Il materialismo, attraverso i media, modificando l’etimologia della parola, cambia, senza che noi ce ne accorgiamo, il nostro modo di pensare, così, imponendoci il suo pensiero, può costruire nuove coscienze ed una nuova società
di Giorgio Barghigiani
C’è un profondo legame tra il linguaggio e la realtà, infatti il linguaggio ha la funzione di esprimere e di comunicare con il mondo e, di conseguenza, di rivelarlo. Ma la parola serve per descrivere la realtà ed è per questo che diventa lo strumento della verità; se prima c’è la verità poi, però, viene la parola che la esprime; pertanto è necessario chiamare le cose con il loro nome.
Purtroppo le ideologie socio-politiche di ogni tempo non vogliono riconoscere la realtà per quello che è: infatti se nel ventre della madre c’è un maschietto, lui, diventando grandicello, proprio per natura, sarà attratto da una femmina, ma coloro che vogliono creare una propria realtà, inventeranno che nel ventre della madre c’è un grumo di cellule e un maschio, può anche essere attratto da un altro maschio e se è femmina può essere attratta anche da un’altra femmina.
Così la realtà non è quella che è, ma è quella che vorrebbero che fosse. Questo si chiama razionalismo ossia la costruzione di una realtà esistente solo nella mente di chi l’ha ideata e che vuole imporre alla realtà vera ed unica. Per creare una nuova realtà, è necessario però demolire quella vecchia ed i vari termini che la indicavano per impedirne altre forme di pensiero.
L’involuzione linguistica
Il continuo martellamento dei media delle nuove parole e del loro significato ci porteranno a costruire sia una nuova società sia un nuovo vocabolario per descriverci realtà di cui non avevamo conoscenza.
In questo modo tutti i valori che fino ad oggi abbiamo conosciuto, studiato e messi in pratica verranno cestinati; termini propri della filosofia metafisica come essenza o natura umana o lo stesso lemma metafisica (la scienza che studia l’essenza ultima delle cose e cerca di spiegare il mondo e la vita); termini di carattere morale: virtù, castità, fortezza, mitezza, umiltà, verginità, nobiltà, lealtà; termini di carattere religioso: giudizio, inferno, paradiso, purgatorio.
Da tutto questo si arriva, senza rendersene conto, alla sterilizzazione linguistica: togliere le armi linguistiche al nemico, togliergli i concetti forti. Bisogna impoverire così la lingua da renderla debole e inefficace persino nella forma dialettale. Pertanto questo impoverimento porterà in seguito le persone a parlare male (chi male parla anche male pensa).
Cambiando le parole che indicano la realtà, si cambia persino la percezione della realtà stessa. Per annientare un vecchio mondo per costruirne uno nuovo bisogna eliminare i termini troppo duri e sgraditi e sostituirli con altri più graditi ed “orecchiabili”. Adolf Eichmann, il criminale nazista, durante il processo a Gerusalemme si difese dicendo che non si trattava di deportazioni di ebrei, ma di “emigrazione controllata”. Anche il Parlamento italiano ha preferito usare l’espressione “unioni civili” e non “matrimonio omosessuale” perché la nostra società non è ancora pronta per accettare quest’ultimo “passo”.
“Il depauperamento del linguaggio è un vantaggio, giacché più piccola è la scelta, minore è la tentazione di riflettere”, George Orwell, pseud. di Eric Blair, (1903-1950).
Con la mutazione linguistica si riesce a possedere la coscienza e la realtà
Mutando una espressione da un ambito e trasferendola ad un altro ambito, snaturandone però il senso, riusciamo ad ottenere degli stravolgimenti inimmaginabili. Prendiamo ad esempio il lemma “genere”: questo termine venne preso dalla grammatica latina dove ci sono i generi maschile, femminile e neutro e fu introdotto in psicologia e sociologia per far credere che esiste anche il sesso/genere neutro. Questa operazione linguistica venne ideata dal prof. John Money che fondò nel 1965, all’interno dell’Università John Hopkins, la “Clinica per l’identità di genere”.
Questo regresso culturale iniziò a formarsi attraverso le applicazioni moderne dell’esistenzialismo (il complesso di filosofie contemporanee che assumono la dimensione dell’esistenza individuale come fondamento della comprensione del mondo), del costruttivismo (la corrente di pensiero secondo la quale i costruttori teorici vanno definiti attraverso dimostrazioni costruttive anziché attraverso il metodo assiomatico-deduttivo) e dello strutturalismo (la teoria e il metodo fondati sul riconoscimento di una funzione globale dei vari organi definibili nel loro insieme e nelle loro interrelazioni), che furono studiate, assorbite e reinterpretate nelle università americane negli anni ‘70 ed ‘80 dalle attiviste femministe ed è proprio da questa sintesi che nacque la gender theory, ma è nel 1995, a Pechino, che nel corso della Conferenza mondiale sulle donne, la nota femminista Judith Butler teorizzò, per la prima volta, in quel contesto così importante, un netto dualismo tra genere e sesso.
Mutando il significato delle parole riusciamo a mutare le coscienze e, di conseguenza, la realtà; infatti se il “feto” è solo un “prodotto” del concepimento sarà impossibile difendere i suoi diritti dato che un prodotto non ha diritti. In questo modo abbiamo non omicidio del consenziente o aiuto al suicidio ma “eutanasia”, dolce morte, biodignità, ecomorire, fine cosciente; non sindrome a-relazionale ma “stato vegetativo” per suggerire che l’uomo da persona è diventato vegetale e quindi lo possiamo uccidere come quando recidiamo un fiore; non fecondazione artificiale ma “procreazione medicalmente assistita”, espressione che rappresenta in modo falso la realtà dato che il medico non aiuta le coppie a procreare ma si sostituisce ad essa in questo atto; non selezione eugenetica (la scienza che studia il miglioramento biologico della razza umana) ma diagnosi genetica “reimpianto”; non marito e moglie ma semplicemente “coniuge n. 1 e 2”, termine che annulla in sé le differenze di sesso potendo essere i coniugi entrambi maschi o entrambe femmine; non marito e moglie ma compagno e “partner” usati in modo indistinto sia per i coniugi sia per i conviventi perché matrimonio e “convivenza” sono la stessa cosa; non pillola abortiva ma contraccezione “di emergenza”; non fidanzato, ma “ragazzo”, oppure “tipo”, fino al “mi vedo con uno” per rendere i rapporti sempre più iniqui e meno responsabili. Sostituendo un termine con un altro le parole nascondono la realtà, perdendosi in un mondo linguistico astratto e artefatto. In questo modo chi non conosce la realtà non può giudicarla correttamente.
Pertanto per seppellire il nostro modo di pensare occorre depotenziare i termini. Prendiamo ad esempio la parola “natura”, che da termine di carattere metafisico, è diventato solo un sinonimo di “ambiente”; l’anima invece si è svilita in un termine tra il romantico e il New age e non indica più la forma razionale dell’uomo; l’amore addirittura non è più volere il bene dell’altro o non significa più la donazione totale, ma è divenuto solo un moto emozionale. I termini “bene” e “male” hanno perso di oggettività e, di conseguenza, di forza e vigore contenutistico e servono solo ad indicare opinioni soggettive.
“Bene e male sono nomi che significano i nostri appetiti e le nostre avversioni”, Thomas Hobbes (1588-1679).
La parola porta con sé un’aura di stigma sociale che va al di là del suo significato e colpisce chi la usa, quindi occorre depotenziare i termini per svilirli; parole come “autorità”, “famiglia”, “pudore” suscitano o repulsa o ilarità o scherno, oppure riprovazione.
“Per me l’aborto è male, per te è bene”, sono come contenitori vuoti, che ognuno riempie a piacere.
Con nuove parole si costruisce un mondo nuovo
Un mondo nuovo, per essere descritto, ha bisogno di parole nuove; questo processo può articolarsi attraverso l’uso dei neologismi.
Oggi infatti viviamo in una selva di neologismi: “genitore sociale” (indica una persona, spesso omosessuale, che ha frequentato i figli di un’altra persona a cui è legata affettivamente); “donna-biologica” (indica il transessuale uomo che ha subito la rettificazione sessuale); “omofobia” (termine inesistente in letteratura scientifica, ma coniato ad hoc per sdoganare l’omosessualità ed attaccare la famiglia); “eco-morire” (perché il termine “eutanasia” farebbe capire a tutti che si tratterebbe di un omicidio); “femminicidio” (per far intendere che siamo di fronte ad un nuovo genere di omicidio di dimensioni spaventose quando invece la Relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento ci informa che il numero di donne uccise decresce e invece il numero di vittime maschili è superiore a quelle femminili e in continua crescita); “animali non umani” (per far intendere che le bestie sono persone e le persone bestie).
Un’altra tecnica linguistica efficace per costruire un mondo nuovo è quella di mutare un termine da un ambito proprio ad uno improprio. Spieghiamoci con un semplice esempio: le unioni civili vengono definite dalla legge 75/2016 come “formazioni sociali” ex art. 2 della Costituzione.
Ma le formazioni sociali – minute alla mano dei lavori preparatori dei padri costituenti, sono invece i partiti politici, le confessioni religiose, i sindacati, etc. – non sono certo le coppie omosessuali.
La persuasione linguistica
Non è sufficiente creare parole nuove, importandole da altri contesti o sostituendo quelle vecchie con altre nuove, è indispensabile che tali nuovi lemmi siano accettati dalla maggioranza del popolo. Per raggiungere questo scopo ci sono diverse soluzioni.
Una di queste soluzioni fa riferimento all’uso degli slogan. Questi ultimi servono per sintetizzare un pensiero complesso – e quindi per loro natura rappresentano una tecnica comunicativa valida; ma spesso dietro lo slogan c’è poco o nulla. Lo slogan non di rado diffonde un modo di pensare senza fondamento e proprio perché è sintetico è necessariamente ambiguo, allusivo: dice tutto e niente, quindi di suo è difficile da attaccare perché bisogna spiegare molte cose per smontarlo. Lo slogan è geniale e quindi sensibilizza il lato emotivo della persona, il suo cuore, la sua immaginazione, i suoi sogni e desideri ed è teso più ad eccitare gli animi, a persuadere che a descrivere e a provare la fondatezza di una tesi.
Gli slogan servono per suggestionare, per persuadere e convincere, ma spesso dietro gli slogan c’è il vuoto, non ci sono argomentazioni valide.
Vediamo alcuni esempi di ieri e di oggi: Dio è morto, falce e spinello cambiano il cervello, siamo realisti, esigiamo l’impossibile, l’utero è mio, love is love, diritto al figlio, vietato vietare, carpe diem, la morale cambia, l`amore può finire, va’ dove ti porta il cuore, meglio divorziare che far soffrire i figli, essere se stessi, rispettare l’opinione degli altri.
Una strategia per persuadere le folle è l’uso di termini talismano. Ve ne sono alcuni con accezione positiva, infatti è sufficiente accostarli a qualsiasi parola che questa diventa positiva.
Oggi le parole-talismano più usate sono libertà e diritto. Così abbiamo il diritto di abortire, ad avere un figlio, di “sposarsi” per le persone omosessuali, i diritti degli animali, la libertà di morire, di cambiare sesso, di divorziare, e così via.
Altri termini talismano molto in voga, in casa cattolica, sono: accoglienza, misericordia, inclusione, incontro, dialogo ...
Esistono però anche le parole talismano di senso negativo, termini la cui accezione è solo dispregiativa e che condannano socialmente la realtà o i soggetti a cui sono riferiti: “reazionario”, “conservatore”, “moderato”, “revisionista” (ma la storia può essere oggetto di revisione), “fideista”, “integralista cattolico” (è un complimento, perché il cattolico deve accettare la dottrina integralmente e viverla integralmente). O anche semplicemente “cattolico”.
Per vivere dignitosamente in una società a misura umana vi è una impellente necessità di tornare ad un ordine naturale
In questo inizio di secolo abbiamo la grande necessità di tornare ad un ordine naturale e tutta la società se ne rende conto. Il grande dibattito sui temi del “gender” e della famiglia dovrebbero essere discussi e trattati con il solo scopo di capire per fare il bene di tutta l’umanità, poiché ad uno scopo ordinato dovrebbe corrispondere un punto di partenza ordinato, che sono quei principi condivisibili poiché sono naturali.
Il gender, prima ancora che un problema che coinvolge le scuole, è una sfida alla cultura tradizionale, una vera e propria ideologia di natura antropologica, diffusa dalle lobby, con la scusa di far passare un messaggio apparentemente innocuo, che è quello di insegnare ai giovani ad essere maggiormente tolleranti verso certe differenze sessuali e la classe politica, a sua volta, dovrebbe recuperare l’attenzione ai problemi reali della gente, poiché l’ideologia del gender è un tentativo per capovolgere l’alfabeto umano, che mira a ridefinire l’umanità dal pericolo della colonizzazione ideologica; anche riconoscendo che i diritti individuali sono sacrosanti, sarebbe un errore considerare ogni diritto individuale come una via per andare verso il bene comune.
La gender theory, in sintesi, afferma che la sessualità umana non ci è data dalla natura ma è una conseguenza di una scelta operata dalla società e dalla cultura in cui l’individuo vive.
L’essere maschio o femmina è una scelta che fa la persona a suo piacimento. Secondo questa teoria, la quale ha avuto le sue radici in una certa cultura confusa e trasgressiva, tipica degli anni successivi al 1968, afferma che ne esistono vari generi, noi ne ricordiamo cinque: maschile, femminile, omosessuale maschio, omosessuale femmina, transessuale.
Secondo l’ideologia delle femministe, la storia, per secoli, è stata dominata dall’oppressione dell’eterosessualità come condizione necessaria per la riproduzione dell’essere umano, ma “finalmente” le catene della schiavitù saranno spezzate con l’ectogenesi, ossia con la biotecnica attraverso la quale si potranno avere dei bambini al di fuori di un corpo femminile.
L’ideologia del gender in sostanza nega la natura umana nei suoi generi maschile e femminile, da cui ogni essere umano deriva e pertanto sparisce la visione della persona come unità di anima e corpo per cui si sceglie il sesso che piace.
Con questo pretesto della uguaglianza assoluta, viene negata la differenza che invece è complementarietà e ricchezza ossia il femminile ed il maschile.
Su questi temi, il metodo di confronto, dovrebbe essere corretto e preciso, ma essendo inquinato da interessi di parte (come abbiamo già detto: ideologici, politici ed economici), vive così caoticamente che a volte la scelta più facile è quella di non fare alcun dibattito.
C’è una grande e impellente necessità di ordine nelle nostre facoltà intellettive: se la conoscenza è il fine dell’intelletto, bisogna usare quest’ultimo per creare conoscenze comode ed auto-pacificanti a scapito della verità e questo è disordinato.
Per agire e parlare con ordine, per il bene futuro, dobbiamo avere il coraggio di partecipare ai dibattiti per la costruzione di un sistema di principi saldi, senza innervosirsi ed alzare la voce quando qualcosa, purtroppo, va nel senso sbagliato poiché ogni bambino sente il bisogno che gli adulti siano i suoi punti di riferimento affidabili e fermi.
Per tutto questo occorrono i fondamenti per costruire una società a misura umana ed uno dei piloni portanti, forse il più discusso ma sicuramente il più importante è la formazione culturale dei giovani e la teoria del gender mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa.
L’istruzione, per avere una preparazione alla vita, è molto importante ma gli insegnanti dovrebbero saper coinvolgere i loro studenti alla cultura, ma anche i discepoli, a loro volta, dovrebbero essere disponibili ad apprendere quanto viene loro insegnato. Se tutto questo non avviene la società, nel prossimo futuro, imploderà su se stessa, poiché ogni sforzo sarebbe inutile anche perché, nel nostro tempo, con il dilagare di informazioni manipolate ad arte, è assai difficile riuscire ad insegnare quello che veramente può formare le menti dei nostri giovani.
Nella Bibbia, nel libro di Geremia, al capitolo 7, versetto 34, leggiamo: “Io farò cessare nelle città di Giuda e nelle vie di Gerusalemme le grida di gioia e la voce dell’allegria, la voce dello sposo e della sposa, poiché il paese sarà ridotto a un deserto”. E ancora, nell’Apocalisse, capitolo 18 versetti 21-23, troviamo: “… e la voce di sposo e di sposa non si udrà più in te”.
Non vorrei passare per un profeta catastrofista, ma la società concepita dai fautori del gender, priva della differenza tra uomini e donne che possano unirsi e procreare, diventerebbe un deserto.
Giorgio Barghigiani