Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins
Verso le vette della Santità Sacerdotale
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RITIRO DEL MESE DI MARZO
IL SACERDOTE E LA SPERANZA
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2. - POSSIAMO. DOBBIAMO VIVERE DI SPERANZA
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La speranza, virtù teologica, ci fa aspettare Dio stesso. che conosceremo nella luce della sua conoscenza, facie ad faciem, che ameremo nel suo proprio amore nella vita eterna.
Ma questo fine, per essere raggiunto, suppone mezzi, i quali pure formeranno l'oggetto della virtù.
V'è sempre proporzione fra mezzi e fine. Per andare a Dio è necessario l'aiuto di Dio, in altri termini, la grazia; e questo aiuto è certo.
La nostra speranza si fonda sulla parola stessa di Die, il quale, rivelandoci i suoi disegni, ci manifesta pure la sua efficace volontà di chiamarci alla beatitudine superna. Inutile insistere su questo punto; è insegnamento della fede, fondamento della nostra speranza: Universa propter semetipsum operatus est Dominus (Prov. 16, 4), l'essere intelligente, si potrebbe dire, ancor più degli altri, perché creato per Dio. come può dimostrare, e dimostra la stessa ragione, è destinato alla beatitudine infinita.
Ora di tale suo volere di beatificarci. Dio ci ha dato un pegno, e questo pegno è Nostro Signore Gesù Cristo, principio dell'ordine sopranaturale, causa efficiente, causa meritoria, causa esemplare, causa finale della grazia. E' dato a noi Colui che vede e possiede il Padre, che ne gode con eterna sazietà. E' nostro e vuole condurci al Padre, darci al Padre. Adorabile realtà, e sublime mistero! Quante volte abbiamo letto, senza comprenderle, le parole rivelate che affermano tale certezza! Parvulus natus est nobis, et Filius datus est nóbis (Isaia 9, 6). — Sic Deus dìlexit mundum, ut Filium suum unigenitum daret (Ioan., 3, 16). Destinati a possedere Dio in eterno, lo possediamo fin d'ora nel tempo!
Egli si è dato a noi per associarci alla sua vita: Veni ut vitam habeant (Ioan., 10, 10). — Ego sum vita (id. 14, 6) per applicarci ì suoi meriti: Per quem maxima et pretiosa nobis promìssa donavit, ut per haec efficiamini divinae consortes naturae (2 Petr. 1, 4); ecco il centro preciso e stupendo dei mistero! S. Paolo ne parla con mirabile certezza, tutto riassumendo in questa frase concisa diretta ai Corinti: Et sicut in Adam omnes moriuntur, ita et in Christo omnes vivificabuntur (1 Cor. 15, 22).
Come eravamo in Adamo per la nostra rovina, così siamo in Cristo per la nostra salvezza e ciò senza interruzione, poiché Egli compì l'opera sua con tutta la sua vita, con tutti i suoi misteri. Eravamo in Lui quando si incarnava, quando nasceva, quando lavorava, soffriva, moriva, risuscitava, ascendeva al Cielo. Ecco tutta la teologia dell'Apostolo, sotto la penna del quale sovrabbondano i testi: Mortui sumus ***** Christo... (Rom., 6, 2), consepulti sumus ***** ilio... (id., 6. 4). Convivificavit nos in Christo, et conresuscitavit, et consedere fedi in coelestibus in Christo Jesu (Ephes., 2, 5).Che si potrebbe desiderare di più forte e di più soave insieme per infondere ferma speranza? Noi leggiamo ancora nella lettera agli Efesini: Dio ha fatto tutto ciò, ut stenderet in saeculis ervenientibus abundantes divitias gratiae mune in bonitate super nos in Christo Jesu. Gratia enim estis salvati per fidem; et hoc non ex nobis, Dei enim donum est (Ephes., 2, 7) Si stenta a lasciare questo capitolo. Ma no, non lasciamolo; leggiamo ancora, leggiamo sempre, meditiamo tale dottrina e viviamone; con essa dilatiamo i nostri cuori, ravviviamo le nostre anime.
Le hanno gustate i Padri che le predicavano ampiamente. Ecco S. Leone a proposito dell'Incarnazione: Verbum caro factum est, et habitavit in nobis. In nobis utique, quos sibi Verbi divinitas coaptavit, cujus caro de utero virginis sumpta nos sumus 11). E a proposito della Natività, ricordando l'insieme della dottrina: Sicut ***** Christo in Passione crucifixi in Resurrectione resuscitati, in Ascensione ad dexteram Patris collocati, ita ***** ipso sumus in hac Nativitate congeniti 12).
Ecco Tertulllano a proposito della Risurrezione: Quemadmodum enim nobis arrhabonem. Spiritus reliquit, ita et a nobis arrhabonem carnis accepit, et vexìt in coelum, pignus totius summae illuc quandoque redigendae. Securi estote, caro et sanguis, usurpastis et coelum et regnum Dei in Christo 13).
Ecco in fine S. Ambrogio parlando dell'Ascensione: Debuit tamen novo victori novum iter parari; semper enim victor tanquam maior praecelsior est: sed quia aeternae sunt iustitiae portae, eaedemque novi et veteris testamenti, quibus coelum aperitur, non mutantur utique sed elevantur: quia non unus homo, sed totus in omnium Redemptare mundus intrabat 14).
Non insistiamo più oltre, ma riflettiamo che la parola di S. Paolo: Nostra autem conversatio in coelis est (Philip., 3, 20) non è una semplice promessa, ma una realtà. La nostra vita, mihi vivere Christus est (id. 1, 21), è in Cielo. Quando Gesù vi salì glorioso volle collocare anche noi lassù insieme alla sua adorabile umanità: Vado ad Patrem meum et Patrem vestrum... parare vobis lo*****! (Ioan. 16, 38)... Ecco il grande motivo della nostra speranza; motivo ancor più forte per noi sacerdoti se pensiamo che Gesù è nostro più che d'ogni altro.
— Viviamo in alto, molto in alto! Viviamo fidenti anche se il nostro passato ci apparisse «degno di odio», anche se ci sentissimo ricoperti di peccati. Qualche cosa di noi stessi ha già preso posto in Cielo. Il mistero della nostra glorificazione ha bisogno di essere completato, ma in realtà è già cominciato. Questo basta per farci tendere la nostra volontà in uno sforzo generoso che ci permetterà di gustare, umili ma con pace, le ispirate parole che le nostre labbra pronunciano troppo spesso macchinalmente: Pars mea Dominus; propterea expectabo eum (Thren. 3, 24). — Qui confidimi in Domino, sicut mons Sion; non commovebitur in aeternum qui habitat in Jerusalem (Ps. 124,: — In te Domine speravi, non confundar in cesternum (Ps. 30, 1).
E a quest'ultima filiale protesta dell'animo nostro, Dio risponderà: Sacerdotes ejus induam it et sancii ejus exultatione exultabunt Ps 12. 17).