morte.
di Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP
fondatore degli Evangeli Praecones
courtesy of
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Vangelo
35 "Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. 36 Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: ‘Pace a voi!’. 37
Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma 38 Ma egli disse: ‘Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39 Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho’. 40 Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41 Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: ‘Avete qui qualche cosa da mangiare?’. 42 Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43 egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. 44 Poi disse: ‘Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi’.
45 Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture e disse: 46 ‘Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno 47 e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48 Vós Di questo voi siete testimoni.’" (Lc 24, 35-48).
I – Gli Apostoli ed il Sinedrio davanti alla Resurrezione
L’ipotesi che, una volta morto Gesù, i Suoi discepoli abbiano rubato e occultato il Suo corpo, con l’intento di diffondere la notizia della Sua Resurrezione, riappare con frequenza nel corso della Storia.
Poco dopo che il Salvatore aveva operato il grande miracolo di riprendere la Sua vita umana in corpo glorioso, i suoi avversari, quelli stessi che avevano pianificato e voluto la Sua morte, comprarono la testimonianza di soldati venali e — per timore e odio — misero in circolazione quest’ipotesi (cfr. Mt 28, 11-15).
Ancora oggi, non è raro ascoltare echi di questa insolente presa in giro.
Il contrario di fanatici e allucinati
D’altra parte, l’idea di considerare la Resurrezione del Signore un mito nato dall’allucinazione sofferta da poche persone, non fu estranea agli stessi Apostoli. Fu quello che accadde quando ascoltarono la narrazione fatta dalle Sante Donne dopo il loro incontro con Gesù quel "primo giorno" (cfr. Lc 24, 1-11).
Lo stesso fatto è la conferma che i discepoli non possono essere stati gli autori di una favola su questo miracolo, poiché l’esperienza insegna quanto sia in funzione di un grande desiderio, o di un grande timore, che l’allucinato comincia a vedere miraggi. L’ipotesi che — per pura allucinazione — fossero stati gli Apostoli gli autori del "mito" della Resurrezione del Signore non smise di circolare attraverso le bocche e le penne degli eretici, in questa o in quell’epoca.
In realtà, essi non avevano compreso la portata delle affermazioni del Signore su quanto sarebbe accaduto il terzo giorno dopo la Sua morte, non giungendo neppure alla condizione di temere o desiderare la Resurrezione, motivo che li indusse a negare, senza esitazioni, la veridicità della narrazione fatta dalle Sante Donne. Essi dimostrarono di essere del tutto estranei rispetto all’accusa di essere stati dei fanatici e allucinati a proposito della Resurrezione, poiché non accettavano neppure la semplice possibilità che questa potesse effettivamente verificarsi. L’esempio massimo della loro impostazione di spirito si verificò in San Tommaso, il quale si arrese soltanto di fronte a un fatto irrefutabile: mettere il dito nelle piaghe di Gesù.
Inoltre, negare la veridicità della Resurrezione, lanciando la calunnia di essere stata una invenzione di allucinati, corrisponderebbe, ipso facto, a riconoscere l’esistenza di un miracolo di non molto minore portata: quello della conquista e riforma del mondo, portata a termine da un ridotto numero di deviati.
Domenica di Resurrezione nel Cenacolo
La Storia ci fa conoscere quanto, la mattina di quella Domenica, gli Apostoli si trovassero in uno stato di dolore e tristezza (cfr. Mc 16, 10). Mancava loro la speranza, poiché nessuno di essi credeva all’ipotesi che il Maestro ritornasse in vita.
I fatti si succedevano, ma nonostante le Sante Donne fossero entrate nel Cenacolo con molta agitazione per raccontare il sorprendente avvenimento di aver trovato vuoto il sepolcro e un Angelo al suo interno, nessuno di loro era indotto a supporre la Resurrezione. Senza dubbio, Pietro e Giovanni si diressero immediatamente al sepolcro, con Maria di Magdala, confermando al loro ritorno, il racconto delle Sante Donne: il sepolcro era vuoto (cfr. Lc 24, 1-12). Coloro che vivevano ad Emmaus tornarono a casa molto afflitti, sconsolati, commentando le esagerazioni — secondo loro — dell’immaginazione femminile.
Subito dopo, Maria di Magdala ritornò al Cenacolo ad annunciare euforicamente l’incontro che aveva appena avuto col Signore. Ancora dopo, le altre Sante Donne entrarono per narrare l’apparizione di Gesù Risorto. Anche sommando questi episodi ai precedenti, ancora una volta, non credettero alle loro parole (cfr. Mc 16, 1-11). Pietro si avviò al sepolcro e, al ritorno, affermò che di fatto il Signore era risorto, poiché gli era apparso (cfr. Lc 24, 34). Alcuni gli credettero, altri no (cfr. Mc 16, 14).
La notte, fu la volta dei due discepoli di Emmaus a dare la loro minuziosa testimonianza sul famoso avvenimento che sarebbe culminato con l’aprirsi dei loro occhi, riconoscendolo "nello spezzare il pane" (Lc 24, 35). Nel Cenacolo si trovavano tutti riuniti a commentare l’apparizione del Signore a Pietro. Ancora, nonostante ciò, la maggioranza continuava a negare la Resurrezione di Gesù.
Considerazioni del Sinedrio di fronte al miracolo
Parallelamente a quanto si discuteva con tensione, suspense e una certa paura nel Cenacolo, i principi dei sacerdoti e il Sinedrio in generale discorrevano sulla narrazione fatta dai soldati, la quale rendeva evidente il fatto che Gesù fosse risorto. Era un’ipotesi ardua ugualmente per loro, ma sapevano considerarla pragmaticamente, misurando bene tutti i danni che da una simile realtà potevano derivare.
In città, celebrato già il sabato, le attività erano state riprese in tutta normalità. Soltanto nel Cenacolo e nel Sinedrio dominava la frenesia, in quelle ore del dopo cena. Il tema era lo stesso, le testimonianze, però, molto differenti, e ancor più i destinatari dei racconti. Il dogma della Resurrezione è fondamentale per la Religione ed era indispensabile la ferma testimonianza di coloro che avevano visto Gesù vivo, nei giorni successivi alla Sua morte. Nonostante i Suoi insistenti avvisi e profezie, se non ci fossero stati dei testimoni oculari, sarebbe stato difficile credere in un così grande miracolo.
È proprio a questo punto che, pur essendo sprangate le porte e le finestre, Gesù entrò nel Cenacolo, iniziando il brano evangelico della Liturgia di oggi.
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Avvenire 14-4-2012
RADICI CRISTIANE
Ex voto d'Italia la fede a colori
Si chiama italiavotiva.it ed è il nuovo sito Web dedicato alla pittura «per grazia ricevuta», che viene presentato oggi al Museo diocesano di Genova, presente il vescovo ausiliare monsignor Luigi Palletti. Contemporaneamente sarà presentata anche una brochure di 16 pagine e una guida alla lettura dei quadri votivi.
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AsiaNews 12/04/2012 08:44
ISLAM - FRANCIA
Abdennour Bidar: Mohammed Merah, un mostro creato dalla malattia dell'islam
di Samir Khalil Samir
Un grande filosofo musulmano francese si domanda se la violenza salafita - come quella che ha ucciso i bambini della scuola ebraica di Tolosa - non sia il sintomo di qualcosa di guasto nella tradizione musulmana. Una religione che si è chiusa in se stessa. Per rinnovare oggi l'islam occorre accettare la sfida della modernità e dell'umanesimo. " Chi avrà questo coraggio ? Chi si prenderà questo rischio ? ". L'analisi di p. Samir Khalil.
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Vatican Insider 12-4-2012
Il prete del dissenso a Schönborn: «Anche lei disobbedisce»
Peter Paul Kaspar, cappellano dell’Accademia e degli artisti di Linz, uno dei leader della «Pfarrer-Initiative», scrive una lettera aperta al cardinale di Vienna
ANDREA TORNIELLI
roma
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Fadelle Joseph, Il prezzo da pagare, San Paolo 2011, pp. 216 - 18,00 euro
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(di Fabrizio Cannone) E’ difficile recensire, senza pathos, un libro che ha toccato nel profondo e altresì profondamente commosso centinaia di migliaia di lettori (Joseph Fadelle, Il prezzo da pagare, San Paolo, Cinisello Balsamo 2011, pp. 220, euro 18). Joseph Fadelle, nasce nel 1964 in Iraq, da una famiglia dell’alta aristocrazia sciita, notoriamente perseguitata dai sunniti, il gruppo maggioritario nell’Islam, e dal governo autocratico di Saddam Hussein. Il suo vero nome è Mohammed al-Sayyd al-Moussaoui e la sua famiglia “discende direttamente da quella del Profeta” (p. 14).
La storia della sua conversione al cattolicesimo, narrata nel libro, nasce da un incontro fortuito fatto in caserma dove lui svolgeva il servizio militare. Infatti fu mandato nella camerata con un cristiano di 44 anni, di nome Massoud. Ben presto una profonda amicizia nasce tra i due commilitoni. La cosa che più stupisce Mohammed è «la capacità di ascoltare» così «empatica e benevola» (p. 22) di Massoud. Tra letture, conversazioni, approfondimenti, piano piano Mohammed si rende conto di non accettare più tante cose dell’Islam.
Ma la conversione piena avverrà per Mohammed, come per certi Patriarchi del Vecchio Testamento, attraverso un sogno. Si trovava nel sogno misterioso presso un ruscello e aveva di fronte un uomo di straordinaria bellezza, che lo attraeva con il suo sguardo «di una dolcezza infinita» (p. 35). Quest’uomo, evidentemente Gesù di Nazareth, gli dice una sola frase che sarà per lui l’incipit dell’adesione definitiva alla fede cristiana: «Per attraversare il ruscello, hai bisogno del pane della vita» (p. 35). Quando il Nostro scoprirà, nel Vangelo di Giovanni, prestatogli dall’amico Massoud, che Gesù stesso usò quell’espressione, a lui ignota, avrà una certezza spirituale di essere sulla strada giusta.
Ma da qui iniziano i suoi dolori e si manifesta, con una crudeltà senza pari, il suo «prezzo da pagare» per abbandonare l’Islam e farsi cristiano-cattolico. Le prime croci arrivano dalla Chiesa locale la quale farà di tutto per dissuaderlo dal divenire cristiano! Queste pagine, sono forse le più dolorose del libro, e vanno ben meditate per capire fino a che punto, la “crisi della fede” di cui parla così spesso Benedetto XVI, sia diventata oramai qualcosa di profondamente radicato e di universale.
Un prelato, alla sua richiesta di battesimo, gli risponde, ribaltando l’esempio di Cristo che corre per una sola pecora da salvare (cfr. Mt. 18, 12-14), che: «Non si può sacrificare tutto il gregge per salvare una sola pecora…» ! (p. 52). Dopo che la famiglia lo persuade/obbliga a sposare una giovane mussulmana, da cui ha presto un figlio, inizia la carcerazione, per farlo tornare nell’Islam (cfr. pp. 94-110).
Passa oltre un anno in un penitenziario come sorvegliato speciale tra i criminali comuni. Dei dolori indicibili della prigionia, dovuta si badi bene, non al governo o ai “fondamentalisti”, ma alla propria famiglia, scrive così: «Se non avessi sperimentato la vita in cella non avrei mai potuto sprofondarmi in questo cuore-a-cuore con Gesù e il suo Spirito» (p. 105).
Quando esce dal penitenziario pesa soltanto 50 kg e la stessa moglie fa fatica a riconoscerlo. Nel 2000, dopo mille peripezie, fugge con la famiglia dall’Iraq e si rifugia in Giordania. Da lì, con l’aiuto di una suora coraggiosa, la definitiva fuga verso l’Europa. Il 15 agosto del 2000, festa dell’Assunzione di Maria, nell’Anno giubilare, arriva a Parigi dove si trasferisce con la moglie e i due figli, che nel frattempo hanno ricevuto il battesimo. Il racconto della sua storia, uscito in Francia nel 2010, è divenuto un best seller, e pare, ha prodotto nuove conversioni di islamici al cristianesimo.
(Fabrizio Cannone, per Corrispondenza Romana)
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UDIENZA
AGLI AMMINISTRATORI DELLA REGIONE LAZIO, DEL COMUNE E DELLA PROVINCIA DI ROMA
12.01.2012
Sono ormai alcuni anni che (...) si avvertono gli effetti della crisi economica e finanziaria che ha colpito varie aree del mondo e che, come ho avuto modo di ricordare, ha le sue radici più profonde in una crisi etica...
La crisi attuale, allora, può essere anche un’occasione per l’intera comunità civile di verificare se i valori posti a fondamento del vivere sociale abbiano generato una società più giusta, equa e solidale, o se non sia, invece, necessario un profondo ripensamento per recuperare valori che sono alla base di un vero rinnovamento della società e che favoriscano una ripresa non solo economica, ma anche attenta a promuovere il bene integrale della persona umana.
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Commento al Vangelo – 2ª Domenica di Pasqua
"La pace sia con voi"
È per il nostro beneficio che gli Apostoli hanno visto Gesù risorto, hanno creduto nella Risurrezione e di essa hanno dato testimonianza: affinché noi, credendo, otteniamo la vita eterna.
di Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP
fondatore degli Evangeli Praecones
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[19] La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". [20] Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. [21] Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". [22] Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; [23] a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". [24] Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. [25] Gli dissero allora gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore!". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò". [26] Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". [27] Poi disse a Tommaso: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!". [28] Rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!". [29] Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!".[30] Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. [31] Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. (Gv 20, 19-31).
I – "Mentre erano chiuse le porte"
[19] La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!".
Per vari motivi, la redazione dei Vangeli, malgrado sia di una precisione insuperabile, è sintetica. Per un sapiente soffio dello Spirito Santo, i suoi autori scelgono non soltanto i termini ideali, ma anche gli aspetti essenziali e più importanti degli episodi narrati per trasmettere ai fedeli il messaggio ispirato. Vediamo, per esempio, come è ricca di significato questa succinta affermazione: "Mentre erano chiuse le porte".
Paura e insicurezza degli Apostoli
Molti sono i commentatori che mettono in risalto questo particolare. Beda mostra che il motivo della dispersione degli Apostoli, in occasione della Passione – il timore dei giudei -, è lo stesso che li mantiene poi riuniti e con le porte chiuse. Secondo Crisostomo, la paura avrebbe dovuto aumentare di intensità, in loro, al cadere della sera. E, realmente, è probabile che l’insicurezza abbia pervaso le anime di tutti a partire dal momento in cui fu comunicato da Maddalena e constatato da Pietro e Giovanni, che il Corpo del Divino Maestro era scomparso dal sepolcro. Sicuramente il Sinedrio avrebbe preso misure di rappresaglia una volta informato dalle guardia di quanto successo.
La paura è spesso un fattore di aggregazione, e alle volte di dispersione. Quest’ultima già si era verificata. In quel momento, erano tormentati nelle loro coscienze dal dolore e da un senso di disorientamento totale. Soltanto riunendosi avrebbero potuto ottenere un sicuro sostegno morale. L’istinto di socialità esigeva (questa) il ricongiungimento di tutti di fronte alla grande perplessità causata dai tragici avvenimenti di quei giorni.
Questi sono gli aspetti di ordine naturale e psicologico che spiegano quella situazione. Comunque, di maggiore rilevanza sono i disegni di Dio.
Dimostrazione irrefutabile della Risurrezione
La paura che, per una efficace azione della grazia, non aveva colpito il cuore di Maria Maddalena né quello dei Discepoli di Emmaus, penetra invece nel cuore degli Apostoli, mescolandosi con le angosce causate da tanta sofferenza accumulata. Quale la ragione di tutto questo? Se agli uni la Provvidenza aveva riservato prove di grande consolazione e affetto, agli altri era destinata la dimostrazione di una irrefutabile e autentica risurrezione. Porte sprangate e invalicabili rendevano evidenti le qualità del glorioso stato del corpo del Salvatore. Questa opinione è condivisa da autori di grande prestigio come, per esempio, da Teofilo, che fa notare come Gesù sia penetrato in quel recinto (recinto significa "spazio circondato da uno steccato". Secondo me va meglio luogo) fermamente sprangato usando la stessa capacità grazie alla quale era uscito dal sepolcro. Sant’Agostino fa un accostamento tra la nascita del Divino Bambino, che ha lasciato il ventre materno di Maria Santissima senza ledere la sua Verginità, e questa penetrazione nell’ambiente degli Apostoli, affermando che niente potrebbe impedire il passaggio di un corpo abitato dalla Divinità.
Caratteristiche del corpo glorioso
In effetti, la Teologia ci insegna che la gloria del corpo trova la sua causa nella gloria dell’anima, dunque, essendo l’uomo una creatura mista, è indispensabile che tanto il corpo quanto l’anima siano oggetto della glorificazione celeste; pertanto è essenziale che quando l’anima è glorificata, anche il corpo lo sia. Questa è la dottrina chiaramente sostenuta da San Tommaso d’Aquino:
"Vediamo che quattro cose provengono al corpo dall’anima, e tanto più perfettamente quanto più vigorosa è l’anima. Per prima cosa gli dà l’essere; pertanto, quando l’anima raggiunge il sommo della perfezione, gli darà un essere spirituale. In secondo luogo, lo preserva dalla corruzione (...); quindi, quando essa sarà perfettissima, conserverà il corpo interamente impassibile. In terzo luogo, gli darà bellezza e splendore (...);e quando arriverà alla somma perfezione, renderà il corpo luminoso e splendente. In quarto luogo, gli dà movimento, e tanto più leggero sarà il corpo quanto più potente sarà il vigore dell’anima su lui. Per questo, quando l’anima ormai sarà all’estremo della sua perfezione, darà al corpo agilità"
Ecco dunque il risultato di questa profonda unione, nella quale l’anima è la forma del corpo. In questo stato di prova in cui ci troviamo, quasi sempre il corpo è una zavorra e un ostacolo per i voli dell’anima, proprio come ci dice il Vangelo: "Lo spirito è pronto, ma la carne è debole" (Mt 26, 41). Ma, nella beatitudine eterna, il corpo spiritualizzato sarà pienamente armonizzato con l’anima, che avrà un dominio assoluto su tutti i movimenti corporei (,) ed in questo consisterà la sua agilità. Gli stessi sensi fisici, nell’ambito della loro stessa natura, potranno essere usati dall’anima a suo piacimento. Per questo, dopo la nostra risurrezione, potremo passeggiare per gli astri e per le stelle senza l’ausilio di nessuna nave spaziale; e, all’estremo opposto, ci sarà facilissimo contemplare le molecole o gli atomi costitutivi di una bella pietra preziosa.
Lasciando da parte le altre caratteristiche dei corpi gloriosi – del resto, anch’esse straordinariamente meravigliose -, per incantarci basterebbe che noi considerassimo solo questa: la sottilezza, utilizzata dal Salvatore, per entrare nel recinto/luogo del Cenacolo attraverso le "porte chiuse". San Tommaso ci spiega che i corpi gloriosi avranno "ogni volta e sempre che lo vogliano", la facoltà di passare, o no, attraverso altri corpi . Cita a questo proposito precisamente l’uscita di Gesù risorto dal Santo Sepolcro, come pure il suo ingresso nel Cenacolo a porte chiuse, oggetto ora della nostra analisi, oltre che la sua Nascita .
Gesù li saluta augurando loro la pace
Gli Apostoli erano sprofondati in uno stato estremamente doloroso per l’incommensurabile perdita e Gesù provava compassione per la grande sofferenza che quella circostanza aveva determinato in loro, per questo non lascia terminare il giorno senza mostrarSi ancora una volta a quegli uomini. In precedenza si era fatto vedere dalle sante donne, da Pietro e dai discepoli di Emmaus. Questa volta, di notte, si presenta agli Apostoli riuniti, "mentre erano chiuse le porte", e così rende manifesta la sua miracolosa risurrezione.
Gesù ha approfittato del sopraggiungere della notte, poiché era il momento in cui tutti sarebbero stati insieme (,) e Si è collocato in mezzo a loro, per poter così essere meglio contemplato da tutti.
Secondo un bel commento di San Gregorio Nazianzeno, Gesù li saluta augurando loro la pace – il che, del resto, era comune tra i giudei – non solo perché sarebbe stato riconosciuto da loro immediatamente, ma anche per servire a noi da esempio. Soltanto a coloro che chiudono le porte dell’anima alle deleterie influenze del mondo, Cristo appare offrendo la consolazione della vera pace.
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Avvenire 8 aprile 2012
Seul, una Pasqua da record
di p. Piero Gheddo
Non c’è forse paese al mondo che nell’ultimo mezzo secolo abbia registrato una crescita così sostenuta come la Corea del Sud, anche nelle conversioni a Cristo. Dal 1960 al 2010, gli abitanti passano da 23 a 48 milioni, reddito pro capite da 1.300 a 19.500 dollari, i cristiani dal 2 al 30%, dei quali circa il 10-11% sono cattolici (5,4 milioni su 49-50); i sacerdoti coreani erano 250, oggi sono 5.000. Sono stato in Corea del Sud nel 1986 col padre Pino Cazzaniga, missionario del Pime in Giappone che parla il coreano. Una Chiesa locale con tante conversioni e ancor oggi è così. Ogni parrocchia ha dai 200 ai 400 battesimi di convertiti dal buddhismo all’anno.
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AsiaNews 3-4-2012
BANGLADESH
Bangladesh: Ex imam si converte al cattolicesimo. Ridotto in fin di vita
di Maria Gomes
Il leader musulmano diventa cristiano presbiteriano all’estero. Incontra una cattolica, si sposano, e decide di farsi cattolico. Tornato in Bangladesh, affronta il rifiuto totale della comunità d’origine. Ma tra violenze e ostracismo sociale, resta saldo nella sua fede: “Credo in Cristo, l’ho accolto. È il mio salvatore”.
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5 aprile 2012 :: Sette de Il Corriere della Sera
Il Vangelo rinasce nei santuari
di Vittorio Messori
Domenica di Pasqua. Per la fede, è l’ evocazione della risurrezione di quel Gesù, crocifisso tre giorni prima, che -proprio uscendo dal sepolcro- mostra di essere il Cristo, il Messia annunciato dai profeti e atteso da Israele. Molti, anche tra i credenti, hanno dimenticato che , per secoli, in confronto alla Pasqua il Natale fu una festa secondaria e che, ancora oggi, le Chiese orientali danno maggior risalto liturgico alla Epifania, segno della manifestazione di quel Messia a tutte le genti. E quanti, pur tra coloro che praticano la Messa, ricordano che la domenica si chiama così (Dies Domini, giorno del Signore) perché è il rinnovamento, 54 volte l’anno, di quel “giorno dopo il sabato“ in cui avvenne il Grande Evento?
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Un regalo meraviglioso alla nostra generazione: “L’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
7 aprile 2012 / Antonio Socci
E’ un paradosso, ma i moderni “non credenti” sembrano letteralmente affascinati da Gesù di Nazaret. Ernst Renan lo definisce “uomo incomparabile, grande al punto che non mi sentirei di contraddire coloro che lo chiamano Dio”.
Un altro intellettuale “anticristiano” Paul Louis Couchoud ammetteva:
“Nella mente degli uomini, nel mondo ideale che esiste sotto i crani, Gesù è incommensurabile. Le sue proporzioni sono fuori di paragone, il suo ordine di grandezza è appena concepibile. La storia di Occidente, dall’impero romano in poi, si ordina intorno a un fatto centrale, a un evento generatore: la rappresentazione collettiva di Gesù e della sua morte. Il resto è uscito di là o si è adattato a ciò. Tutto ciò che si è fatto in Occidente durante tanti secoli si è fatto all’ombra gigantesca della croce”.
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Gentili amici,
il lunedì di Pasqua la Chiesa festeggia la Santa Vergine venerata sotto il titolo di "Madonna dell'Arco".
Per onorare la Sempre Vergine totustuus.it offre ai suoi utenti registrati un'opera del Cardinal Giuseppe Siri sullo sfacelo della teologia contemporanea:
Il Getsemani della teologia contemporanea
De Lubac, Rahner, Maritain
Descrizione: SOMMARIO. 1) CRITERI FONDAMENTALI. Considerazioni fondamentali. Fonti di giudizio e di valutazione. Logica eterna della Carità infinita. 2) CARATTERISTICHE GENERALI DEL MOVIMENTO TEOLOGICO. 3) PRINCIPI ETERNI E PUNTI DI RIFERIMENTO TEMPORALI PER LA COMPRENSIONE DEL MOVIMENTO TEOLOGICO ATTUALE. Il rapporto tra ordine naturale e ordine soprannaturale - Tre casi significativi: a - P. Henri de Lubac. b - P. Karl Rahner. c - Jacques Maritain. L'impalpabile". 4) ALTERAZIONE DELLA STORIA E LIBERAZIONE ETERNA. 5) TRE ESPRESSIONI DELLA NUOVA CORRENTE: L'ALTERAZIONE DELLA STORIA. La coscienza storica. Pietre miliari. 6) CARATTERISTICHE DELLA MENTALITÀ STORICISTA. L'idea del progresso. La mistificazione kantiana. Lo storicismo di Hegel e di Dilthey. 7) ARCO DELLE CORRENTI TEOLOGICHE SCATURITE DALLA MENTALITÀ STORICISTA. A proposito dell'ermeneutica. Reinterpretazione globale del cristianesimo. Relativismo dottrinale assoluto. Negazione dell'Incarnazione. Alterazione della realtà di Cristo
Alterazione radicale della Rivelazione. Disgregazione pluralistica. 8) GETSEMANI.
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Regina Sacratissimi Rosari, ora pro nobis!
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Francesco Agnoli, Case di Dio e ospedali degli uomini, Edizioni Fede & Cultura , 2011, pp. 144, € 13,50
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PREFAZIONE. Faccio volentieri la prefazione a questo libro di Francesco Agnoli perché ha il merito di richiamare un fatto dimenticato gravemente dagli addetti ai lavori, dai pazienti attuali e da quelli futuri (cioè le persone sane), insomma da tutti: gli ospedali sono nati in epoca cristiana.
C’è un perché profondo in questo, che vale anche oggi. Prima di Cristo dominava la morte: la vita era breve, durissima e, quando veniva attaccata dalla malattia, senza speranza. C’era la medicina, ma la sua arte fondamentale, che la distingueva dalla ciarlataneria, era la prognosi. La competenza dei medici si vedeva soprattutto dalla loro esperienza su come la malattia e i pazienti andavano a finire.
L’impotenza era massima, le cure praticamente inesistenti e l’assistenza trascurabile. I malati cronici e contagiosi – come i lebbrosi – venivano allontanati dalle città e abbandonati a morire soli in luoghi isolati. I romani avevano costruito i valetudinari, ma questi erano soprattutto per i soldati, abbastanza forti da sopravvivere validamente alle ferite.
Ippocrate, già cinque secoli prima di Cristo, aveva strappato la medicina ai maghi e ai sacerdoti, facendola diventare da conoscenza occulta a osservazione razionale di processi naturali. Da uomo religioso quale era, aveva introdotto un giuramento, attraverso il quale i medici si facevano responsabili delle loro azioni davanti agli déi, rispettavano la vita come valore fondamentale, si impegnavano innanzitutto a non nuocere e a non fare quello di cui non erano capaci, a rispettare il segreto professionale e a essere solidali fra loro.
Tuttavia, la novità di Ippocrate e dei suoi discepoli – alcuni mettono in discussione addirittura che costui sia veramente esistito, ipotizzando che siano esistiti solo i suoi discepoli – lungo cinque secoli, non fu in grado di dare vita a veri e propri ospedali e, nemmeno, fu molto popolare in epoca classica… fino all’insorgere del Cristianesimo, che adottò il giuramento di Ippocrate e lo fece proprio!
La Resurrezione di Cristo introdusse un’attesa e una definitiva speranza. La morte non era più l’ultima parola sulla vita.
Quest’ultima era più forte, indomabile ed eterna, in ogni caso amata da Dio. Egli stesso, infatti, aveva mandato il suo Figlio a condividere il destino dell’uomo, la sua sofferenza, la sua domanda di salvezza, cui aveva trionfalmente risposto. Così la morte e la malattia potevano essere vissute, affrontate e rischiate per lo stesso amore con cui Cristo aveva amato noi. Era possibile la carità, l’amore gratuito per l’altro, non secondo la propria convenienza, ma per il suo destino. Assistere gli ammalati poteva significare morire per aver contratto un’infezione, che era la causa più frequente dell’invalidità. Però si incominciò a fare. Come evidenzia bene questo libro, furono i monaci a cominciare ad ospitare gli sfortunati – malati e poveri rappresentavano la stessa sofferenza e ingiustizia – lungo i secoli, soprattutto gli ammalati. La carità religiosa coinvolse la società civile, i laici, i politici e i ricchi che, donando quello che possedevano, cercavano di salvarsi l’anima. Prima i conventi e poi le città furono animate dalla carità cristiana. Gli ospedali divennero maggiori e specialistici, avviandosi ad essere le realtà che conosciamo oggi. Ma sempre la carità fu la molla della dedizione dei medici, degli infermieri, dei parenti e dei volontari. Gli ospedali non sono nati perché si sapesse curare, ma per assistere, per essere presenti vicino a chi soffre e chi muore.
L’assistenza, la pura e caritatevole assistenza, è stata per secoli l’incubatrice di un progresso medico che si è sviluppato, soprattutto recentemente, con la diagnostica, la chirurgia e la farmacologia.
Adesso sembra che non ci sia bisogno della carità, ma della scienza e del diritto di operatori e di ammalati. Non è così. La stragrande maggioranza degli abitanti del mondo sono poveri, si ammalano facilmente e vivono poco.
Senza la carità dei missionari starebbero ancora peggio. Solo quest’ultima fa da argine e scuote l’indifferenza dei ricchi. Questi vivono a lungo, ma gli ultimi anni della loro vita sono tormentati dalla malattia e dall’invalidità. Hanno bisogno di qualcuno che li assista oltre l’impotenza delle medicine. Altrimenti, senza amore e senza speranza, meglio morire. Le aspirazioni all’eutanasia attiva sono una pietra tombale per i rapporti umani. La stessa medicina, salvando le vite, conserva invalidità gravi che hanno bisogno di un’assistenza diuturna e che solo in un’assistenza così possono trovare la speranza di valutazioni e rimedi più efficaci. Infine, non si può curare e assistere guardando l’orologio, tutti abbiamo bisogno di un minuto in più; un minuto nel quale il rapporto tra malato, medico e infermiere acquista significato, diventa fattore di speranza per sé e per tutti.
In fondo gli ospedali di oggi, per essere veramente tali, cioè corrispondenti al bisogno di chi vi cerca ricovero, necessitano dello stesso impeto degli ospedali di una volta. La medicina moderna guarisce ma, curando meglio, produce essa stessa ammalati e invalidi cronici. Malattia e morte possono venire nascoste sotto lo scintillio delle apparecchiature e delle tecniche più sofisticate, ma non per questo sono meno gravi e drammatiche. Tutti ci siamo passati, o magari indirettamente e sicuramente ci passeremo in modo diretto.
Malattia e morte sono il segno della radicale inadeguatezza dell’uomo a salvarsi. L’ospedale, rispondendo al bisogno di salute, deve rispondere a un bisogno che è di tutta la persona e non solo dei suoi meccanismi biologici. Altrimenti a che vale curare? "Lunga agonia è la vita", diceva Shakespeare.
Giancarlo Cesana
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UDIENZA AL CORPO DIPLOMATICO
ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE
PER LA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI PER IL NUOVO ANNO
09.01.2012
... le politiche lesive della famiglia minacciano la dignità umana e il futuro stesso dell’umanità.
Il contesto familiare è fondamentale nel percorso educativo e per lo sviluppo stesso degli individui e degli Stati; di conseguenza occorrono politiche che lo valorizzino e aiutino così la coesione sociale e il dialogo…
In questo contesto dell’apertura alla vita, accolgo con soddisfazione la recente sentenza … che vieta di brevettare i processi relativi alle cellule staminali embrionali umane, come pure la Risoluzione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, che condanna la selezione prenatale in funzione del sesso.
Più in generale, guardando soprattutto al mondo occidentale, sono convinto che si oppongano all’educazione dei giovani e di conseguenza al futuro dell’umanità le misure legislative che non solo permettono, ma talvolta addirittura favoriscono l’aborto, per motivi di convenienza o per ragioni mediche discutibili.
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Commento al Vangelo – Pasqua di Risurrezione del Signore
Una donna ha preceduto gli Evangelisti
La verità più importante del Vangelo è stata annunciata, in prima battuta, da una donna, Maria Maddalena: lei è stata il primo araldo della Risurrezione di Gesù. Dio l’ha scelta per il suo fervido amore a Gesù.
Don João Scognamiglio Clá Dias, E.P.
fondatore degli Evangeli Praecones
courtesy of
[www.salvamiregina.it]
Vangelo
Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!". Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti (Gv 20, 1-9).
I – Vittoria di Cristo sulla morte
"Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto…"
Sarebbe sufficiente questo amore infinito del Padre per il Suo Unigenito perché si operasse la Sua risurrezione, tuttavia, oltre a ciò ha concorso per questo la luce della giustizia divina, conformemente a quanto scrive San Tommaso d’Aquino: A questa spetta esaltare quelli che si umiliano a causa di Dio, come dice San Luca (1, 52): "Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili". E visto che Cristo, per il suo amore ed obbedienza a Dio, si è umiliato fino alla morte in croce, era necessario che Egli fosse esaltato da Dio fino alla risurrezione gloriosa.
Colti da adorazione, ancora una volta ci è stato possibile seguire liturgicamente nel corso della Settimana Santa, quanto la morte abbia avuto un’apparente vittoria sul calvario. Tutti coloro che passavano di là, potevano constatare la "sconfitta" di Chi tanto potere aveva manifestato non solo nelle innumerevoli guarigioni operate, ma anche nel Suo camminare sulle acque o nelle due moltiplicazioni dei pani.
I mari e i venti Gli obbedivano e persino i demoni erano, per sua volontà, stanati ed espulsi. Quello stesso che tanti miracoli aveva prodigato, era stato crocifisso tra due ladroni e, di fronte alle Sue estreme sofferenze, quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: "Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!". Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: "Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. È il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!" (Mt 27, 39-43).
Tuttavia, il modo in cui era stata rimossa la pietra del sepolcro e la scomparsa delle guardie, erano di per sé, una prova sensibile di quanto era stata sconfitta la morte, conformemente a quanto lo stesso San Paolo commenta: "La morte è stata ingoiata dalla vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? (1Cor 15, 54-55). I fatti successivi hanno reso ancor più palese la trionfante Resurrezione di Cristo e per questo i prefazi della Pasqua cantano successivamente:
"Morendo, ha distrutto la morte, e, risorgendo, ci ha dato la vita" (I). " La nostra morte è stata redenta dalla sua e nella sua resurrezione è risorta la vita per tutti" (II). "Immolato, già non muore; e morto, vive eternamente" (III). "E, distruggendo la morte, ci ha garantito la vita in pienezza" (IV).
Queste frasi costituiscono una sequenza di affermazioni che proclamano la vittoria di Cristo non solo sulla propria morte, ma anche sulla nostra. Egli è il capo del Corpo Mistico ed essendo risuscitato, recherà necessariamente la nostra rispettiva risurrezione, poiché questa ci è garantita dalla Sua presenza nel Cielo, nonostante siamo, per ora, sottomessi all’impero della morte. Paradossalmente, il sepolcro violentemente aperto a partire dal suo interno, ha dato alla morte un significato opposto, questa è passata ad essere il simbolo dell’ingresso nella vita, poiché Cristo ha voluto "distruggere con la sua morte colui che aveva il dominio della morte, cioè il demonio", e così liberare coloro che "erano soggetti a schiavitù per tutta la vita" (Eb 2, 14).
L’anima di San Paolo esulta di gioia di fronte alla realtà della Risurrezione di Cristo. In essa, proprio come lui stesso ci dice, troviamo il nostro trionfo sulla morte: "e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo" (1Cor 15, 22); "… Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti" (1Cor 15, 20-21).
Nella Risurrezione vediamo, inoltre, realizzata da Gesù, la profezia che Egli stesso aveva fatto poco prima della Sua Passione: "Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori" (Gv 12, 31). Di fatto, il compimento, propriamente detto, di questa profezia era iniziato durante i quaranta giorni di ritiro nel deserto ed è continuato passo dopo passo lungo la Sua vita pubblica espellendo i demoni che incontrava nel cammino, per giungere all’apice nella Sua Passione: "avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo" (Col 2, 15).
In seguito, non solo il demonio, ma il mondo stesso è stato sconfitto: innumerevoli pagani hanno cominciato a convertirsi e mo lti hanno sacrificato la loro vita per difendere la croce, animati dalle luci della risurrezione del Salvatore. In funzione di questa, hanno cominciato ad essere accolti nel Corpo Mistico tutti i battezzati che, rivitalizzati dalla grazia e senza smettere di restare inclusi nel mondo, hanno reso perpetuo il trionfo di Cristo: "Abbiate fiducia; io ho vinto il mondo" (Gv 16, 33). Si tratta, pertanto, di una vittoria ininterrotta, che mantiene il suo rifulgente splendore intatto come nel giorno della Sua risurrezione, senza venire mai diminuita. Con la redenzione, Cristo ha sigillato le porte del seno di Abramo dopo aver liberato, dal suo interno, le anime che lì aspettavano l’ingresso nel piacere della gloria eterna.