Sant´Ignazio di Loyola. Lottare virilmente, e lottare sino alla fine
Plinio Corrêa de Oliveira – Catolicismo, luglio 1956
La ricorrenza, il 31 di questo mese, del quarto centenario della morte di Santo Ignazio di Loyola ci da l’occasione di scrivere qualcosa su questo grande Santo. Lo facciamo con una certa esitazione, poiché ci sarebbe tanto da dire sulla sua vita, la sua spiritualità, la sua opera, che non basterebbero le dimensioni, per quanto allungate, di un articolo di giornale. Ci riconforta il fatto che una parte di quel che avremmo da dire a lode di Santo Ignazio, lo abbiamo già pubblicato nel libro “In difesa dell’Azione Cattolica”, in un momento in cui erano tanto insistenti certi attacchi alla sua spiritualità. Da quel libro raccogliemmo frutti tipicamente ignaziani: dispiaceri, inimicizie, una prefazione orientativa del grande Nunzio, oggi Cardinale Masella, e una lettera di encomio inviata a nome dell’augusto Pontefice Pio XII. Quindi, tribolazioni da un lato, elogi del Santo Padre dall’altro. Riteniamo che Santo Ignazio non abbia mai desiderato per sé qualcosa di diverso… Ma “In difesa dell’Azione Cattolica” è stato pubblicato da tempo, quasi quindici anni fa. Che dire, oggi, su questo argomento? Le circostanze sono cambiate. Sarà cambiata pure l’applicazione che si può fare dei principi della spiritualità ignaziana? I tempi sono cambiati, è vero, e sono cambiate le circostanze. Ma, “plus ça change, plus c’est la même chose”. I problemi di oggi sono quelli di ieri, ma aggravati, sofisticati, esacerbati. E se ieri l’insegnamento ignaziano era attuale ed utile, si può dire che oggi è diventato attualissimo ed utilissimo. Per i molteplici aspetti della realtà contemporanea ai quali le norme di Santo Ignazio potrebbero essere applicate, e nell’impossibilità di trattarli tutti, ne rileviamo almeno uno. Come si vedrà, per la sua importanza e profondità merita proprio di essere trattato.
Andiamo innanzitutto alla realtà spiccia dei banali fatti quotidiani. Come si sa, un vento di egualitarismo soffia su tutta la società contemporanea. Ad ogni occasione i genitori si vedono nella contingenza di tutelare la propria autorità e il proprio prestigio, contro le manifestazioni dello spirito di indipendenza dei loro figli. Lo stesso si può dire dei padroni in relazione agli impiegati, degli insegnanti rispetto agli allievi, delle persone ragguardevoli o anziane nel rapporto con coloro che gli devono considerazione e rispetto. Dinanzi a questo fatto, quale atteggiamento mantenere?
È chiaro che bisogna prima di tutto insegnare con pazienza e bontà le massime su cui si fonda l’obbedienza e il rispetto ai superiori. Tuttavia pensare che, semplicemente così, tutto sia risolto, è la più rammendata ingenuità. Innanzitutto, perché le persone pizzicate dalla mosca del liberalismo e dell’egualitarismo detestano le massime, le norme e i principi, vanno sempre di fretta e non gli piace ascoltare spiegazioni dottrinarie svolte con coerenza, calma e bontà. Esse vivono di emozioni, e nulla gli sembra più monotono di queste spiegazioni. La calma li irrita o li assopisce. La bontà sembra loro scialba e senza valore. Consentono di ascoltare soltanto ciò che gli viene detto con un certo sale, in poche parole, e in modo molto facile. Come gli ammalati che accettano di essere curati soltanto se il medicinale corrisponde a una piccola compressa facile da inghiottire, dal colore attraente e dal piacevole sapore. Ora, non tutti hanno la forma speciale – e persino specialissima – di talento necessaria per dare questa presentazione alla verità. E anche se qualcuno conoscesse dei trucchi per trasformare la buona dottrina in pillole, ci sarebbe molto da dubitare che con pillole del genere si riuscisse a formare una persona. Da questo punto di vista, l’anima è come i polmoni, che esigono per il normale funzionamento, non solo due o tre boccate sporadiche di aria fresca, ma il contatto stabile, permanente, ampio, con un’atmosfera naturale e pura. Lo spirito umano è ciò che dovrebbe essere, soltanto quando respira sempre in un’atmosfera di buoni principi. Quindi – perlomeno in via di principio – non è con questo o quel soffio di buona dottrina che si forma una anima. E così, ogni persona seria dovrà riconoscere che i buoni consigli, la mitezza, la mansuetudine non risolvono tutti i casi. Dunque, cosa fare?
Non si ritenga che questo problema esista soltanto nell’ambito ristretto della vita particolare e domestica. Visto in una scala più ampia, esso assume l’aspetto di un grande problema sociale. Coloro che si occupano specialmente della questione operaia trarrebbero molto vantaggio – a nostro avviso – nel riflettere attentamente su questo argomento. Lo stesso andrebbe detto di tutte le persone che si addossano maggiori responsabilità nel corpo sociale. Consideriamo, infatti, non solo un professore nella sua classe, o un padrone nella sua fabbrica, o un padre in casa propria, ma l’insieme dei genitori, dei professori o dei padroni di una nazione. Se sapranno assumere un atteggiamento coerente e corretto dinnanzi alla marea montante dell’egualitarismo, è chiaro che avranno fatto a se stessi e al paese un grande beneficio. Ma se agiranno scorrettamente avranno letteralmente consegnato la propria patria alla perdizione.
Il fatto è che questo problema col quale ognuno di noi si imbatte in scala individuale, e che gli osservatori più penetranti non possono non considerare in scala sociale, finisce col diventare pure un grande, un immenso problema politico. Quando in un paese la marea dell’egualitarismo diventa quasi inarrestabile, ci si deve preparare ad un futuro triste, perché gli resterebbero solo due vie: la disgregazione, frutto fatale del liberalismo, oppure una implacabile dittatura poliziesca. Poiché il métier [mestiere] di governare gli uomini si trasforma, quando questi si lasciano pizzicare dalla mosca velenosa del liberalismo, nella funzione di domare belve. Di conseguenza i peggiori disastri vanno evitati soltanto per mezzo di gabbie e fruste. Gabbie e fruste: ecco una poverissima allegoria per occultare una realtà mille volte peggiore, cioè quella degli apparecchi di tortura, dell’onnipresenza dello spionaggio, della soppressione di tutti i diritti, delle guerre di nervi, della propaganda pilotata che rimbecillisce intere moltitudini, nonché mille altri mezzi di oppressione che i dittatori applicano con un esecrabile lusso di sofisticazioni arricchite dalle tecniche dell’era scientifica in cui viviamo.
Liberalismo, totalitarismo, non è ben questa l’abominevole, la funesta alternativa in cui si dimena il mondo di oggi? E da dove è venuto tutto ciò se non dal fatto che il secolo XIX e XX non resistettero all’uragano dell’anarchismo egualitario, scatenato dalla pseudo-Riforma nel secolo XVI, e trasformato dalla Rivoluzione Francese in un cataclisma universale?