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AsiaNews 12/8/2011
Crisi economica: non basta un potere mondiale
di Bernardo Cervellera
Due anni fa i governi politici nazionali erano i salvatori degli istituti di credito; ora sembrano essere i più grandi nemici del benessere. La finanza mondiale, da “imputata” responsabile della crisi, passa a volere l’ultima parola e ad essere l’ultima autorità, senza controllo. I pericoli per la democrazia e la libertà. È necessaria un’autorità mondiale, ma verificata dai poteri nazionali. E soprattutto è necessaria una conversione dal criterio (unico) del profitto materiale allo sviluppo integrale, come suggerisce la “Caritas in veritate”.
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19 agosto 2011 :: Corriere della Sera
Escrivà al cinema: "scomodo" a tutti
di Vittorio Messori
E’ un ebreo di origine francese nato in Inghilterra ma si dichiara agnostico, ha avuto simpatie per i comunisti, ha cambiato parecchie mogli. Eppure, c’è nel regista Roland Joffé un attenzione viva per la spiritualità che si fa dramma, come testimoniano innanzitutto Mission, ma anche La città della gioia e Urla dal silenzio, con accluse nomination agli Oscar. Questo era, probabilmente, il solo uomo di cinema radicalmente “laico“ che potesse darci un film non a tesi preconcette il cui protagonista fosse nientemeno che san Josemarìa Escrivà de Balaguer. Ma sì, il fondatore di quell’Opus Dei che è miele per dietrologi e complottardi, sempre alla ricerca di burattinai occulti che tirerebbero le fila della storia: gli indemoniati per i medievali, i gesuiti per gli illuministi, gli aristocratici per i giacobini, i borghesi per i comunisti, i massoni per i fascisti, gli ebrei per i nazionalsocialisti, le multinazionali per i brigatisti rossi… Da qualche decennio, il benpensante liberal è convinto che molti dei “grandi vecchi“ che occultamente ci governano si annidino in quella che, in Spagna, ha un nome tenebroso: La Obra. La diffidenza per il sacerdote aragonese che ne è alle origine è tale che mai, nella storia della Chiesa, si erano viste contestazioni tanto violente -non solo da laicisti ma anche, soprattutto, da clericali del genere “adulto“ – quando Giovanni Paolo II fu felice di dichiararlo beato, nel 1992 e, nel 2002, santo. Come gli aveva chiesto, del resto, un terzo dell’episcopato mondiale.
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Fra gli squali della speculazione e il dragone rosso
14 agosto 2011 / In News
Contrordine compagni, la storia si è voltata indietro: una inversione a u. Dal 1989-1991 si racconta questa favola: il comunismo è sparito dal mondo e trionfa la liberaldemocrazia in tutto il globo. Fine della storia, decretò un politologo americano facilone.
Ebbene, venti anni dopo ci si sveglia bruscamente dal sonno: nella realtà la storia si è rimessa in moto e corre all’indietro.
I sistemi liberaldemocratici sono alla frutta (in certi casi alla grappa) e trionfa invece la superpotenza cinese: un regime comunista che si appresta a diventare la prima potenza economica mondiale.
Un Paese che col suo miliardo e 300 milioni di abitanti ha il 20 per cento della popolazione mondiale (un essere umano su cinque è cinese).
Una superpotenza che già oggi detiene un pacchetto enorme del debito europeo e americano ed è in condizioni di prendere per le orecchie l’inquilino della Casa Bianca prescrivendogli – come ha fatto nei giorni scorsi – le misure economiche da assumere e intimandogli pure di fare in fretta.
Un mese fa Obama, che si era preso la libertà di ricevere il Dalai Lama, è stato persino costretto ad accoglierlo in una sala secondaria e – se ho letto bene – a farlo poi sgattaiolare da un’uscita secondaria della Casa Bianca per non dispiacere ai “padroni” cinesi che non avevano gradito quell’incontro.
Così come la Cina ha fatto sentire il suo ruggito alle paurose democrazie perfino nell’assegnazione del premio Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo, tanto da indurre una ventina di “coraggiosi” Paesi a disertare la cerimonia per non dispiacere a Pechino.
Tramonto dell’Occidente e ascesa del Dragone rosso d’oriente. Questo è il titolo del film che sta scorrendo davanti ai nostri occhi.
Il peso politico di condizionamento del regime cinese che si dispiegherà da ora in poi (come già sta accadendo in Asia) è facile a immaginarsi.
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S. FONTANA, L'età del Papa scomodo. Chiesa e politica negli ultimi tre anni. Cantagalli 2011, pp. 248, Euro 16,00.
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Quando si tratta di affrontare la delicata questione 'Chiesa e politica' non sono molti, soprattutto nel nostro Paese, gli studiosi in grado di offrire delle riflessioni scevre da pregiudizi ideologici e da letture faziose, o parziali, della realtà. Per comprendere la vita della Chiesa, al cui vertice visibile vi è quel Pontefice 'eletto' – servendosi di uomini – dalla Terza Persona della Santissima Trinità, lo Spirito Santo, bisogna d'altronde seguirla, possibilmente dall'interno, e non limitarsi ai 'lanci d'agenzia' su internet o agli 'strilli' dei giornali alla moda. E' necessario conoscere poi adeguatamente la ricca storia, bi-millenaria, del Papato, leggere i documenti e gli interventi che il Magistero produce di volta in volta, in primis per la salvezza delle anime, in ogni epoca storica. Occorre insomma investire del tempo e delle risorse, magari mettere in discussione le proprie idee radicate, o perfino se stessi. Il professor Stefano Fontana, direttore del benemerito e sempre aggiornato Osservatorio internazionale Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa (www.vanthuanobservatory.org), del settimanale diocesano triestino Vita Nuova (www.vitanuovatrieste.it/) e consultore del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace è uno dei pochi a fare eccezione. L'anno scorso, per i tipi della Cantagalli di Siena, aveva dato alle stampe una impegnata riflessione su quella crisi diffusa di identità e, quindi, di senso (www.totustuus.it/modules.php?name=News&file=article&sid=3515) che sembra una delle 'cifre distintive' della nostra epoca e che sta causando un inquietante, quanto inedito, fenomeno sociale: quello della perdita della vocazione a ogni livello, tanto personale quanto sociale (e non solo in ambito ecclesiastico). Questa volta Fontana sposta invece l'analisi sul versante ecclesiale e in particolare sul rapporto Chiesa-politica (in Italia e all'estero) concentrandosi sugli ultimi tre anni di predicazione, di missione e di governo di Benedetto XVI.
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SALUTO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
ALLA DELEGAZIONE DELLA BULGARIA
NELLA MEMORIA LITURGICA DEI SANTI CIRILLO E METODIO
Lunedì, 23 maggio 2010
Risulta, pertanto, importante che l'Europa cresca anche nella dimensione spirituale, sulla scia della sua storia migliore. L'unità del Continente, che sta progressivamente maturando nelle coscienze e si sta definendo anche sul versante politico, rappresenta una prospettiva di grande speranza. Gli Europei sono chiamati ad impegnarsi per creare le condizioni di una profonda coesione e di una effettiva collaborazione tra i popoli. Per edificare su solide basi la nuova Europa non basta fare appello ai soli interessi economici, ma è necessario far leva piuttosto sui valori autentici, che hanno il loro fondamento nella legge morale universale, inscritta nel cuore di ogni uomo.
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Ventiduesima Domenica del Tempo Ordinario – Ciclo A
Letture
I Lettura: Ger 20,7-9;
Salmo: Sal 62;
II Lettura: Rm 12, 1-2;
Vangelo: Mt 16, 21-27
NESSO TRA LE LETTURE
Il cammino della propria vocazione passa necessariamente per la croce. Vogliamo proporre questa affermazione come il fulcro delle letture di questa domenica ventiduesima del tempo ordinario. Geremia, nelle sue famose confessioni, ci mostra fino a che punto porta l'esperienza drammatica della vocazione, della chiamata di Dio a realizzare il compito della propria vita. Egli sa che è stato chiamato da Dio a una missione ardua e difficile. Tuttavia, a un certo punto si sente tradito da Dio: tutta la sua vita non è stata altro che "distruggere", e non si vede da nessuna parte la realizzazione della promessa divina della costruzione del popolo di Dio. Si sente sedotto e ingannato. Se Geremia non lo avesse manifestato, nessuno avrebbe potuto intuire la profondità del suo scoraggiamento e la prova tanto dolorosa che la sua fede stava affrontando (prima lettura). La lettera ai Romani esprime invece una verità molto più consolatrice, ma non per questo meno esigente. Ci esorta a offrire i nostri corpi come ostia vivente, santa e gradita a Dio. Cioè, ci esorta al sacrificio. Ci invita a vivere la vita e la vocazione come un'offerta a Dio uno e Trino. Tuttavia questa esortazione non giunge se non dopo che è stato annunciato il "vangelo", cioè il piano salvifico di Dio, in Gesù Cristo. La grazia del dono precede la richiesta dell'offerta (seconda lettura). Nel Vangelo Cristo annuncia con chiarezza ed esigenza che è necessario prendere il cammino della croce per salvare gli uomini. Chi vuole seguire Cristo fedelmente, dovrà prendere la sua croce e mettersi in cammino. Il messaggio cristiano è un messaggio di gioia pasquale, che però passa per la croce (Vangelo).
MESSAGGIO DOTTRINALE
1. La vocazione cristiana. La parola "vocazione" descrive molto bene le relazioni che Dio realizza con ciascun essere umano nell'amore. In realtà, "ogni vita è una vocazione", come diceva Paolo VI (Paolo VI, Lett. Enc. Populorum progressio, 15), perché è una chiamata a svolgere un compito speciale nella costruzione del mondo e nell'opera della salvezza. Quando parliamo di vocazione cristiana, tuttavia, ci riferiamo ad una vocazione specifica. Si tratta di una chiamata a "vivere in Cristo" e a far sì che "Cristo sia tutto in tutti". La vita cristiana è vocazione nel senso che Dio inizia con la sua creatura un dialogo di amore. La fa sentire amata. Amata eternamente di un amore infinito e, qualche volta, la invita a prender parte del suo stesso amore, che si riversa nei cuori. La vocazione cristiana è perciò l'invito a passare dal livello iniziale della semplice osservanza dei comandamenti a un livello più elevato della donazione, dell'imitazione di Cristo. Vocazione-donazione-amore che si offre, possono essere tre sinonimi di una stessa realtà profonda. Chi non prende la sua vita come una vocazione e missione è costretto a vivere nel tedio, nel passatempo banale, nel piacere effimero. "L'aspetto più sublime della dignità dell'uomo - leggiamo nel documento conciliare Gaudium et Spes - consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio. Se l'uomo esiste, infatti, è perché Dio lo ha creato per amore e, per amore, non cessa di dargli l'esistenza; e l'uomo non vive pienamente secondo verità se non riconosce liberamente quell'amore e se non si abbandona al suo Creatore" (GS, n. 19). E così, perciò, la chiamata alla comunione con Dio è la nostra vocazione essenziale come uomini e come cristiani. È importante tenere nella nostra mente e nel nostro cuore queste verità fondamentali affinché la nostra vita e la nostra stessa esistenza non si perdano nella noia e nella perdita di tempo. La comunione con Dio è la nostra metà finale, ma è anche una meta che ha inizio in qualche modo qui sulla terra.
Dunque, questa vocazione in Cristo è una chiamata a partecipare al mistero pasquale. Cioè a partecipare alla passione, morte e resurrezione del Signore. Il Signore, chiamandoci alla fede cristiana, non ci ha lasciati come semplici spettatori passivi della redenzione, perché, infatti, ci ha detto: 'vieni a prendere parte alla lotta del bene contro il male, accogli questa singolare chiamata a redimere insieme a me l'umanità, attraverso la tua sofferenza, delle vicissitudini della tua vita e della tua stessa morte. Vieni, partecipa'. "Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro, né di me che sono in carcere per Lui; ma soffri anche tu insieme con me per il Vangelo, aiutato dalla forza di Dio. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia; grazia che ci è stata data da Cristo Gesù fin dall'eternità". Il Signore ci ha chiamati ad una vocazione santa da tutta l'eternità. Il cristiano è un uomo convocato, un uomo chiamato a vivere una nuova vita, la vita in Cristo. Si tratta di una chiamata divina. Non è un'iniziativa personale, non è un prodotto delle opere o un merito personale. È semplicemente un dono di Dio. E questo dono passa per la croce e per la sofferenza, come abbiamo visto nella vita dell'apostolo e nella drammatica testimonianza di Geremia. Quest'uomo, di carattere mite e tranquillo, deve passare la vita combattendo per il suo popolo e annunciando calamità. Si sente preso in giro e ingannato perfino da Dio stesso. Decide di non accordarsi più con il suo creatore, ma non può, è come una fiamma che brucia le sue viscere. Sì, la vocazione passa per momenti di totale oscurità, di sofferenza tanto radicale che sembra che Dio ha abbandonato il suo "chiamato". Ma Dio non si dimentica. I suoi doni sono senza pentimento. Potrà forse una madre scordarsi del figlio del suo ventre, ma Dio non si dimentica delle sue creature. Se si guarda la vocazione cristiana da questa prospettiva, cambiano molte cose nella nostra scala di valori. La croce allora non sarà più quella triste realtà, che bisogna evitare a tutti i costi. No, la croce sarà un cammino di santificazione. Del resto tutti hanno croci e sofferenze, ma mentre qualcuno si ribella contro il Creatore, altri invece compiono umilmente la loro parte che a loro corrisponde nella storia della salvezza. In fondo, si tratta di comprendere il senso della croce, di comprenderne il suo senso salvifico, di comprendere il cammino di felicità e pace interiore che passa per la strada stretta del calvario e della accettazione gioiosa della croce.
(clicca su "Leggi tutto" per leggere la continuazione)
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Le contraddittorie giravolte ideali di un mainstream in cui si può discutere tutto tranne che il dogma della sacralità dell'agenda omosessuale
di Michele Gastaldo
(presidente Agapo –Associazione genitori e amici e persone omosessuali)
Tempi, 2 giugno 2010
Non più di un anno fa era soltanto «una trentaduenne ex pin-up la cui principale qualifica è chiaramente l'attrazione sessuale del premier nei suoi confronti» (Alexander Stille, Repubblica). Oggi finalmente il ministro Mara Carfagna è stata espunta dalle liste di proscrizione. Potenza di una "campagna contro l'omofobia" e di una salita al Quirinale in compagnia di Anna Paola Concia, lesbica, attivista per i diritti degli omosessuali, deputata Pd e ministro ombra delle Pari opportunità. Oplà: da ex velina che presenta noiose leggi a tutela delle donne e della maternità, Mara si è magicamente trasformata in una applaudita icona gay.
Siamo abituati a considerare il livello di attenzione e di tolleranza verso gli omosessuali come un indicatore di democraticità di una società. Ed è normale che sia così. Ma ciò che si segnala nella "conversione" del ministro Carfagna è qualcosa di più. È la vittoria della cultura del gender, il trionfo assoluto dell'idea secondo la quale "l'identità di genere" è risultato esclusivo di una "costruzione sociale", dell'"educazione etero sessi-sta".
Ora, sarà anche poco elegante scriverlo, ma come si fa a non notare la crescente attitudine alla censura delle idee altrui che caratterizza il ceto politico fondato sull'identità sessuale? Perché, ad esempio, l'opinione divergente dalle rivendicazioni dell'agenda gay viene quasi sempre qualificata di "pregiudizio omofobo"? «Sono deluso, perché le mie convinzioni personali mi sono costate la possibilità di continuare il mio lavoro per la comunità di Sacramento».
Con queste parole Scott Eckern, direttore artistico del Teatro di Musica della California, conclude la lettera con cui rassegna le sue dimissioni. Un autolicenziamento a cui Eckern è stato costretto perché, nel referendum sui matrimoni gay in California, aveva sostenuto il movimento per la difesa della famiglia tradizionale.
Simili atti di intolleranza non sono fatti isolati. Basti pensare a Donnie McClurkin, cantante gospel che ha accompagnato Obama nella campagna elettorale, finito nel mirino degli attivisti gay d'America perché si dichiara ex gay. O alla famosa hit di Povia, che ha esigito un'apparizione a Sanremo dell'onorevole Grillini, dal momento che neppure una canzonetta si deve permettere di discutere il dogma degli "omosessuali per sempre felici e contenti". O a Luca di Tolve (secondo alcuni lo stesso Luca cantato da Povia), che forse può vantare il primato di uomo più insultato d'Italia perché ha abbandonato un ruolo di spicco nell'Arci-gay e si è sposato con una donna. O agli psicologi come Antonio Cantelmi, perseguitati perché non accettano la teoria (mai dimostrata scientificamente) che "omosessuali si nasce". E ancora - notizia di questi giorni - si pensi alla campagna di screditamento, intimidazione, atti di vandalismo, che ha accompagnato la tournée italiana dello psichiatra americano Joseph Nicolosi.
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L'8 settembre si festeggia la Nascita di Maria Santissima: totustuus.it offre con gaudio ai suoi utenti registrati un classico della spiritualità francescana:
Beata Angela da Foligno: Il memoriale
Presentazione con Parole di Benedetto XVI: "Di solito, si è affascinati dai vertici dell’esperienza di unione con Dio che ella ha raggiunto, ma si considerano forse troppo poco i primi passi, la sua conversione, e il lungo cammino che l’ha condotta dal punto di partenza, il “grande timore dell’inferno”, fino al traguardo, l’unione totale con la Trinità. La prima parte della vita di Angela non è certo quella di una fervente discepola del Signore. Nata intorno al 1248 in una famiglia benestante, rimase orfana di padre e fu educata dalla madre in modo piuttosto superficiale. Venne introdotta ben presto negli ambienti mondani della città di Foligno, dove conobbe un uomo, che sposò a vent’anni e dal quale ebbe dei figli. La sua vita era spensierata, tanto da permettersi di disprezzare i cosiddetti “penitenti” - molto diffusi in quell’epoca – coloro, cioè, che per seguire Cristo vendevano i loro beni e vivevano nella preghiera, nel digiuno, nel servizio alla Chiesa e nella carità.
[...] Cari fratelli e sorelle, la vita di santa Angela comincia con un’esistenza mondana, abbastanza lontana da Dio. Ma poi l'incontro con la figura di san Francesco e, finalmente, l'incontro col Cristo Crocifisso risveglia l'anima per La presenza di Dio, per il fatto che solo con Dio la vita diventa vera vita, perché diventa, nel dolore per il peccato, amore e gioia. E così parla a noi santa Angela. Oggi siamo tutti in pericolo di vivere come se Dio non esistesse: sembra così lontano dalla vita odierna. Ma Dio ha mille modi, per ciascuno il suo, di farsi presente nell'anima, di mostrare che esiste e mi conosce e mi ama. E santa Angela vuol farci attenti a questi segni con i quali il Signore ci tocca l'anima, attenti alla presenza di Dio, per imparare così la via con Dio e verso Dio, nella comunione con Cristo Crocifisso. Preghiamo il Signore che ci renda attenti ai segni della sua presenza, che ci insegni a vivere realmente" (Udienza Generale del 13-10-2010).
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Regina Sacratissimi Rosari, ora pro nobis!
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Ideologia del gender: La realtà nello sguardo della donna
La teoria del gender, nella totale equiparazione tra uomo e donna al punto di annullare la realtà biologica della diversità sessuale, utilizza termini e concetti equivoci. Fabiana Cristofari presenta un'acuta analisi delle caratteristiche fisiologiche, psicologiche e spirituali della donna che non possono essere ignorate nel definire la sua missione e ruolo. Esperta in questo campo, con due dottorati e master nel curricolo, l'autrice ha pubblicato diversi saggi su famiglia e identità di genere.
di Fabiana Cristofari
Studi Cattolici n.604 giugno 2011
Della donna e sulla donna si è detto e scritto moltissimo partendo da prospettive disciplinari diverse, eppure l'identità femminile ancora fatica a emergere nella sua grandezza. Il più delle volte le indagini statistiche registrano sentimenti di frustrazione e insoddisfazione in tante donne che nell'articolarsi della loro vita stentano a definire l'oggetto della piena autorealizzazione, dal momento che oggi è difficile non solo definire la realtà dell'essere donna, ma perfino pensare a un'identità femminile che nella sua dimensione personale possa essere declinata in termini di differenza rispetto a quella maschile.
La domanda sull'identità della donna rimane spesso inevasa, dal momento che si sono erosi i presupposti concettuali per riflettere sulla differenza. Oggi parlare di identità maschile e di identità femminile è estremamente contro tendenza lì dove si sta diffondendo, non solo nell'immaginario collettivo ma, ancora di più, all'interno di gran parte dei documenti internazionali e in molti filoni del pensiero filosofico e psicologico, l'idea di un soggetto asessuato in cui ogni differenza biologica sia annullata in vista dell'indifferenziazione sessuale.
Sono le teorizzazioni del pensiero gender, fatto proprio dal femminismo americano, che permeano il linguaggio comune (facendo del concetto «unisex» la parola d'ordine), ogni struttura concettuale e molte decisioni in campo giuridico e politico dove si riscontra, sempre più di frequente, la sottolineatura dell'irrilevanza della differenza sessuale e la cancellazione di qualsiasi riferimento all'uomo e alla donna a favore di un generico riferimento alla categoria del «genere umano» come sessualmente indifferenziato (1).
Il pensiero «gender» (2) si è fatto promotore di una efficacissima battaglia ideologica secondo la quale la differenza sessuale è un dato aggirabile: il fatto che nasciamo maschi o femmine è irrilevante dal momento che ciò che conta - secondo il pensiero «gender» - è ciò che diveniamo, e il divenire dipende dalla storia, dalla società, dalla cultura e dalla propria autocomprensione psicologica.
Secondo tale prospettiva, possiamo essere/nascere donne e divenire donne o essere/nascere uomini e divenire uomini - e in questo senso i ruoli prodotti dalla cultura e dalla società e le scelte psichiche dell'individuo coinciderebbero con la natura - ma è anche possibile essere/nascere donne e divenire uomini o essere/nascere uomini e divenire donne, nel senso dell'attuazione di comportamenti e dell'identificazione di ruoli sociali, ma anche fino alla completa trasformazione del corpo.
Non esisterebbe, quindi, un legame tra sesso e genere: il genere non può e non deve essere costretto nel sesso o rispecchiarlo; il dato naturale della differenza sessuale è, piuttosto, una «trappola metafisica» da cui prendere le distanze, in quanto è ritenuta la causa principale della «cultura patriarcale». Infatti, è a partire dal dato naturale della differenza fisica sessuale che ogni individuo viene «assegnato» socialmente alla categoria maschile o femminile e, in base a ciò, ognuno diviene ciò che la cultura ritiene che sia o debba essere (uomo o donna), pensando falsamente che tale ruolo corrisponda alla sua vera natura.
È nell'ambito di tale assegnazione di ruoli sociali che il femminismo individua la distinzione tra il ruolo «privato» (riproduttivo e domestico) assegnato alle donne e il ruolo «pubblico» (politico-economico) assegnato agli uomini, con la conseguente gerarchizzazione dei generi (la superiorità del genere maschile e l'inferiorità del genere femminile, escluso dalla dimensione pubblica).
«La differenza sessuale (e dunque la natura) è vista, allora, come un elemento discriminatorio da negare e combattere, in quanto ha creato e continua a determinare la fissazione di ruoli e a costruire gerarchie di potere: la famiglia fondata sul matrimonio e la femminilità - identificata con la maternità e l'accudimento domestico — sono considerate "costruzioni maschiliste" da decostruire e di cui disfarsi per progettare una società che superi la differenza sessuale, liberando la donna dall'oppressione patriarcale» (3). L'obiettivo del femminismo di genere è quello di compiere una rivoluzione definitiva, come sostiene S. Firestone: non solo porre fine al privilegio maschile, ma «porre fine alla distinzione stessa dei sessi» (4).
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Michel Villey, Il diritto e i diritti dell'uomo, Editore Cantagalli, EAN9788882724436, Pp. 208, Euro 20,00
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“I diritti dell’uomo sono irreali. La loro impotenza è evidente. È bellissimo vedersi promettere l’infinito; ma poi, come stupirsi se la promessa non è mantenuta!”
Muovendosi in direzione opposta alla grande popolarità riscossa dal concetto di “diritti umani”, Michel Villey contesta l’idea moderna che anima le Dichiarazioni Universali e attraverso uno studio critico del linguaggio ne individua errori e ambiguità.
Se il linguaggio condiziona il pensiero, è compito della filosofia mettere in discussione le espressioni di uso comune per smascherare equivoci e fare chiarezza.
Per la sua coraggiosa battaglia, Villey sceglie il metodo storico, riscoprendo le radici del concetto di diritto nell’antica Roma e nei classici del pensiero latino, da Cicerone ad Aristotele, primo filosofo del diritto in senso stretto, fino al Corpus Iuris Civilis di Giustiniano, in cui ritrova l’origine del legame tra l’idea del diritto e quella di “giustizia”.
L’errore dei sostenitori dei diritti umani sta per Villey nel mescolare la natura generica dell’uomo, l’uomo al singolare, e il concetto più ampio di diritto, il quale invece ha bisogno di entità concrete a cui riferirsi e che sancisce un rapporto, una relazione tra soggetti.
Grazie a un’attenta analisi etimologica e strutturale dei due termini in gioco il filosofo francese dimostra la contraddizione che sorge dal loro arbitrario accostamento e invita a un ripensamento critico della concezione moderna di diritto.
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Michel Villey (1914-1988)
Storico francese del diritto, specialista di diritto romano. Ha insegnato alle Università di Strasburgo e di Parigi. Con Henri Batifol ha fondato a Parigi il Centro di Filosofia del diritto ed ha diretto gli “Archives de Philosophie du droit”. Tra le sue maggiori opere: Philosophie du droit. Définitions ed fins du droit. Les moyens du droit. (Dallonz, 1986); Critique de la Pensée juridique moderne (Dalloz, 1973); La formazione del pensiero giuridico moderno) Jaca Book, 1986).
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SANTO ROSARIO CON I VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
E AFFIDAMENTO DELL'ITALIA ALLA VERGINE MARIA
IN OCCASIONE DEL 150° ANNIVERSARIO DELL'UNITÀ POLITICA DEL PAESE
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica di Santa Maria Maggiore
Giovedì, 26 maggio 2011
La fede, infatti, non è alienazione: sono altre le esperienze che inquinano la dignità dell’uomo e la qualità della convivenza sociale! In ogni stagione storica l’incontro con la parola sempre nuova del Vangelo è stato sorgente di civiltà, ha costruito ponti fra i popoli e ha arricchito il tessuto delle nostre città ... rispettosa della legittima laicità dello Stato, è attenta a sostenere i diritti fondamentali dell’uomo. Fra questi vi sono anzitutto le istanze etiche e quindi l’apertura alla trascendenza, che costituiscono valori previi a qualsiasi giurisdizione statale, in quanto iscritti nella natura stessa della persona umana. In questa prospettiva, la Chiesa ... continua a offrire il proprio contributo alla costruzione del bene comune, richiamando ciascuno al dovere di promuovere e tutelare la vita umana in tutte le sue fasi e di sostenere fattivamente la famiglia
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Omelia della XXI domenica del Tempo Ordinario
Letture
I Lettura: Is 22,19-23;
Salmo: Sal 137;
II Lettura: Rm 11, 33-36;
Vangelo: Mt 16, 13-20
NESSO TRA LE LETTURE
“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. La confessione di Pietro nel Vangelo di questa domenica ci porta a concentrare su di essa tutta la nostra attenzione. Pietro menziona due verità fondamentali: la messianicità e la divinità di Cristo. Egli è il Messia, colui che è venuto per salvare il suo popolo, l'Unto del Signore, il Figlio di Dio. Gesù, rivolgendosi agli apostoli, domanda loro: "la gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?" Gli apostoli, senza troppo impegno rispondono che qualcuno pensava fosse Giovanni il Battista, altri Geremia o qualcuno dei profeti. In effetti Gesù aveva fatto già vari miracoli, e parecchie predicazioni e per questo la sua fama cominciava ad estendersi.
In ogni modo, Gesù desiderava sapere quale fosse il pensiero dei suoi uomini: "E voi, chi dite che io sia?". Da questa risposta dipende il senso delle loro vite. Da questa risposta dipendeva il senso del sacrificio che avevano fatto lasciando ogni cosa per seguire Gesù. Pertanto non era una risposta che si poteva dare in modo leggero e superficiale. Bisognava meditare prima di parlare. Per ciò dobbiamo ringraziare Pietro per la sua risposta, perché questa orienta anche tutte le nostre risposte che noi possiamo offrire riguardo all'identità di Gesù. Dobbiamo ringraziare il Padre che dal cielo rivela a Pietro l'identità del suo Figlio. "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". Gesù è il Messia, cioè colui che Dio ha unto con lo Spirito Santo per realizzare la missione di salvezza degli uomini e per riconciliarli con Dio. Gesù è colui che viene a instaurare il Regno di Dio. L'atteso dalle nazioni. Gesù Cristo è il Figlio del Dio vivente: e nel caso di Gesù, l'espressione Figlio di Dio, a differenza del caso in cui si riferisce ad un qualsiasi essere umano, creatura di Dio, ha un senso pienamente proprio. Cioè qui Pietro riconosce il carattere trascendente della filiazione divina, e perciò Gesù afferma solennemente: "né la carne, né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei Cieli" (Vangelo). Ha le idee chiare Paolo quando, dopo una lunga meditazione sul mistero della salvezza, afferma che i piani divini sono ineffabili: "o profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio!" (Seconda Lettura). Effettivamente, quando uno contempla il piano della salvezza e comprende, per quanto ciò sia possibile, che Dio si è incarnato per amore dell'uomo, non può fare a meno di prorompere in un canto di gioia e in una disponibilità totale al piano divino. E così, dopo la sua confessione, Pietro riceve il primato: sarà la roccia della Chiesa e custodirà le chiavi del Regno dei Cieli.
MESSAGGIO DOTTRINALE
1. Gesù è il Messia. La parola Messia significa "unto". In Israele erano "unti" coloro che erano consacrati per una missione ricevuta da Dio. Erano re (cf. 1 Sam 9, 16; 10, 1; 16, 1. 12-13; 1 Re 1, 39), sacerdoti (cf. Es 29, 7; Lv 8, 12) e, eccezionalmente profeti (cf. 1 Re 19, 16). E per eccellenza sarebbe stato "unto" per eccellenza il Messia inviato da Dio per instaurare definitivamente il suo Regno (cf. Sal 2, 2; At 4, 26-27). Il Messia doveva essere unto dallo Spirito del Signore (cf. Is 11, 2) allo stesso tempo come re e sacerdote sacerdote (cf. Zc 4, 14; 6, 13) e però anche come profeta. (cf. Is 61, 1; Lc 4, 16-21). Gesù portò a compimento la speranza messianica di Israele nella sua triplice funzione di sacerdote, profeta e re (cf. Catechismo della Chiesa cattolica, 436). Gli angeli annunciarono ai pastori: "Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo (il Messia, l'Unto) Signore" (Lc 2,11). Gesù è colui che il Padre ha santificato e inviato al mondo. Questa consacrazione messianica manifesta la sua missione divina: Gesù è venuto per glorificare il Padre e salvare gli uomini, seguendo il piano divino. Molti suoi contemporanei scoprirono in Gesù il Messia che doveva venire: Simeone, Anna, la gente che lo acclamava Figlio di David.
Tuttavia lo stile di Messia che Gesù incarna cozza fortemente contro le speranze dei sommi sacerdoti, che speravano in un messianismo di tipo politico. Vedere invece un Messia umile che parla di povertà, di sofferenza, di beatitudini, risultava per loro del tutto incomprensibile. Anche gli stessi apostoli, nel momento dell'Assunzione esprimono la speranza che Gesù manifesti tutto il suo potere: "Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il Regno di Israele?" (At 1,6). La comprensione del messianismo di Gesù avvenne per gli apostoli in modo lento e progressivo. Essi dovevano entrare dentro se stessi e meditare tutta l'opera di Cristo, dovevano giungere a comprendere "che era necessario che Gesù soffrisse per entrare nella sua gloria". Gesù mette un impegno particolare nel purificare la concezione messianica dei suoi apostoli. La sua missione di Messia ripeterà i passi del servo sofferente, sarà necessario che il Messia sia rifiutato dagli anziani, che lo si condanni a morte e risusciti il terzo giorno. Gesù, che in tutta la sua vita era stato "riservato" a ricevere il titolo di Messia, cambia atteggiamento davanti alla domanda del Sommo sacerdote: " 'Ti scongiuro per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio'. 'Tu l'hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico: d'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo' " (Mt 26,63). Non è vero forse che noi, come gli apostoli, dobbiamo purificare la nostra concezione su Cristo, sulla sua missione e su come metterci alla sua sequela? Non è vero forse che, anche noi, dobbiamo entrare nel mistero di Cristo e vedere che Egli è il capo e noi siamo le sue membra e ciò che si è verificato nel capo anche i membri lo riprodurranno? In fondo si tratta di scoprire il senso della missione della propria vita, il senso della donazione per amore nel sacrificio, il senso dell'amore alla verità per dar gloria a Dio e agli uomini. "Dar gloria a Dio": questo potrebbe essere il motto della vita del cristiano. Sii innestato nella vita di Cristo, unto, fa parte del suo sacerdozio reale, sii popolo di sua proprietà, dai gloria a Dio con la tua vita, con le tue sofferenze, con le tue gioie, con la tua morte.
2. Gesù è il Figlio di Dio. "Figlio di Dio", nell'Antico Testamento è un titolo dato agli angeli (cf. Dt 32, 8; Gb 1, 6), al popolo eletto (cf. Es 4, 22; Os 11, 1; Ger 3, 19; Sir 36, 11; Sap 18, 13), ai figli di Israele (cf. Dt 14, 1; Os 2, 1) e ai suoi re (cf. 2 Sam 7, 14; Sal 82, 6). Significa una filiazione adottiva che Dio stabilisce con le sue creature, relazione di particolare intimità. Quando il Re-Messia promesso è chiamato "Figlio di Dio" (cf. 1 Cr 17, 13; Sal 2, 7), non implica necessariamente, secondo il senso letterale di questi testi, che sia qualcosa di più che umano. Quelli che designarono così Gesù, in quanto Messia di Israele (cf. Mt 27, 54), forse non poterono dire niente di più (cf. Lc 23, 47). (Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 441). Tuttavia, il caso di cui ci stiamo occupando è diverso. Quando Pietro confessa Gesù come "il Cristo, il Figlio del Dio vivo" (Mt 16, 16) fa una confessione della divinità del Messia. Perciò Cristo risponde con solennità: "né la carne, né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei Cieli" (Mt 16, 17). Parallelamente, Paolo dirà a proposito della sua conversione sul cammino di Damasco: "Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani…" (Gal 1,15-16), "e subito nelle sinagoghe proclamava Gesù Figlio di Dio" (At 9, 20). Questo sarà fin dal principio (cf. 1 Ts 1, 10), il centro della fede apostolica (cf. Gv 20, 31) professata in primo luogo da Pietro come fondamento della Chiesa (cf. Mt 16, 18).
Se Pietro ha potuto riconoscere il carattere trascendente della filiazione divina di Gesù Messia, questo è stato perché Egli lo ha lasciato intendere chiaramente. I vangeli ci riportano due momenti solenni, il battesimo e la trasfigurazione di Cristo, nei quali la voce del Padre lo indica come il suo "Figlio prediletto" (Mt 3,17; 17,5). Gesù definisce se stesso come "il Figlio unigenito di Dio" (Gv 3, 16) e afferma, mediante questo titolo, la sua esistenza eterna (cf. Gv 10, 36). Chiede la fede nel " Nome del Figlio unigenito di Dio" (Gv 3, 18). Questa confessione cristiana compare già nell'esclamazione del centurione, davanti a Gesù sulla croce: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio" (Mc 15, 39), perché solamente nel mistero pasquale il credente può trarre il senso pieno del titolo "Figlio di Dio". Anche il mondo di oggi trova delle difficoltà a comprendere la divinità di Cristo. Nella comunità dei credenti pare oscurarsi questa verità fondamentale della nostra fede. Il Credo che recitiamo ogni domenica afferma la divinità di Gesù Cristo: "Credo in Gesù Cristo, Figlio Unigenito di Dio. Nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, luce da luce". È importante che questa nostra predicazione aiuti le persone a scoprire le meraviglie del piano divino e la profondità dell'incarnazione. Dio, nel suo immenso amore, si è fatto uno come noi, per condurci al Padre.
SUGGERIMENTI PASTORALI
1. Importanza della catechesi sulla divinità di Cristo. I mezzi di comunicazione: periodici, libri, riviste, televisione, cinema ecc., offrono non poche volte una visione distorta di Cristo. Viene presentato come un uomo magnifico, di grandi ideali, però un semplice uomo, la cui dottrina si può paragonare con quelle degli altri grandi personaggi o leader religiosi, ma non si dice niente sulla sua divinità, la si nasconde e la si sciupa. Noi fedeli siamo esposti a tutte queste informazioni o, meglio, disinformazioni. È perciò importante, in certi casi urgente, buttar via tutti questi mezzi a disposizione, per avere un'adeguata catechesi su questi punti essenziali della fede. Una catechesi dei bambini che origina dal ventre materno, ma che incontra un momento privilegiato nella catechesi per la prima comunione. Le prime nozioni apprese in famiglia non si dimenticano, ma penetrano soavemente e definitivamente nell'anima accompagnandoci durante tutto il cammino della vita. Una catechesi dei giovani, nella quale si pongono i più seri problemi della vita e si apre il ventaglio dell'esistenza. È questo il momento in cui si scopre il proprio "io" e si stabilisce un dialogo profondo con Cristo Signore. Catechesi per adulti, quando, passate le prime età della vita, si sono cristallizzate le abitudini e le disposizioni dell'uomo e della donna, e la persona passa un momento di aggiustamento profondo della sua esistenza. Quanto bene potremo fare all'uomo mostrando Cristo, il Figlio di Dio venuto sulla terra per salvarlo e riconciliarlo con il Padre. Mostrare che Lui è la rivelazione del Padre e che grazie a Lui abbiamo accesso al cielo, alla vita eterna. Questa è la speranza che vince qualsiasi pena e la sfida della vita eterna.
2. L'amore per il Papa. La liturgia di oggi ci invita a incrementare il nostro amore e la nostra adesione al Papa, come successore di Pietro e vicario di Cristo. Vediamo in lui il Buon Pastore, la roccia sulla quale si edifica la Chiesa, colui che detiene le chiavi del Regno dei Cieli. Non lasciamolo solo nella sua sofferenza per la Chiesa, accompagniamolo, invece, non solo con la nostra preghiera, ma anche con le nostre personali sofferenze e con l'azione apostolica. È opportuno ripetere ciò che Giovanni Paolo ha detto a una religiosa di clausura all'inizio del suo pontificato: "Conto su di voi, sulla vostra preghiera e il vostro sacrificio". Che il Papa, successore di Pietro, possa contare anche con noi, per la "Nuova Evangelizzazione".
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RADIO RADICALE ATTACCA LA CHIESA E I CRISTIANI,
MA POI RICEVE AIUTO DAI RAPPRESENTANTI DEL MONDO CATTOLICO
Clamoroso l'esempio di Eugenia Roccella (figlia del fondatore, insieme a Pannella, del Partito Radicale) la quale, pur essendo a tutt'oggi a favore del divorzio e dell'aborto è diventata portavoce del Family Day e poi editorialista di Avvenire e opinionista dell'Osservatore Romano
di Francesco Agnoli
E' bene, ogni tanto, dire le cose come stanno. Perché ci sono momenti in cui, a mio avviso, la misura è colma. In questi giorni radio radicale torna all'attacco, per incassare i suoi soliti 10 milioni di euro.
Crisi economica o meno, chissenefrega, 10 milioni di euro (all'anno, per 3 anni) sono e i radicali, quelli che si battono contro il finanziamento pubblico ai partiti (degli altri), li vogliono tutti: certo non saranno loro a preoccuparsi per i tagli che colpiscono, per esempio, le famiglie. Nessuno di loro ne ha una, e il loro unico impegno, si sa, è per distruggerne il più possibile.
Ebbene, si diceva, 10 milioni di euro! Per averli Pannella e Bonino sono andati a bussare a tutte le porte. E come sempre, le hanno trovate tutte aperte, a destra come a sinistra. E' sempre successo così. Alla fine i radicali hanno pochissimi voti, ma uomini dovunque: radicali veri; ex radicali ancora affezionati alla casa madre; radicali sotto mentite spoglie, come Della Vedova; radicali in prestito, come Daniele Capezzone...
L'elenco di queste personaggi sarebbe troppo lungo, poco meno dell'elenco incredibile di quelli che hanno prontamente firmato, come sempre, l'appello in favore della radio stessa. Tra i firmatari, come ha denunciato Danilo Quinto, molti "cattolici".
Cattolici dei miei stivali, verrebbe da dire, al cattolico rozzo e reazionario che scrive. Cattolici che ritengono essenziale che lo Stato versi milioni di euro all'uomo, Marco Pannella, che ha rovinato il paese con i suoi referendum nichilisti; alla radio che da anni e anni di batte per: aborto; divorzio; divorzio breve; "rientro dolce" dell'umanità da 6 a 2 miliardi; droga libera; eutanasia; tentativi di incriminare Benedetto XVI per pedofilia; manipolazione genetica; eliminazione seriale degli embrioni per scopi curativi; clonazione...
Li volete, questi nomi? Da Pierluigi Castagnetti a Giuseppe Fioroni, da Gianfranco Rotondi a Savino Pezzotta... E oltre a costoro: la focolarina Maria Letizia De Torre, Dario Franceschini, la prodiana Marina Magistrelli, Eugenia Roccella, Bruno Tabacci...
Se avete letto bene i nomi, forse ne avrete notati in particolare due: Eugenia Roccella e Savino Pezzotta. Qualcuno ricorderà bene: i portavoce del Family Day del 2007! Coloro che accettarono senza indugi di rappresentare oltre un milione di cattolici che manifestavano per la famiglia, contro le politiche radicali della sinistra. Queste stesse persone, che ora sostengono Pannella, Bonino e radio radicale, hanno costruito la loro carriera politica anche sul Family Day (grazie al quale sono stati in tv per lunghi mesi e dopo il quale sono entrati in Parlamento).
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GARANTIRE LA SEPOLTURA DI TUTTI I BAMBINI NON NATI E' UNA BATTAGLIA DI CIVILTA'
Avere un luogo dove reincontrare il bambino abortito è una possibilità importante per la donna di elaborare il suo lutto
"Una violenza psicologica sulle donne". E ancora: "Scelta ideologica di natura religiosa a danno della salute della donna". Sono le critiche mosse da esponenti del sindacato Fp-Cgil Medici dopo la notizia del protocollo di intesa approvato con delibera del 22 luglio scorso tra l'Azienda Ospedaliera S. Anna e San Sebastiano di Caserta e l'Associazione Difendere la vita con Maria, con sede a Novara. In che cosa consiste questo protocollo? Il fine è quello di garantire la sepoltura di tutti i "bambini non nati", in pratica i feti abortiti. Nei fatti, a Caserta, verrà disposto nel cimitero comunale uno spazio apposito dove seppellire i bambini non nati. Sulla polemica è intervenuto anche il sottosegretario Roccella, che parla "scelta di civiltà e umanità". Di fatto, in Italia esistono già regolamentazioni analoghe, ad esempio quella della Regione Lombardia che risale al 2007 che chiede alle direzioni sanitarie di informare i genitori della possibilità di seppellire i feti di età inferiore alle 20 settimane. In caso di mancanza di richiesta da parte dei genitori, si provvede ugualmente alla sepoltura in un'area riservata dei cimiteri. IlSussidiario.net ha raggiunto il neonatologo Carlo Bellieni per un commento.
PROFESSOR BELLIENI, COME MAI TANTE POLEMICHE? IN MERITO NEL NOSTRO PAESE ESISTE UNA NORMATIVA CHIARA...
Assolutamente sì. Esistono nel nostro Paese leggi che tutelano il dritto prima di tutto per le donne che lo richiedono alla sepoltura del bambino morto prima di nascere. Il fatto poi di genitori che non richiedono di seppellire tali bambini morti per aborto volontario e voler farlo lo stesso, è un atto di umana pietà che sicuramente tutela il diritto di chi è deceduto di avere una degna sepoltura e di non essere trattato come un rifiuto. L'alternativa infatti per il bambino morto prima di nascere è di essere gettato via, e gettare via un corpo umano non è accettabile.
LE CRITICHE A TALE INIZIATIVA SONO MOTIVATE DA ACCUSE DI "VIOLENZA PSICOLOGICA SULLA DONNA".
Davanti alla critica di fare del terrorismo, violenza sulle donne, appare evidente che chi dice questo sottovaluta fortemente le donne. Perché se si dice che la donna quando abortisce fa una scelta decisa, sicura e autonoma e poi quando si tratta di vedere effettivamente quello che ha fatto, quindi guardare in faccia la realtà, questa donna che prima era autonoma adesso improvvisamente diventa pavida e incapace di accettare la realtà, c'è qualcosa che non va. O la donna è libera e autonoma sempre, oppure non aveva chiaro cosa sta veramente facendo quando abortisce.
PUÒ SPIEGARE MEGLIO QUESTO PASSAGGIO?
Se si è certi che quando si abortisce si getta via del materiale inerte, perché preoccuparsi se qualcuno vuole che non venga buttato con la spazzatura ma seppellito? Se invece non si è certi, bisognerebbe semmai riflettere, non "far finta che". Negli Stati Uniti ad esempio in molti Stati alla donna prima che abortisca le viene mostrata una ecografia in cui si vede bene il bambino che ha in pancia, in modo che sappia quello che sta per fare.
CHI CRITICA QUESTA POSSIBILITÀ DI SEPPELLIMENTO PARLA ANCHE DI FORZATURA IDEOLOGICA RELIGIOSA NELLA SALUTE DELLE DONNE.
Chiariamo questo: per legge oggi è già possibile avere il seppellimento dei feti nati morti o abortiti se i genitori lo richiedono. Se invece il genitore non richiede il seppellimento, allora farlo ugualmente è un fatto di umana pietà indipendentemente dalle credenze religiose perché non contrasta con la libertà della donna. Ma se invece pensiamo che contrasta con la sua libertà, allora la stiamo ingannando.
NEGARE LA POSSIBILITÀ DI SEPPELLIRE I FETI SEMBRA VOLER NEGARE A TUTTI I COSTI L'EVIDENZA DI CIÒ CHE SI È ABORTITO: NON MERITA L'ABORTO PERCHÉ NON ERA VITA UMANA.
Il fatto di avere un luogo dove reincontrare il bambino abortito è una possibilità molto importante per la donna di elaborare il suo lutto. Questa cosa è suggerita da studi psichiatrici che non hanno nulla di religioso. Esiste una approfondita letteratura scientifica che dimostra i drammi psichiatrici a cui va incontro la donna che ha aborrito, e non c'entra aver seppellito il feto o no. E' dimostrato scientificamente che la donna che ha abortito in modo volontario va incontro a maggiori problemi psichiatrici come la depressione della donna che ha perso il bambino spontaneamente. E' un inganno per la donna quando si nega il lutto. Allora sì crescono veramente i fantasmi. Voler negare di aver eliminato il figlio non fa bene alla mente della donna, non si tratta di discutere di diritti o meno, ma dire la verità o no alla donna, e la verità va sempre detta. Se qualcuno le dice che non era un bambino, non era un essere umano vivente, le donne che ben capiscono alla fine hanno una reazione purtroppo veramente grave.
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Il 22 agosto 2011 è la Festa di Maria Regina: per onorare la Madre della Chiesa e proporre la verità storica, siamo lieti di offrire ai nostri utenti registrati un agile libro del celebre Leo Moulin:
L'inquisizione sotto inquisizione
Presentazione: Uno storico valido come Charles Langlois (L'Inquisition d'aprés des travaux récents, Paris, 1902, p. 84) può scrivere: "l'inquisizione non ha turbato profondamente la vita normale della società del Medio Evo, se non in qualche provincia dell'Italia del Nord e della Francia del Sud, per qualche anno del XIII secolo. Altrove, e in seguito, non sembra che la sua attività, piuttosto attenuata, abbia avuto dei risultati socialmente considerevoli". B. Hamilton (L'Inquisizione Medioevale, 1981) dice (pag. 41) che l'azione di questo tribunale era "flimsy", vale a dire "inconsistente" (e quale azione dei tribunali del passato non lo fu, a paragone di quella di certi tribunali del XX secolo?).
Sorge dunque il dubbio che, narrando dell'inquisizione, si sia cercato di colpire la Chiesa cattolica a scapito delle più semplici regole della ricerca storica: sono state ignorate le fonti; si sono proiettate la sensibilità, le illusioni, le speranze di un secolo, il XIX, su un passato certamente brutale e sanguinario, ma anche umano e luminoso; si sono utilizzati materiali appesantiti e minati da innumerevoli anacronismi per fini ideologici e, più spesso, polemici; ci si è fidati troppo delle proprie conclusioni. Noi abbiamo cercato, in questo piccolo saggio, di farci un 'immagine un po' più chiara e un po' più esatta di quali furono l'azione, i mezzi, la condizione di spirito dell'Inquisizione, mettendo la stessa sotto inquisizione, nello spirito del più esigente libero esame.
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Regina Sacratissimi Rosari, ora pro nobis!
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Jung Chang e Jon Halliday, Mao la storia sconosciuta,editore TEA, ISBN-13: 978-8850215249, 960 pagine, Euro 12
Sconto su:
[http:www.theseuslibri.it]
Quando i comunisti mangiavano (per davvero) i bambini
La sinistra italiana ha il dispiacere di vedere fatti a pezzi i miti su cui si regge la sua stessa esistenza e i ritratti che continuano a campeggiare su bandiere e magliette che si vedono in ogni sua manifestazione. Prima Fidel Castro, ora Mao Tse-tung (1893-1976). Quarant'anni fa, nell'agosto 1966, cominciava in Cina la rivoluzione culturale, cioè la distruzione sistematica della cultura cinese. Tre milioni d'intellettuali e membri di gruppi sociali "sospetti" furono uccisi, e cento milioni di cinesi incarcerati o deportati. Bastava avere in casa un libro non marxista per rischiare la deportazione o peggio. Il clima è stato rievocato a fosche tinte anche da quotidiani di Centrosinistra. Il crimine di leso Mao Tse-tung è stato subito denunciato sui giornali della sinistra radicale, e l'onorevole Oliviero Diliberto - prendendosi una rara pausa dai suoi impegni di propagandista degli Hezbollah - ha invitato a riconoscere anche quanto di buono fu fatto da Mao in Cina.
A Diliberto si consiglia allora la lettura del capitolo sulla rivoluzione culturale della mirabile biografia Mao la storia sconosciuta (Longanesi, Milano 2006) della grande scrittrice cinese Jung Chang, scritta in collaborazione con Jon Halliday - una lettura obbligatoria nonostante la mole (960 pagine) per chiunque voglia capire il comunismo cinese -, che rimanda a un'opera, purtroppo mai tradotta in italiano, del dissidente cinese Zheng Yi, Scarlet Memorial: Tales of Cannibalism in Modern China, pubblicata nel 1996 negli Stati Uniti dall'autorevole Westview Press.
Dopo la morte di Mao, senza troppa pubblicità, alcune commissioni d'inchiesta indagarono sulle atrocità della rivoluzione culturale. Una lavorò nel 1983 sulla contea di Wuxuan. Lo stesso Zheng Yi, un giornalista comunista che aveva militato nelle Guardie Rosse, fu inviato da un giornale di partito di Pechino con lettere di accreditamento ufficiale che invitavano le autorità locali a mettersi a sua disposizione per un'inchiesta. All'epoca, Deng Xiao Ping (1904-1997), che al tempo della rivoluzione culturale era stato estromesso dalla dirigenza del partito, malmenato e mandato a lavorare in una fabbrica di trattori di provincia, dove era sfuggito per miracolo a un tentativo di assassinio, era diventato il padrone della Cina e aveva interesse sia a screditare la "banda dei quattro" che aveva promosso gli eventi del 1966, sia a far filtrare qualche cauta critica allo stesso Mao Tse-tung che non lo aveva certamente protetto.
Regnante Deng Xiao Ping, s'indaga sugli eccessi della rivoluzione culturale e migliaia di militanti che si sono resi colpevoli di atrocità sono incriminati. Il lavoro dei tribunali sembra serio, e molti vedono una franca indagine su questo orribile passato come il preludio all'inevitabile democratizzazione. Ma la classe dirigente del Partito Comunista Cinese e lo stesso Deng la pensano diversamente. La repressione del movimento degli studenti in Piazza Tiananmen nel 1989 segna la fine della breve primavera di speranze democratiche in Cina.
Dopo Tiananmen, il regime si chiude su se stesso. Su Mao, responsabile secondo Jung Chang di settanta milioni di morti, si applica la "regola delle dieci dita", che sembra usata in Italia anche da Diliberto e compagni: nove dita, insegnano i libri di scuola cinesi, lavoravano per il bene del popolo, una sfuggiva al controllo e deviava. Come ricordano Roderick MacFarquhar e Michael Schoenhals nella loro recente summa storica sulla rivoluzione culturale, Mao's Last Revolution (Harvard University Press, Cambridge [Massachusetts], 'altra opera indispensabile nonostante la mole (oltre 600 pagine) - gli storici cinesi e stranieri che indagano sulle atrocità, fino ad allora incoraggiati dal regime di Deng, improvvisamente trovano ostacoli. Gli archivi, che si erano miracolosamente aperti, si chiudono. Le istruttorie sono concluse frettolosamente e le condanne sono sorprendentemente lievi: meno di cento condanne a morte in tutta la Cina - un Paese che ha il record di pene capitali nel mondo, applicate anche a reati che non implicano la perdita di vite umane - per i massacri di massa della rivoluzione culturale, pene da cinque a quindici anni per i responsabili di autentici eccidi.
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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
AI NUOVI AMBASCIATORI ACCREDITATI PRESSO LA SANTA SEDE
Sala Clementina
Giovedì, 9 giugno 2011
... il fondamento del dinamismo del progresso corrisponde all’uomo che lavora e non alla tecnica, che non è altro che una creazione umana. Puntare tutto su di essa o credere che sia l’agente esclusivo del progresso o della felicità comporta una reificazione dell’uomo, che sfocia nell’accecamento e nell’infelicità quando quest’ultimo le attribuisce e le delega poteri che essa non ha ... La tecnica che domina l’uomo lo priva della sua umanità. L’orgoglio che essa genera ha fatto sorgere nelle nostre società un economismo intrattabile e un certo edonismo, che determina i comportamenti in modo soggettivo ed egoistico. L’affievolirsi del primato dell’umano comporta uno smarrimento esistenziale e una perdita del senso della vita. Infatti, la visione dell’uomo e delle cose senza riferimento alla trascendenza sradica l’uomo dalla terra e, fondamentalmente, ne impoverisce l’identità stessa.
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Commento al Vangelo – XIX Domenica del Tempo Ordinario
Tutto si ottiene per mezzo della Fede!
“Verbum Domini manet in aeternum”, la parola di Dio rimane in eterno. Il Vangelo di oggi sulla Fede della Cananea si può applicare interamente, fin nei suoi minimi particolari, alla nostra quotidianità. Come ottenere ciò di cui abbiamo bisogno e che chiediamo? Quale deve essere la relazione tra Fede e preghiera? Ecco alcune nozioni indispensabili alla nostra esistenza esemplarmente illustrate in queste considerazioni.
di Mons. João Scognamiglio Clá Dias
fondatore degli Evangeli Praecones
courtesy of
[www.salvamiregina.it]
La donna cananea
21 Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. 22 Ed ecco una donna Cananea, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio”. 23 Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i discepoli gli si accostarono implorando: “Esaudiscila, vedi come ci grida dietro”. 24 Ma egli rispose: “Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele”. 25 Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: “Signore, aiutami!”. 26 Ed egli rispose: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini”. 27 “È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. 28 Allora Gesù le replicò: “Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri”. E da quell’istante sua figlia fu guarita. (Mt 15, 21-28).
I – Introduzione: Giudei e Cananei
I nemici di Gesù erano estremamente irritati per la predicazione di una nuova dottrina dotata di potere di attrazione e di conversione. Gesù, con la sua Sapienza infinita, per ragioni diplomatiche ha deciso di ritirarSi per qualche tempo evitando il contatto con i suoi avversari, al fine di calmarne gli animi esaltati. Era l’atteggiamento più indicato in quelle circostanze, secondo quanto si può dedurre dalla narrazione fatta da due Evangelisti (1). Attraversando la Galilea superiore, a nordest si trovava il territorio di Tiro e Sidone (nell’attuale Libano), abitato da pagani di etnia cananea, molto ostili ai giudei di allora, secondo quanto ci riferisce il famoso storico ebreo Flavio Giuseppe (2).
A proposito se Gesù sia entrato o meno in quelle città fenicie, gli esegeti discordano. Alcuni mantengono un buon margine di dubbio, considerato il senso vago delle espressioni utilizzate da entrambi i Vangeli, quando si riferiscono a questo viaggio, nonostante menzionino esplicitamente la regione. Le argomentazioni degli altri vanno in senso contrario. Questi ricordano che Elia era già stato in quei paraggi (3) e si chiedono se fosse stato conveniente per il Signore entrare in terre pagane, anche se non per esercitare il suo ministero.
La questione di fondo è legata a fatti più antichi.
Di ritorno dalla schiavitù in Babilonia, il popolo giudeo ha impiegato più di un secolo per insediarsi nuovamente in Palestina (dal 538 a.C. al 398 a.C.). Per un certo periodo (approssimativamente nel 458 a.C.), un secondo nucleo di rimpatriati ha potuto contare al suo interno su una figura di spicco: Esdra. Tra le sue numerose iniziative vi era quella che mirava a dare nuovo impulso ai costumi e ai precetti prescritti da Mosè, in modo particolare a quelli relativi ai matrimoni misti. È stata in questa occasione che sono state escluse dal popolo giudeo tutte le donne cananee, con i loro rispettivi figli (4). Oltre a ciò, un altro profeta, Neemia, spinto da santo zelo, in un periodo successivo, ha espulso da Gerusalemme i mercanti della città di Tiro, così come ha preso severe misure per separare il popolo eletto dagli stranieri (5)
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Festa di San Lorenzo. Il cardinale Bagnasco: cattolici sempre più attenti alla vita sociale e politica
2011-08-10 Radio Vaticana
“La fede cristiana non attenta in nessun modo alla vita sociale” e “i cristiani hanno un apporto originale e necessario da portare alla vita sociale e politica”: è quanto ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, celebrando stamani a Genova la Messa per la Festa di San Lorenzo. Un martire, ha affermato ancora il porporato, che “ricorda alla società di oggi la dignità intangibile dell’uomo”, fondamentale per “una società giusta”. Il servizio di Isabella Piro:00:02:42:48
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La chiesa alle prese con la tentazione giustizialista. Il vescovo di San Marino: “Cacciare i vescovi irlandesi non serve a nulla”. La linea dura di Weigel
La proposta avanzata dal prete e teologo Vincent Twomey di far dimettere tutti i vescovi irlandesi nominati prima del 2003 fa discutere gli uomini di chiesa. Anche in Vaticano c’è chi ritiene che la proposta sia da portare avanti, perché così si darebbe un segnale forte a un paese che dopo la pubblicazione del report governativo sulla diocesi di Cloyne vive in uno stato d’indignazione permanente. L’accusa è nota: i vescovi e le massime gerarchie cattoliche non avrebbero fatto nulla per impedire che nei decenni appena trascorsi alcuni preti diocesani commettessero abusi sessuali su minori. “Attenzione – dice al Foglio il vescovo di San Marino Luigi Negri – che il giustizialismo nella chiesa è letale tanto quanto lo è nella società. Azzerare i vertici della chiesa a cosa serve? A nulla. Ci possono essere dei vescovi che non hanno agito al meglio, ma il criterio dell’efficienza e della perfezione non può essere assunto in toto dalla chiesa. La chiesa deve rispettare gli uomini, finanche i suoi eventuali errori. La chiesa mira alla perfezione, certo, ma sa bene che questa perfezione è sempre da conquistare, da raggiungere, anche con errori e passi falsi”.