Avvenire 20-12-2011
Il memorabile dialogo a Rebibbia
Visitare i carcerati
L'esempio del Papa
Entrare in un carcere e non vedere l’ora di uscirne è un tutt’uno. Dietro quelle mura grigie, dietro il clangore di quei cancelli, perfino l’aria che si respira sembra più pesante. Un senso di oppressione invincibile, che le chiacchiere facilone, più da bar che politiche, sul 'buttar via le chiavi', ignorano. Il mondo diviso in chi ha sbagliato e chi no (o l’ha fatta franca). Punto. La sesta opera di misericordia corporale, «Visitare i carcerati», quasi scomparsa dall’orizzonte cristiano benpensante (si può definire così?), e lasciata ai parenti dei detenuti. A quelli, ancora, che lo fanno. In un carcere, per la seconda volta in sei anni, Benedetto XVI c’è entrato. E mentre attraversava il corridoio centrale della cappella intitolata al «Padre nostro», quello spazio riempito di applausi e mani tese, di grida di «viva il Papa» e di gente che si accalcava verso il centro, per farglisi più vicino, non sembrava tanto diverso dall’aula delle udienze, in Vaticano.