Fine vita, ecco il manifesto-appello al Parlamento contro l’eutanasia
Avvocati, magistrati, docenti, amministratori locali. Sono oltre 250 le firme apposte al manifesto-appello promosso dal centro studi intitolato a Rosario Livatino animato da giuristi cattolici a difesa della vita e della famiglia naturale. Nel pomeriggio di oggi l’Aula della Camera inizierà l’esame e il voto della proposta di legge sulle “disposizioni anticipate di trattamento”.
I FIRMATARI
Primo firmatario dell’appello è il professore Mauro Ronco, presidente del Centro studi Livatino, cui si affiancano quelle di giudici emeriti della Corte costituzionale come Paolo Maddalena e Fernando Santosuosso, di magistrati impegnati in ogni settore della giurisdizione, di notai e avvocati con competenze, provenienze geografiche ed esperienze diverse.
LE RAGIONI
Nell’appello del centro studi di cui è vicepresidente Alfredo Mantovano (nella foto) si precisa che, “rispetto al testo sul “fine vita” approvato dalla Camera dei Deputati, in questa proposta di legge sono scomparsi il riconoscimento del diritto inviolabile della vita umana, il divieto di qualunque forma di eutanasia, di omicidio del consenziente e di aiuto al suicidio. La nutrizione e l’idratazione artificiali sono qualificati trattamenti sanitari: così quella che è una forma – anche temporanea – di disabilità in ordine alle modalità di sostentamento fisico diventa causa della interruzione della somministrazione, e quindi di morte”.
GLI AUSPICI
Il Centro studi Livatino auspica che il Parlamento italiano affronti le reali emergenze sanitarie, nella convinzione che chi soffre vada aiutato, oltre che a ricevere terapie adeguate, a vivere con dignità la sofferenza, non a vedersi sottratte insieme la vita e la dignità.
ECC IL TESTO COMPLETO DELL’APPELLO
Da giuristi a vario titolo impegnati nella formazione, nell’attività forense e nella giurisdizione, esprimiamo forte preoccupazione per il testo unificato c.d. sulle d.a.t.-disposizioni anticipate di trattamento, in corso di esame alla Camera dei Deputati, e per ciascun singolo passaggio dell’articolato.
1) La proposta di legge, pur non adoperando mai il termine eutanasia, ha un contenuto nella sostanza eutanasico. Rispetto al testo sul “fine vita” approvato nella 16^ Legislatura dalla Camera dei Deputati il 12 luglio 2011, del quale è poi mancata l’approvazione definitiva da parte del Senato, sono scomparsi il riconoscimento del diritto inviolabile della vita umana, il divieto di qualunque forma di eutanasia, di omicidio del consenziente e di aiuto al suicidio, e ciò pone la p.d.l. in contrasto diretto con quel diritto alla vita che è il fondamento di tutti gli altri (art. 2 Cost.). A differenza del termine “dichiarazioni” adoperato nella rubrica della p.d.l., il testo attuale usa il termine “disposizioni”. La “disposizione” è in senso proprio un ordine, che orienta alla vincolatività, in spregio alla Convenzione di Oviedo del 1997, per la quale «i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione.” “Desideri” è qualcosa di diverso da “disposizioni” e “tenere in considerazione” è qualcosa di diverso dall’obbligo di “rispettare la volontà espressa dal paziente” in ordine alla interruzione del trattamento sanitario, previsto dall’articolo 1 co. 7 della p.d.l. in discussione.
2) A conferma del fatto che ci si trova di fronte a una vera e propria disciplina dell’eutanasia vi è (art. 3 co. 1) la definizione della nutrizione e della idratazione artificiali quali trattamenti sanitari. Cibo e acqua vengono parificati ai trattamenti medici, se assunti attraverso ausili artificiali: quella che è una forma – anche temporanea – di disabilità in ordine alle modalità di sostentamento fisico diventa così causa della interruzione della somministrazione. Il carattere artificiale della nutrizione si presenta in svariate occasioni, per es. con il latte ricostituito per i neonati che non possono essere allattati dalla mamma per via naturale. Nessuno sostiene che la nutrizione in questi casi vada sospesa in quanto artificiale: quale è allora la differenza rispetto a un un paziente che non può nutrirsi per via orale? È evidente che il discrimine è la qualità della vita, che diventa decisiva per la sua sopravvivenza.
3) Nella stessa direzione va la revoca della “disposizione” che spazia dal rifiuto dei trattamenti sanitari al rifiuto di cibo e acqua: la revoca può essere resa da una persona capace, ma non da un incapace. Se quest’ultimo non ha nominato un fiduciario (art. 3 co. 3), la p.d.l. vincola il medico all’attuazione di una “disposizione” data anni prima, in un contesto del tutto diverso; se invece il paziente ha a suo tempo nominato il fiduciario potrebbe determinarsi un conflitto fra l’interesse di costui e quello del paziente, e in ogni caso viene demandata allo stesso fiduciario una responsabilità enorme nell’interpretare la “disposizione” espressa in precedenza. Poiché mancano per definizione di attualità e hanno a oggetto un bene indisponibile come la vita, le disposizioni anticipate di trattamento sono cosa ben diversa dal consenso informato: rappresentano il riconoscimento del diritto al suicidio, che non ha nulla a che vedere con la libertà di non essere curati. Oltretutto a esso, come per ogni diritto, corrisponderà un dovere: quello del medico di assecondare la volontà suicidiaria.
4) La p.d.l. stravolge il senso e il profilo della professione del medico, come si evince da tutto l’articolato, a cominciare dalla disciplina del consenso informato, contenuta all’articolo 1. Essa è piena di incongruenze e di macroscopici errori concettuali: che cosa significa il richiamo del co. 1 all’art. 13 Cost., quale norma costituzionale di riferimento del consenso medesimo? Forse che il medico che non esegue alla lettera volontà suicide sia parificabile a un sequestratore di persona? Manca invece il richiamo all’art. 32 Cost., e si vede: da quando, come prevede sempre all’articolo 1 il co. 2 della p.d.l., il consenso informato è “atto fondante” del rapporto fra medico e paziente? L’“atto fondante” del lavoro del medico è il perseguimento del bene del paziente! Per il co. 7 dell’articolo 1 “il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente”, e così va “esente da responsabilità civile o penale” (a ulteriore riprova che la sua condotta è in sé contraria alla legge). Non si dice che cosa accade se in un momento così distante da quando le “disposizioni” sono state redatte il medico ritenga che il paziente sia ancora adeguatamente curabile; la p.d.l. non permette al medico l’obiezione di coscienza, a differenza di quanto accade per l’aborto. Il co. 6 dell’art. 1 dice pure che “il rifiuto del trattamento (…) o la rinuncia (…) non possono comportare l’abbandono terapeutico”: con norme così generiche e confliggenti, il medico viene caricato del peso di decisioni comunque a rischio di denuncia. La p.d.l. adopera i termini “terapia” e “cura” sovrapponendoli e non distinguendoli: quando invece “terapia” è quel che cerca di guarire una patologia, ristabilendo le migliori condizioni di salute possibili per il paziente e “misurandosi” sulla concreta situazione del malato, mentre “cura” chiama in causa l’assistenza al malato, indipendentemente dalle sue possibilità di guarigione e dall’esito della sua patologia. Hanno logiche e dinamiche diverse.
5) La disciplina per i minori realizza una eutanasia di non consenziente. Intanto vi è una grande varietà di situazioni che cadono sotto la generica qualifica di “minore di 18 anni”, che include l’adolescente, in qualche modo capace di intendere, e il neonato, il bambino di 6 anni e il giovane prossimo alla maggiore età. E’ certo comunque che colui che decide non è il paziente, e questo dilata ulteriormente gli arbitrii e le interpretazioni errate di una volontà comunque non matura. Il prevedibile sviluppo normativo – già realizzatosi in Belgio ed Olanda – è l’affidamento della decisione a “comitati etici”, chiamati a stabilire il livello accettabile di qualità della vita degna di essere vissuta.
6) La p.d.l. non è emendabile. Non di meno apprezziamo il lavoro dei deputati che hanno proposto numerosi emendamenti: essi hanno il merito di segnalare i profili critici di ogni singolo comma del testo. Quest’ultimo è tuttavia inaccettabile nell’insieme, poiché rende disponibile il diritto alla vita, orienta la medicina non al bene del paziente ma al rispetto assoluto di una volontà espressa in contesti diversi da quello in cui può venirsi a trovare, senza le informazioni e gli approfondimenti forniti nella concretezza di una patologia; e al tempo stesso mortifica e deprime in modo grave la professionalità, la competenza e l’etica del medico.
7) Auspichiamo che il Parlamento italiano affronti le reali emergenze sanitarie, derivanti da tagli sempre più consistenti al bilancio relativo alla salute e dalla irragionevole allocazione delle risorse – tali da rendere un mero enunciato l’art. 32 Cost. -, abbandonando proposte che avrebbero anche l’effetto di rendere ancora più complicato l’esercizio della professione medica, con un prevedibile incremento del contenzioso: esito di norme generiche, confuse e contraddittorie, oltre che oggettivamente sbagliate.
Roma, 27 marzo 2017
Veronica Sansonetti
da:
[formiche.net]