“Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle [...]
Il principio di sussidiarietà protegge le persone dagli abusi delle istanze sociali superiori e sollecita queste ultime ad aiutare i singoli individui e i corpi intermedi a sviluppare i loro compiti”.
(COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA, nn. 186-187, Lev, 2004)
Il principio di Sussidiarietà nella riforma costituzionale
art. 55: La Camera diventa unica titolare del rapporto di fiducia col Governo, della funzione di indirizzo politico, funzione legislativa e del controllo dell’operato del Governo.
art. 57: I senatori passano da 315 a 100, non sono più eletti dal popolo ma 95 NOMINATI dalle regioni e 5 dal Presidente della Repubblica.
art. 70-71: Il Senato NON sarà più titolare di funzione legislativa eccetto che le leggi costituzionali, le leggi elettorali, le leggi di attuazione delle politiche locali ed Europee.
La riforma lascia irrisolto il nodo – significativo per quanto attiene alla sovranità – della permeabilità del nostro ordinamento a norme sovranazionali provenienti dall’Unione Europea e che spesso sono in contrasto con la storia, le tradizioni, la cultura e talora con la legislazione del nostro Paese.
art. 70, c. 3: Il Senato potrà esaminare i disegni di legge approvati dalla Camera ove ne faccia richiesta e può, entro 30 gg, chiedere alla Camera di introdurre modifiche, che la Camera potrà rifiutare senza tenerne alcun conto. Il Senato potrà anche proporre un disegno di legge alla Camera, la quale potrà ignorarlo.
art. 72, c. 7: Il Governo potrà, in alcuni casi, imporre alla Camera la trattazione prioritaria di quei disegni di legge che siano definiti dal Governo come “essenziale per l’attuazione del programma”. Tali disegni di legge governativi avranno automatica priorità su tutto il calendario parlamentare e dovranno esser decisi entro 70 giorni. In poche parole il Governo potrà determinare in via assoluta il calendario dei lavori del Parlamento. Resta il decreto legge: strumento ampiamente usato (ed abusato) da parte dei governi (tutti) e capace di imporre atti aventi forza di legge senza il preventivo assenso del Parlamento.
art. 71, c. 3: Le proposte di legge di iniziativa popolare dovranno esser presentate da 150 mila elettori (oggi ne bastavano 50 mila).
art. 83: Il Presidente della Repubblica sarà eletto dai soli deputati e senatori (prima anche dai delegati regionali), con minore partecipazione alla scelta del Capo dello Stato. Anche il quorum sarà significativamente abbassato dal 7° scrutinio, passando dall’attuale “maggioranza assoluta” dell’assemblea ai 3/5 dei votanti.
Oggi il Presidente viene eletto da circa 1005 grandi elettori e, per l’elezione fino al terzo scrutinio, servono almeno 503 voti. Dopo gli elettori saranno 730 e – considerando il numero legale pari alla metà più uno degli aventi diritto – basteranno 220 voti.
art. 114: Verranno soppresse le province
art. 117: Le regioni perderanno la potestà legislativa concorrente e vedranno limitata la potestà legislativa esclusiva a pochissime materie di limitata importanza (minoranze linguistiche, mobilità interna, attività culturali locali, promozione locale turismo). In ogni caso il Governo centrale potrà intervenire anche in queste materie invocando l’interesse nazionale, cioè ogni volta che vorrà (clausola di supremazia).
È vero che la legislazione concorrente stato-regioni ha causato numerosi ricorsi alla Corte Costituzionale per la rispettiva attribuzione degli ambiti di competenza, ma è altrettanto vero che le specifiche funzioni legislative sono ormai equilibrate e stabilizzate. Metter mano ora nella direzione di un rinnovato centralismo e una nuova stagione di ricorsi alla Consulta, è tradire definitivamente gli ideali della dottrina sociale della Chiesa Cattolica che da sempre ha posto l’accento sulla sussidiarietà orizzontale e verticale. Il potere rischia così di allontanarsi definitivamente dalla gente.