Martin Lutero: il lato oscuro di un rivoluzionario, di Angela Pellicciari; ed. Cantagalli, Siena 2016, pp. 206 - da:
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«Dal 1517 in poi la persecuzione contro la Chiesa fa un salto di qualità perché, dopo Lutero e dietro di lui, molte nazioni diventate protestanti vedono il proprio odio contro Roma (ma anche contro gli ebrei) giustificato dalla predicazione di un ex monaco agostiniano diventato “Mosè tedesco”, ovvero capo spirituale indiscusso della Germania. Lutero e i luterani si battono in nome della libertà e della uguaglianza, concetti che conosciamo bene, ma questi begli ideali servono ora a giustificare un assolutismo sconosciuto in ambito cristiano. Dove arriva Lutero la “Libertas ecclesiae” è un ricordo del passato perché le varie chiese nazionali sono completamente soggette al potere temporale». (pp. 5-6)
Sono queste parole di Angela Pelliciari, nella nuova edizione del suo libro su Lutero: il lato oscuro di un rivoluzionario (la prima edizione era del 2012). Si tratta di un saggio storico, in prima linea, ma accompagnato da utili e profondi riflessioni sul pensiero e la realtà luterana in se stessa, come fenomeno religioso e pure come atteggiamento filosofico. Ne basta un esempio da indicare: «Uguaglianza davanti a Dio e alla chiesa, in quanto che non c’è più gerarchia, anche se poi viene introdotta una diseguaglianza di tipo metafisico, terribile, che vede Dio dispensatore arbitrario ed assoluto del destino eterno degli uomini creati per la morte o per la felicità eterna senza che questi possano, con le loro opere, cercare di cambiare la loro sorte. De servo arbitrio: l’uomo non è libero, è schiavo. La volontà dell’uomo non ha alcun potere». (pp. 6-7)
«Con questo scritto – scrive la Pellicciari – mi ripropongo di tratteggiare le coordinate essenziali per capire la Riforma. Lo faccio, come mia abitudine, a partire dei documenti, esaminando da vicino gli scritti di Lutero, puntando a far emergere le idee forti del “profeta della Germania” a partire dell’analisi puntuali dei testi». (p.11) Ecco perché, inoltre ai commenti inseriti nel testo principale, il volumetto viene accompagnato da tre appendici con testi da Lutero stesso, tradotti, più una piccola collezioni delle immagini e caricature ideate da lui, specialmente ridicolizzando la figura del Papa di Roma.
Pellicciari inizia con un’analisi storica: Dallo scontro fra papato e impero vince, momentaneamente, un re, il re di Francia. Questo si intravvede già con l’accesa di Filippo IV il Bello a partire del 1285, in lotta contro il Papa Bonifacio VIII. Dal 1309 al 1377 avrà luogo il duro esilio dei papi in Avignone, esilio che metterà, in sostanza, il papa sotto scacco e subendo la pressante influenza del re di Francia. (cfr. pp. 20-21) Inoltre, la Chiesa si organizzava (fino a Napoleone) con il sistema dei benefici. Ad ogni “officio”, ad ogni carica ecclesiastica, corrispondeva un rendita che consentiva al titolare dell’officio di svolgere il compito affidatogli. Durante il papato di Avignone si decide che la persona incaricata di un officio debba anticipare la rendita di un anno del beneficio annesso, versandolo alla Santa Sede. Così è stato evidente che diventava vescovo, cardinale, parroco, viceparroco e via dicendo, solo chi disponeva dei risorsi finanziare. Non basta. Dal momento che i ricchi sono pochi, si concentra nelle loro mani un grande numero di offici ed a coloro che possono anticipare le rendite di un anno viene affidato un numero esorbitante di incarichi, succedendo così che alcuni vescovi e parroci diventavano titolari di decine – a volte centinaia – di diocesi e parrocchie. Affidavano ai vicari la cura dei fedeli, e questi, titolari di numerosi vicariati, nominavano sostituti. (cfr. pp. 22-23) Ovviamente, i danni prodotti dalla cattività avignonese sono incalcolabili.
A questa cattività succederà il chiamato scisma di Occidente, con due papi in carica. Il rifiuto del pensiero metafisico porta per sé l’oblio dell’interesse per la sostanza, la qualità e per le essenza delle cose. Cita l’autrice il Papa Benedetto XVI, chi affermava che il patrimonio della filosofia greca, che criticamente purificato, è parte integrante della fede cristiana, viene messo in discussione nella teologia moderna con tre ondate che cominciano con la Riforma del XVI secolo. La Fede non appare più come vivente parola storica, ma come elemento inserito nella struttura di un pensiero filosofico. (cfr. pp. 29-30)
Inoltre a quei motivi storici remoti, che in certo modo, contribuirono a creare il clima propizio perché la Riforma prendesse il sopravvento, ci sono pure delle motivazioni storiche più prossime nel tempo, e in stretto rapporto con la situazione della Germania degli inizi del sec. XVI. Infatti, «alla fine del XV secolo mentre i regni europei, vanno rafforzando il potere del re con marcata tendenza all’assolutismo, in Germania le cose vanno alla maniera antica, secondo l’uso feudale: il potere è ripartito in una moltitudine di soggetti laici ed ecclesiastici». (p. 31) Allo stesso tempo, la vita culturale tedesca è vivace: vengono fondate molte università, il paese possiede delle famiglie di commercianti e banchieri più potenti al mondo, inoltre da Costantinopoli caduta erano arrivati una schiera di studiosi, filosofi, teologi, rabbini, che rendevano familiare lo studio delle lingue: latino, greco, ebraico. Soltanto che dalla ricca, esoterica Firenze, viene contagiato un umanesimo che si rivolgeva minuziosamente alle fonti – compressa la Scrittura – ma molto critico della scolastica ed delle diverse forme di religiosità popolare. In Germania questo umanesimo si colora di nazionalismo. Così, la letteratura di lingua tedesca nasce antiromana e il Dante locale si chiama Lutero che nel 1534 compone la traduzione della Bibbia. (cfr. pp. 32-33) L’originalità di questa traduzione consisté nel scrivere nella “lingua comune”, quella che in Germania capiscono tutti. Questa traduzione è spesso libera al punto che, per esplicitare o enfatizzare meglio alcuni passaggi ritenuti fondamentali, non esita a modificare il testo introducendo parole non presenti nell’originale. Così, in Rom 3,28: Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede indipendentemente delle opere della legge, è tradotto con l’aggiunta dell’aggettivo “sola (fede)” che non è irrilevante ai fini della comprensione del testo. (cfr. nota 36, p.43)
Si è parlato molto dello scandalo provocato per le prediche delle indulgenze, soprattutto in Germania, vale a dire la remissione della pena temporale per i peccati, una volta rimessa la loro colpa, indulgenza che la Chiesa ha il potere di amministrare. E’ vero che quello sia stato un vero scandalo ed è anche un miracolo che la Chiesa sia riuscita a sopravvivere; ciononostante, la riforma luterana non nasce da questo scandalo, come si crede abitualmente.
Martin Lutero, nato il 10 novembre 1483 a Eisleben, in Sassonia, dopo certi studi decide di farsi monaco a causa di un voto fatto a sant’Anna. Pur se sviluppa una rapida carriera sia in campo accademico che ecclesiastico, deve sostenere dure lotte contro le concupiscenze e le tentazioni. E’ nella dottrina della ‘giustificazione per la fede’ dove troverà il fondamento della sua propria teologia. Così scrive: «Nonostante l’irreprensibilità della mia vita di monaco, mi sentivo peccatore davanti a Dio; la mia coscienza era estrematamene inquieta, e non avevo alcuna certezza che Dio fosse placato dalle mie opere soddisfattorie. Perché non amavo quel Dio giusto e vendicatore, anzi, lo odiavo, e se non lo bestemmiavo in segreto, certo mi indignavo e mormoravo violentemente contro di lui».[1] Questo atteggiamento lo porta alla scoperta della nuova esegesi che, secondo lui, bisogna fornire di Rom 1,17: E’ (nel vangelo) che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: Il giusto vivrà mediante la fede. Questa “giustizia” Dio la dona, se il giusto ha fede. Così crede di scoprire in quella giustizia di Dio anche la sua misericordia. (cfr. pp. 39-40)
Già nel 1517 Lutero compone 97 tesi in occasione del baccellierato di Franz Gunther. Ecco qualche saggio: “l’uomo, diventato simile ad un albero marcio, non può non volere né fare altro che male” (tesi n.3); “E’ falso dire che la volontà è libera di decidersi per il bene o per il male. La volontà non è libera, è schiava” (n.5); “Non diventiamo giusti facendo quello che è giusto, ma è quando siamo stati resi giusti, che compiamo la giustizia. Contro i filosofi (n.40); “tutto Aristotele nei riguardi della teologia è come le tenebre nei confronti della luce” (n.50). (cfr. p. 41)
La prima (n.3) è la tesi della natura corrotta totalmente ed essenzialmente dopo il peccato originale. L’uomo non sarebbe più in condizione di raggiungere nessun bene. La seconda (n.5), molto legata alla prima, versa sulla negazione del libero arbitrio e la predestinazione. Nella sua opera De servo arbitrio troviamo le seguente insinuazioni: «L’uomo non è responsabile delle proprie azioni; quindi non ci può essere per lui alcuna ricompensa o alcuna condanna. C’è semplicemente l’imperscrutabile volontà di Dio che dall’eternità destina qualcuno all’inferno, qualcun altro al paradiso. Doppia predestinazione: Dio non predestina tutti alla salvezza, Dio salva o condanna gli uomini senza che questi abbiano alcuna possibilità di sfuggire al loro destino: “Chi, dici tu, s’impegnerà a correggere la propria vita? Rispondo: nessuno può né potrà farlo”, ma “gli eletti e gli uomini pii verranno corretti mediante lo Spirito santo; gli altri periranno senza essere corretti”». (cfr. p. 61)
La terza (n.40) costituirà uno dei capisaldi del sistema luterano: il principio della “sola fede”: “Soltanto la fede senza alcuna opera rende pio e beato”, scrive in La libertà del cristiano. Per non prendere in considerazione il testo della lettera di Giacomo 2, 14-21, che mostra la necessità delle opere per far conoscere la fede, definirà questa lettera come “una lettera di paglia”, rifiutandola del canone (distinguendo tra ‘libro’ e ‘libro’ all’interno della Bibbia; cfr. pp. 73-74).
L’ultima si rapporta con il disprezzo della metafisica e di tutto il sapere razionale umano. Altri capisaldi del pensiero luterano saranno la “sola Scrittura” ed il libero esame, per il quale ad ogni cristiano gli viene di interpretare la Bibbia in modo suo, pure se contro il parere della Chiesa, contraddicendo quanto detto nella seconda lettera di Pietro (2Pt 1, 20-21), anche essa disprezzata dal riformatore.
Tutto quanto detto è stato affermato e vissuto da Lutero in un clima di aperta opposizione al Papa ed al suo Magistero, opposizione che andava ogni volta in crescendo nelle sue diatribe. In una delle sue opere più significative: Ai principi cristiani della nazione tedesca, parte del seguente principio che viene dato per scontato, quando avrebbe dovuto essere dimostrato. Questo è: I “romanisti” – i cattolici – “hanno eretto intorno a sé con grande abilità tre muraglie, con le quali essi si sono fino ad ora difesi di modo che nessuno ha potuto riformarli, e in tal modo l’intera cristianità è orribilmente decaduta”. (p. 63)
L’immagine delle muraglie è un pretesto e una provocazione, perché invitano ad assalirle. Queste muraglie sono: La prima: i pontefici “hanno stabilito e proclamato che l’autorità secolare non aveva alcun diritto sopra di loro ma al contrario, che la spirituale era superiore al temporale”;
La seconda: il papa ha evocato a sé “l’interpretazione della Scrittura”;
La terza: “hanno inventato che nessuno può convocare un concilio se non il papa”;
Lutero rimprovera ai papi di aver svolto il proprio ruolo con coscienza: di aver difeso la libertà della chiesa dal potere temporale. E guadagna, in questo scritto, le seguenti posizioni di principio:
– a Roma c’è l’anticristo;
– Roma è nemica della Germania;
– il ceto dirigente tedesco deve prendere coscienza di questa situazione e regolarsi di conseguenza (p.64).
Lo stacco definitivo della Germania della comunione con Roma lo proclama Lutero in un’altra sua opera: Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, con delle conseguenze che noi conosciamo e che sono arrivati fino a Hitler.[2]
Dopo aver suscitato, in tedesco, l’odio e disprezzo verso Roma, Lutero passa al latino per illustrare, in modo apodittico, quanto siano i sacramenti. Scrive: “Io nego i sette sacramenti; per il momento se ne devono conservare solo tre: il battesimo, la penitenza, l’eucaristia”. Così scrive nel De captivitate Babylonica ecclesiae (p. 66). Rifiuterà il carattere di sacrificio della Messa ed il Battesimo l’accetterà in tanto venga accompagnato di una percezione soggettiva della fede (pp. 67-70).
Ci sarebbe molto da dire e commentare ancora, come il dramma della lotta dei contadini. La propaganda luterana con i suoi fogli volanti, le sue parole di ordine semplice, la diffusione a tappeto delle rozze e violente incisioni antiromane e anticattoliche, fa breccia e raggiunge tutti gli strati della popolazione, anche i più popolari. Così succede che nel 1524 – 1525 i contadini di molte zone della Germania si sollevino contro principi e vescovi, e contro le amministrazioni municipali saldamente in mano alla borghesia. Sollevazioni c’erano state ormai prima, quando il potere padronale (dopo il 1400) si era irrobustito facendo perdere le conquiste delle istituzione medievali dei contadini. Borghi, conventi, chiese e castelli sono saccheggiati e distrutti. I contadini svevi stendono il proclama della rivolta: I dodici articoli dei contadini (cfr. p. 102).[3] Lutero viene chiamato in causa e interviene con il suo opuscolo: Esortazione alla pace, sopra i dodici articoli dei contadini di Svevia. Rimprovera i padroni in nome di Dio ma rimprovera anche i contadini, chiamandoli a comportarsi cristianamente. La sua mediazione fallisce ed è allora che «il popolo va avanti con le sue richieste evangeliche di libertà, uguaglianza e giustizia: Il “papa di Wittenberg” (Lutero) non perdona l’insubordinazione in nome della riforma e scrive un testo di straordinaria violenza: Contro le bande brigantesche e assassine di contadini, nel maggio 1525» (p. 104).[4] A luglio di quel anno le guerre erano finite ed i principi tedeschi, benedetti da Lutero, avevano vinto, nelle maniere più atroci.[5] Da quel momento in poi, Lutero sarà il più acerrimo difensore dei principi elettori che si convertono al protestantesimo, e questi, a sua volta, lo difenderanno dall’imperatore e dal papa.
«I rivoluzionari di tutti i tempi – scrive la Pellicciari – hanno in comune il linguaggio: un linguaggio semplice, chiaro, popolare, lapidario. Un linguaggio che corrisponde alle esigenze della propaganda, facile da ripetere, che fa breccia e si impone con la forza degli immagini, linguaggio che punta al cuore più che all’intelletto e alle viscere più che al cuore. Un linguaggio che, facendo leva sulle emozioni, genera indignazione e disprezzo e scatena odio. Lutero, il grande rivoluzionario dell’epoca moderna, non fa eccezione» (pp. 41-42).
La sua, aggiungiamo noi, è stata una rivoluzione in nome del Vangelo, solo che, come ogni rivoluzione, ha tradito i principi e le fondamenta sul quale diceva ispirarsi; in questo caso, lo stesso Vangelo. Inoltre, come ogni rivoluzione, ha iniziato un cammino di degradazione e ha prodotto come conseguenza, delle rivoluzioni ancora più terribili da quella iniziata da lui; due secoli e mezzo dopo, la rivoluzione francese tornerà sulle orme del sangue e della violenza, questa volta non accettando il Vangelo, ma solo un’idea sfumata di una divinità deista che aveva dato origine a tutto e poi si ne era svincolata. Un secolo e mezzo in più, la strada continuerà, questa volta con il terribile bolscevismo, che ancora sotto lo stendardo rivoluzionario, espellerà definitivamente ogni idea di Dio per parlare di divinizzazione della classe operaria, alla quale, paradossalmente, ridurrà nella più completa schiavitù. E’ la triplice rivoluzione anticristiana, della quale ci parlava con saggie parole il gran sacerdote argentino Julio Meinvielle. E’ il nostro compito, in questo processo, quello di stare sotto lo stendardo di Cristo, al quale appartiene, senza dubbio e come profetato, la vittoria finale (cfr. Ap 19,11ss).
P. Carlos Pereira, IVE., da:
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NOTE
[1] Prefazione alle sue opere completa composta ad un anno prima della morte, nel 1545.
[2] L’autrice riporta il testo in Appendice I, pp. 133-155.
[3] Il testo in Appendice I, pp. 157-158.
[4] Testo in Appendice I, pp. 159-168.
[5] In una predica del 1526, riportata in parte dall’autrice in nota 78, incita Lutero ai principi ad esercitare ogni forma di violenza contro i contadini.
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