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di Rino Cammilleri
Perfino papa Francesco ha ammonito il popolo, quando si è accorto che certi cani e gatti hanno più cure e coccole dei bambini. Anzi, ormai i pets hanno sostituito i babies nel cuore di troppi. E Bergoglio non è certo uno che ami andare contro il trend politicamente corretto. Ma una volta tanto, nelle sue uscite a braccio, aveva centrato il punto.
Quanno ce vo’ ce vo’. Ormai siamo così incancreniti nell’edonismo dell’«attimo fuggente» (cioè, godi oggi, domani si vedrà…) che ci commuoviamo fino alle lacrime per la sorte di un cagnetto mentre non ci importa niente, anzi sbuffiamo infastiditi, per quella di un bambino malatissimo.
Parliamo di Charlie Gard, il bambino inglese affetto da una rara malattia genetica che i genitori, Chris e Connie, vorrebbero sottoporre a una cura sperimentale negli Usa ma a cui l’ospedale inglese dove è ricoverato vuole staccare la spina.
I sette giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo, cui i due genitori si erano rivolti contro l’ospedale (il Great Ormond Street Hospital), hanno dato loro torto e adesso il piccolo può essere tranquillamente terminato. In questo caso, a gridare «siamo tutti Charlie» sono stati solo i credenti, soprattutto i cattolici, che hanno inanellato una catena internettiana di preghiere e stilato una supplica al Santo Padre, affinché ci metta una buona parola.
Si erano rivolti anche al presidente della repubblica italiana, perché concedesse al bambino la cittadinanza, così da avere almeno un appiglio in qualche articolo della nostra Costituzione che parla del diritto alla salute. Ma c’è Charlie e Charlie, come profeticamente il pontefice aveva paventato.
L’altro Charlie è, ovviamente, un cane, per l’esattezza un dogo argentino, che il cuoco italiano Giuseppe Perna aveva inavvedutamente portato con sé a Copenhagen, dove lavora. Qui le autorità danesi gli avevano sequestrato la bestia, appartenente a una delle razze pericolose che è vietato introdurre in Danimarca. A parte il fatto che non è chiaro come l’uomo sia riuscito a fare entrare il suo cane nel Paese (gli agenti di frontiera non sapevano che a quella razza era proibito l’ingresso?), la legge è legge anche in Danimarca e per detta legge il cane vietato andava soppresso. Apriti cielo.
Le organizzazioni animaliste hanno inscenato un tam-tam internazionale che, solo in Italia, in pochi giorni ha raccolto trecentoquarantamila firme, l’ambasciata danese è stata subissata, la solita Maria Vittoria Brambilla si è messa le mani nei rossi capelli e si è subito mobilitata, la cantante Noemi ha lanciato uno spot supplice per la vita di Iceberg (questo il nome del cane, che i tiggì ci hanno mostrato a lungo mentre affettuoso gioca col suo padrone).
Anche il nostro ministro degli esteri, a quel punto, ha dovuto darsi una mossa et voilà: finalmente l’ambasciatore danese Erik Lorenzen ha mostrato il pollice dritto. Il governo danese ha deciso di soprassedere all’esecuzione del cane italiano e tutti stappano bottiglioni di champagne. In effetti, non c’è del marcio in Danimarca: se il dogo italoargentino non si fosse trovato protagonista di una furibonda zuffa con altra bestia, le autorità non se ne sarebbero nemmeno accorte (come le guardie di frontiera).
Comunque, tutto è bene quel che finisce bene. Anche se non si sa come andrà a finire ‘sta storia: il cane dovrà essere rimpatriato? il padrone potrà continuare a tenerlo praeter legem? ci sarà alla frontiera danese un affollamento di cani vietati? Boh. E non ci interessa.
Quel che ci interessa è l’ammonimento-profezia del papa, qui avverato in pieno: la cosiddetta opinione pubblica si agita più volentieri per la vita di un cane che per quella di un bambino malato. Siamo ormai alla frutta. Che dico? All’ammazzacaffè. Dopo di che, però, viene il conto…
Rino Cammilleri, 30-06-2017 -
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“Sharia controlled zone”
Nel 2014, quando il “Califfo dei musulmani”, dal pulpito della moschea irachena di al Nuri, vagheggiava un ipotetico quanto sconfinato Califfato universale, destinato ad estendersi al di là delle porte d’Europa, nessuno lo prese troppo sul serio. Ma, in realtà, la colonizzazione era in atto da un pezzo.
Il Vecchio Continente brulicava già di piccole roccaforti sharitiche. Quartieri-ghetto, cittadine-enclaves dove, nel corso degli anni, un numero sempre crescente di musulmani si è radicato e radicalizzato preparando così il terreno europeo ad accogliere il seme dell’intolleranza. Francia e Gran Bretagna ma anche Belgio, Olanda, Germania, Svezia e Danimarca. Queste sono alcune delle capitali europee dove paura, e Sharia, fanno novanta. Insomma, non solo il quartiere Molenbeek di Bruxelles, che lo scorso anno offrì protezione all’ex primula rossa del Bataclan, ma un vero e proprio network di satelliti del Califfato all’ombra dell’Unione. “Le società semi-autonome”, di cui parlava Douglas Murray, esperto inglese di immigrazione e direttore della Henry Jackson Society, l’indomani dell’arresto di Salah Abdeslam.
A partire proprio dalla Francia, teatro dell’assalto pionieristico alla redazione di Charlie Hedbo che, nel 2015, ha inaugurato una lunga stagione di sangue. Oltralpe vengono chiamate “Zus” (Zone urbane sensibili) e, secondo le autorità di Parigi, sono 751 in tutto il Paese ed ospitano almeno 5milioni di musulmani. Una di queste è Sevran, banlieue di 50mila anime, nel dipartimento della Senna-Saint-Denis, dove il 90 per cento degli abitanti sono di origine straniera.
Nel Regno Unito, invece, c’è il “Londonistan”. Un’area apparentemente unita che, a dispetto del nome, interessa tanto la metropoli inglese quanto altre zone. Una specie di confederazione nera che finisce col racchiudere quasi tutte le città del Regno Unito: da Liverpool e Manchester e Leeds, da Birmingham a Derby, e Bradford, oltre a Derby, Dewsbury, Leicester, Luton, Sheffield, per finire con Waltham Forest a nord di Londra e Tower Hamlets nella parte orientale della Capitale. Difficile non rendersi conto di dove comincia questo stato nello stato perché persino i manifesti sono lì a ricordare che “stai entrando in una zona controllata dalla Sharia”.
In Belgio, ormai, tutti conoscono Molenbeek. L’esempio più lampante della “segregazione autoimposta in grandi città” a cui fa riferimento Murray nell’intervista rilasciata a Il Foglio. Qui nessuno, anche se non islamico, è autorizzato a bere o mangiare in pubblico durante il Ramadan. Le donne sono rigorosamente velate ed è bandita ogni attività ritenuta “haram” dalla legge coranica che, progressivamente, si è andata a sostituire a quella dello Stato. Bere alcool ed ascoltare musica sono attività non gradite. Come, altrettanto sgradito, fu il blitz con cui l’antiterrorismo parigina mise finalmente le manette ai polsi di Salah Abdeslam. Ma che il quartiere offrisse protezione ai terroristi non lo si è certo scoperto in quell’occasione. In altri anni, Molenbeek, si era già distinta per aver ospitato il gotha del jihadismo internazionale. Stiamo parlando di personaggi del calibro di Abdessatar Dahmane, uno degli assassini di Ahmad Shah Massoud, ma anche Youssef e Mimoun Belhadj e Hassan el-Haski, le menti degli attentati di Madrid dell’11 marzo 2004.
In Olanda esistono 40 aree urbane off-limits, a partire dal distretto di Kolenkit, ad Amsterdam. Ma anche alcuni quartieri di Rotterdam come Pendrecht, Het Oude Noorden e Bloemhof. Utrecht deve fare i conti con la zona di Ondiep. Nella capitale, l’Aia, c’è il distretto di Schilderswijk, ex quartier generale del gruppo “Hofstadt”, che nel pianifico l’assassinio del regista Theo van Gogh.
Anche la Danimarca, così come gli altri Paesi scandinavi, deve fare i conti con il jihadismo diffuso. E, secondo le forze dell’ordine, il numero di persone vicine ad ambienti radicali ha subito un’impennata. Anche grazie a sobborghi enclavizzati come Tingbjerg, Nørrebro e Mjølnerparken, dove l’80 per cento dei residenti non ha origine danese bensì africana o mediorientale.
In Svezia, ancora convalescente dalla strage dello scorso aprile, la città più islamizzata è Malmo, dove il 30 per cento della popolazione è di fede musulmana. Lì si trova il Rosengaard, quartiere nato negli anni ‘60 ed abitato da soli migranti provenienti da Iraq, Afghanistan, Somalia e Balcani. In passato salì agli onori della cronaca, destando notevole scalpore, per via dell’apparizione di alcuni manifesti che minacciavano: “Nel 2030 prendiamo il controllo”.
La Germania ospita un gran numero di migranti e, nella Capitale, esiste Neukolln, uno dei più grande quartieri musulmani del Paese che, non a caso, è stato ribattezzato “la provincia ottomana”. In proposito, Franz Solms-Laubach, giornalista parlamentare del quotidiano Bild, ha scritto: “Anche se ci rifiutiamo ancora di crederlo, intere zone della Germania sono governate dalla legge islamica. Poligamia, matrimoni di minori, giudici della sharia. Da troppo tempo non si fa rispettare lo Stato di diritto. Ci credereste che a Berlino un terzo degli uomini musulmani che vivono nel quartiere di Neukölln abbia due o più mogli?”
In Spagna, invece, c’è una regione intera chiamata “Xarq al Andalus” (Il Levante Spagnolo). Si tratta della porzione di Penisola Iberica affacciata sulla costa mediterranea che, storicamente ottomanizzata, è rivendicata oggi come parte integrante del Califfato islamico. Ma, per i soggetti più radicalizzati, il richiamo non è solo storico ed ideale. Secondo Soeren Kern, analista europea per l’Istituto Gatestone a New York, infatti, le recenti misure antiterrorismo varate da Parigi avrebbero causato una specie di piccola diaspora islamica verso in Spagna.
Ultima, non certo per importanza, è l’Italia. La cui intelligence è recentemente finita al centro delle polemiche per non aver saputo neutralizzare Youssef Zaghba, il terrorista italo-marocchino che, assieme a due complici, ha fatto strage di pedoni sul London Bridge. La Capitale vanta un quartiere, quello di Torpignattara, che – in fatto di densità demografica dei credenti musulmani – non ha nulla da invidiare a Molenbeek. Ma il vero “rischio banlieue”, secondo uno studio uno studio della Fondazione Leone Moressa, riguarderebbe di più altre città italiane come, ad esempio, Bologna. Nella Capitale, infatti, le periferie non sono ancora dei ghetti e la componente multietnica dei quartieri sembra aver scongiurato, per ora, l’avanzata della radicalizzazione.
Pubblicato 9 giugno 2017 |di Elena Barlozzari.
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Lo scandalo della Pontificia Accademia per la Vita
Lo scandalo internazionale suscitato dalla nomina a membro ordinario della Pontificia Accademia per la Vita (PAV) del professor Nigel Biggar (clicca qui e qui), ha costretto il presidente della PAV, monsignor Vincenzo Paglia, a rilasciare un’intervista chiarificatrice a Vatican Insider, a un mitissimo Andrea Tornielli. C’era una remota speranza di potere cogliere almeno un barlume di ravvedimento e autocritica, ma purtroppo bisogna concludere che la toppa è peggio del buco.
È incoraggiante apprendere che la posizione del professor Biggar espressa nel dialogo con Peter Singer e denunciata dal Catholic Herald (liceità dell’aborto fino alla 18esima settimana) non sia la posizione del presidente della PAV e dell’Accademia per la Vita, ma si tratta del minimo sindacale.
Il sollievo però finisce qui. Monsignor Paglia dice di avere ricevuto rassicurazione dal teologo anglicano che questi non ha mai pubblicato nulla sul tema dell'aborto.
Bugia. Nel marzo 2015 sulla rivista Journal of Medical Ethics compare un articolo dal titolo "Perché la religione merita un posto nella medicina secolare". In quell'articolo, dove l'autore, il professor Biggar, difende il ruolo della religione nel dibattito bioetico, un paragrafo è intitolato "Religione persuasiva e la controversia dell'aborto".
Giunti ad un certo punto egli scrive: «Come monoteista biblico cristiano sono sensibile alla difficile situazione dei "poveri", cioè dei deboli e vulnerabili. Storicamente, ovviamente, questa categoria include le donne e in molte parti del mondo continua a includerle. Ma comprende anche gli esseri umani immaturi, certamente i bambini e in maniera discutibile i feti, almeno al di là di un certo punto del loro sviluppo».
Dunque Biggar ha scritto, ed ha detto che mentre il diritto alla vita dei bambini è certo, lo stesso diritto è discutibile per gli esseri umani non nati. E che la 18ª settimana di gestazione sia il punto di sviluppo prima del quale l'aborto sia secondo il professor Biggar moralmente lecito, emerge non solo dal dialogo a cui hanno fatto riferimento il Catholic Herald e monsignor Paglia, ma anche dalla voce diretta dell'interessato in un'intervista rilasciata al giornalista David Edmunds per la BBC riportata integralmente dal Journal of Medical Ethics (clicca qui).
Monsignor Paglia pensa di tranquillizzare gli animi dicendo che il professor Biggar gli ha «assicurato che non intende entrare in futuro nel dibattito su questo tema». Sarebbe interessante capire se il presidente intende dire che quando alla PAV si parlerà di aborto, si seguirà la stessa procedura per i conflitti d'interesse nel consiglio dei ministri: uscire dalla stanza.
Monsignor Paglia afferma che però sul fine vita il professor Biggar «ha una posizione assolutamente coincidente con quella cattolica». Tuttavia neanche qui è possibile convenire. In effetti Biggar è contrario alla legalizzazione dell'eutanasia, ma tale opposizione non è legata, come nella dottrina cattolica, alla dignità e al diritto alla vita di ogni essere umano.
Nel 2004 il professor Biggar ha pubblicato il libro "Aiming to kill. The ethics of suicide and euthanasia". Come osservato dal professor Richard Harries, medico, per 19 anni vescovo anglicano di Oxford e professore emerito di teologia al King's College di Londra, non certo sospettabile di simpatie pro-life, in quel testo Biggar «accetta la distinzione tra vita biologica e biografica e pensa che vi sia prima facie (a prima vista n.d.r.) la possibilità morale di effettuare l'eutanasia non volontaria alle persone che abbiano una vita biologica, ma non biografica, magari come risultato di un grave ictus.
Tuttavia egli aggiunge l'importante restrizione che ciò dovrebbe essere consentito «soltanto se al contempo non minasse il senso di preziosità di ogni vita umana da parte della società».
Nessuna sorpresa; se è moralmente lecito uccidere con l'aborto un essere umano non ancora cosciente, come sostenuto più volte da Biggar, perché per il professore inglese non dovrebbe essere moralmente lecito porre fine ai giorni di un essere umano irrimediabilmente incosciente?
Biggar dunque in quel libro è contrario all'eutanasia non perché la ritenga ingiusta in sé in ogni caso, ma perché teme che essa avvierebbe una china scivolosa e possibili abusi. È lecito dunque domandarsi se per monsignor Paglia questa sia la posizione della Chiesa Cattolica.
È comprensibile l'ansia di abbracci ecumenici e accettabile che i membri della PAV possano in teoria appartenere ad altre religioni, o essere persino atei; in fin dei conti la difesa della vita umana innocente e la prospettiva antropologica fino ad ora sostenuta dal magistero sono comprensibili attraverso il diritto naturale (anche se in via prudenziale per incarichi di tale delicatezza sarebbe sempre bene preferire persone competenti la cui ragione fosse illuminata e sorretta dalla fede).
Però monsignor Paglia dice di avere accolto il professor Biggar dietro indicazione del primate anglicano Justin Welby. E al consigliere spirituale della Comunità di Sant'Egidio dovrebbe essere noto che gli anglicani hanno posizioni etiche piuttosto distanti dal magistero cattolico, soprattutto in materia di sessualità e vita.
Non osiamo quindi immaginare chi abbia segnalato a monsignor Paglia la professoressa Katarina Le Blanc, docente al Karolinska Institut dove conduce le proprie ricerche non disdegnando l'impiego di cellule staminali umane derivanti da soppressione di embrioni sovranumerari ottenuti durante fecondazione in vitro.
Purtroppo Andrea Tornielli non domanda niente sulla nuova accademica svedese.
Così come nessuna domanda il giornalista della Stampa ha per un altro neoincaricato, il professor don Maurizio Chiodi.
A pagina 158 del suo testo "Etica della vita. Le sfide della pratica e le questioni teoretiche", il professor Chiodi parla della generazione naturale e della fecondazione in vitro: «È proprio l'analogia tra le due situazioni che autorizza eticamente la procreazione medicalmente assistita. Non per nulla il 'medicalmente assistita' lo si dice della procreazione [...] Nella procreazione assistita, pur essendo essa realizzata senza rapporto sessuale, è sempre di procreazione che si tratta: è problematico quindi ogni allontanamento rispetto a tale senso 'intenzionato' nelle forme effettive della generazione [...] Nell'intenzione generante della coppia, normalmente legata alla relazione sessuale, si ritrova il paradigma costitutivo della stessa procreazione assistita che, proprio da questa intenzione generante, viene autorizzata come 'atto umano'».
Al di là dello sfumato e del velato, il quadro è perfettamente intellegibile. Se l'intenzione della fecondazione in vitro è generante, allora sarà un atto umano eticamente autorizzato che essa venga realizzata in maniera mediata dal biologo che sceglie i gameti e gli embrioni e dal ginecologo che li depone nell'utero materno? Sarà eticamente autorizzato congelare gli embrioni in vista di un'ulteriore futura intenzione generante? Sarà eticamente autorizzato lo scarto degli embrioni portatori di patologie trasmissibili, se a muoverlo è un'intenzione generante salutista? Tale prospettiva è forse coerente col magistero di Donum vitae, Dignitas personae, Evangelium vitae, Veritatis splendor e col numero 2377 del Catechismo della Chiesa Cattolica? O forse tutto ciò appartiene al ciarpame di un passato superato dalle aperture evocate da monsignor Paglia a Tornielli?
Questi sono fatti, non fumisterie, ed un presidente minimamente rispettoso del proprio ruolo saprebbe dare risposte pertinenti; oppure, se incapace a farlo, saprebbe dimostrare almeno il proprio amore alla causa della vita liberando la carica per chi è in grado di ricoprire in modo degno il ruolo che fu del professor Jerome Lejeune e del cardinale Elio Sgreccia, fondatore del primo centro di bioetica in Italia.
di Renzo Puccetti
19-06-2017
per
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Cinque milioni di buone ragioni
«Non siamo un partito ma vogliamo stringere un’alleanza sui grandi temi antropologici».
Lettera aperta del leader del Family Day
La strategia nazionale contro l’umano e la famiglia prosegue con il varo delle sue lugubri leggi.
È certamente un’onda lunga, iniziata negli anni Settanta con il divorzio e l’aborto e che giunge ai nostri giorni con il divorzio express, le unioni civili – che legittimano di fatto l’adozione dei bimbi da parte di coppie gay e lesbiche – le disposizioni anticipate di trattamento (o interruzioni programmate di vita), la legalizzazione della cannabis e l’educazione all’affettività nelle scuole italiane, ritagliata sulle linee guida delle plurime identità di genere.
In quest’elenco – ahimè, peraltro non completo – ci sono battaglie perse e battaglie ancora da combattere ma, soprattutto, c’è nascosto il grande rischio della delusione e della rassegnazione.
Soprattutto dentro il nostro mondo di credenti, si respira sempre una brutta aria, che va dall’uniformarsi al nuovo corso cultural-politico, magari ricercando mediazioni al ribasso, quasi il “male minore” rappresentasse l’apice dello sforzo etico, fino al cedere del tutto le armi e “tutti a casa”, a curare i propri affari.
Suona quanto mai attuale l’appello di san Paolo ai Romani: «Non conformatevi alla mentalità di questo mondo (di tenebra) in mezzo al quale dovete splendere come astri nel cielo», drammatico monito che nasce dalla parola stessa del Maestro: «Se il sale perde il sapore, con che cosa potrà essere salato; a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini».
Personalmente ritengo che fra le molte ragioni di tanta evidente “insignificanza” della cultura cristiana nel mondo politico italiano c’è certamente lo scarso impegno alla coerenza, personale e sociale, rispetto a valori non emendabili.
Eppure, anche questa “bandiera bianca” potrebbe essere figlia di un veleno che sta ancora più a monte: la corruzione delle coscienze, soprattutto di chi – avendo un ruolo di guida culturale, politica, sociale ed anche religiosa (come non ricordare l’accorato grido di allarme del Beato Paolo VI negli anni Settanta) – il compromesso ha iniziato a farlo dentro la propria anima, molto prima di essere “costretto” a farlo nell’agone civile.
Quando s’inquina la sorgente a monte, il fiume a valle non può certo essere puro e limpido.
Nient’altro che “pula al vento”
Fra i molti significati che i due straordinari eventi degli ultimi Family day hanno avuto, vorrei ricordarne almeno due, di particolare portata “politica”.
Primo: esiste un popolo numeroso, numerosissimo, che crede nella vita, nella famiglia naturale, nel patto educativo scuola/famiglia, nella pari dignità di ogni essere umano, senza distinzioni per condizioni personali o sociali, senza inventarsi ideologiche identità di genere.
Secondo: questo popolo esiste, è preoccupato ma non rassegnato, ma si sente abbandonato, “orfano” di una vera, chiara, leale rappresentanza politica.
Il 30 gennaio 2016, al Circo Massimo, chiunque avesse avuto la forza ed il coraggio di fermare quell’iniqua legge, di far cadere un governo ideologizzato ed arrogante che a colpi di fiducia chiudeva la porta ad ogni doveroso dialogo, avrebbe avuto la straordinaria opportunità di intestarsi la gratitudine e la riconoscenza di quel popolo che – come ha dimostrato al referendum istituzionale – ha la memoria lunga! E sa distinguere molto bene chi davvero lo rappresenta nei fatti e chi ha fatto delle promesse verbali nient’altro che “pula al vento”.
Questo tema dell’orfananza politica è ancora tutto aperto.
Una volta di più, il popolo del Family day lancia un appello alle forze politiche, chiedendo chi ci sta ad assumere nel proprio programma elettorale un patto di alleanza sui grandi temi antropologici della vita, della famiglia, della libertà educativa.
Così come non abbiamo mai creduto nell’opportunità di dar vita ad un nuovo partito, fondato su temi etici, altrettanto fermamente crediamo di poter giocare un ruolo di stimolo, di pressing, di virtuosa spinta sulle forze politiche esistenti perché prendano in seria considerazione il problema che oggi milioni di cittadini italiani – il “popolo del Family day” – non sa a chi assegnare il proprio voto.
Sondaggisti e statistici dicono che il 4 dicembre scorso quel popolo è valso dai quattro ai cinque milioni di voti.
Vero o falso che sia, una cosa è certa: quel popolo vale milioni di voti. Ed ha dimostrato in modo inequivocabile il profondo vallo esistente fra l’establishment politico e la società civile: l’arroganza del potere rende miopi, e il popolo, appena ne ha occasione, lo denuncia a colpi di voti, e fa cadere un governo che non ha avuto neppure quel minimo di saggezza che l’apertura di un dialogo richiede.
Nelle agende partitiche, nei programmi di governo, devono entrare scelte politiche di carattere antropologico cui il Family day non è disposto a rinunciare, che vedano nel rispetto della vita – dal concepimento alla morte naturale – della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio (art. 29 della Costituzione), della libertà educativa dei genitori (art. 30), della promozione delle famiglie numerose (art. 31) – la denatalità nel nostro paese è un problema spaventoso! – lo scheletro di ogni programma economico, finanziario, sanitario, assistenziale, scolastico e culturale.
Sono temi che richiedono onestà politica, culturale ed economica.
Onestà politica e culturale: si scelga la vita, contro eutanasia, suicidio assistito, legalizzazione della droga; si scelga la famiglia, disegnando chiari confini fra questa e le unioni civili, con il diritto di ogni bimbo di crescere con mamma e papà, contro l’abominevole ed incivile pratica dell’utero in affitto e l’insensatezza dell’omogenitorialità, con un’educazione scolastica che rifugga dal gender in ogni sua manifestazione.
Onestà economica: perché introdurre la fecondazione artificiale nei Lea e aumentare il ticket sanitario, o ridurre i fondi per la disabilità? Non ci sono i fondi o piuttosto non c’è la volontà di ridurre capitoli di spesa cui non si vuole mettere mano? In Italia l’evasione fiscale delle società che gestiscono il gioco d’azzardo vale circa 90 miliardi di euro: non si può proprio far nulla? Le pensioni d’oro (288.000 cittadini italiani) valgono 13 miliardi di euro: non si può proprio far nulla?
Per non parlare delle famiglie numerose: salvo i proclami demagogici, nella realtà abbandonate a se stesse.
Basta quaquaraquà
C’è bisogno di un nuovo patto politico per la vita e la famiglia: questa è la benzina per far ripartire l’Italia.
C’è, quindi, bisogno di una grande alleanza fra partiti che si riconoscano in questo patto, al fine che diventi un “patto di governo”, anche esprimendo nelle loro liste elettorali candidati che rappresentino e sostengano quei valori.
Con il 6 o il 15 per cento non si fa nulla. Ma con il 30 si può fare molto. Una volta di più l’unione fa la forza. E il popolo della vita e della famiglia ringrazia ed apprezzerà chi ha deciso di farsi suo onesto portavoce, non mancando di tenere sotto marcatura stretta chi si è candidato come garante delle sue istanze.
Perché non se ne può proprio più di politici “quaquaraquà”, inclini al facile tradimento pur di salvarsi la poltrona.
Massimo Gandolfini, 26 giugno 2017 per
[www.tempi.it]
Massimo Gandolfini è portavoce del Comitato Difendiamo i nostri figli, promotore del Family Day
Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) –
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Qual è l’intento del Sig. Andrea Tornielli nell’attaccare gli Araldi del Vangelo?
Creare uno scisma nella Chiesa?
(comunicato stampa ufficiale)
Chiunque legga gli articoli e i libri del notevole vaticanista, il sig. Andrea Tornielli, può sorridere rievocando la figura pittoresca del camaleonte.
Infatti, le sue pubblicazioni registrano un’acuta capacità di adattarsi all’ambiente in cui si trova per svolgere la sua attività: ha saputo sorridere a Giovanni Paolo II, vezzeggiare il pontificato di Benedetto XVI e, allo stesso tempo, glissarlo discretamente quando ormai andava a braccetto con Francesco…
Recentemente, il Sig. Tornielli ha pubblicato un articolo polemico nel blog Vatican Insider, del quotidiano La Stampa: “Araldi, la dottrina segreta: ‘Correa incentiva la morte del Papa’”.
Considerando la nota caratteristica camaleontica dell’articolista, due quesiti emergono dalla pubblicazione: quali sono le sue intenzioni? Per quale ambiente egli anticipa un adeguamento?
È interessante osservare che l’autore solleva, attraverso tale articolo, le antiche, antichissime denunce contro il Professor Plinio Corrêa de Oliveira riguardanti la venerazione che molti gli prestavano in vita così come la devozione privata a sua madre, Donna Lucilia.
Ora, Mons. João Scognamiglio Clá Dias, fondatore degli Araldi del Vangelo, è bersaglio degli stessi attacchi. Queste sono accuse obsolete, tutte hanno avuto una risposta e sono state adeguatamente confutate secondo i dettami della più stretta dottrina cattolica.
Timeo hominem unius libri. È bene quello che i lettori della stampa cattolica sono inclini a concludere in questi momenti sulla conoscenza del Sig.Tornielli riguardo il tema del suo articolo: lo studioso di un solo libro provoca timore. Il che non figura tanto bene per un articolista di questa levatura… Vediamo perché.
In primo luogo, potremmo suggerire al Sig. Tornielli di guardare un po’ al passato dell’istituzione, da lui con tanta veemenza attaccata, e gettare uno sguardo su un’opera pubblicata nel 1985 – Servitudo ex Caritate – con il parere dell’eminente teologo P. Victorino Rodríguez y Rodriguez, OP. In questo studio, cui nessuno ha mai replicato, il tema della Sacra Schiavitù a Gesù, per mezzo di Maria, così come i legami spirituali tra il Prof. Plinio e i suoi discepoli, che egli cita nel suo articolo, sono stati completamente chiariti per il passato, per il presente e per il futuro.
E perché non consultare, anche, il libro Donna Lucilia, del 1995, con prefazione elogiativa di P. Antonio Royo Marin, OP, ristampato in collaborazione con la Libreria Editrice Vaticana nel 2013, anche in italiano? La sua lettura sarebbe stata sufficiente per rendersi conto che i fondamenti della devozione a questa grande donna brasiliana si basano sulla sua vita di illibata virtù e sono nel bimillenario costume della Santa Chiesa.
Ci permetta di dirle, Sig. Tornielli, che forse è conveniente che riveda le sue annotazioni del tempo del catechismo, perché anche prima che qualcuno sia canonizzato, la Santa Madre Chiesa chiede che sia riconosciuta la sua fama di santità.
E quanto alla devozione al Dr. Plinio? Qualora gli interessassero dati più attuali, invitiamo il Sig. Tornielli a fare uno studio approfondito di un’opera recentissima, del 2016, pubblicata in cinque volumi sempre dalla Libreria Editrice Vaticana, con più di 100mila collezioni stampate, sotto il titolo di Il dono di sapienza nella mente, vita e opera di Plinio Corrêa de Oliveira.
In questo lavoro si trovano in dettaglio le origini storiche e le basi teologiche di questo tema, trattato in modo così tendenzioso nel suo articolo.
È vero che è sorta, nel frattempo, a disposizione del Sig. Tornielli, una grande e insolita novità: un video privato, divulgato fuori dal contesto e superato col tempo, poiché è vecchio di un anno e mezzo. Essendo di uso ristretto dell’istituzione, è stato, comunque, ottenuto in modo illegale da un uomo appassionatamente disaffezionato nei confronti della TFP e degli Araldi – egli stesso ex-membro della TFP –, sposato con una signora, ex-membro dell’Opus Dei. Entrambi occupano parte del loro tempo ad attaccare le organizzazioni cui appartenevano.
È presso questa fonte che l’influente Sig. Tornielli è andato a prendere la sua informazione imparziale…Si tratta del resoconto di una riunione tra religiosi, riservata, che non ha implicato alcun cambiamento di direzione negli Araldi del Vangelo, sia nel loro rapporto con la Sacra Gerarchia e la società civile, sia nell’azione che svolgono con l’immensa quantità di aderenti del movimento. Lo scopo dell’incontro registrato era, semplicemente, scambiare impressioni su determinati fenomeni preternaturali, in un ambiente di amena e distesa intimità. Mani criminali, ancora sconosciute, hanno deciso di divulgare il suo contenuto in modo malevolo e irresponsabile per un pubblico che non ha, per la maggior parte, conoscenze teologiche sufficienti per dare un giudizio approfondito sul suo contenuto. Non era difficile, così, creare confusione nelle menti dei lettori. D’altra parte, queste stesse mani non si sono interessate, naturalmente, di divulgare le conclusioni di queste analisi.
Ora, perché il Sig. Tornielli non si è messo in contatto con gli Araldi per ottenere un chiarimento? A ragione potremmo dire: timeo hominem unius factionis, temiamo gli uomini della mezza verità, gli uomini parziali, quelli che non vogliono sentire ambo le parti.
Starà il Sig. Andrea Tornielli agendo da solo? Non lo sappiamo…
Ma possiamo affermare, analizzato l’articolo del rinomato vaticanista e le menzionate circostanze, che egli sta offrendo un cieco contributo nel senso di distruggere quell’unità a lungo sognata, che i Padri del Concilio Vaticano II hanno voluto portare avanti e che tre grandi uomini hanno concretizzato: San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Mons. João Clá.
Ecco un modo per rovinare la dottrina di un Concilio Ecumenico, e la dedita azione di due papi – di cui uno ancora vivo e in mezzo a noi – e di un Fondatore, di cui un Prefetto della Congregazione per i Religiosi, il Cardinale Franc Rodé, ha detto che la Chiesa è debitrice!
Cui prodest? A chi giova quest’atteggiamento?
Il mondo cattolico è sicuramente perplesso: questa volta il camaleonte presenta toni così surreali che, fatte le opportune riflessioni, continua ancora a sollevare domande riguardo le sue varie nuove colorazioni:
– Chi rappresenta il Sig. Andrea Tornielli?
– Vuole provocare uno scisma nella Chiesa?
– Con quali intenzioni?
Infine, chiarite le falsità e le distorsioni, gli rivolgiamo un invito a tornare sulla strada di un giornalismo colto, serio ed etico. Gli Araldi del Vangelo consacrano a San Giuseppe, patrono della Chiesa, la propria difesa, nella certezza di non essere abbandonati dal padre verginale di Gesù e castissimo sposo di Maria. Fatti salvi i propri diritti, sono essi disposti ad accogliere con benevolenza la ritrattazione dei calunniatori e a perdonarli sinceramente, in quanto non serbano alcun risentimento.
Araldi del Vangelo
fonte:
[araldimissioni.it]
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Dignare me laudare te, Virgo sacrata!
Da EO virtutem contra hostes tuos!
Ci sono ancora cavalieri
Prima della emozionante testimonianza di Simone Pillon, due parole per chi ci legge da fuori Italia o non segue le vicende del Family Day.
- Simone Pillon è un cattolico, bresciano, marito, padre, avvocato.
- Simone Pillon è un membro del Cammino Neocatecumenale e - come vedrete più sotto - ha più palle di tanti falsi tradizionalisti che per la famiglia, la fede e l'Italia non fanno e non rischiano MAI nulla.
- Simone Pillon è un militante pro family da almeno 30 anni.
- Simone Pillon è un dirigente del CDNF-Family Day che si espone quando un referente locale è minacciato.
- Simone Pillon ha difeso gratuitamente militanti prolife e profamily ottenendo anche risultati storici.
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- Simone Pillon è sotto processo per aver "offeso la reputazione dell'associazione Omphalos Arcigay e Arcilesbica" e giovedì 22 giugno si è svolta la prima udienza.
Oggi questo cavaliere di Maria ha bisogno di preghiere e di solidarietà, perché in momenti come quelli che sta passando sentirsi solo può togliere la forza di combattere... e siccome l'Italia e i cattolici non possono permettersi di avere un Simone Pillon che non sia al 100%,
SI CHIEDE A OGNI LETTORE DI
RECITARE UN SANTO ROSARIO
PERCHE’ SIMONE PILLON
CONSERVI LA FORZA DI COMBATTERE
FINO ALL’ULTIMO RESPIRO
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San Mariano, Umbria, 24/6/2017
Riesco solo oggi a scrivere con calma due parole sul processo che è cominciato giovedì 22 giugno e che mi ha visto sul banco degli imputati.
Il primo pensiero è di gratitudine alla storia che mi permette di soffrire per la verità. So infatti che la ricompensa sarà grande, e in una misura già ne sto gustando la caparra sia per la pace che provo nonostante tutto sia per le tantissime manifestazioni di solidarietà che mi giungono da ogni dove (anche insospettabili e da mondi lontani anni luce dal nostro punto di vista).
Il secondo pensiero è che nel mio cuore ho avuto la grazia di vincere in anticipo il processo perché mi è stato dato di non odiare. Non provo infatti né odio né risentimento verso i miei accusatori tanto che li ricordo ogni giorno nelle mie povere preghiere, e questa per un temperamento come il mio è la più grande delle vittorie.
Sto affrontando il processo con la consapevolezza che sono in gioco sia il mio futuro (in caso di condanna rischio ripercussioni sulla mia professione) che quello della mia famiglia , visto che il risarcimento richiesto dalle parti civili (circa 350-400 mila euro) va molto oltre le mie capacità economiche, ma soprattutto con la certezza che è mio preciso dovere affrontarlo, per dare a tutti i genitori nel mio piccolo la consapevolezza che non possiamo arrenderci davanti alle ideologie genderiste che vogliono ingoiare i nostri figli.
Alzarsi in piedi e soffrire personalmente per dichiarare la nostra libertà e difendere i nostri figli comporta il rischio di essere colpiti personalmente, e cominciamo ad essere in tanti a farne le spese. Il mio pensiero va a chi come me (medici, insegnanti, psicologi, giornalisti) sta affrontando tribunali e consigli di disciplina con l'accusa di aver detto la verità.
La strategia delle ideologie è chiara e non tollera voci di dissenso.
E tuttavia queste ideologie dimostrano la loro pochezza e inconsistenza ricorrendo allo strumento penale e disciplinare visto che se avessero argomentazioni logiche e convincenti non avrebbero problemi ad affrontare il dibattito pubblico. L'intolleranza verso il dissenso è la miglior prova della loro debolezza.
Consentitemi infine una nota personale. Sto sperimentando quanto sia bella e nobile la professione che esercito. Credo che ogni avvocato dovrebbe provare almeno una volta cosa significhi essere messo alla sbarra, essere in piedi davanti a un tribunale, rischiando la propria libertà la propria stabilità economica e la propria dignità.
Nelle società arcaiche quando uno veniva accusato, veniva posto in mezzo all'assemblea e lasciato solo per essere lapidato.
Bastava però che anche solo uno dei cittadini esenti da accuse si alzasse e si ponesse accanto all'accusato, significando così di credere alla sua innocenza al punto da esser disposto a morire con lui, per fermare la mano degli altri e costringere gli accusatori all'assoluzione.
Questi era detto PARACLITOS, in latino ADVOCATUS.
Ecco. In mezzo alla piazza non ero solo. C'erano i miei avvocati ma soprattutto c'era ognuno di voi. E a ben guardare, per chi ha occhi esperti, forse si poteva intravedere anche un altro Paraclitos.
Il processo sarà lungo e difficile. Vi chiedo di restare accanto a me.
Grazie di cuore perciò a ciascuno di voi, a chi mi ha scritto, a chi ha pregato per me e a chi mi ha rivolto anche solo un pensiero.
Andiamo avanti con coraggio e con forza, fondati nella verità.
Simone
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Giugno: mese del Sacro Cuore di Gesù
di Plinio Corrêa de Oliveira
Oggi è la vigilia di una grande festa: il Sacro Cuore di Gesù. Vi consiglio calorosamente di leggere e di meditare le Litanie del Sacro Cuore. È una vera meraviglia! Vorrei commentarne alcune con voi oggi.
In primo luogo, questa bella invocazione: Cor Iesu, in sinu Vírginis Matris a Spíritu Sancto formátum, Cuore di Gesù, formato dallo Spirito Santo nel seno della Vergine Madre.
Il Cuore di Gesù è, nella sua realtà materiale e carnale, l’oggetto del nostro culto, come simbolo della volontà di Nostro Signore e, quindi, del Suo amore per noi. È il cuore più santo che possa esistere poiché è unito ipostaticamente alla divinità. Eppure, questo Cuore è stato formato nel grembo della Madonna Immacolata, esclusivamente con la materia che la madre dà per formare il corpo del bambino. Questo Cuore è carne di Maria. Il Preziosissimo Sangue che per Esso fluisce è sangue di Maria. Parlare del Sacro Cuore di Gesù è parlare del Cuore Immacolato di Maria.
Meditiamo su questo mirabile processo di generazione per il quale la madre dà se stessa per formare il corpo del figlio. Gesù fu generato per intero dal e nel corpo di Maria, in un rapporto così intimo che Ella si consumava in un incendio di amore e di adorazione verso questo Figlio che si andava formando nel suo grembo. Possiamo perciò capire come il Cuore di Gesù sia sostanzialmente unito al Cuore Immacolato di Maria. Questo ci porta a valutare la fiducia senza riserve che dobbiamo avere nell’efficacia dell’intercessione della Madonna, tenendo presente che Nostro Signore non può rifiutare niente a una Madre santissima e perfetta. Nei confronti della Sua Madre, Gesù ha il riguardo più superlativo (se mi permettete il pleonasmo) che il Creatore possa avere riguardo alla Sua più perfetta creatura. Tanto più che Egli sa che la Sua carne, ipostaticamente unita alla Seconda Persona della Santissima Trinità, è interamente carne della Sua Madre. Per noi che abbiamo una grande devozione alla Madonna, questa meditazione ha un grande significato.
Un’altra bella invocazione: Cor Iesu, maiestatis infinitae, Cuore di Gesù, di maestà infinita.
Sant’Agostino dice: “Ubi humilitas, ibi maiestas. Dove c’è l’umiltà, c’è la maestà”. Le due cose sono inseparabili. Possiamo quindi concludere che il Sacro Cuore di Gesù, che è un abisso di umiltà, è anche un universo di maestà. Come vorrei essere un artista per dipingere una figura di Nostro Signore che esprima non solo la maestosità, e nemmeno solo l’umiltà, ma la loro sintesi. Ogni immagine pia del Sacro Cuore di Gesù esprime, in un certo modo, ciò che la maestà ha in comune con l’umiltà, e ciò che l’umiltà ha in comune con la maestà. Nostro Signore è la più alta sintesi della santità, in cui entrambe le virtù si incrociano e si fondono.
Il Beau Dieu d’Amiens
Ricordo la figura detta il Beau Dieu d’Amiens, nel portale della cattedrale di Amiens, in Francia. Gesù non ha il Sacro Cuore sul petto, anche perché all’epoca tale devozione non esisteva ancora. Ma io lo trovo altamente espressivo in questo senso. È un Re il più meritevole, il più nobile, ma allo stesso tempo così sereno, così mansueto, così padrone di sé. Egli sembrerebbe capace di subire la peggiore ingiuria e di rimanere totalmente impassibile, tranquillo, sereno, senza la benché minima reazione del proprio amore ferito. Sempre che questo fosse l’atteggiamento più virtuoso in tale contingenza. Secondo me, l’immagine del Beau Dieu d’Amiens è quella che meglio rappresenta l’altissima sintesi fra la somma maestà e la perfetta umiltà.
Come figli della Contro-Rivoluzione, tenendo conto che la Rivoluzione fa una caricatura dell’umiltà e tace sulla maestà, dobbiamo chiedere al Cuore di Gesù che ci dia quella forma elevata e nobile di maestà, quel senso di regalità che è caratteristica essenziale dello spirito contro-rivoluzionario. Ciò implica un senso dell’ordine, dell’onore, della gerarchia che è maestoso, anche quando si tratta del più umile degli uomini.
Non posso non invocare a tale riguardo la straordinaria figura della beata Anna Maria Taigi (1769-1837). Era una semplice cuoca a Roma, non voleva spacciarsi per regina. Aveva, però, una tale maestà che era impossibile passarle a fianco senza esserne intimidito. Oppure santa Teresina di Gesù Bambino (1873-1897), così maestosa nella sua modestia e nella sua affabilità, che suo padre la chiamava “ma petite Reine”.
Un’altra invocazione: Cor Iesu, fornax ardens caritatis, Cuore di Gesù, fornace ardente di carità.
Il Cuore di Gesù è una fornace ardente dell’amore di Dio, perché la carità è propriamente l’amore di Dio. E il fatto che Egli ne sia una fornace ardente — cioè non solo un forno, che già darebbe l’idea di fuoco, ma una fornace ardente — rende chiaramente l’idea che Egli è al centro di tutto l’amore di Dio. La devozione al Sacro Cuore di Gesù, per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, è fatta appositamente per coloro che, afflitti da tiepidezza spirituale, trascinano faticosamente la propria vita spirituale. Questa devozione comunica loro il fuoco della fornace ardente della carità. Se vogliamo, per noi e per gli altri, il vero amore di Dio; è questa una delle devozioni più adatte e più eccellenti.
Il valore della sofferenza
Un’altra invocazione molto importante per il nostro tempo: Cor Iesu, pátiens et multae misericórdiae, Cuore di Gesù, paziente e misericordioso.
Che cosa vuol dire, esattamente, essere paziente? Paziente è chi soffre. Possiamo quindi dire: Cuore di Gesù sofferente e misericordioso. Sofferente anche per i mali che noi Gli procuriamo. Il Cuore di Gesù disposto a soffrire fino in fondo, che ama la sofferenza perché ne comprende il valore, ci insegna che la sofferenza è la grande legge della vita. Una vita senza sofferenza non vale assolutamente nulla. Da un certo punto di vista, la vita dell’uomo vale nella misura in cui soffre e ama la sofferenza. Ciò è quanto ci insegna il Cuore di Gesù paziente.
Una delle espressioni più tipiche della capacità di soffrire è lo spirito di iniziativa, per cui l’uomo supera la pigrizia, vince la sonnolenza, affronta con successo la noia, calpesta l’egoismo e si butta nel lavoro, si lancia nella lotta, nel punto più arduo se necessario, pronto ad abbandonarla senza indugio nel caso gli interessi della Chiesa puntino nella direzione opposta. La forma più elevata di pazienza è lo spirito di combattività, per cui l’uomo rinuncia al proprio comfort per servire gli interessi della Chiesa. Ecco ciò che dobbiamo chiedere al Cuore di Gesù, paziente e misericordioso.
Essere misericordioso vuol dire avere pietà. Ecco un altro aspetto del Sacro Cuore di Gesù, che credo non sia sempre ben capito dalle generazioni più giovani: la misericordia divina perdona non una volta, né due, né duemila. La misericordia divina perdona sempre perché non vuol essere superata nel perdonare. Questo ci porta ad avere una fiducia illimitata nel Sacro Cuore di Gesù, per l’intercessione del Cuore Immacolato di Maria. Cuore di Gesù, paziente e misericordioso. Paziente con i miei difetti e con i miei peccati, misericordioso con le mie mancanze, per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, abbiate pietà di me! È un’ottima invocazione da recitare molte volte al giorno, per non perdere la fiducia in Nostro Signore Gesù Cristo.
Ringraziamento dopo la Comunione
Ancora un’invocazione: Cor Iesu, propitiátio pro peccatis nostris, Cuore di Gesù, propiziazione per i nostri peccati.
A volte capita che ci sentiamo fondamentalmente indegni. Anche le anime più pure e più virtuose si sentono indegne. Capiscono che di fronte all’infinita giustizia di Dio noi non siamo nulla. Questa invocazione dà pace all’anima: il Sacro Cuore di Gesù è una propiziazione per i nostri peccati.
Che cosa vuol dire propiziazione? Io sono inutile. I sacrifici che faccio non valgono nulla perché vengono da me, che non valgo niente. Ma c’è una Vittima che vale tutto perché è senza macchia, senza difetti, è una Vittima unita ipostaticamente alla divinità stessa. Questa Vittima è Nostro Signore Gesù Cristo, che offre Se stesso per me. Tutto ciò che io non riesco a ottenere, questa Vittima ottiene per me.
Questa Vittima si è addossata i miei peccati, e li ha espiati per me. Perciò, se da una parte considero i miei peccati con enorme vergogna e contrizione, dall’altra li considero con un’immensa fiducia perché Qualcuno è morto per me, Qualcuno ha versato fino all’ultima goccia di sangue per me. Io non ho alcuna fiducia in me, ma questo Sangue infinitamente prezioso è stato versato per me.
Un’ultima invocazione: Cor Iesu, fons totíus consolationis, Cuore di Gesù, fonte di ogni consolazione.
La parola consolazione ha due sensi: rafforzare, o rinvigorire, e comunicare gioia. È la gioia, la soavità, l’unzione dello Spirito Santo. In entrambi i sensi, il Sacro Cuore di Gesù è la fonte di ogni consolazione. La nostra forza viene da Lui. È Lui che ci dà la forza quando ci sentiamo deboli, tiepidi, disorientati. Quando ci troviamo di fronte a qualche grande atto di generosità a cui siamo chiamati, senza il coraggio di realizzarlo, non facciamo “olimpismo”, non immaginiamo che bastino le nostre forze. No! Il Sacro Cuore di Gesù è la fonte di ogni forza. Attraverso il Cuore Immacolato di Maria, che è l’unico canale per arrivare al Cuore di Gesù, dobbiamo andare da Lui e chiedergli la forza, con la certezza che non ne usciremo frustrati. Con l’aiuto del Sacro Cuore avrò la forza che serve per fare anche le cose più ardue e più difficili nella vita spirituale.
Ecco alcune considerazioni che possiamo utilizzare quando facciamo il ringraziamento dopo la Comunione.
Quanto sarebbe utile, per esempio, meditare ogni giorno su un’invocazione del Sacro Cuore di Gesù durante il ringraziamento, tenendo conto che abbiamo appena ricevuto la Comunione, cioè la presenza reale di Nostro Signore. Possiamo meditare, per esempio, sul Sacro Cuore come fonte di ogni forza:
Signore, Voi siete la fonte di ogni forza. Io vorrei avere mille volte più forza di quanto ne ho, per servirvi meglio. So che questa fonte di ogni forza è adesso presente dentro di me; so che la fonte della forza siete Voi. Datemi forza contro i Vostri nemici esterni e contro le mie cattive tendenze, che sono pure nemiche Vostre. Abbiate pietà di me, Ve lo chiedo per mezzo del Cuore Immacolato di Maria.
Questo dovrebbe essere fatto seguendo liberamente i movimenti della nostra anima. Da parte mia, resta un suggerimento: quando, nel ringraziamento dopo la Comunione, sentite aridità, cioè quando non avete niente da dire a Nostro Signore, recitate una di queste invocazioni e meditate. Avrete fatto un eccellente Comunione, fonte di vere grazie.
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Cobas comunisti:
evitare ingerenze associazioni genitori
Martedì 20 giugno, nella città più gay friendly d’Italia, i Cobas (comitati di base della scuola), assieme ad altre 17 associazioni della galassia del Partito Democratico, hanno svolto un presidio davanti all’Ufficio Scolastico Regionale (USR).
Cosa ha chiesto la «rete di associazioni, collettivi, spazi sociali, sindacati» di sinistra? Aprite bene le orecchie, perché la cosa ha dell’incredibile: «una nota ufficiale dell’USR che si esprimesse chiaramente contro le indebite ingerenze nel funzionamento delle scuole da parte di sedicenti associazioni di genitori, che hanno l’obiettivo di provocare ingiustificati allarmi e di condizionare le attività delle scuole, inficiando la libertà di insegnamento e subordinando la stessa al cosiddetto “consenso informato”».
La richiesta trae origine dalla forte reazione di famiglie, associazioni e partiti allo spettacolo teatrale genderista “Afa’ Fafine”, rappresentato nel mese di gennaio a Castello d’Argile (BO). In tale occasione, oltre alla reazione spontanea delle famiglie e di alcune piccole associazioni scolastiche, il locale Comitato Difendiamo i Nostri Figli aveva messo in guardia tutti i dirigenti scolastici della Provincia, coinvolgendo anche i due maggiori partiti dell’opposizione alle Giunte PD. Forza Italia, principalmente grazie all’azione dell’avv. Bignami, aveva portato per circa 20 giorni la protesta delle famiglie sulla stampa locale, in Consiglio Regionale e persino in Parlamento. Il consigliere comunale Polazzi di S. Pietro in Casale, vicino alla Lega Nord, aveva coordinato una importante serie di volantinaggi nei più importanti paesi del circondario. Oltre a queste tre iniziative, molte altre – come ad esempio gesti di forte impatto mediatico di Forza Nuova – avevano provocato un inatteso sconquasso nelle varie riunioni dei dirigenti scolastici di tutta Bologna.
Altre reazioni, benché minori e meno organizzate, sono seguite nei mesi successivi, esasperando i Cobas al punto di parlare di una «azione organizzata di diversi gruppi integralisti cattolici e neofascisti, che attraverso l’attacco alla presunta e inesistente teoria del gender, mirano a colpire la scuola pubblica, laica e pluralista. Le azioni di intimidazione, infatti, hanno già condizionato in alcuni casi le scelte delle istituzioni scolastiche, e non accennano a diminuire». Un presidio e relativa manifestazione delle sinistre è previsto il prossimo 29 giugno, in Piazza Maggiore di Bologna.
L’episodio di Bologna conferma, se ce ne fosse bisogno, il fine delle politiche educative socialiste, dall’Unità d’Italia ad oggi: “fare gli italiani” plasmandoli come vuole lo Stato, anche attraverso la diffusione dell’ideologia del gender. Ma i figli non li fa lo Stato e perciò la «libertà di educazione ai genitori per i propri figli è un diritto inalienabile» (CdF, 24/11/2002): anteporre a questo diritto primario la “libertà di insegnamento” è contro natura.
Un ultimo aspetto non va trascurato, quello di chi cerca il “dialogo” con la scuola di Stato e invita ad “immischiarvisi”: tale dialogo non è mai servito né mai servirà. Lo conferma la risposta dell’USR di Bologna: «atti formali dell’amministrazione […] sono stati già messi in atto in diverse sedi istituzionali […] i dirigenti possiederebbero già gli strumenti per affrontare situazioni analoghe […] l’USR è già impegnato nel patrocinio di progetti di educazione all’affettività, alla sessualità e al rispetto delle differenze, come “W l’amore!”».
Gli italiani sono avvisati: qui non si parla solo di scuola ma del futuro del paese. E il presidio davanti all’USR di Bologna è una parte importante della strategia socialista che si svela.
David Botti, 22/6/2017 per
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Il grande arcivescovo di Bologna torna a supplicare il Santo Padre di essere ricevuto assieme ad altri membri del sacro collegio cardinalizio.
Il Card. Caffarra - assieme ad altri tre grandi cardinali - rivolge al Pontefice parole filiali e rispettose. Si può presumere che la loro intenzione sia di cercare di “discernere” meglio e fare chiarezza su alcuni sue opinioni malintese (in particolare per Amoris laetitae, ma non solo), poichè la confusione si allarga nella Chiesa.
I lettori di totustuus.it sono invitati a pregare perchè questa udienza venga concessa e la confusione abbia fine: i sacerdoti offrendo il Santo Sacrificio eucaristico, le religiose e i religiosi con la recita dell'Ufficio Divino, i laici con il Santo Rosario e la loro azione della società.
Di seguito la lettera al papa del Cardinale Carlo Caffarra.
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Beatissimo Padre,
è con una certa trepidazione che mi rivolgo alla Santità Vostra, durante questi giorni del tempo pasquale. Lo faccio a nome degli Em.mi Cardinali: Walter Brandmüller, Raymond L. Burke, Joachim Meisner, e mio personale.
Desideriamo innanzi tutto rinnovare la nostra assoluta dedizione ed il nostro amore incondizionato alla Cattedra di Pietro e per la Vostra augusta persona, nella quale riconosciamo il Successore di Pietro ed il Vicario di Gesù: il “dolce Cristo in terra”, come amava dire S. Caterina da Siena. Non ci appartiene minimamente la posizione di chi considera vacante la Sede di Pietro, né di chi vuole attribuire anche ad altri l’indivisibile responsabilità del “munus” petrino. Siamo mossi solamente dalla coscienza della responsabilità grave proveniente dal “munus” cardinalizio: essere consiglieri del Successore di Pietro nel suo sovrano ministero. E del Sacramento dell’Episcopato, che “ci ha posti come vescovi a pascere la Chiesa, che Egli si è acquistata col suo sangue” (At 20, 28).
Il 19 settembre 2016 abbiamo consegnato alla Santità Vostra e alla Congregazione della Dottrina della Fede cinque “dubia”, chiedendoLe di dirimere incertezze e fare chiarezza su alcuni punti dell’Esortazione Apostolica post-sinodale “Amoris Laetitia”.
Non avendo ricevuto alcuna risposta da Vostra Santità, siamo giunti alla decisione di chiederLe, rispettosamente ed umilmente, Udienza, assieme se così piacerà alla Santità Vostra. Alleghiamo, come è prassi, un Foglio di Udienza in cui esponiamo i due punti sui quali desideriamo intrattenerci con Lei.
Beatissimo Padre,
è trascorso ormai un anno dalla pubblicazione di “Amoris Laetitia”. In questo periodo sono state pubblicamente date interpretazioni di alcuni passi obiettivamente ambigui dell’Esortazione post-sinodale, non divergenti dal, ma contrarie al permanente Magistero della Chiesa. Nonostante che il Prefetto della Dottrina della Fede abbia più volte dichiarato che la dottrina della Chiesa non è cambiata, sono apparse numerose dichiarazioni di singoli Vescovi, di Cardinali, e perfino di Conferenze Episcopali, che approvano ciò che il Magistero della Chiesa non ha mai approvato. Non solo l’accesso alla Santa Eucarestia di coloro che oggettivamente e pubblicamente vivono in una situazione di peccato grave, ed intendono rimanervi, ma anche una concezione della coscienza morale contraria alla Tradizione della Chiesa. E così sta accadendo – oh quanto è doloroso constatarlo! – che ciò che è peccato in Polonia è bene in Germania, ciò che è proibito nell’Arcidiocesi di Filadelfia è lecito a Malta. E così via. Viene alla mente l’amara constatazione di B. Pascal: “Giustizia al di qua dei Pirenei, ingiustizia al di là; giustizia sulla riva sinistra del fiume, ingiustizia sulla riva destra”.
Numerosi laici competenti, profondamente amanti della Chiesa e solidamente leali verso la Sede Apostolica, si sono rivolti ai loro Pastori e alla Santità Vostra, per essere confermati nella Santa Dottrina riguardante i tre sacramenti del Matrimonio, della Confessione e dell’Eucarestia. E proprio in questi giorni, a Roma, sei laici provenienti da ogni Continente hanno proposto un Seminario di studio assai frequentato, dal significativo titolo: “Fare chiarezza”.
Di fronte a questa grave situazione, nella quale molte comunità cristiane si stanno dividendo, sentiamo il peso della nostra responsabilità, e la nostra coscienza ci spinge a chiedere umilmente e rispettosamente Udienza.
Voglia la Santità Vostra ricordarsi di noi nelle Sue preghiere, come noi La assicuriamo che faremo nelle nostre. E chiediamo il dono della Sua Benedizione Apostolica.
Carlo Card. Caffarra
Roma, 25 aprile 2017
Festa di San Marco Evangelista
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... per promuovere il Perugia Gay Pride
La Madonna nelle vesti di una provocante “Drag Queen”, questa la, a dir poco, offensiva, “trovata” pubblicitaria scelta dal Perugia Pride Village che si svolgerà nel capoluogo umbro da venerdì a domenica 25 giugno.
Il manifesto pubblicitario realizzato dagli organizzatori dell’evento raffigura infatti una donna velata e vistosamente truccata che richiama inequivocabilmente la Madonna in atteggiamento da drag queen, con un cuore circondato di raggi in mano, a scimmiottare il Cuore Immacolato di Maria.
Come prevedibile, il manifesto ha immediatamente scatenato polemiche.
Su Facebook Marco Squarta, consigliere regionale di Fratelli d’Italia in Umbria ha così commentato:
“Non si può invocare il rispetto dei propri diritti, battagliare contro le discriminazioni e gli insulti e poi diffondere immagini come queste sulla Madonna che offendono chi crede. (…)Pessimo gusto..anzi disgustoso”.
Dichiarazioni alle quali hanno prontamente replicato gli organizzatori del Perugia Pride Village attraverso Stefano Bucaioni, presidente di Omphalos Lgbt e vicepresidente Arcigay che, negando l’evidenza, ha così cercato di mischiare le carte:
“Mi preoccupa che il consigliere Squarta non sappia riconoscere una Drag Queen da una Madonna, ma visto che è così confuso sulla laicità delle istituzioni lo invitiamo caldamente a partecipare al Perugia Pride Village 2017”.
Gli organizzatori del Pride hanno poi deciso di diramare una nota congiunta per chiarire la loro posizione a riguardo in cui si legge:
“I nostri pride scandalizzano, irritano, destabilizzano. E lo fanno di proposito. Ci si scandalizza alla percezione di qualcosa di sacro accostato a qualcosa che si ritiene sbagliato non degno di rispetto. Dimostrando nei fatti che ciò che di sbagliato si vede sono semplicemente le nostre drag queen, le nostre persone transessuali, i gay, le lesbiche o le persone intersex”.
La polemica ha investito anche l’amministrazione del Comune di Perugia, guidata dalla giunta di centrodestra del sindaco Andrea Romizi, che dopo aver concesso il patrocinio al Pride, si è (ingenuamente) detto sorpreso di tale locandina, affermando: “la locandina non rientra nel materiale di comunicazione oggetto del patrocinio“.
La vicenda mette chiaramente in luce la “tolleranza” della comunità LGBT+, sempre in prima linea a parlare di rispetto e non discriminazione, ma priva di scrupoli nell’offendere gratuitamente in maniera vergognosa ed inaccettabile i simboli sacri dei loro “avversari” culturali.
Luca Romani, 16/06/2017 per
[https:]
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Da Il timone giugno 2017:
La versione di Barra
Scrive un lettore del Timone:
«[…] vorrei condividere una esperienza che mi affligge da un po’ di tempo. Sono veramente in uno stato di confusione totale, perché vedo nella Chiesa tante posizioni diverse una dall’altra su argomenti importanti per la mia vita spirituale e quindi per la fede. Da cattolico, cerco punti fermi nelle parole di Francesco, ma faccio fatica a trovarli. Alcune volta mi pare che il papa dia indicazioni di un certo tipo, altre che dia indicazioni diverse o anche opposte. Possibile, mi chiedo che ci sia questa confusione? […] Grazie [...]
P.G.Z. – e-mail »
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Caro amico,
lei disegna una posizione che conosco. Le scrivo dunque di me, convinto che qualcosa di simile alla “tempesta” ormai quotidiana nel mare agitato dell’anima mia sia sperimentato da molti altri. Tutto origina dallo scontro di “due forze” che appaiono diametralmente opposte.
La prima avanza titoli di assoluto valore e poggia sulla certissima verità di fede che il S. Padre è il Vicario di Cristo e Successore di Pietro. Ogni Papa legittimamente eletto lo è stato, e lo è – non ne dubito – anche Francesco. Così, al sorgere persino della più piccola perplessità sul suo operato, esplode nell’anima un turbinio di domande che non si acquieta: «Dubiti del papa? Lo stai contestando? Ti rendi conto del pericolo per la salvezza della tua anima? Non temi di scandalizzare E di offendere Dio?».
La seconda origina dai fatti, dalla cruda realtà. Qui, non dico “io penso”, ma piuttosto “vedo” e “leggo” (e conservo, onde assicurarmi di non avere allucinazioni) affermazioni del Santo Padre che mi appaiono inaudite proprio grazie a quella stessa fede che più sopra mi metteva in guardia: «È vero che ognuno ha una propria idea di bene e che la Chiesa deve aiutarlo a realizzarla? È vero che se una moglie luterana chiede perdono direttamente a Dio dei suoi peccati “fa lo stesso” del marito cattolico che si accosta al confessionale? È vero che Gesù si è fatto diavolo e qualche volta ha fatto il “finto scemo”? È vero che tra cattolici, ebrei, musulmani e buddisti “la sola cosa certa che abbiamo è che siamo tutti figli di Dio?».
Quando queste forze s’affrontano, contendendosi l’anima, è tempesta! Guai a me farmi giudice del Papa, con serio pericolo di deragliare nella fede, da un lato; incontestabile evidenza della bizzarria “dottrinale” di certe affermazioni, dall’altro. In me, confesso, non si conciliano.
Osservo come se la cavano alcuni amici, di fede sincera e per i quali va (meglio: deve andare!) tutto bene: testa sotto la sabbia, non “vedere”, non “sentire”, non “leggere” e, dunque, non “parlare” di certe cose.
Così non mi ci vedo, non è roba per me.
Tutto finito, dunque?
Ma neanche per sogno!
Mentre continuo ad invocare un intervento del Cielo, nell’attesa fiduciosa che la matassa si sciolga, cerco di fare al meglio il mio compito.
Consapevole – per fede – che Dio mi chiederà conto solo dei talenti che mi ha dato.
Di quelli donati ad altri – anche ai pastori della Chiesa – chiederà conto a loro, non a me.
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Cardinale Sarah, verità "scomode" sull'omosessualità
Persone omosessuali e castità? Noi come sacerdoti e vescovi “li umiliamo se non crediamo che possano conquistare questa virtù” che è “per tutti i discepoli”.
A sganciare l’atomica è il Cardinal Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Il cardinale non teme di nuotare controcorrente, ne ha dato prova in più occasioni.
Questa volta è la vulgata del pastoralmente corretto sull’omosessualità che il porporato vuole sconfessare e lo fa vergando la prefazione di un libro di Daniel Mattson dal titolo “Perché non mi chiamo gay”.
Sarah prosegue: “Il rispetto e la sensibilità con cui il Catechismo ci qualifica, non ci danno il permesso di privare della pienezza del Vangelo gli uomini e le donne che soffrono per essere attratti da persone dello stesso sesso”. Visti i tempi di irenismo nei confronti del peccato, il cardinal Sarah ricorda molto il bombardiere americano Enola Gay (nome appropriato dato il tema). Non richiamare alla castità le persone omosessuali li umilia e li costringe a vivere una condizione che li fa soffrire: già questo sarebbe sufficiente perché il cardinale fosse colpito da una fatwa ecclesiale.
Ma il Prefetto per il culto divino rincara la dose rammentando che vescovi e sacerdoti citano spesso quella parte del Catechismo che impone di accogliere le persone omosessuali con rispetto, compassione e delicatezza, ma non altre sezioni un po’ troppo scomode per i periti del buonismo pastorale.
"Nella sua carità e nella sua saggezza materna – appunta Sarah - la Chiesa indica nel Catechismo molte altre cose sull'omosessualità che alcuni membri del clero hanno scelto di non citare, tra cui il chiaro monito: 'in nessun caso posso essere approvati’ ” gli atti omosessuali (CCC, n. 2357).
La citazione prosegue menzionando un altro passaggio del Catechismo urticante per le peli sensibili all’ortodossia: “Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione” (CCC, n. 2358). E poi conclude: “Omettere le ‘dure parole’ di Cristo e della sua Chiesa non è carità. In realtà è un cattivo servizio al Signore e alle creature create a sua immagine e somiglianza e redente grazie al suo Prezioso Sangue”.
Sarah poi ricorda che anche le persone omosessuali, al pari di tutti gli altri, non godono di immunità teologica in merito alla fatica di diventare santi. Ad ognuno la sua croce: "Come tutti i membri della Chiesa, ‘possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana’ (CCC, n. 2359), la vocazione di tutti i battezzati. Queste parole del Catechismo sono ugualmente importanti, perché esprimono un'autentica carità pastorale. Ci invitano, come membri del corpo di Cristo, ad accompagnare i nostri fratelli e sorelle che soffrono per essere attratti da persone dello stesso sesso, mentre cercano di raggiungere la perfezione cristiana alla quale il Signore chiama tutti i suoi figli ", ha continuato Sarah. Poi un inciso: “Gesù non ci chiede nulla di impossibile o nulla per cui non ci dia la grazia per farlo. E’ la Chiesa la fonte di questa grazia”.
Le parole di Sarah sono tanto chiare quanto dinamitarde nel clima di omoeresia compiaciuta che si respira in casa cattolica. Infatti vescovi, sacerdoti e laici ormai sparano frasi del tipo che esiste una pari dignità di ogni orientamento sessuale agli occhi di Dio o che l’omosessualità è una naturale variante della sessualità umana, per tacere del fatto che l’omosessualità può essere un percorso di vita cristiana.
Tali asserzioni manifestano un doppio processo di necrosi dei tessuti sani del cattolicesimo. Da una parte questi soggetti si sono appiattiti sul mero profilo immanente della vita, su una fenomenologia autogiustificante. Se una condotta esiste vuol dire che è buona e quindi la benediciamo. Su altro versante marcano un passo in più: se è buona moralmente perché non deve esserla anche teologicamente? Ecco che così l’omosessualità diventa spinta trascendente verso Dio, si spiritualizza.
Il primo passo però è l’accettazione morale di una pulsione disordinata e difficile da vincere. La prospettiva di chi non ha fede giudica come insuperabili simili pulsioni, predica una resa incondizionata davanti agli eventi avversi, perché crede che la storia umana veda come protagonisti solo le persone con le proprie doti e limiti naturali, ed esclude il piano trascendente che invece irrompe nella storia con l’incarnazione di Cristo. In questa visione schiacciata sui fenomeni fisiologici e psicologici di carattere empirico non c’è posto per la grazia e parlare di aiuto divino per uscire dall’omosessualità provoca solo qualche sorrisetto di compatimento.
Torniamo a Sarah il quale ricorda che prima del Sinodo sulla famiglia ha avuto modo di ascoltare presso l’Università San Tommaso D’Aquino di Roma la testimonianza di alcune persone omosessuali: “Mi sono reso conto – racconta il porporato - come queste quattro anime hanno sofferto, a volte a causa di circostanze al di fuori del loro controllo e, talvolta, a causa delle proprie decisioni. Si sentiva la solitudine, il dolore e la miseria patite a seguito di una condotta di vita contraria alla vera identità dei figli di Dio". Queste persone “solo quando vivevano secondo gli insegnamenti di Cristo sono state in grado di trovare la pace e la gioia che andavano anelando”.
Sarah in fondo ci ricorda che la neve è bianca e che un cerchio è tondo. Ma ciò che è evidente per un vedente non lo è per un cieco. Ed oggi nella Chiesa i ciechi, che vogliono mettersi alla guida dei vedenti, non sono pochi.
di Tommaso Scandroglio,19-06-2017 per
[https:]
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Dr. Jack C. Willke e Barbara Willke
Handbook sull’aborto
scaricabile gratuitamente da:
[www.totustuus.it]
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L’e-book che viene distribuito in questo giugno 2017 è un pezzetto di storia, che conserva intatta la sua utilità e attualità.
Nel 1976 – son già passati 40 anni! – si era agli inizi della legalizzazione dell’aborto procurato nel mondo. Anche se in Italia tale pratica era ancora reato, intuivamo la necessità di prepararci a una guerra che sarebbe presto scoppiata: l’handbook dei coniugi Willke fu il primo libro – meglio: strumento culturale - che fu diffuso in Italia.
Due anni dopo arrivò la terribile legge n. 194 frutto della suicida logica del “cedere qualcosa per non perdere tutto”, tipica dei politici sedicenti cattolici.
Nel 1981, al referendum contro la 194 - perso per l’inazione del partito che allora deteneva la maggioranza in Parlamento e la tiepidezza di buon aparte dell’episcopato – solo la voce tuonante di San Giovanni Paolo II, l’inattesa opposizione all’aborto di un piccolo partito all’opposizione e il libro dei coniugi Willke furono tra i pochi sostegni per il manipolo di coraggiosi che spesero giorni e notti in conferenze, volantinaggi, affissione di manifesti.
In queste ore del giugno 2017, quando i figli dei stessi profeti di morte di allora – ma anche i figli di chi allora ci ha tradito - ci propinano che il c.d. Ius soli sarebbe un modo per limitare il crollo demografico, ben pochi ricordano i 6 milioni di bambini italiani abortiti dal 1980. E nel corso della lettura scoprirete che già allora intravedevamo nell’aborto la via che avrebbe portato all’eutanasia (le c.d. DAT, legalizzate dal Governo del Partito Democratico, in questo stesso 2017) e il problema che l’obiezione di coscienza avrebbe rappresentato per le democrazie totalitarie.
Ai nuovi pro life e pro family, dedichiamo l’e-book dei Willke: studiatelo, applicatelo in modo analogico alla situazione attuale: dalla diffusione dell’ideologia omosessualista, alla legalizzazione delle droghe; dall’invasione islamica, alla sperimentazione su feti vivi: tutto è collegato, come le tessere di un mosaico che, se guardate soltanto da vicino, impediscono di vedere l’insieme.
Non abbiate paura di essere chiamati bigotti, integralisti, fascisti o peggio: il Creatore della Vita e la Regina della Famiglia sanno cosa c’è nel vostro cuore.
Soprattutto tenete conto dell’esperienza di chi combatté le battaglie contro il divorzio e l’aborto, perché il buon seme gettato allora non vada sprecato.
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«Omoeresia» è uno dei due neologismi circolanti. L’altro è «omoideologia».
Il primo indica il rifiuto, totale o parziale, del Magistero della Chiesa sull’omosessualità.
Il secondo indica la promozione del gay fashion nel mondo.
Questioni, su cui si sono spaccati già gli episcopaliani, mentre gli ortodossi russi han tagliato i ponti con i presbiteriani scozzesi ed i protestanti francesi.
L'omoeresia è nella Chiesa: "Ecco da dove nasce, dove si nasconde e come si combatte"
Il mese scorso, a ridosso della Marcia per la Vita che si è svolta a Roma, Matthew McCusker, membro e supervisore della Society for the Protection of Unborn Children, è intervenuto in un convegno dell'attivismo pro life internazionale per denunciare la diffusione dell’eresia omosessualista nella Chiesa che, non di rado, contraddice non solo il suo magistero ma avalla il pensiero dominante che mira a distruggere la creazione divina.
Matthew McCusker fa parte della nuova generazioni di giovani pro life americani che rifiutano il compromesso perché consapevoli di combattere una battaglia escatologica, non innanzitutto politica. Ed ha avuto il merito di mostrare le scorrettezze avvenute durante il sinodo della famiglia, tanto che il cardinal Burke ha elogiato il suo lavoro perché dimostra che “non serve essere dei cospirazionisti per costatare le manipolazioni”.
McCusker , lei ha parlato di infiltrazioni del pensiero omoeretico nella Chiesa, può spiegarci meglio?
Sì, mi riferivo in particolare all’uso dei programmi di educazione sessuale che includono contenuti contrastanti l’insegnamento della Chiesa cattolica.
Il più recente e scioccante esempio di questo fatto è un documento prodotto dal Chatholic Education Service (Ces), l’ente ufficiale della conferenza episcopale dell’Inghilterra e del Galles.
Il programma, intitolato “Fatti ad immagine di Dio: una sfida al bullismo omofobico e bifobico nelle scuole cattoliche”, consiste in 40 pagine di pianificazione delle lezioni sviluppate per contrastare i presunti problemi di bullismo omofobico nelle scuole cattoliche. Il documento aderisce con entusiasmo all’ideologia Lgbt invece che all’insegnamento della Chiesa. Per esempio, la guida afferma che ai bambini deve essere insegnato l’uso di “una corretta terminologia Lgbt”, dove le definizioni sono quelle del movimento Lgbt.
Per fare solo due esempi, ai bambini della scuola cattolica deve essere insegnato che il termine “transgender” viene usato “frequentemente come un termine generico per riferirsi a tutte le persone che non si identificano con il loro sesso di nascita o con il sistema sessuale binario. Alcune persone transgender sentono di esistere non all’interno di due categorie sessuali standard, ma piuttosto in qualcosa che sta in mezzo, o al di fuori dei due sessi femminile e maschile.
Insegnano loro che la parola “alleato” si riferisce a “tutte le persone non Lgbt che supportano e si battono per i diritti delle persone Lgbt. Anche le persone Lgbt possono essere “alleate”, come una “lesbica” che è alleata a una persona transessuale”. Oltre alle linee guida esiste anche un curriculum specifico della Ces.
Di che si tratta?
Questo curriculum suggerisce di insegnare ai bambini dai 3 ai 7 anni che “ci sono diverse strutture familiari e che queste dovrebbero essere rispettate”. Queste frasi come “diverse strutture familiari” o “varie forme di famiglia” sono, certamente, molto usate per promuovere l’omosessualità e l’adozione Lgbt, ma sono menzognere.
Lo stesso linguaggio si è infiltrato anche nell’Amoris Laetitia quando il papa, nel contesto delle “unioni dello stesso sesso”, dice che “dobbiamo riconoscere la grande varietà di situazioni familiari che possono offrire una certa regola di vita”. Una grande ambiguità.
Lei ha denunciato la Conferenza episcopale inglese, ma non solo. Non si tratta di un caso circoscritto?
Sfortunatamente questo approccio non è raro. Un altro esempio recente viene da Nashville in Tennessee, dove una scuola cattolica ha attuato un programma in cui si coinvolgevano i bambini mostrando loro immagini sessuali esplicite e insegnando loro che esistono dieci tipi diversi di contraccezione senza alcun riferimento al fatto che usarla è un peccato.
Quando un gruppo di genitori si è lamentato con il vescovo lui ha appoggiato la scuola e infine un bambino è stato espulso dopo che i suoi genitori si sono rifiutati di permettere che partecipasse a quelle lezioni. I vescovi spesso mancano nel supporto ai genitori che vogliono esercitare il loro diritto ad agire come i primi educatori dei loro figli.
Com’è possibile che anche alcuni vescovi e cardinali, un tempo non sospetti, ora si pongano contro il magistero della Chiesa, sorvolando se non addirittura sostenendo l’ideologia gender anticristica ed anti umana?
Alcuni prelati, come, arcivescovo di Westminster, dissentono dall’insegnamento della Chiesa sulla sessualità umana da molti anni.
Nichols (presidente della conferenza episcopale inglese che ha sposato tali programmi) ha un passato inquietante sull’intera gamma di questioni su cui si concentrano gli attivisti pro life e pro family, come l’educazione sessuale, la contraccezione, le unioni dello stesso sesso e la comunione agli adulteri.
Nichols ha anche un atteggiamento molto debole nei confronti di coloro che uccidono bambini tramite l’aborto e ha affermato che “il valore che diamo alla vita umana nel suo primo inizio” è “chiaramente…non la stessa che diamo ad un altro adulto seduto al nostro fianco”. Si pose contro l’etica sessuale autentica durante il suo episcopato anche nel 1996, quando era un vescovo ausiliare: difese la concessione dell’imprimatur ad un libro per cui in certe circostanze i cattolici potevano usare la contraccezione. Nonostante questo fu promosso sia sotto il pontificato di Giovanni Paolo II sia sotto quello di papa Benedetto XVI e ora papa Francesco gli ha dato nuove responsabilità.
Ciò rivela una crisi molto seria che tocca il cuore della Chiesa. Anche perché Nichols è solo uno dei tanti prelati a cui è stata affidata la responsabilità di insegnare la fede cattolica, mentre sostenevano pubblicamente posizione contrarie alla fede.
Secondo lei quando questa eresia si è infiltrate nella Chiesa e perché? Crede che la Chiesa sia già malata da tempo?
La risposta che diedero i vescovi di tutto il mondo all’Humanae Vitae mostra che il problema era già serio.
Il rifiuto dell’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione è la radice di molti altri problemi.
Al principio di questo rifiuto c’è l’accettazione della verità sul fatto che l’atto sessuale è primariamente ordinato alla procreazione, che il fine unitivo è secondario ad esso e che il luogo dell’unione sessuale è il matrimonio, che ha lo scopo di generare figli ed educarli. Il secondo fine del matrimonio è il mutuo bene degli sposi.
Il rifiuto del primato della procreazione apre la strada non solo all’uso della contraccezione ma anche all’accettazione degli atti omosessuali, che ovviamente non possono essere procreativi.
Già durante il Concilio Vaticano II, figure chiave come il cardinal Suenens argomentavano contro l’insegnamento tradizionale della Chiesa sul fine del matrimonio. Tutto ciò, dunque, si riflette nella Gaudium et Spes che non riafferma la gerarchia di questi due fini e che, invece, fornisce una spiegazione dettagliata del fine unitivo (paragrafo 49) prima di spiegare quello procreativo (paragrafo 50).
Chiaramente però le radici di questa crisi sono ancora più profonde. Una di queste è il relativismo derivante da filosofie evolutive che negano l'esistenza di una legge morale naturale immutabile e vincolante.
Perché non sono arrivate e non arrivano correzioni e provvedimenti dal Vaticano?
Non solo non si corregge ma spesso il supporto di questa eresia è appoggiata dall’altro. Basti pensare che il Pontificio consiglio per la famiglia, dopo la pubblicazione dell’Amoris Laetitia, ha divulgato un suo programma sull’educazione sessuale intitolato The Meeting Point. Questo programma, che è stato stilato per le scuole e non per i genitori, non è in linea con gli insegnamenti morali della Chiesa e adotta un approccio secolarizzato e secolarizzante, esponendo i bambini ad immagini oscene e pornografiche.
Inoltre, papa Francesco ha promosso gli obiettivi dello Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite che chiama i membri dello stato ad “assicurare l’accesso universale ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, inclusi quelli per la pianificazione, l’informazione e l’educazione familiare”. Il che significa, sostanzialmente, assicurare l’accesso universale all’aborto, alla contraccezione e all’educazione sessuale. Nonostante questo, il primo settembre 2016, papa Francesco ha affermato nel suo messaggio per il giorno di preghiera per la cura dell’ambiente che lui era “grato che nel settembre del 2015 le nazioni del mondo hanno adottato gli obiettivi dello Sviluppo Sostenibile”.
Come combattere un’ideologia di questo tipo ormai dilagante anche nella Chiesa?
La prima risposta deve essere di carattere spirituale. A Fatima la Madonna mise in guardia sul fatto che gli “errori della Russia” si sarebbero diffusi nel mondo causando la perdita di molte anime. I veggenti di Fatima riferirono che la Madonna aveva parlato dei “peccati della carne” come di quelli che portano il maggior numero di anime all’inferno e aveva parlato delle “mode” che avrebbero offeso gravemente Dio.
La Madonna ci diede anche la soluzione: la preghiera ed il pentimento. Chiese specificatamente il Rosario quotidiano, la preghiera per la conversione dei peccatori e la riparazione per le offese al suo Cuore Immacolato, particolarmente attraverso la Comunione e la Confessione nei primi sabati del mese.
Chiese anche al papa di consacrare la Russia al suo Cuore Immacolato. Dobbiamo ancora pregare e operare molto affinché questo avvenga.
E poi bisogna diffondere la verità sui programmi di educazione nelle scuole, mostrando ai genitori cosa viene insegnato ai loro figli. Infatti, gli autori di questi programmi mascherano i contenuti reali di ciò che diffondono attraverso un linguaggio apparentemente neutrale, come “educazione sessuale comprensiva”, o anche positivo, come “età appropriata”. Poi leggendoli integralmente si capisce cosa si intende usando queste parole. Un esempio è L’Oms che nel suoi “Standard per l’educazione sessuale in Europa” considera appropriato insegnare a bambini dagli 0 ai 4 anni “la masturbazione infantile precoce”, mentre a quelli dai 4 ai 6 anni “le relazioni fra persone dello stesso sesso”. E ai 15enni “il diritto all’aborto”. Per questo motivo è molto preoccupante che nel capitolo 7 di Amoris Laetitia vi sia una sezione intitolata "Sì all'educazione sessuale", che non tiene conto dei gravi problemi di quasi tutti i programmi di educazione sessuale disponibili. Ma sopratutto che non riafferma l'autentico insegnamento della Chiesa per cui l'educazione alla sessualità dovrebbe venire dai genitori e non dalla scuola.
di Benedetta Frigerio, 15-06-2017 per
[www.lanuovabq.it]
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Il significato profondo della festa del Corpus Domini
(di Cristina Siccardi) La festa del Corpus Domini è alle porte, ma quanti ancora comprendono in profondità questo sublime miracolo d’amore?
Ogni vita sulla terra, per continuare ad esistere, ha necessità di essere alimentata, altrimenti perisce. L’uomo, essendo creatura con un anima razionale, ha pure bisogno di nutrimento sia intellettivo, che spirituale; ha bisogno dell’alimentazione della fede, della speranza, della carità (amore); ma il Salvatore gli ha anche offerto un cibo ancora più divino: se stesso in forma eucaristica.
San Tommaso d’Aquino spiega in questi termini il Mistero eucaristico: «L’effetto che produsse nel mondo la passione di Cristo, questo Sacramento lo produce in ciascuno di noi. Come il cibo materiale sostiene la vita corporea, l’accresce, la ristora, ed è gradevole al gusto, l’Eucaristia produce nell’anima simili effetti» (IIIª, 9, 79, a. 1).
«Caro mea vere est cibus, et sánguis meus vere est potus: qui mandúcat meam carnem, et bibi tmeum sánguinem, in me manet, et ego in eo» (Gv 6, 56-57), ovvero «La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui». Più chiaro di così se non ci si nutre della Santa Ostia non può avvenire l’inabitazione reciproca.
La storia della Chiesa è una continua lotta fra errori e verità, fra sacrilegi e trionfo del divino. Durante il periodo delle guerre di religione in Francia e anche oltre (1540-1600), la processione del Corpus Domini fu oggetto di feroce ostilità da parte degli ugonotti (i calvinisti francesi). Essi, come d’altra parte i luterani, negano la transustanziazione. Ecco che le processioni del Corpus Domini diventavano pretesti di pesanti provocazioni, profanazioni, blasfemie.
La festa liturgica affonda le sue radici nella Gallia belgica, che san Francesco definiva «amica Corporis Domini», grazie alle rivelazioni dell’agostiniana e mistica Beata Giuliana di Retìne, che nel 1208 ebbe un’estasi: vide il disco lunare risplendente di candida luce, deformato però da una linea in ombra. Si trattava della rappresentazione simbolica della Chiesa, alla quale mancava una solennità in onore della Santa Ostia. Alla monaca, nello stesso anno, apparve Cristo, che le chiese di impegnarsi affinché venisse istituita la festa del Santissimo Sacramento al fine di ravvivare la fede dei fedeli e di espiare i peccati commessi contro l’Eucaristia.
Nominata priora del convento di Mont Cornillon di Liegi, chiese consiglio ai maggiori teologi ed ecclesiastici del tempo, interpellando anche l’arcidiacono di Liegi, Jacques Pantaléon, futuro papa Urbano IV, e il Vescovo di Liegi, Roberto de Thourotte. Fu così che nel 1246 quest’ultimo convocò un concilio, ordinando, a partire dall’anno successivo, la celebrazione della festa del Corpus Domini. Con la bolla Transiturus dell’11 agosto 1264, da Orvieto, dove aveva stabilito la residenza della corte pontificia, Urbano IV estese la solennità a tutta la Chiesa.
A convincere il Pontefice nello scrivere la bolla fu il celebre Miracolo eucaristico di Bolsena, che si verificò un anno prima, quando un sacerdote boemo, in pellegrinaggio verso Roma, si fermò a celebrare la Santa Messa proprio a Bolsena, nel viterbese; nel momento preciso in cui spezzò l’Ostia consacrata, egli fu pervaso dal dubbio che essa contenesse veramente il Corpo di Cristo. Fu allora che dal Sacro Pane uscirono alcune gocce di sangue, le quali macchiarono sia il corporale di lino, attualmente conservato nel Duomo di Orvieto, sia alcune pietre dell’altare, custodite in preziose teche nella Basilica di Santa Cristina.
Da allora si sono verificati moltissimi Miracoli eucaristici riconosciuti dalla Chiesa, che possono essere visionati, uno ad uno, grazie allo straordinario sito
[www.miracolieucaristici.org] Autore di questo splendido studio storiografico ed iconografico è il Servo di Dio Carlo Acutis, nato a Londra il 3 maggio 1991 e morto a 15 anni, il 12 ottobre 2006, a causa di una leucemia fulminante.
È sepolto nella nuda terra ad Assisi, la città di san Francesco che più di altre ha amato e nella quale tornava periodicamente per ritemprare lo spirito. «Tutti nasciamo come degli originali, ma molti muoiono come fotocopie», ha lasciato scritto fra i suoi appunti. A 12 anni aveva iniziato a comunicarsi quotidianamente e non finiva il suo giorno senza la recita del Santo Rosario e l’adorazione eucaristica, convinto com’era che quando «ci si mette di fronte al sole ci si abbronza… ma quando ci si mette dinnanzi a Gesù Eucaristia si diventa santi».
Di brillante intelligenza e di profonda fede, egli offrì le sue sofferenze e la sua vita per il Papa e per la Chiesa. I suoi sacrifici, uniti a quelli di altre nascoste anime oblative, e le preghiere intercessorie rivolte ai santi e alla Regina dei santi salveranno, per l’ennesima volta, la Chiesa dai suoi ugonotti, che oggi profanano il Corpo di Cristo con indegne liturgie e indegni altari.
(Cristina Siccardi per
[https:] )
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Un partito che alle elezioni raccoglie 10.000 voti su 9.172.026 elettori non merita attenzione. Ma se quel partitino pretende di rappresentare i cattolici, i valori non negoziabili e la più imponente manifestazione popolare del dopoguerra la cosa cambia e merita un’analisi.
«Siamo il quarto polo» è la dichiarazione di Mario Adinolfi all’indomani delle amministrative 2017. La sparata suscita l’ilarità documentata di comunisti, ma anche la seria riflessione di un esponente del suo stesso partito.
E’ infatti evidente che l’esser riusciti a presentare liste proprie in soli 16 comuni su 1.004 riflette la non-esistenza sul territorio nazionale.
Per giunta, il presunto “quarto polo” arriva ultimo in quasi tutti i Comuni dove si è presentato e pesa l’1,75% dei votanti (dei soli comuni dove si è presentato, non degli oltre 9 milioni chiamati alle urne!) e non il 3% millantato sui media. Nei Comuni con più di 15.000 abitanti l’unica percentuale degna di nota è il 3,35% di Verona.
«Siamo l’alternativa politica». Adinolfi è un personaggio reduce da mille partiti, tutti di centro-sinistra, che “scopre” il bisogno di difendere la famiglia qualche mese prima del Family Day 2015. Itinerario simile è quello del responsabile del partito per le Regioni del Nord: Mirko de Carli, un ravennate trapiantato a Bologna, scaricato dai suoi candidati a seguito delle elezioni del 2016 e ora eletto a Riolo Terme, un comune di 4.500 abitanti in cui non si è presentato il Centro-Destra.
A Verona il candidato sindaco Grigolini è un ex Lista Tosi, ex Forza Italia, consigliere di quartiere in carica; a Goito il candidato Marcazzan è un ex DC, ex CCD, ex Lega Nord, ex Forza Italia; a Monza il Pdf accoglie otto candidati di Forza Nuova e Fiamma nazionale.
Alessandria li vede nella coalizione di un consigliere comunale fuoriuscito da Fratelli d’Italia; ad Avola è in coalizione con il sindaco uscente; a Ischia non compare col proprio simbolo, dice di sostenere il centro-destra e canta vittoria.
A Riccione si presenta assieme a tutto il centro-destra, mentre a Melito di Napoli addirittura sostiene un candidato espressione di D’Alema e Bersani, togliendo dal proprio simbolo la scritta «No gender nelle scuole».
Quale credibilità può avere una “alternativa” composta da “trombati” di tutti i partiti, pronti ad allearsi con chiunque e pagando qualunque prezzo?
Lacerante e controproducente. Il vero portavoce del “Family day” - il prof. M. Gandolfini (Comitato Difendiamo i Nostri Figli) - ha acutamente definito la nascita del Pdf «lacerante e controproducente sul piano politico».
Lacerante, perché il principale risultato ottenuto dal Pdf è stato quello di spaccare la grande reazione popolare che ha raccolto un milione di persone nelle manifestazioni romane sia del 2015 che del 2016.
Inoltre, il partitino di Adinolfi ha “fatto cultura”, ingenerando l’idea che basti fare una campagna elettorale e mettere una croce su un pezzo di carta per fermare una deriva etica cinque volte secolare.
Ma non solo: chi aderisce al partito ritorna alla mentalità del “provideant consules” e smette quell’attivismo fatto di passa parola, di testimonianza in ogni ambiente, che solo può permettere un cambiamento culturale nel Paese.
Controproducente sul piano politico, perché oggi i cattolici sono minoranza (anche se la più consistente delle minoranze) e possono ottenere molti più risultati facendo “pressione” sui partiti esistenti che presentandosi da soli. Insomma, dal Referendum del 1946, la storia insegna due cose:
- ogni sedicente “partito cattolico” ha sempre tradito i valori che diceva di sostenere;
- se i cattolici sono rappresentanti da un solo partito, tutti gli altri si disinteressano delle loro istanze.
Ricordiamolo.
Un aiuto al Partito Democratico (e alla galassia delle democrazie cristiane che ruotano attorno ad Alfano). Chi ha a cuore la vita umana e la famiglia naturale, certamente non vota per il PD e “le” DC di Alfano, che hanno prodotto la legislazione più “contro natura” nella storia della Repubblica.
D’altro canto le opposizioni al PD hanno certamente mille difetti, problemi e contraddizioni ma conservano, in misura maggiore o minore, una qualche sensibilità verso l’etica naturale.
Tuttavia, se una persona crede che il Pdf voglia difendere quei valori non negoziabili, smette di votare per le opposizioni: si tratta di un aiuto al PD indiretto ma evidentissimo.
Un aiuto che si manifesta soprattutto in occasione dei ballottaggi, rispetto ai quali il Pdf già dal 2016 ha invitato all’astensione e che – ad es. a Verona – potrebbe favorire la vittoria della sinistra. Ma questa è una scelta immorale perché rifiuta di fare il bene possibile, oggi e qui.
Un ponte ad un solo senso. Alla luce di quanto sinora esposto il partito di Adinolfi risulta essere «un dispositivo ideologico fatto per trascinare verso sinistra uomini di destra e, soprattutto, centristi ingenui».
L’utilizzo di questi “dispositivi ideologici” caratterizza la strategia dei socialisti da sempre ed è indispensabile per vincere nei paesi di antica cultura cristiana: banalizzando si tratta di costituire un’opposizione di facciata, per infiltrarsi nel campo cattolico e corromperlo dall’interno.
Già M. Bloch proponeva un ponte a senso unico tra cristianesimo e socialismo che, assieme al dialogo, operasse un “trasbordo ideologico inavvertito” per de-moralizzare i cattolici. Un ponte che si è visto con Kerensky nella Rivoluzione d’Ottobre, con l’“apertura a sinistra” del 1962 in Italia, con Frei nel Cile di Allende e in decine di altri casi.
Ma l’esempio più simile e temporalmente prossimo è forse costituito dal senatore comunista Armando Plebe, che fu fatto responsabile culturale della destra anni Settanta: compiuta la sua missione inquinatrice, Plebe tornò comunista. Ed è morto comunista, da poche settimane.
I prossimi mesi ci diranno in quale porto si concluderanno le peregrinazioni degli esponenti del Pdf.
David Botti
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La Gnosi luterana e la Dottrina del potere politico
Il mondo cattolico sta affrontando questo 500mo anniversario della Riforma luterana (1517-2017) privilegiando due punti di vista. Ciò è evidente dal posizionamento di molti esponenti della gerarchia ecclesiastica e di molti teologi.
Il primo di questi punti di vista consiste nel concentrarsi sulle “intenzioni” di Lutero, su cosa egli soggettivamente volesse fare. In genere si sostiene che egli non voleva una rivoluzione nella Chiesa ma una riforma. Da questo punto di vista si tende quindi a capovolgere la linea tenuta finora dalla teologia e dalla cultura cattolica in genere, che sempre si è impegnata a mostrare come non si fosse trattato di una “riforma” ma di una rivoluzione. Interpretando oggi le intenzioni di Martin Lutero, si tende invece a dire che è stata una riforma e non una rivoluzione.
Un’altra conseguenza di questa impostazione consiste nello spiegare gli eventi di cinquecento anni fa come una serie di inconvenienti storici, soprattutto di tipo comunicativo, dovuti alla situazione del tempo e per i quali la stessa Chiesa cattolica non è esente da responsabilità[1]. Le intenzioni di Lutero erano quindi buone, ma la situazione storica si incaricò di intralciarle e complicarle. Basterebbe togliere di mezzo questi intralci storicamente sedimentati e ricongiungersi alle intenzioni originarie di Lutero per ritrovare l’unità.
La tesi secondo cui Lutero non voleva una rivoluzione ma una riforma non è illegittima ed è stata autorevolmente sostenuta. Per esempio, Jean Guitton scriveva che “Né Erasmo, né Lutero, né Calvino hanno immaginato la metamorfosi che stavano per provocare”[2]. Il cardinale Kasper l’ha da tempo fatta propria e di recente, tornando sull’argomento, ne ha fatto il punto di forza per una rivalutazione aperta e completa di Lutero, la cui volontà sarebbe stata solo quella di ribadire la centralità della grazia divina nella salvezza[3]. Secondo il cardinale «Lutero era un uomo desideroso di rinnovamento, non un Riformatore. Con questa istanza evangelica Lutero si poneva nella lunga tradizione dei rinnovatori cattolici che lo avevano preceduto. Si pensi soprattutto a Francesco d’Assisi»[4].
L’accostamento tra Lutero e San Francesco ci dice tutta la pericolosità della tendenza a concentrarsi sulle intenzioni di Lutero, questo infatti non può essere né l’unico né il principale aspetto della questione. L’aspetto centrale è quello dogmatico e da questo punto di vista la Riforma è stata una rivoluzione e non solo una riforma, nonostante le intenzioni soggettive di Lutero.
Non voglio negare il rapporto esistente tra la riforma e la soggettività di Lutero. Questo rapporto è stato giustamente messo in evidenza da molti, come per esempio da Jacques Maritain[5] o, più recentemente, dal Padre Roberto Coggi[6]. Angela Pellicciari pure insiste sul temperamento di Martin Lutero ponendolo in relazione con la rivoluzione – e non con la riforma – da lui attuata[7]. Tutto questo serve per capire.
Però l’insistenza sulle intenzioni soggettive di Lutero distoglie l’attenzione dai contenuti dottrinali della Riforma, che passano in secondo piano, mentre quando si valuta una eresia meritano il primo piano. Del resto, se Lutero viene assunto come un “testimone”, bisogna precisare che l’autorevolezza del testimone è data non solo dalla sua buona fede soggettiva – appunto le sue intenzioni – ma anche dal contenuto oggettivo delle presunte verità che egli ci comunica[8]. La fede è sia fides qua che fides quae. Un aspetto è l’atto di fede e altro aspetto è il contenuto dell’atto di fede. Da un punto di vista cattolico i due elementi devono esserci entrambi, ma dal punto di vista luterano è sufficiente l’atto di fede perché Lutero propone una «fede senza dogmi»[9]. Incentrarsi quindi solo su questo punto è già una importante concessione all’impostazione protestante.
Il secondo punto di vista assunto da parte cattolica è di “fare un tratto di strada insieme”, come si sente ripetere. Anche questa prospettiva ha lo stesso esito della precedente: mette in secondo piano i contenuti dottrinali. Essa presuppone che si possano fare delle cose insieme prima di esserci chiariti chi si è. Come se le questioni cosiddette “pratiche” nel senso delle questioni di etica filosofica o di etica naturale fossero indipendenti dalle convinzioni dottrinali e dogmatiche. La cosa è particolarmente difficile da sostenere nel caso del Luteranesimo che nega l’esistenza di una filosofia pratica come pure di un’etica naturale.
Le diverse visioni dottrinali[10] dei Cattolici e dei Protestanti motivano diverse scelte pratiche e non si può passare alle seconde senza tener conto anche delle prime. Altrimenti sarebbe come dire che è possibile vivere indifferentemente alla propria fede religiosa o in modo da essa indipendente. Oppure mettendola da parte. Si percepisce qui una visione della dottrina intesa solo come teoria astratta. Non è difficile riscontrare, nel dialogo ecumenico una notevole difficoltà a trovare accordi pratici per esempio sulle questioni di bioetica e biopolitica e sui cosiddetti “nuovi diritti”, il che dimostra come sia impossibile “camminare insieme” senza i dovuti chiarimenti dottrinali. E’ la vecchia illusione di Maritain a proposito della convergenza pratica sui diritti umani indipendentemente dalle visioni del mondo che continua in altro contesto.
La centralità delle intenzioni è un tema tipicamente luterano. La Riforma, come si sa, pone al centro la coscienza soggettiva. La Riforma, secondo Maritain, «ha sbrigliato l’io umano nell’ordine spirituale e religioso»[11]. Il primato della prassi sulla dottrina è pure un tema tipicamente luterano: «L’istanza luterana è eminentemente pratica»[12]. Se il problema è “sentirsi” (in coscienza) in stato di grazia allora per riuscirci balzano in primo piano le nostre azioni; se poi le nostre azioni sono ritenute incapaci e insufficienti di provocare questo sentimento e si pensa che quindi non abbiano nessun rapporto con la grazia, ugualmente la prassi balza in primo piano come un ordine autonomo e indipendente dalla fede.
E’ mia convinzione che, privilegiando questi due punti di vista, i cattolici accolgano già in partenza importanti posizioni luterane.
Il Luteranesimo come Gnosi
Tra le varie letture della Riforma luterana ritengo che la più adatta a cogliere adeguatamente l’oggetto sia di vederla come una forma di Gnosi, ossia di una riconsiderazione della realtà a partire dal soggetto.
Un motivo classico della Gnosi è di distinguere tra due divinità, una positiva e una negativa. Ciò è stato evidente nel Manicheismo e nel Catarismo, ma anche nell’eresia gnostico-cristiana di Marcione il quale identificava il Dio cattivo con il Dio creatore e legislatore del Vecchio Testamento e il Dio Buono con il Dio misericordioso e salvatore del Nuovo Testamento. Anche Lutero distingue il Dio della Legge dal Dio della Misericordia. Il primo ci dà degli ordini impossibili da adempiere, il secondo ci giustifica nonostante i nostri peccati.
Un secondo motivo gnostico presente nel Luteranesimo è che la natura è completamente separata dalla grazia, come per gli Gnostici la materia dallo spirito. Tutto ciò che l’uomo fa seguendo le sue inclinazioni è solo sozzura, solo la fede salva. Da qui la separazione tra natura e soprannatura e tra ragione e fede come tra il male e il bene, la perdizione e la salvezza. La creazione, dopo il peccato delle origini, è radicalmente inquinata dal male. La salvezza, come nella Gnosi, è riservata a degli eletti, presenti da sempre nei disegni imperscrutabili di Dio e a ciò predestinati. Dello stesso parere erano gli Gnostici, secondo i quali solo ad una cerchia ristretta di “illuminati” Dio avrebbe concesso la salvezza.
Un terzo elemento gnostico del luteranesimo è la compresenza nell’uomo di sozzura e spiritualità. La salvezza per sola fede non cambia la nostra natura, che rimane peccatrice, ma Cristo la copre col suo mantello, fa propri i nostri peccati, ce ne libera assumendoli su di Sé. Sul tema della giustificazione la dottrina cattolica e quella protestante sono molto lontane: per la prima Cristo risana ontologicamente tramite la grazia la natura ferita, per la seconda la natura rimane ontologicamente ferita e Cristo condona i peccati come dall’esterno: «crede, infatti, che il suo peccato non è più suo, perché, quando c’è la fede in Cristo, è necessario che ogni peccato scompaia in Lui»[13]. Per il cattolicesimo il peccato e la grazia non possono convivere, mentre per il luteranesimo sì: pecca fortiter sed crede fortius; simul iustus et peccator. Noi siamo salvati, quindi, ma peccatori nello stesso tempo. Gli Gnostici ritenevano che anche nella lordura delle passioni più sfrenate l’individuo gnostico potesse mantenersi puro, perché quella lordura riguardava il corpo ma non il suo spirito, predestinato alla salvezza. Lutero pensa che la lordura riguardi la nostra natura corrotta ma non la nostra anima salvata già da Cristo. Si può essere peccatori e santi nello stesso tempo.
Può essere utile ricordare, a questo punto, che il Luteranesimo condivide il proprio carattere gnostico con tutta la modernità, o quantomeno con gli elementi fondanti il pensiero moderno[14]. Il punto decisivo è la sostituzione della prospettiva soggettiva alla prospettiva oggettiva: la dottrina della salvezza per sola Scriptura sostituisce la Tradizione con la risonanza soggettiva della Scrittura nel cosiddetto “libero esame”; la dottrina della salvezza per sola Fide intesa come atto soggettivo di affidamento, ossia come “fiducia”, sostituisce il contenuto dogmatico della fede con la “esperienza” della fede o, come dirà Shleiermacher, con il “sentimento della fede”[15]; la dottrina della salvezza per sola Gratia fa della natura qualcosa di non normativo per l’uomo e, quindi, a sua completa disposizione.
La dottrina luterana del potere politico
Questo ultimo punto della salvezza per sola Gratia è denso di molteplici implicazioni sociali e politiche. Esso stabilisce una incompatibilità tra natura e grazia. Nella visione cattolica la grazia non elimina la natura ma la perfeziona e così accade tra la ragione e la fede[16]. La separazione tra le due comporta che l’ambito naturale perda ogni collegamento con la fede, che si fa solo interiore, in modo che l’uomo è, in quanto credente in Cristo, libero, e in quanto cittadino, servo: «Il cristiano è completamente libero … il cristiano è il più sollecito verso tutti, sottoposto a tutti»[17].
Poiché la natura umana è irrimediabilmente malvagia e la stessa vita di Grazia non serve per purificarla, nella sfera naturale c’è bisogno del potere per tenere a freno gli istinti malvagi dei cittadini. Tale potere non è legato ad una norma morale naturale, dato che dalla natura vista in senso esclusivamente negativo non può derivare una legge morale, né è subordinato ad un potere spirituale che è, per Lutero, solo interiore, e quindi si tratta di un potere assoluto, che non deve rendere conto di sé stesso a nessuno.
E’ evidente l’influenza di questa concezione del potere sui grandi teorici del pensiero politico dell’età moderna. Su Jean Bodin, per esempio, secondo il quale “sovrano è colui che non dipende che dalla sua spada”, oppure su Thomas Hobbes, secondo il quale il potere è il Leviatano a cui i sudditi cedono ogni loro libertà, ma anche sul complesso della filosofia politica moderna di tipo contrattualistico – compresi quindi John Locke o Jean-Jacques Rousseau – secondo cui il potere politico non dipende da una comunità politica naturale che lo precede e che lo limita, ma è esso stesso il fondamento della comunità politica. Da Lutero si arriva così fino ad Hegel e alle varie forme di totalitarismo moderno e contemporaneo.
Secondo il grande teologo riformato Karl Barth, lo Stato è «in sé e per sé malvagio … una orrenda deformazione della guida diretta della storia da parte della giustizia divina … esso governa il male per mezzo del male e ogni politica, in quanto lotta per il potere … in quanto arte diabolica per ottenere la maggioranza, è essenzialmente suicida»[18]. Qual è l’atteggiamento del cristiano, allora, di fronte all’autorità politica e al potere così intesi? Barth dice: «Sottomettetevi! Lasciate cioè che lo Stato vada per la sua strada e voi, come cristiani, andate per la vostra»[19]. Qui la laicità della politica è radicale separazione dalla fede, essa non ha niente a che fare con il Regno di Dio: «La causa del rinnovamento divino non può essere mescolata, confusa con la causa del progresso umano”[20]. Tra impegno politico nella storia da un lato e vita cristiana dall’altro non c’è alcun rapporto, il Cristianesimo non è interessato al progresso umano[21].
Questa concezione del potere politico ha alimentato non solo le forme di Stato assoluto e totalitario, ma anche le democrazie contrattualistiche e procedurali, ossia le democrazie vuote di senso che oggi danno luogo a forme di democrazia totalitaria[22]. Il nesso di Lutero con Rousseau è a questo proposito evidente. Se la vita politica è sottratta a delle norme sia naturali che soprannaturali, essa è campo del volontarismo e l’unico criterio da seguire diventa la coscienza individuale. L’idea d Rousseau – “è sufficiente ascoltare se stessi per fare il bene”[23] – si incontra così con la centralità della coscienza nel sistema di pensiero luterano. Bisogna osservare che le due istanze, ossia la sottomissione cieca al potere da un lato e l’esercizio di una libertà di coscienza priva di contenuti e regole dall’altro, non sono in contrasto tra loro. La loro miscela spiega infatti la completa adesione delle sette protestanti all’attuale pensiero unico post-naturale delle democrazie evolute. Tutte le sette protestanti, infatti, hanno già completamente accettato l’aborto, il matrimonio gay, la fecondazione artificiale, la distruzione per legge della famiglia.
Aspetti filosofici della Riforma
Quella luterana è una nuova religione, ma oltre a ciò è anche una nuova visione della vita sociale e politica, dell’autorità e del potere, della morale e del diritto. Questo accade perché quella luterana è anche una filosofia. Ed infatti per i suoi contenuti filosofici la religione luterana ha influenzato enormemente la filosofia moderna e ha comportato la fine della filosofia cristiana[24]. A sua volta la teologia luterana e protestante ha influenzato notevolmente la teologia cattolica[25]. Su questo processo vale la pena di spendere due parole.
La filosofia luterana ha senz’altro un contenuto nominalista. Il mondo non presenta delle strutture ontologiche ma solo delle situazioni uniche e particolari, assolutamente non confrontabili l’una con l’altra. Il creato non è più un “discorso” che riveli una Sapienza, ma è frutto della pura Volontà di Dio. L’essere non si presta alla conoscenza e non esiste rapporto “analogico” tra il mondo e Dio, che è il Totalmente Altro. Affidarsi a Dio non ha nessun presupposto di ragione, è un puro “fidarsi”, un puro mettersi nelle sue mani. La fede non ha dei perché, essa non presenta condizioni di ragionevolezza come invece ha sempre pensato la filosofia cristiana. Il problema razionale se Dio esista, se e come possa essere conosciuto e cosa egli sia – ossia le primissime questioni della Summa Theologica di San Tommaso – non si pone. Si pone invece il problema dell’esperienza della sua salvezza. Il problema di Dio viene soggettivizzato, la rivelazione avviene nell’esperienza della coscienza. Nasce così la dissociazione tra ragione e fede che troviamo in Kant o la loro identificazione che troviamo in Hegel ma anche in tanti altri filosofi moderni. Si spiega così anche la dissociazione tra la fede e la morale, con la negazione di una filosofia morale naturale. Se oggi assistiamo al venire meno della credenza in “principi non negoziabili” la cosa va fatta risalire anche a Lutero.
Se la fede non si rapporta più con la ragione, cade tutta l’impalcatura della Dottrina sociale della Chiesa che ha due fonti: la rivelazione e la legge morale naturale. Finisce anche il ruolo pubblico della religione cattolica perché la Chiesa, se non esprime verità anche di ordine naturale, non ha titolo per pronunciarsi sulle questioni di etica pubblica. Ed infatti, nelle società molto caratterizzate dal protestantesimo, la fede inevitabilmente si privatizza.
Lutero distingue, come ha ben messo in evidenza Padre Coggi, il Cristo in sé dal Cristo per me[26], spostando l’attenzione dall’oggetto al soggetto, dalla ragione alla fede intesa come “fiducia”, dal Cristo della storia al Cristo della fede, dalla verità alla volontà, dalla libertà per alla libertà da e quindi è all’origine di tutti i tentativi di de-ellenizzare il cristianesimo e di demitizzarlo. Se la ragione è una meretrice, l’incontro tra cristianesimo e filosofia greca è stato un grave incidente che va superato. Se ciò che conta è il Cristo della fede, allora tutti gli elementi del Cristo della storia – incarnazione, miracoli, resurrezione, verginità di Maria – vanno eliminati per tenere solo il Cristo della fede[27]. Questa doppia prospettiva della de-ellenizzazione e della demitizzazione hanno notevolmente influenzato e spesso determinato la teologia cattolica specialmente postconciliare, a cominciare da Karl Rahner.
Se oggi anche i teologi cattolici ritengono centrale la coscienza, inesistente la metafisica, irrealistica la legge morale naturale, impossibili i principi non negoziabili e gli assoluti morali negativi, storici e mutevoli i dogmi, costruita dal basso, ossia dal “popolo di Dio”, la Chiesa ciò è dovuto alla grande influenza della filosofia e della teologia protestante su quella cattolica e, per molti versi indicano una protestantizzazione della fede cattolica oggi ampiamente in atto. Non intendo con ciò riferirmi solo alle questioni dogmatiche e dottrinali, che sono certamente di primaria importanza, ma anche a quelle sociali e politiche. I cattolici stanno ampiamente imparando dai protestanti e il loro modo di guardare a quell’impegno sta velocemente mutando in profondità. Poiché la visione protestante della polis è maggiormente in sintonia con l’orizzonte moderno è probabile che ai cattolici questo cambiamento riservi molti applausi, ma la coerenza con la fede e la tradizione sono un’altra cosa. La fedeltà alla democrazia vista come procedura prima che come contenuto, l’accettazione dell’agenda radicale a proposito di molte questioni etiche, la celebrazione del pluralismo dei valori come discendente dalla libertà di coscienza, una visione della libertà senza legge e senza contenuto e, quindi, la sostituzione della autenticità (o coerenza con se stessi) alla veridicità (o coerenza con la verità) sono solo alcuni esempi dell’assimilazione dentro i comportamenti cattolici di modi di vedere di origine protestante. No mi soffermo qui su come questo sia penetrato anche nel modo di intendere la Chiesa, la liturgia, i sacramenti … perché non rientra nel tema del presente articolo.
I 500 anni dalla Riforma
L’eresia non è solo una opinione sbagliata, espressione della libertà di opinione, una critica costruttiva nell’attuale dibattito pluralista e democratico. Oggi spesso essa viene derubricata così, almeno da quando, con Hegel, filosofo protestante, l’errore e il male sono stati visti come positivi per la dialettica storica[28]. L’eresia oggi viene intesa come una sana provocazione alla Chiesa cattolica anziché tutti insieme possiamo procedere verso un cristianesimo più maturo e completo, maggiormente conforme alla volontà del Signore. Ma l’eresia è ben altro. Essa è una ferita in profondità fatta alla realtà e alla verità di cui Dio è garante e, quindi, l’origine di una serie di grandi sofferenze per l’umanità.
Stefano Fontana,
per
[www.vanthuanobservatory.org]
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Le DAT: scorciatoia per il cimitero, risparmi per lo Stato
"Per noi è fondamentale l’autodeterminazione, intesa come la possibilità data ai cittadini di essere cittadini". Era La risposta di Beppe Grillo al direttore Tarquinio che lo intervistava sul quotidiano dei vescovi italiani.
In effetti, quanto i pentastellati tengano all'autodeterminazione, lo si è visto con il granitico appoggio del partito di Grillo al disegno di legge sul testamento biologico che di fatto introduce l'eutanasia auto-determinata (per quella etero-determinata c'è da attendere ancora un po', ma non preoccupatevi, non troppo).
In quella stessa intervista, il Beppe nazionale aveva proclamato: "Il governo a 5 Stelle avrà la consistenza di ciò che manca in Italia da troppo tempo: onestà e competenza al servizio dei cittadini".
Non ho numeri per esprimere pareri sull'onestà ma sui temi bioetici una certa competenza mi è riconosciuta dal ruolo accademico e dunque sono nella condizione di potere esprimere giudizi sull'operato dei politici.
Che le DAT siano uno strumento in grado di garantire l'autodeterminazione è tutt'altro che acclarato.
Appena un anno fa, la prestigiosa rivista PLOS ONE pubblicava una revisione della letteratura scientifica mondiale sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT).
Partita da 5.785 articoli, la ricerca si è progressivamente affinata fino a giungere a 67 pubblicazioni.
La redazione delle DAT è risultata aumentare la probabilità di ricevere i trattamenti desiderati di un misero 17%.
Si tratta di un risultato che scaturisce dall'analisi di soltanto due, diconsi due miseri studi.
Non si tratta nemmeno del risultato di una valutazione oggettiva, ma della percezione dei parenti del defunto.
Non è un caso che gli autori abbiano attribuito a tale evidenza il penultimo livello nella scala dei punteggi: "qualità povera".
Ma qual è il prezzo da pagare per incrementare in maniera così incerta e modesta la probabilità di compiacere il futuro paziente?
Qui i dati sono molto più numerosi ed offrono una panoramica di risultati convergenti.
Il DNR (Do Not Resuscitate), è la forma di DAT più comune.
Stabilisce di non provvedere alla rianimazione cardiopolmonare in caso di arresto cardiaco.
Nel 2004 la rivista Archives of Internal Medicine pubblicava i dati sui 4.621 pazienti infartuati del Worcester Heart Attack Study.
I pazienti con un DNR ricevevano con minore probabilità le cure farmacologiche, la trombolisi e avevano una mortalità ospedaliera del 44% contro il 5% di quelli che non avevano proibito ai medici la rianimazione.
Nel 2007, la rivista ufficiale dell'associazione dei medici americani che si occupano di terapie post-acute e croniche pubblicava i risultati su oltre 150.000 pazienti ricoverati in 4.111 reparti acuti per infarto.
Tra i pazienti che avevano scritto una DAT, la probabilità di ricevere antiaggreganti scendeva dall'84 al 65%, di assumere i betabloccanti passava dal 51 al 30% e di essere sottoposti a riperfusione cardiaca diminuiva dal 38 al 19%.
Non stupisce dunque che nel 2012 la rivista Clinical Epidemiology pubblicasse i risultati sui 4.182 pazienti ricoverati per infarto nel New England tra il 2001 e il 2007, dimostrando che chi aveva scritto un DNR, pur considerando la situazione clinica e l'età dei soggetti, vedeva ridursi di un terzo la probabilità di angioplastica e del 59% quella di by-pass coronarico mentre la mortalità ospedaliera aumentava di 9 volte e quella ad un mese dalla dimissione di oltre 6 volte.
Abbiamo dati che indicano l'incremento di mortalità per i pazienti affetti da scompenso cardiaco, ictus, traumi, sottoposti a chirurgia vascolare che, quando hanno un DNR, non ricevono le terapie necessarie a fronteggiare le eventuali complicanze post-operatorie.
In un paese relativamente piccolo come l'Irlanda, l'implementazione delle DAT è stata indicata come una misura potenzialmente in grado d'indurre risparmi per 17,7-42,4 milioni di dollari in ricoveri ospedalieri.
Al contrario, una revisione sistematica della letteratura scientifica condotta da docenti della London School of Economics ha portato a conclusioni molto più caute.
Partendo da un'analisi di 802 pubblicazioni progressivamente raffinata fino ad includere 18 studi -14 dei quali condotti in America- il professor Josie Dixon con i suoi collaboratori ha evidenziato come non sia disponibile alcuna analisi che abbia esaminato gli aspetti economici insieme agli indicatori sanitari mentre, per i risparmi, le evidenze non sono univoche.
È certo comunque che ridurre i costi dell'assistenza sanitaria è uno degli effetti da considerare, tanto da costituire una fonte di preoccupazione etica. Il Patient Self Determination Act, la legge che implementò le DAT in America, fu approvata nel 1990 come emendamento dell'Omnibus Budget Reconciliation Act, un pacchetto di misure volte a ridurre il deficit federale.
"Gratta il Peppone e troverai il Pepito", diceva don Camillo monsignore.
Gratta l'autonomia e troverai i quattrini, si potrebbe dire per le DAT. Come massima autorità politica in materia di salute del paese, in caso di approvazione della legge, il ministro Lorenzin avrebbe l'obbligo morale di lanciare l'allarme e giungere alle dimissioni e all'opposizione di un governo sostenuto da una maggioranza che tutela la cassa prima dei suoi cittadini.
Caro Beppe, la conoscenza la si acquista attraverso lo studio, aggiungervi un pizzico di modestia non guasta mai.
Se davvero tieni tanto alla competenza dei tuoi eletti e vuoi che legiferino in modo da darne prova, allora consiglio ai tuoi un corso full immersion.
Gratis, ci mancherebbe.
Perché se quella che sto vedendo sulle DAT dovesse essere la vostra competenza a livello generale, allora passare dal "mentitore seriale" (copyright tuo) all'ignoranza saccente non sarebbe certo un grande affare.
Renzo Puccetti
Tratto da: La verità del 23 aprile 2017
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LA CONFERENZA EPISCOPALE POLACCA CONFERMA IL DIVIETO PER I DIVORZIATI-RISPOSATI.
Il 7 giugno la Conferenza episcopale polacca ha chiuso i lavori della sua assemblea generale a Zakopane, sui monti Tatra. E secondo quanto ha dichiarato a Katholish.de il portavoce dei vescovi polacchi, Pawel Rytel-Andrianik, i presuli hanno constatato che l’insegnamento della Chiesa per ciò che riguarda le persone che vivono in situazioni di coppie non sacramentali “non è cambiato” dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia.
Una dichiarazione pubblica spiega che i cattolici che si trovano in quel tipo di situazioni dovrebbero essere guidati “Verso una vera conversione e a una riconciliazione con il loro coniuge e i figli di quell’unione”. I vescovi si riferivano esplicitamente all’esortazione post-sinodale di Giovanni Paolo II “Familiaris Consortio”, che permette di avvicinarsi ai sacramenti solo se i divorziati-risposati civilmente vivono una relazione come fratello e sorella.
I vescovi polacchi hanno inoltre annunciato che discuteranno in autunno, durante la prossima assemblea generale, le linee guida realtive alla cura pastorale delle persone che vivono in situazioni di coppia “non sacramentali”, e la loro integrazione nella vita della Chiesa. Le nuove linee guida spiegheranno in concreto come dovrà essere svolto l’accompagnamento dei divorziati-risposati.
Questa presa di posizione ufficiale, dopo quelle di segno contrario delle conferenze episcopali della Germania e del Belgio, rende sempre più evidente lo stato di confusione provocato dall’ambiguità delle norme – e soprattutto delle note a piè di pagina – dell’esortazione post-sinodale “Amoris Laetitia”. Dalla sua pubblicazione si assiste a interpretazioni opposte di cardinali, vescovi,e conferenze episcopali, mentre la richiesta di chiarimenti rivolta al Pontefice non solo dai cardinali con i “Dubia”, ma da laici, vescovi e studiosi con lettere aperte e petizioni rimane ancora inevasa.
Era prevedibile per altro che la Conferenza episcopale polacca si esprimesse in questa direzione. Già nel novembre scorso mons. Jan Watroba, Presidente del Consiglio per la Famiglia dei vescovi polacchi, aveva dichiarato: “E’ un vero peccato che non esista un’interpretazione unica e un messaggio chiaro del documento, e che si debbano aggiungere interpretazioni a un documento apostolico. Personalmente preferivo documenti come quelli che Giovanni Paolo II scriveva, dove commenti aggiuntivi o interpretazioni relative all’insegnamento di Pietro non erano necessari”. In precedenza il vescovo ausiliario di Lublino Józef Wróbel aveva espresso il suo appoggio ai Dubia. I cardinali “Hanno fatto bene e hanno esercitato correttamente quello che prevede la legge canonica. Credo che sia non solo un diritto, ma anche un dovere. Sarebbe stato giusto rispondere alle loro osservazioni”.
E aveva aggiunto: “Non potevi dare la comunione prima, e non è possibile ora. La dottrina della Chiesa non è soggetta a cambiamenti, altrimenti non si tratta più della Chiesa di Cristo fondata sul Vangelo e sulla Tradizione. Nessuno ha il diritto di modificare la dottrina, perché nessuno è padrone della Chiesa”.
Anche il presidente della conferenza episcopale polacca, mons. Gadecki, nel luglio del 2016 secondo il Tablet aveva negato la possibilità di dare l’Eucarestia ai divorziati risposati. La conferenza episcopale polacca è la prima conferenza episcopale a dichiarare unitariamente che continuerà a seguire l’insegnamento tradizionale della Chiesa sul matrimonio e i sacramenti. In precedenza si erano avute conferenze episcopali regionali, a prendere posizione in merito, e un appello dei vescovi del Kazakhstan al Papa affinché confermasse la prassi immodificabile della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio. Altri vescovi in tutto il mondo hanno preso posizione in difesa della dottrina del matrimonio della Chiesa così come è stata enunciata e praticata fino ad “Amoris Laetitia”.
[www.lanuovabq.it]
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Parrocchie da incubo, manuale per fedeli non "buonisti"
Don Andrea Brugnoli è un sacerdote di Verona, parroco a San Zeno alla Zai. Da molto tempo ormai si è messo sulla strada del rinnovamento pastorale della Chiesa. Ha fondato le Sentinelle del Mattino e il Café teologico presente in altre diocesi e anche all’estero. E ha creato Una luce nella notte. Ha scritto libri sulla rivitalizzazione pastorale ed è stato invitato da varie Conferenze episcopali – dalla Spagna a Taiwan - a parlare ai preti di nuova evangelizzazione e pastorale giovanile.
Ora egli dà alle stampe un libro che ha chiamato nel sottotitolo Manuale per cambiare stile di Chiesa. Il titolo suona truce e terrificante: Parrocchie da incubo (edizioni Fede & Cultura 2015). Ma all’interno di terrificante non c’è nulla. Certamente non è un libro tenero, che accarezzi, il nostro don Andrea è deciso e tagliente nelle sue valutazioni e coraggioso e originale nelle proposte. Il suo motto è «o si cambia o si muore». Non apprezza le «nostre riunioni verbose» e i «nostri catechismi antropologici» che, secondo lui, «hanno formato ben pochi cristiani veri, testimoni impegnati a portare le persone in Paradiso».
Secondo don Andrea bisogna cambiare anche i luoghi delle nostre parrocchie. «La chiesa», dice, «è la casa di Dio e Lui solo deve parlare. Non di noi, delle nostre attività: la gente deve vedere che in chiesa si entra per dare gloria a Dio e a Dio solo» Ce l’ha, don Andrea, con le bacheche disordinate, le candele elettriche, i volantini e gli avvisi sparsi ovunque, con il Tabernacolo messo in disparte perché «dopo il Concilio, al posto di Gesù, si sono messi i preti con la loro sedia», lo «scempio»– come lui lo chiama - dei due altari («mai una chiesa ha avuto due altari nello stesso presbiterio»), l’altare rivolto al popolo «così la liturgia si è ridotta da dialogo dell’uomo con Dio a un dialogo tra di noi», l’eliminazione della balaustra dove inginocchiarsi per la Comunione, le aule del catechismo sporche e disadorne, con sedie scomode.
Nella sua chiesa di San Zeno alla Zai a Verona – spiega don Andrea – la facciata è pulita, la bacheca ordinata e c’è solo una grande scritta: “Benvenuto a casa!”. In chiesa c’è sempre una musica di sottofondo in gregoriano, le candele sono di cera, al centro dell’altare c’è un grande crocefisso verso cui si rivolgono sia il celebrante sia i fedeli. Il Tabernacolo è posto al centro. Non è stata ripristinata la balaustra, ma viene data la possibilità di prendere la Comunione in ginocchio, con degli inginocchiatoi mobili, e il 95 per cento dei suoi fedeli fa così. Don Andrea non è un patito della messa antica. Dedica un capitolo del libro alla Messa di Paolo VI, che è stata ed è la sua messa. Però auspica una ulteriore riforma liturgica che unifichi i due riti
La Chiesa ha come ultimo scopo – dice don Andrea – di dare gloria al Signore. Per fare questo ha un obiettivo interno: edificare i discepoli, ed uno esterno: evangelizzare quelli che non conoscono Gesù. Tutto deve essere orientato al grande mandato di fare discepoli. Si incontra Gesù tramite l’incontro con dei cristiani che lo hanno già incontrato, ossia con dei discepoli-missionari. Bisogna formare persone in grado di evangelizzare e per questo, dice don Andrea, ci vuole una “visione”. Quella che lui propone è «Risvegliamo la Chiesa!» e tutta la vita della parrocchia vi ruota attorno, perché la visione deve essere conosciuta da tutti ed espressa in modo conciso e chiaro come la destinazione sul display di un autobus.
La cosa principale è formare una équipe. Anche da zero se necessario, mentre la vita della parrocchia intanto procede. Sono le persone che fanno la differenza, non le attività. Si fanno le attività in base alle persone e non il contrario. Il cristiano modello oggi è il filantropo. Deve tornare a essere l’apostolo che evangelizza. «Vedo diocesi», scrive don Andrea, «dove si organizzano costosi festival, convegni su ogni argomento, assemblee dove il microfono viene dato ai pagani e nemici della Chiesa, presentati come profeti e maestri di quello che dobbiamo fare noi». Ecco che anche il catechismo «si limita a un blando richiamo ai valori antropologici e a un moralismo terzomondista che persino un extracomunitario troverebbe risibile e anti-storico».
A proposito di catechismo. Nel suo libro-manuale don Andrea si sofferma molto sul catechismo, sulla preparazione ai sacramenti, sulla liturgia. Il catechismo – dice – è fatto per chi ha già incontrato il Signore. La catechesi non è l’annuncio, viene dopo di esso. Prima di tutto bisogna suscitare l’atto iniziale di fede nei confronti di Gesù Salvatore. Bisogna pensare a fare il primo annuncio ai bambini e ai ragazzi, tenendo conto che il test per sapere se l’annuncio è arrivato a destinazione è vedere se il bambino (o adulto) adora Gesù, se si inginocchia davanti al Tabernacolo e Gli parla. Se questo c’è, allora la catechesi diventa un cammino di discepolato.
Don Andrea è anche contro la “pastorale del ricatto”, che è l’esatto opposto del primo annuncio: approfittare del fatto che i genitori vogliono battezzare il figlio per obbligarli a un certo numero di incontri. Anche qui: prima ci vuole la fede e la conversione, poi la Chiesa forma i suoi figli. Ci sono tanti tipi di parrocchie. C’è la Parrocchia Addams, dove tutto è in disordine e piuttosto lugubre; c’è la Parrocchia Social, brulicante di volontari, tutti con la barba, i sandali ai piedi e dove si fa un sacco di cose: lavoretti per il Terzo mondo, raccolte equosolidali, vendita di prodotti missionari; c’è la Parrocchia Milàn, dove i preti recitano la messa con l’i-Pad e si fanno progetti pastorali con organigrammi e votazioni in Consiglio pastorale; c’è la Parrocchia Asilo, dove si ospitano i bambini quando i genitori lavorano, si organizzano campi scuola e grest quando le scuole sono chiuse, si fanno feste di compleanno e si ospitano riunioni condominiali e comitati di quartiere.
Don Andrea cerca di costruire una parrocchia diversa. Il suo sogno lo esprime con chiarezza alla fine del libro: «Sogno una Chiesa tutta protesa a formare gli evangelizzatori. Dove tu vai a Messa una domenica e senti un’aria di famiglia; dove tutti si conoscono perché tutti condividono la passione per portare le persone all’incontro con Gesù e quelli che sono nuovi, lì per la prima volta, vengono accolti con un bel sorriso e comprendono subito che quella può essere la loro casa».
di Stefano Fontana *da La Nuova Bussola Quotidiana,