Commento al Vangelo — XXXIII Domenica del Tempo Ordinario
Una via sicura
per la salvezza eterna
I servi fedeli trascorrono tutto il periodo d’assenza del loro padrone servendolo con serietà e sospirando in attesa del suo ritorno. Al suo arrivo, sapendo che li vuole vedere, gli vanno velocemente incontro. Il servo infingardo, al contrario, lo accusa di essere ingiusto. Il suo modo di fare si erge, così, a paradigma del comportamento dei peccatori che cercano di giustificare le proprie colpe, attribuendo a Dio la causa delle stesse.
di Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP
fondatore degli Evangeli Praecones
courtesy of
[www.salvamiregina.it]
Vangelo
"Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti" (Mt 25, 14-30).
I – Serietà in tutti i nostri atti
Nella parabola dei talenti — così come in quella delle vergini sagge che la precede e con la quale forma un insieme coerente — Gesù ci insegna la via della felicità eterna. Entrambe iniziano con una analogia: "Il regno di Dio è simile a…". Infatti, parabola, nella lingua greca, significa: comparazione.
Il capitolo precedente del Vangelo di San Matteo, precedendo questi due passaggi, ci riporta la descrizione della fine del mondo, pronunciata dalle labbra dello stesso Salvatore. Anche la conclusione avviene tramite una parabola, quella del "servo malvagio", respinto e gettato nel luogo dove "ci sarà pianto e stridore di denti".
Nuova ottica per la parabola dei talenti
Nel passo del Vangelo di questa domenica immediatamente precedente a quella di Cristo Re, ultima dell’anno liturgico, gli esegeti sono soliti sottolineare il conto che, alla fine della vita, ognuno di noi dovrà rendere a proposito dei "talenti" ricevuti da Dio.
Gli insegnamenti di Gesù, tuttavia, sono di una ricchezza inesauribile e possono essere contemplati da un’infinità di punti di vista. Uno di questi — e molto importante — è la serietà con la quale ogni uomo deve cercare di assolvere il compito o esercitare la funzione che gli è stata affidata, soprattutto, se questi sono stati comandati, non da un padrone terreno, ma dallo stesso Dio.
Serietà nel vedere, giudicare e agire
La rapidità frenetica della modernità rende difficile la riflessione sugli avvenimenti quotidiani. Di qui il fatto che l’uomo contemporaneo tende alla superficialità di pensiero e a non analizzare in profondità le conseguenze, buone o cattive, dei propri atti.
Ora, tutto in questa vita è serio, poiché siamo creature di Dio ed "è in Lui che abbiamo la vita, il movimento e l’esistenza" (At 17, 28). Così, il più banale dei nostri atti ha una relazione con realtà altissime e può arrecarci gravi conseguenze o porci di fronte ad onerose responsabilità, se non è eseguito come si deve.
Per questo, esercitare seriamente una funzione, esige da parte nostra, in primo luogo, una completa obiettività. È necessario vedere la realtà come essa è, senza veli né preconcetti, e senza permettere che sia distorta da ansietà o frenesie. Da questa coerenza di visione e giudizio, emanerà la serietà nell’agire. Quello che si deve fare deve essere cominciato subito, eseguito per intero, senza perdita di tempo e senza interruzioni inutili.
Siamo alberi i cui frutti sono poveri, raggrinziti e, frequentemente, marci
Non dimentichiamo che senza l’ausilio della grazia, la natura umana è incapace di praticare stabilmente la propria Legge Naturale e perfino di fare qualcosa di meritorio per la salvezza eterna (1). Per la nostra natura decaduta, siamo alberi i cui frutti sono poveri, raggrinziti e, frequentemente, marci. Solo quando la linfa della grazia circola con forza nel fusto e nei rami di quest’albero, raggiungendo perfino il fogliame più distante dalla radice, produciamo frutti abbondanti e buoni.