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il Foglio
Pazza idea: la guerra giusta all’Indice
Il cardinale Turkson porterà al Papa la richiesta: il bellum iustum è contro il Vangelo e nulla può giustificare la violenza. Dibattito in America: traditi sant’Agostino e Wojtyla, ci sono conflitti sacrosanti
di Matteo Matzuzzi | 20 Aprile 2016 ore 06:17
Roma. Il presidente del Pontificio consiglio Giustizia e pace, il cardinale Peter Turkson, porterà formalmente al Papa la richiesta di “non citare né insegnare più” la teoria della guerra giusta. E’ questo il risultato emerso dalla conferenza sulla non violenza organizzata da Pax Christi international che si è tenuta in Vaticano, con il sostegno dell’organismo guidato da Turkson. Nella dichiarazione finale del convegno, infatti, si legge che “ogni guerra rappresenta una distruzione e non c’è giustizia nella distruzione di vite e beni”. I partecipanti all’evento – tra cui ottanta teologi – hanno convenuto che con i moderni metodi bellici parlare di guerra giusta è impossibile e chiedono al Pontefice di promulgare al più presto un’enciclica sulla pace e la non violenza: “La parola di Dio e la testimonianza di Gesù non dovrebbero mai essere usate per giustificare la violenza, l’ingiustizia o la guerra. Riteniamo che il popolo di Dio abbia tradito questo messaggio centrale del Vangelo molte volte, partecipando in guerre, persecuzioni, oppressioni, sfruttamento e discriminazione”.
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Vocazioni, il calo arriva anche nel Sud del mondo
I dati dell’Annuarium Statisticum: dopo il massimo storico toccato nel 2011 i seminaristi stanno diminuendo anche a livello globale. Dopo anni di forte crescita frena l’Asia, ma il calo si vede soprattutto in Sudamerica
di Giorgio Bernardelli
La diminuzione delle vocazioni al sacerdozio? Non è più solo un fenomeno dell’Occidente: anche nelle diocesi del Sud del mondo i seminari iniziano a essere un po’ meno pieni rispetto a qualche anno fa. Nella domenica in cui la Chiesa cattolica celebra la Giornata mondiale delle vocazioni, con le ordinazioni sacerdotali presiedute dal Papa in San Pietro, uno sguardo ad alcuni dati recentemente diffusi dalla Santa Sede mostra in maniera chiara un’inversione di tendenza in atto ormai anche a livello globale.
Da anni ormai l’Europa vive un calo sensibile nelle vocazioni al sacerdozio, che in tante diocesi ha portato alla diminuzione del numero delle parrocchie e a un’età media sempre più avanzata del clero.
A livello globale, però, questo fenomeno veniva bilanciato da una crescita significativa delle nuove ordinazioni nelle diocesi del Sud del mondo. E questo faceva sì che il dato totale dei sacerdoti nel mondo fosse comunque in crescita. Con la conseguenza indiretta che, oggi, vi sono anche preti nati in Africa o in Asia che prestano il proprio ministero in parrocchie europee, in una sorta di «ricambio» del dono dei missionari fatto un tempo dalle Chiese di antica tradizione cristiana.
Da qualche anno, però, il trend sta cambiando e anche in maniera relativamente rapida. A rivelarlo è l’Annuarium Statisticum, il libro che raccoglie le statistiche ufficiali della Chiesa cattolica nel mondo, la cui ultima edizione aggiornata al 31 dicembre 2014 è stata pubblicata all’inizio di marzo.
Dall’analisi dei dati emerge, infatti, che se il numero dei cattolici globalmente rimane in crescita, quello dei preti si è stabilizzato intorno alle 415.000 unità. E se si va a guardare anche i dati sui seminaristi nel mondo ci si accorge che - dopo un massimo storico raggiunto nel 2011 - il numero complessivo dei candidati al sacerdozio sta cominciando a scendere.
Entrando nel dettaglio: gli studenti di filosofia e teologia nei seminari erano 117.978 nel 2009 e sono saliti fino a quota 120.616 nel 2011; poi, però, è cominciato un calo lieve ma costante, che li ha portati a scendere a quota 116.939 nel 2014. E quando dal dato generale si passa a quello per continenti, alcune dinamiche emergono in maniera abbastanza chiara.
L’unico continente nel quale i seminaristi continuano ad aumentare è l’Africa: erano 26.172 nel 2009, sono diventati 28.528 nel 2014. Crescita importante, vicina al 10%, ma comunque inferiore al tasso di crescita dei battezzati: infatti anche in Africa il tasso vocazionale - cioè il numero di seminaristi in rapporto alla popolazione cattolica - pur restando altissimo rispetto all’Europa, è sceso tra il 2009 e il 2014 da 43,51 a 38,12 preti ogni 100.000 persone. In pratica la crescita dei seminaristi africani appare oggi più legata alle dinamiche demografiche generali del continente che alla continuazione della primavera vocazionale.
Discorso analogo per l’Asia, con la sola differenza che qui anche il dato assoluto ha cominciato a scendere: dopo il picco di 35.476 unità fatto registrare nel 2012, in due anni i seminaristi asiatici sono scesi a quota 34.469 (anche se va detto che - pur in discesa - il tasso vocazionale dell’Asia resta il più alto al mondo: 42,99 seminaristi ogni 100.000 battezzati).
Se per Africa e Asia si tratta comunque di frenate dopo crescite impetuose, c’è invece una regione dell’America dove il calo dei seminaristi è oggi molto evidente. E - contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare - non sta nell’emisfero Nord. Se infatti in Stati Uniti, Canada e Messico il dato sulle vocazioni sacerdotali oggi è abbastanza stabile, è in Sudamerica che la crisi si fa sentire: in Brasile, Colombia, Argentina e nei Paesi vicini oggi i seminaristi sono quasi il 17 per cento in meno rispetto a soli dieci anni fa.
E se si restringe lo sguardo ai soli ultimi cinque anni ci si accorge che la diminuzione percentuale in Sudamerica è stata più forte che in Europa.
Al punto che anche il tasso vocazionale oggi è significativamente più basso: 7,73 seminaristi per 100.000 battezzati contro i 9,99 dell’Europa.
L’unico posto al mondo dove i seminaristi sono diminuiti ancora di più è il Medio Oriente, dove però il calo delle vocazioni è stato un fenomeno del tutto particolare, legato alle guerre e persecuzioni che negli ultimi anni hanno portato alla chiusura di molti seminari.
In sintesi: se questa tendenza dovesse continuare, per i cattolici in Africa, in Asia e in America Latina si prepara un futuro con più fedeli ma meno preti. Un dato che non potrebbe non andare a incidere profondamente sul volto complessivo della Chiesa del XXI secolo.
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Tessuto cardiaco in un'ostia. Il vescovo di Legnica, in Polonia, riconosce il miracolo
di Greg Kandra, da Aleteia
Sì, a volte una presunta “ostia che sanguina” dopo gli esami dovuti non si rivela altro che muffa rossa del pane.
A volte, però, mettendo un’“ostia sanguinante” sotto il microscopio e sottoponendola a varie prove si scopre che si tratta di tessuto cardiaco umano.
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Ancora sull'incredibile nota 329 della "Amoris lætitia".
Una lettera, un racconto
di Sandro Magister
Ricevo e pubblico questa breve e-mail:
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Gentile Magister,
l'esortazione apostolica "Amoris lætitia" ci ha letteralmente mandati in confusione... Io e mia moglie pensiamo infatti di rientrare in quella categoria dei "figli obbedienti" che ora non sanno più cosa pensare.
Ci permettiamo solo di allegarle un "racconto" per chiarire il nostro pensiero. Grazie per la sua attenzione.
[Lettera firmata]
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Questa e-mail riflette sicuramente l'amarezza d'un buon numero di altri "figli obbedienti", a seguito della pubblicazione della "Amoris lætitia".
La formula "figli obbedienti" era nel titolo di un post di pochi giorni fa e si riferiva a quei divorziati risposati che, dopo avere per anni obbedito alla Chiesa e riconosciuta la sapienza del suo magistero, si sono sentiti non confortati dall'esortazione, ma umiliati e derisi.
In effetti – come Settimo Cielo aveva subito fatto notare – nella nota 329 della "Amoris lætitia" papa Francesco rivolge ai divorziati risposati che hanno scelto di convivere non più da adulteri ma "come fratello e sorella", e quindi con la possibilità di fare la comunione, un esplicito rimprovero: quello di recare un possibile danno alla nuova famiglia, poiché – parole letterali – "se mancano alcune espressioni di intimità, 'non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli'".
Questo con tanto di citazione – in realtà ritagliata da tutt'altro contesto – della costituzione conciliare "Gaudium et spes". E, peggio, col sottinteso che fanno meglio gli altri a condurre una piena vita da coniugi anche in seconde nozze civili, magari facendo anche la comunione.
Dopo una simile doccia gelata non stupisce, quindi, lo smarrimento di tanti "figli obbedienti" e soprattutto dei più obbedienti tra loro. Perché al figlio maggiore della parabola del figliol prodigo il padre certo non riservò un trattamento così sprezzante. Anzi, fece tutto l'opposto.
Una storia emblematica del loro caso è appunto quella allegata alla e-mail.
Eccola. I nomi sono di fantasia.
(segue)
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Follie da utero in affitto. Pipah resterà con il padre acquirente (già condannato per abusi)
Aprile 15, 2016 Leone Grotti
Ricordate Gammy, il bimbo thailandese abbandonato perché Down? Il giudice ha lasciato agli acquirenti la gemella, che non potrà rimanere da sola con il padre per timore di molestie sessuali
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Tutti a Roma, domenica 8 maggio 2016
Gli attacchi alla vita umana innocente sono sempre più numerosi e nuovi strumenti di morte minacciano la sopravvivenza stessa del genere umano: Ru486, Ellaone, pillola del giorno dopo ecc.
Da oltre trent’anni una legge dello Stato (la 194/1978) regolamenta l’uccisione deliberata dell’innocente nel grembo materno e i morti si contano a milioni.
La ?Marcia per la Vita è il segno dell’esistenza di un popolo che non si arrende e vuole far prevalere i diritti di chi non ha voce sulla logica dell’utilitarismo e dell’individualismo esasperato, sulla legge del più forte.
Con la Marcia per la Vita intendiamo:
affermare la sacralità della vita umana e perciò la sua assoluta intangibilità dal concepimento alla morte naturale, senza alcuna eccezione, alcuna condizione, alcun compromesso;
combattere contro qualsiasi atto volto a sopprimere la vita umana innocente o ledere la sua dignità incondizionata e inalienabile.
Per questo:
chiamiamo a raccolta tutti gli uomini di buona volontà per difendere il diritto alla vita come primo dei principi non negoziabili, iscritti nel cuore e nella ragione di ogni essere umano e -per i cattolici – derivanti anche dalla comune fede in Dio Creatore;
esortiamo ogni difensore della vita a reagire, sul piano politico e culturale, contro ogni normativa contraria alla legge naturale, e contro ogni manipolazione mediatica e culturale che la sostenga. E qualora ci si trovi nella impossibilità politica di abolire tali leggi per mancanza di un consenso popolare sufficiente, ci si impegna a denunciarne pubblicamente l’intrinseca iniquità, che le rende non vincolanti per le coscienze dei singoli.
La sesta edizione della marcia sarà a Roma, centro della cristianità e del potere politico. Le strade della capitale sono state attraversate, anche recentemente, da numerosi cortei indecorosi e blasfemi; il nostro corteo vuole invece affermare il valore universale del diritto alla vita e il primato del bene comune sul male e sull’egoismo.
L’iniziativa sarà una “marcia” e non una processione religiosa e come tale aperta anche ai pro life non credenti e a tutti i gruppi che potranno partecipare con i loro simboli ad esclusione di quelli politici.
Abbiamo però bisogno dell’aiuto di tutti!
Con la preghiera, che smuove le montagne (1 Cor. 13,2) e vince ogni difficoltà
Con la costituzione, in ogni città italiana, di centri locali che ci aiutino sul piano organizzativo (fotocopiando e diffondendo materiale, organizzando pullman per venire a Roma, preparando striscioni, bandiere, cartelli…)
Con il sostegno economico che può moltiplicare le nostre possibilità.
Per qualsiasi informazione:
[www.marciaperlavita.it]
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Le statistiche sono di difficile lettura, alcuni rappresentano un crollo europeo inarrestabile:
[vaticantabloid.blogspot.it]
Ad esempio, lo scorso anno, in tutta la Scozia, un solo nuovo sacerdote:
[www.lafedequotidiana.it]
E' invece certo che in Italia, a Bologna, nel 2015 zero nuovi sacerdoti:
[corrieredibologna.corriere.it]
Monsignor Camisasca, vescovo di Reggio Emilia individua le cause in modo acuto qui:
[www.sancarlo.org] . Ne tentiamo una “traduzione” in linguaggio corrente e meno diplomatico.
1. "Le ragioni del crollo delle vocazioni sono molte. Certamente non dobbiamo pensare che Dio chiami meno di un tempo. Dio chiama sempre, siamo noi che non lo ascoltiamo".
Se noi non ascoltiamo Dio, forse è perché non siamo più educati a farlo: ogni forma di spiritualità radicale è totalmente assente dalla vita della Chiesa d'oggi.
Infatti, negli Istituti di vita consacrata che si rifanno agli Esercizi Spirituali ignaziani, al Santo Rosario, alla schiavitù mariana e alle forme tradizionali di vita interiore, le vocazioni abbondano.
2. "Oggi ci sono meno giovani, ci sono più famiglie con un solo figlio, e questo fatto determina spesso uno sguardo molto possessivo da parte dei genitori".
Aprendo la porta ai divorziati, tollerando rapporti prematrimoniali, vergognandosi di predicare la castità, è ovvio che ci siano meno giovani.
3. "Viviamo poi in un contesto sociale in cui l’esperienza sacerdotale non è più apprezzata come un tempo".
Il sacerdote di oggi, molto spesso non eccelle in nessuna virtù cardinale o teologale rispetto ai fedeli.
Nei seminari si insegnano eresie di ogni specie.
E' generalmente ignorante (non solo di teologia), ovvero istruito dalla televisione.
Molto spesso, chiede di entrare in seminario chi non riesce negli studi o nella vita. Il guaio è che, purtroppo, tutti vengono accolti.
Sembra che la Chiesa faccia di tutto perché il sacerdote non sia apprezzato ma divenga, invece, l' “animatore pastorale” di una nuova religione basta sull'umanitarismo e il buonismo.
4. "Anche la vita del sacerdote è meno affascinante perché assediata da molti compiti e molti problemi".
La Santa Messa da decenni non è più la causa e il fine della vita sacerdotale.
Non si parla più nemmeno di Sacrificio Eucaristico.
Rileggendo la Redemptionis Sacramentum
[www.vatican.va] tutti possiamo vedere come qualche abuso liturgico sia presente ovunque.
Se i Sacramenti vengono trattati come carta igienica il sacerdote è inutile.
5. "Se vogliamo spezzare la catena di questa diminuzione delle vocazioni, dobbiamo mostrare vite sacerdotali affascinanti".
Gli esempi che il seminarista di oggi ha davanti a sé sono demoralizzanti: si fa di tutto per andare d'accordo con tutti, nulla per affermare che fuori dalla Chiesa non c'è salvezza.
I Vescovi del Piemonte hanno avuto addirittura da ridire sul Family Day.
Per trovare vite di Santi “vere”, non politicamente corrette né edulcorate, occorre andare nelle libreria antiquarie.
Gesù Cristo, Nostro Signore e Redentore, Ti supplichiamo che per il trionfo della Tua Santa Causa contro i suoi nemici e falsi amici, Tu voglia raggruppare i suoi fedeli, combattenti la buona battaglia, dispersi per il mondo, affinché si conoscano e si accordino nell’animo e nell’opera. Degnati fornire loro i mezzi materiali e morali, necessari ed opportuni a tale scopo. Ti preghiamo altresì che, secondo la Tua divina promessa, Tu sia sempre in mezzo a loro, benedicendoli in vita e in morte. E così sia.
Totustuus.it
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FAMILY DAY: la fuorviante dichiarazione dei vescovi del Piemonte
(di Tommaso Scandroglio)
Dopo il placet del Cardinal Bagnasco al Family Day del prossimo 30 gennaio, molti vescovi hanno preso coraggio ed hanno benedetto tale iniziativa nata dalla base laicale. Ad esprimere appoggio è scesa in campo anche la Conferenza episcopale piemontese con un suo comunicato.
In esso c’è un passaggio assai critico. «Ribadiamo che tutte le unioni di coppie – si legge nel comunicato – comprese quelle omosessuali, non possono essere equiparate al matrimonio e alla famiglia. Tenuto fermo questo principio, anche le unioni omosessuali, come tutte le unioni affettive di fatto, richiedono una regolamentazione chiara di diritti e di doveri, espressa con saggezza». In breve: “matrimonio” gay no, ma unioni civili omosessuali sì. Peccato che il Magistero sia di avviso opposto in merito alla regolamentazione delle unioni omosessuali.
Il documento del 2003, Considerazione circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, emanato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e approvato esplicitamente da Giovanni Paolo II infatti vieta che lo Stato possa legittimare qualsiasi convivenza omossessuale, conferendo ad essa forma legale e quindi elevandola ad istituto giuridico.
Il documento – concepito ad indirizzo di vescovi e politici cattolici – indica innanzitutto quali potrebbero essere gli atteggiamenti doverosi di costoro verso uno Stato che – attenzione – meramente tollera l’esistenza della convivenza omosessuale, ma non arriva a legittimarla: «smascherare l’uso strumentale o ideologico che si può fare di questa tolleranza; affermare chiaramente il carattere immorale di questo tipo di unione; richiamare lo Stato alla necessità di contenere il fenomeno entro limiti che non mettano in pericolo il tessuto della moralità pubblica e, soprattutto, che non espongano le giovani generazioni ad una concezione erronea della sessualità e del matrimonio, che le priverebbe delle necessarie difese e contribuirebbe, inoltre, al dilagare del fenomeno stesso» (5).
Quando invece siamo di fronte ad uno Stato che dalla pura tolleranza passa al riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali «è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva». Altro che auspicare come fanno i vescovi piemontesi «una regolamentazione chiara di diritti e doveri».
Il male non ha diritti, ma ha l’unico dovere di trasformarsi in bene. E dunque il dovere primo dei conviventi omosessuali è quello di sciogliere questo iniquo legame. Poi il documento spiega i motivi per cui è doveroso opporsi ad ogni forma di riconoscimento di unioni omosessuali: «le legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali sono contrarie alla retta ragione perché conferiscono garanzie giuridiche, analoghe a quelle dell’istituzione matrimoniale, all’unione tra due persone dello stesso sesso».
Riconoscerle «finirebbe per comportare modificazioni dell’intera organizzazione sociale che risulterebbero contrarie al bene comune» (6). Inoltre «esse non sono in condizione di assicurare adeguatamente la procreazione e la sopravvivenza della specie umana», né hanno in sé la caratteristica dell’amore complementare coniugale (7). Oltre a ciò «l’assenza della bipolarità sessuale crea ostacoli allo sviluppo normale dei bambini eventualmente inseriti all’interno di queste unioni» (7). E dunque «tali unioni sono nocive per il retto sviluppo della società umana, soprattutto se aumentasse la loro incidenza effettiva sul tessuto sociale» (8). Da ciò consegue che «le unioni omosessuali (…) non esigono una specifica attenzione da parte dell’ordinamento giuridico, perché non rivestono il suddetto ruolo per il bene comune» (9) e perciò «tutti i fedeli sono tenuti ad opporsi al riconoscimento legale delle unioni omosessuali» (109).
Da qui la conclusione del documento: «la Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali. (…) Riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità» (11). Quindi la nota della Conferenza episcopale piemontese è assolutamente in contrasto con le indicazioni dottrinali del Magistero.
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Interris
IL MONDO ALLA ROVESCIA
di don Aldo Buonaiuto -
Apr 12, 2016
Ormai ne sentiamo di tutti i colori. Strasburgo ha solennemente rimproverato all’Italia di essere discriminante verso quei medici che praticano l’aborto; ora sono diventati loro i poverelli che mentre sopprimono la vita altrui piangono per tutelare il diritto di poterlo fare meglio. L’Europa è veramente così attenta e scrupolosa verso l’Italia nell’assicurare lo sterminio delle piccole creature rannicchiate nel grembo delle mamme, e invece di promuovere la crescita demografica del vecchio Paese lo bacchetta perché non rende più fluidi gli aborti.
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L’Esortazione post-sinodale Amoris laetitia: prime riflessioni su un documento catastrofico
di Roberto de Mattei
Con l’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, pubblicata l’8 aprile, Papa Francesco si è ufficialmente pronunciato sui problemi di morale coniugale di cui si discute da due anni.
Nel Concistoro del 20-21 febbraio 2014 Francesco aveva affidato al cardinale Kasper il compito di introdurre il dibattito su questo tema. La tesi del card. Kasper, secondo cui la Chiesa deve cambiare la sua prassi matrimoniale, ha costituito il leit motiv dei due Sinodi sulla famiglia del 2014 e del 2015 e costituisce oggi il cardine dell’esortazione di Papa Francesco.
Nel corso di questi due anni, illustri cardinali, vescovi, teologi e filosofi sono intervenuti nel dibattito per dimostrare che tra la dottrina e la prassi della Chiesa deve esistere un’intima coerenza. La pastorale infatti si fonda sulla dottrina dogmatica e morale. «Non vi può essere pastorale che sia in disarmonia con le verità della Chiesa e con la sua morale, e in contrasto con le sue leggi, e non sia orientata al raggiungimento dell’ideale della vita cristiana!» ha rilevato il cardinale Velasio De Paolis, nella sua Prolusione al Tribunale Ecclesiastico Umbro del 27 marzo 2014. L’idea di staccare il Magistero da una prassi pastorale, che potrebbe evolvere secondo le circostanze, le mode e le passioni, secondo il cardinale Sarah, «è una forma di eresia, una pericolosa patologia schizofrenica» (La Stampa, 24 febbraio 2015).
Nelle settimane che hanno preceduto l’Esortazione post-sinodale, si sono moltiplicati gli interventi pubblici e privati di cardinali e vescovi presso il Papa, al fine di scongiurare la promulgazione di un documento zeppo di errori, rilevati dai numerosissimi emendamenti che la Congregazione per la Dottrina dalla Fede ha fatto alla bozza. Francesco non è arretrato, ma sembra aver affidato l’ultima riscrittura dell’Esortazione, o almeno di alcuni suoi passaggi chiave, alle mani di teologi di sua fiducia, che hanno tentato di reinterpretare san Tommaso alla luce della dialettica hegeliana. Ne è uscito un testo che non è ambiguo, ma chiaro, nella sua indeterminatezza. La teologia della prassi esclude infatti ogni affermazione dottrinale, lasciando che sia la storia a tracciare la linee di condotta degli atti umani. Per questo, come afferma Francesco, «è comprensibile» che, sul tema cruciale dei divorziati risposati, «(…) non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi» (§300). Se si è convinti che i cristiani, nel loro comportamento, non devono conformarsi a princìpi assoluti, ma porsi in ascolto dei «segni dei tempi», sarebbe contradditorio formulare regole di qualsiasi genere.
Tutti aspettavano la risposta a una domanda di fondo: coloro che, dopo un primo matrimonio, si risposano civilmente, possono accostarsi al sacramento dell’Eucarestia? A questa domanda la Chiesa ha sempre risposto categoricamente di no. I divorziati risposati non possono ricevere la comunione perché la loro condizione di vita contraddice oggettivamente la verità naturale e cristiana sul matrimonio significata e attuata dall’Eucaristia (Familiaris Consortio, § 84).
La risposta dell’Esortazione postsinodale è invece: in linea generale no, ma «in certi casi» sì (§305, nota 351). I divorziati risposati infatti devono essere «integrati» e non esclusi (§299). La loro integrazione «può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate» (§ 299), senza escludere la disciplina sacramentale (§ 336).
Il dato di fatto è questo: la proibizione di accostarsi alla comunione per i divorziati risposati non è più assoluta. Il Papa non autorizza, come regola generale, la comunione ai divorziati, ma neanche la proibisce. «Qui – aveva sottolineato il card. Caffarra contro Kasper – si tocca la dottrina. Inevitabilmente. Si può anche dire che non lo si fa, ma lo si fa. Non solo. Si introduce una consuetudine che a lungo andare determina questa idea nel popolo non solo cristiano: non esiste nessun matrimonio assolutamente indissolubile. E questo è certamente contro la volontà del Signore. Non c’è dubbio alcuno su questo» (Intervista a Il Foglio, 15 marzo 2014).
Per la teologia della prassi non contano le regole, ma i casi concreti. E ciò che non è possibile in astratto, è possibile in concreto. Ma, come bene ha osservato il cardinale Burke: «Se la Chiesa permettesse la ricezione dei sacramenti (anche in un solo caso) a una persona che si trova in un’unione irregolare, significherebbe che o il matrimonio non è indissolubile e così la persona non sta vivendo in uno stato di adulterio, o che la santa comunione non è comunione nel corpo e sangue di Cristo, che invece necessita la retta disposizione della persona, cioè il pentimento di grave peccato e la ferma risoluzione di non peccare più» (Intervista ad Alessandro Gnocchi su Il Foglio, 14 ottobre 2014).
Inoltre l’eccezione è destinata a diventare una regola, perché il criterio dell’accesso alla comunione è lasciato in Amoris laetitia, al “discernimento personale” dei singoli. Il discernimento avviene attraverso «il colloquio col sacerdote, in foro interno» (§300), “caso per caso”. Ma quali saranno i pastori di anime che oseranno vietare l’accesso all’Eucarestia, se «il Vangelo stesso ci richiede di non giudicare e di non condannare» (§308) e se bisogna «integrare tutti» (§297), e «valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio» (§292)? I pastori che volessero richiamare i comandamenti della Chiesa, rischierebbero di comportarsi, secondo l’Esortazione, «come controllori della grazia e non come facilitatori» (§310). «Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa “per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”» (§305).
Questo inedito linguaggio, più duro della durezza di cuore che rimprovera ai “controllori della grazia”, è il tratto distintivo dell’Amoris laetitia che, non a caso, nella conferenza stampa dell’8 aprile, il cardinale Schönborn ha definito «un evento linguistico». «La mia grande gioia per questo documento», ha detto il cardinale di Vienna, sta nel fatto che esso «coerentemente supera l’artificiosa, esteriore, netta divisione fra regolare e irregolare». Il linguaggio, come sempre, esprime un contenuto. Le situazioni che l’Esortazione post-sinodale definisce «cosiddette irregolari» sono quelle dell’adulterio pubblico e delle convivenze extramatrimoniali. Per la Amoris laetitia esse realizzano l’ideale del matrimonio cristiano, sia pure «in modo parziale e analogo» (§292). «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (§305), «in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti» (nota 351).
[segue]
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Alzheimer spirituale alla Don Abbondio
di Giorgio Nadali
La Chiesa è malata di Alzheimer spirituale. Ipse dixit. Sono parole di papa Bergoglio.
La malattia della faccia funerea riguarda le persone «burbere e arcigne, le quali ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di severità e trattare gli altri – soprattutto quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza e arroganza». Secondo papa Francesco «la severità teatrale e il pessimismo sterile sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé. L’apostolo deve sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia…».
Accade anche che per difendere il valore della vita umana dal concepimento, gli insegnanti di religione vengano attaccati dal “fuoco amico” della propria Curia che dovrebbe piuttosto difenderne lo sforzo quotidiano in prima linea in un ambiente potenzialmente ostile e ad alta percentuale laicista.
Il docente di religione è infatti – soprattutto nei grandi centri urbani, in primo luogo nel Nord Italia – come un simbolo dell’ingerenza della Chiesa Cattolica nella laicità dello Stato.
Lo è almeno per quel settantacinque percento di docenti di estrazione ideologica e politica laicista che operano nella scuola italiana.
La Curia malata di Alzheimer spirituale preferisce sacrificare un docente piuttosto che esporsi nella sua difesa, entrando in rotta di collisione con il mondo.
È la scelta del Don Abbondio di manzoniana memoria.
L’insegnante di religione parla – o almeno, parlava – di bioetica, di difesa della vita umana. Parlava, perché dallo scorso novembre i venticinquemila insegnanti di religione si guarderanno bene dall’esporsi nel trattare una tematica così delicata e che facilmente fa vibrare le corde dell’orgoglio laicista, insieme alla questione del gender.
Una questione che fa perdere il posto di lavoro per volontà della Curia.
“La verità non va taciuta ne detta a metà ne ammorbidita”, tuonava con voce stentorea San Giovanni Paolo II.
“Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto di Gesù Cristo, ha il volto del Signore”, ricorda papa Francesco.
Accade dunque che in ottobre l’insegnante di religione, verso il termine della lezione di bioetica chieda ai suoi nove alunni sedicenni, di cui quattro ragazze, se vogliano rendersi conto perché la chiesa ritenga l’interruzione volontaria di gravidanza un abominevole delitto.
La legge 194 prevede che quando la donna è minorenne (art. 12), per interrompere la gravidanza nei primi 90 giorni sia necessario il consenso di entrambi i genitori o di chi esercita la tutela. Tuttavia, quando per vari motivi ciò non sia possibile, il giudice tutelare può dare il consenso all’interruzione della gravidanza.
Inoltre in Italia l’età del consenso per disporre validamente della propria libertà sessuale è fissata a 14 anni.
Ottenuto dunque il consenso entusiasta dei suoi alunni, il docente mostra con un piccolo lettore dvd posto su un banco, il vecchio video “L’urlo silenzioso” (1984) del medico americano Bernard Nathanson – ex abortista convinto – che mostra la realtà di un aborto eseguito con il metodo Karman in ecografia, quello più usato (64%) tuttora in Italia, secondo i dati del Ministero della Salute.
L’articolo 33 della Costituzione Italiana ricorda che «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento». Da questo principio deriva la libertà didattica di chi insegna. Le finalità e gli obiettivi dell’azione educativa dei docenti sono sì stabiliti normativamente: nelle leggi statali e regionali, nei programmi, nelle circolari e regolamenti applicativi, scendendo sempre più in dettaglio fino ai documenti programmatici del singolo Istituto scolastico.
Ma questa quantità di disposizioni e indicazioni, proprio per l’art. 33, non può imporre ai docenti l’adozione di un preciso metodo d’insegnamento. Il “come”, cioè con quale metodologia specifica realizzare gli obiettivi dell’insegnamento stabiliti dalle norme, è lasciato alla libertà dei docenti: vale a dire alla loro ricerca didattica, alla loro scelta consapevole e quindi alla loro responsabilità personale, comprendenti anche l’utilizzo di foto e riprese filmiche rientranti nell’ambito sopra specificato dalla Direttiva n.104 del 30 novembre 2007 del Ministro della Pubblica Istruzione.
Un video non particolarmente impressionante per adolescenti abituati a vedere ben di peggio. I genitori con l’adesione all’ora di religione automaticamente autorizzano il docente ad adottare i mezzi per che ritiene più opportuni per la sua didattica.
Il video era usato da molti docenti di religione e ora non verrà mai più usato da nessuno per paura.
Tuttavia i genitori di quei nove alunni – su un totale di novanta alunni soddisfatti del suo insegnamento – senza neppure consultare il docente “incriminato” scrivono subito alla Curia e al Preside e ottengono un immediato procedimento di revoca dell’idoneità all’insegnamento della religione cattolica al docente, dopo ventisei anni di servizio (e dieci libri pubblicati). La motivazione sarà poi quella di carenza di abilità didattica e pedagogica.
Una vittoria totale del fronte laicista col plauso della Curia, disposta piuttosto a far dubitare delle sue qualità intellettuali, dato che si “accorge” della carenza dopo ventisei anni, per giunta legandola solo a singoli episodi di intolleranza laicista, senza aver verificato tecnicamente la capacità di insegnamento.
Qualcuno ha voluto dare un segnale, tanto è vero che è stata apposta avvisata la stampa e in primis il laicissimo quotidiano “Repubblica”. Il risultato è prevedibile.
Un docente sacrificato e venticinquemila “ammoniti” a non permettersi di trattare ancora del tema del “sacro laico” aborto.
Come è possibile?
È ancora lo stesso Pontefice a rispondere indirettamente – parlando delle Curie. Negli stessi giorni un cui si consumava la vicenda scriveva della loro «schizofrenia esistenziale» definita come «la malattia di coloro che vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare. Una malattia che colpisce spesso coloro che, abbandonando il sevizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone concrete».
Una giustizia a doppio senso.
La stessa Curia era stata coinvolta due settimane prima nello “scandalo” di aver inviato una lettera riservata a tutti i seimila docenti di religione della diocesi, chiedendo si segnalare iniziative pro gender nelle scuole.
Anche qui la cosa finì sui giornali e l’iniziativa fu subito ritirata con le scuse pubbliche dello stesso Arcivescovo, quello della più grande diocesi del mondo.
Quando invece fu uno dei suoi docenti ad essere attaccato, la reazione è stata ben diversa. Forte con i deboli e debole con i forti.
Ancora Alzheimer spirituale?
Sì, secondo Bergoglio. «Una Curia che non fa autocritica… che non cerca di migliorarsi è un corpo infermo».
In sostanza il male è quello di una Chiesa che si piega al mondo per paura o convenienza e perde così la sua funzione profetica, avendo terrore dell’ultima beatitudine: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia” (Mt 5,11).
Il primo papa disse: “se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate” (1 Pt 3,14).
Quello attuale lamenta l’«impietrimento» mentale e spirituale.
Riguarda quelli che «perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di pratiche” e non uomini di Dio».
La Curia vuole vivere tranquilla.
Non importa il motivo delle lamentele.
La notizia della Curia Don Abbondio ha fatto il giro del mondo, ma d’altra parte “il coraggio uno non se lo può dare”.
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La fecondità della Chiesa stà nella sua stabilità millenaria
(di Cristina Siccardi)
La vita viene dalla fecondità, il nulla dalla sterilità. Il nostro tempo è caratterizzato da una diffusa sterilità voluta (aborti, contraccezioni) e involuta (problemi legati allo stile di vita: matrimoni tardivi, stress, vita da single…) ed ecco che l’Europa è vecchia.
Anche la Chiesa è vecchia, lo ha affermato, con angoscia, Papa Francesco all’incontro con i partecipanti al Giubileo della Vita consacrata lo scorso lunedì 1° febbraio, nell’Aula Paolo VI: «(…) vi confesso che a me costa tanto quando vedo il calo delle vocazioni, quando ricevo i vescovi e domando loro: “Quanti seminaristi avete?” – “4, 5…”. Quando voi, nelle vostre comunità religiose – maschili o femminili – avete un novizio, una novizia, due… e la comunità invecchia, invecchia…. Quando ci sono monasteri, grandi monasteri, e il Cardinale Amigo Vallejo (si rivolge a lui) può raccontarci, in Spagna, quanti ce ne sono, che sono portati avanti da 4 o 5 suore vecchiette, fino alla fine… E a me questo fa venire una tentazione che va contro la speranza: “Ma, Signore, cosa succede? Perché il ventre della vita consacrata diventa tanto sterile?”».
Domanda legittima, domanda doverosa, domanda alla quale il Santo Padre non ha però dato una risposta, si è limitato ad invitare le comunità religiose a pregare affinché la fecondità torni nelle congregazioni e negli ordini religiosi. Ma la Madre Chiesa è infeconda perché è molto malata. E una madre assai malata non può mai generare figli. Nella storia le maggiori chiamate vocazionali sono giunte quando ci sono stati Pontefici che hanno riformato la Chiesa nel solco della Tradizione, quando hanno rivolto lo sguardo severo agli errori e li hanno, come un buon padre di famiglia, evidenziati, definiti, invitando i fedeli a starne ben lontani per non essere a loro volta contaminati.
Oggi questo non sta avvenendo e le conseguenze delle piaghe/rughe degli errori ecclesiali ricadono, inevitabilmente, sulla Chiesa stessa, con una sua tragica senilità. «Ma, Signore, cosa succede? Perché il ventre della vita consacrata diventa tanto sterile?»: adattandosi al mondo e adagiandosi sul mondo, la Chiesa perde la sua vitalità rigenerante, il suo essere principio di virgulto. «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15, 5-11).
I germogli primaverili della Fede sono alimentati da una Chiesa che ha in sé la linfa dei principi e valori eterni, sempre uguali a se stessi; se la linfa viene mutata con surrogati proposti dal mondo la Chiesa perde la sua forza attrattiva: il profumo del sacro rapisce le anime; l’odore e l’olezzo del mondo allontana l’anima assetata di vita spirituale. Le chiamate non mancano fra i giovani perché Dio non si stanca mai di espirare il suo richiamo d’amore, ma sono le risposte che sono insoddisfacenti e il giovane chiamato rinuncia, perché non trova la fonte in grado di appagare la sua arsura. Per trovare il mondo nella Chiesa, tanto vale appartenere al mondo.
La forza di attrazione della Chiesa non sta nella sua umiliante piegatura alle direttive ideologiche e culturali del momento, ma nella sua stabilità millenaria di proposta della Verità: «Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17, 15-19). Questo è ciò che cerca il giovane: dare un senso alla propria vita e darlo nella Verità.
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ABUSI NELLA LITURGIA: PASSATO IL LIMITE DEL SOPPORTABILE – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 7 aprile 2016
Presentato a Roma nel tardo pomeriggio, presente l’autore, il saggio-manuale di don Nicola Bux “Con i sacramenti non si scherza”. Gli interventi sobri e pungenti dei cardinali Sarah e Burke e dell’economista cattolico Ettore Gotti Tedeschi. Presentazione affollata, con un ‘parterre’ di rilievo anche rossoporpora
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Santità, ecco cosa realmente fa, oggi, Emma Bonino
(di Mauro Faverzani)
Hanno suscitato una ridda di reazioni – e non solo negli ambienti ritenuti “conservatori” – gli elogi riservati da papa Francesco a Giorgio Napolitano e ad Emma Bonino, dal Pontefice collocati addirittura «tra i grandi dell’Italia di oggi», secondo quanto precisato dal Corriere della Sera dell’8 febbraio, ovviamente ripreso da moltissimi altri media. Era prevedibile che questo passaggio non passasse inosservato.
Il passato di questi personaggi parla, anzi urla, come è stato fatto subito notare da molti osservatori.
L’ex-Capo dello Stato, ingessato nel proprio ruolo istituzionale, ha dovuto mantenere un atteggiamento più defilato dalla politica attiva, pur con qualche acuto e con qualche stonatura di troppo (suo il veto al decreto, che avrebbe salvato Eluana Englaro, decreto che egli non volle firmare).
Emma Bonino, no. Di lei c’è chi ha ricordato i 10.141 aborti praticati in gioventù, negli Anni Settanta, servendosi di una pompa per le biciclette, clandestinamente e fuorilegge: roba da macelleria. Ed è vero.
Ma va fatto notare come ancora oggi Emma Bonino non sia affatto cambiata; ancora oggi imperversa anzi sulla scena, per ribadire i vecchi cavalli di battaglia, quelli di sempre. Come lo spot pro-eutanasia diffuso lo scorso dicembre (meno di due mesi fa), sotto forma di saluto ad una “compagna” radicale, Dominique Velati, andata in Svizzera per sottoporsi al cosiddetto “suicidio assistito”, complici i Radicali, non a caso autodenunciatisi per averla aiutata a morire.
Certo, secondo quanto riportato dal Corriere, papa Francesco avrebbe anche spiegato e circoscritto le ragioni del suo elogio a Emma Bonino, ritenendo che abbia offerto «il miglior servizio all’Italia per conoscere l’Africa». Ed a chi gli ha fatto notare come sia agli antipodi della Chiesa, avrebbe ribattuto: «Vero, ma pazienza. Bisogna guardare alle persone, a quello che fanno». Ed allora guardiamo a quello che fa Emma Bonino.
È di pochi giorni fa la sua presa di posizione pubblica a favore delle unioni civili («È l’ora di essere civili», ha sentenziato, auspicando che il ddl resti così com’è, adozioni gay comprese), e poi ancora a favore della maternità “surrogata” e della stepchild adoption, criticando il Family Day ed accusando anzi la Chiesa di interventismo, benché meno che nell’«era Ruini» (il che dovrebbe far riflettere). Suo è anche il grido libertario e liberticida ad un tempo di «Non permettiamo che l’“io non lo farei” diventi “allora tu non lo devi fare”».
Ed ha aggiunto: «Abbiamo un sacco di richieste per l’eutanasia in Svizzera da persone che vogliono solo poter morire serenamente», neanche si trattasse di un’agenzia viaggi con biglietto di sola andata. Quanto all’Africa è bene sia chiaro come, tra i suoi obiettivi, figurino anche quelli che nel 2013, durante il suo intervento alle celebrazioni della Giornata dell’Africa, definì «i diritti delle donne africane», riferendoli però (non a caso) al protocollo di Maputo, protocollo adottato dall’Unione Africana l’11 luglio 2003 e che prevede contraccezione e pianificazione familiare, leggasi aborto e dintorni.
Concetto ribadito poi per caldeggiare le ratifiche da parte di 15 parlamenti degli Stati membri della stessa Unione, insistendo su «maternità consapevole, pianificazione familiare con riferimento alle pratiche contraccettive» ed «aborto. Il quadro è persino più chiaro della legge italiana in materia – ha esultato – quando prevede come possibile causa dell’interruzione della gravidanza non solo la salute fisica, ma anche quella psicologica sia della madre che del feto», il che per lei è motivo di giubilo.
È questa l’Africa che piace ad Emma Bonino.
Allora, non importa chi, chiunque, specie a certi livelli, quando parla con un’icona o di un’icona del divorzio, dell’aborto, della fecondazione assistita, dell’eutanasia, dell’eugenetica, del permissivismo, del pro-choice e di molte altre devastazioni etiche come Emma Bonino, non può non tener conto di chi sia e di cosa mediaticamente certe battute comportino, come già in passato il saluto in piemontese del giugno 2013 e la telefonata premurosa del maggio 2015, subito riferiti dalla stessa interessata (ed era ovvio che lo facesse). Perché in queste faccende una dichiarazione imprudente o non adeguatamente meditata crea danni incalcolabili, a cascata. Occorre ricordarselo.
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Un’intervista di mons. Athanasius Schneider a Rorate Coeli: Chiesa post-sinodale e i non credenti nella gerarchia
Riportiamo in una traduzione di Anna Bellardi Ricci, il testo integrale di un’importante intervista di S. E. mons- Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, pubblicata il 2 febbraio dal sito Rorate Cœli
Rorate Cœli: Del recente Sinodo, per qualche tempo non conosceremo l’impatto legale che avrà sulla Chiesa poiché la prossima mossa spetta al Papa Francesco. Senza tener conto dell’eventuale esito, esiste già uno scisma nella Chiesa? In caso affermativo, cosa significa in termini pratici? Come si manifesterà per i cattolici tipici che vanno in chiesa?
S.E. Schneider: Secondo il can. 751 del Codice di Diritto Canonico, scisma significa il rifiuto di sottomissione al Sommo Pontefice. Bisogna distinguere il difetto nel credere o eresia dallo scisma. Il difetto nel credere o eresia è in effetti un peccato più grave dello scisma, come diceva San Tommaso d’Aquino: «La miscredenza è un peccato commesso contro Dio stesso, secondo che Egli stesso è la Verità Prima, sulla quale la fede si fonda; mentre lo scisma si oppone all’unità della Chiesa, che è un bene minore di Dio stesso. È dunque evidente che la miscredenza è per il suo genere un peccato più grave di quello dello scisma» (II-II, q.39, a.2c). La vera crisi della Chiesa di oggi consiste nel sempre crescente fenomeno che coloro che non credono pienamente e non professano l’integralità della fede cattolica occupano spesso posizioni strategiche nella vita della Chiesa, come professori di teologia, educatori nei seminari, superiori religiosi, parroci ed anche vescovi e cardinali. E queste persone con la loro fede difettosa si professano sottomessi al Papa.
Il colmo della confusione e dell’assurdità si manifesta quando questi religiosi semi-eretici accusano coloro che difendono la purezza e l’integrità della fede cattolica di essere contro il Papa, di essere, secondo loro, in qualche modo scismatici. Per i semplici cattolici che vanno a messa, una tale situazione di confusione rappresenta una vera sfida alla loro fede e nell’indistruttibilità della Chiesa. Devono mantenere salda l’integrità della loro fede in conformità alle verità cattoliche immutabili trasmesse dai nostri padri, che ritroviamo nel catechismo tradizionale e nei lavori dei Padri e dei Dottori della Chiesa.
Rorate Cœli: Parlando di cattolici tipici, cosa deve affrontare ora un tipico parroco che già non dovesse affrontare prima il Sinodo? Quali pressioni, come la lavanda dei piedi delle donne il Giovedì Santo a seguito dell’esempio di Francesco, peseranno sul parroco più di quanto non pesino già oggi?
S.E. Schneider: Un tipico parroco cattolico dovrebbe conoscere bene il significato perenne della fede cattolica, così come il significato delle norme della liturgia cattolica, e conoscendolo dovrebbe avere fermezza e sicurezza interiore. Dovrebbe sempre ricordarsi del principio fondamentale di discernimento: «Quod semper, quod unique, quod ab omnibus», ossia «Ciò che è stato creduto e praticato sempre, ovunque e da tutti».
Le categorie «sempre, ovunque, tutti» non devono esser intese in un senso aritmetico, ma morale. Un criterio concreto di discernimento è questo: Questo cambiamento in una affermazione dottrinale, in una pratica pastorale o liturgica rappresenta una rottura rispetto al passato secolare o anche millenario? Questa innovazione fa sì che la fede brilli più chiara e luminosa? Questa innovazione religiosa ci avvicina sempre più alla santità di Dio, o esprime in modo più profondo e magnifico i divini misteri? Questa innovazione disciplinare accresce davvero un più grande zelo per la santità di vita?
Per quanto concerne, concretamente, la lavanda dei piedi delle donne durante la Santa Messa dell’Ultima Cena il Giovedì Santo: questa Santa Messa celebra la commemorazione dell’istituzione dei sacramenti dell’Eucarestia e del Sacerdozio. La lavanda dei piedi delle donne quindi, insieme agli uomini, non solo distrae dall’attenzione principale sull’Eucarestia ed il Sacerdozio, ma genera confusione riguardo al simbolismo storico dei “dodici” e dall’essere gli apostoli di sesso maschile. La tradizione universale della Chiesa non ha mai consentito la lavanda dei piedi durante la Santa Messa, ma piuttosto al di fuori di essa, in una cerimonia speciale.
In ogni caso: la lavanda pubblica e in generale anche il bacio dei piedi delle donne da parte di un uomo, nel nostro caso di un prete o di un vescovo, è considerato da qualsiasi persona di buon senso in tutte le culture come improprio e anche indecente. Grazie a Dio nessun vescovo è obbligato a lavare pubblicamente i piedi delle donne il Giovedì Santo, perché non vi è una norma che lo vincoli a ciò, e lo stesso lavaggio dei piedi è facoltativo.
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Un'agghiacciante scoperta di qualche tempo fa, dimenticata troppo rapidamente.
Il consesso degli “illuminati” della nuova chiesa
Erano in 50 tra porporati, alti prelati e teologi i partecipanti all’incontro segreto, svoltosi lunedì scorso a porte chiuse presso l’Università Gregoriana di Roma in vista del Sinodo di ottobre. Così segreto, da avervi invitato –unico media italiano presente – anche un giornalista di “Repubblica”, Marco Ansaldo, tanto per esser sicuri che,a far da velina, provvedesse la stampa amica. Con l’unico vincolo di non attribuire mai e per nessun motivo lapaternità delle dichiarazioni agli intervenuti.
di Mauro Faverzani
A questa "estemporanea" giornata di studio - non sulla, ma contro la famiglia - han preso parte i pasdaran dell'ala progressista della Chiesa, decisa più che mai a demolire la Dottrina cattolica in materia. Tanto da indurre l'agenzia "Riposte Catholique" ad accusarli di voler fare i «massoni». In effetti, una volta divenuta pubblica la notizia, molti Vescovi si sono risentiti nell'apprendere soltanto dalla stampa di queste «manovre occulte», mosse a loro insaputa, come riferito da "Médias-Presse-Info".
I nomi dei partecipanti sono quelli dei soliti noti: il Card. Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera, membro del C9 (il Consiglio di Cardinali voluto dal Papa in suo appoggio nel governo della Chiesa), nonché presidente della Conferenza episcopale tedesca. Con lui, il suo Segretario generale, mons. Hans Langendorfer. Poi mons. Georges Pontier, Arcivescovo di Marsiglia, oltre che presidente della Conferenza episcopale francese; alti esponenti elvetici; i Vescovi di Havre, Dresda, Bassa Sassonia; docenti universitari; persino il presidente della Comunità di Sant'Egidio, Marco Impagliazzo. Tutti accolti dal Vicerettore della Gregoriana, padre Hans Zollner.
Il buongiorno si vede dal mattino: così, che si sia trattato di una scorrettezza ben più che formale lo si è notato subito dalla lettera d'invito, datata 27 aprile. Essa riportava il logo ufficiale delle tre Conferenze episcopali - quella tedesca, quella francese e quella svizzera -, benché la maggior parte dei Vescovi non sapesse niente della riunione, rivolta anzi ad un gruppuscolo estremamente ristretto e selezionato di "illuminati": non appariva su alcuna agenda ufficiale, né su quella della stessa Università. Tra le "star" figuravano tre teologi progressisti: Alain Thomasset, Eva-Maria Faber e Eberhard Schockenhoff.
Il primo, Thomasset, gesuita francese, è convinto che la «coscienza cristiana» abbia il diritto di essere in conflitto col Magistero in una sorta d'improbabile «dissenso responsabile», che altro non è se non l'eresia dell'Io che vuol farsi dio. La seconda, la tedesca Faber, ha vivacemente contestato il criterio d'«indissolubilità» proprio del matrimonio cattolico, ritenendolo troppo rigido. Il terzo, Schockenhoff, ha promosso, invece, una morale sganciata dal diritto naturale. Ciò che permetterebbe, sulla base del «giudizio di coscienza» e a partire dall'«esperienza di vita dei fedeli» (in altre parole, la sbandieratissima "prassi pastorale"), di abbandonare «il sogno impossibile dell'ideale» e «di accettare un nuovo matrimonio civile» per i divorziati risposati, così da «non escluderli più dalla Comunione».
Senza rinunciare nemmeno ad una forte apertura verso le unioni gay, che - ha detto - «meritano un sostegno ed una risposta positiva» da parte della Chiesa. Da qui il suo appello, rivolto alle Conferenze episcopali, a rendersi artefici dello "strappo" col Vaticano, «giocando un ruolo da pioniere» sulla strada della riforma ed «accelerando il processo» per ottenere «seri cambiamenti». In una parola, ciò che si definisce più propriamente scisma. Tutto quanto potesse contrastare in toto Scrittura, Magistero e Tradizione è stato, insomma, sibilato in quell'incontro a porte chiuse. Non a caso l'episcopato francese ha indicato quale proprio esperto al Sinodo il discusso gesuita Cristoph Theobald, apologeta del Concilio Vaticano II, docente resso il Centre Sèvres di Parigi.
A chi facesse notare come le unioni gay, in realtà, non siano tema del Sinodo, un sacerdote tedesco, non nominato da "Repubblica", ha precisato come, a suo giudizio, se riconosciute, debbano «diventare un vincolo anche per la Chiesa», sia pure «non come matrimonio». Ma è un distinguo, ormai, meramente lessicologico, svuotato di reale contenuto. Non sono mancati il monsignore francese convinto che si debba tenere conto di una «nuova realtà pastorale», gli ultras dei Sacramenti per i divorziati risposati, i fautori di un cambio di rotta della Chiesa sulla sessualità, i contrari al celibato dei preti e via demolendo.
Il fatto stesso che l'assise si sia svolta in modo quasi carbonaro, riecheggia il timore di Adamo ed Eva, che, consumato il peccato originale, «si nascosero dal Signore Dio in mezzo agli alberi del giardino», essendosi scoperti nudi ed essendo stati ingannati dal serpente (Gn 3, 8-13). È esattamente questo a far ritenere che al Sinodo (e non solo) si preannunci battaglia.
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Fides.org
ASIA/SIRIA - Nel santuario devastato dai jihadisti, ritrovate le reliquie di Mar Elian. Padre Jacques Murad: così il monastero rinascerà
martedì, 5 aprile 2016
Qaryatayn (Agenzia Fides) – A Qaryatayn, la città siriana da poco tornata sotto controllo dell'esercito siriano, i jihadisti dello Stato Islamico (Daesh) se ne sono andati lasciando macerie e devastazione nel santuario di Mar Elian, dove fin dai primi giorni di occupazione, nell'agosto 2015, avevano profanato brutalmente la tomba del Santo, per cancellare quello che anche ai loro occhi rappresentava il cuore del complesso monastico. Ma le reliquie di Mar Elian, sparse intorno al sepolcro del Santo, non sono andate perdute: potranno essere raccolte e ricomposte, e intorno a esse potrà di nuovo raccogliersi la vita e la devozione dei cristiani della regione.
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(di Roberto de Mattei) Tra i tanti successi attribuiti dai mass-media a papa Francesco, c’è quello dello “storico incontro”, avvenuto il 12 febbraio a L’Avana, con il patriarca di Mosca Kirill. Un avvenimento, si è scritto, che ha visto cadere il muro che da mille anni divideva la Chiesa di Roma da quella di Oriente.
L’importanza dell’incontro, secondo le parole dello stesso Francesco, non sta nel documento, di carattere meramente “pastorale”, ma nel fatto di una convergenza verso una meta comune, non politica o morale, ma religiosa. Al Magistero tradizionale della Chiesa, espresso da documenti, papa Francesco sembra dunque voler sostituire un neo-magistero, veicolato da eventi simbolici. Il messaggio che il Papa intende dare è quello di una svolta nella storia della Chiesa. Ma è proprio dalla storia della Chiesa che occorre partire per comprendere il significato dell’avvenimento. Le inesattezze storiche sono infatti molte e vanno corrette perché è proprio sui falsi storici che spesso si costruiscono le deviazioni dottrinali.
Innanzitutto non è vero che mille anni di storia dividono la Chiesa di Roma dal Patriarcato di Mosca, visto che questo è nato solo nel 1589. Nei cinque secoli precedenti, e prima ancora, l’interlocutore orientale di Roma era il Patriarcato di Costantinopoli. Nel corso del Concilio Vaticano II, il 6 gennaio 1964, Paolo VI incontrò a Gerusalemme il patriarca Atenagora per avviare un “dialogo ecumenico” tra il mondo cattolico e il mondo ortodosso. Questo dialogo non è riuscito ad andare avanti a causa della millenaria opposizione degli ortodossi al Primato di Roma. Lo stesso Paolo VI lo ammise in un discorso al Segretariato dell’Unità per i cristiani del 28 aprile 1967, affermando: «Il Papa, noi lo sappiamo bene, è senza dubbio l’ostacolo più grande sul cammino dell’ecumenismo» (Paolo VI, Insegnamenti, VI, pp. 192-193).
Il patriarcato di Costantinopoli costituiva una delle cinque sedi principali della cristianità stabilite dal Concilio di Calcedonia del 451. I patriarchi bizantini sostenevano però che dopo la caduta dell’Impero romano, Costantinopoli, sede del rinato Impero romano d’Oriente, sarebbe dovuta divenire la “capitale” religiosa del mondo. Il canone 28 del Concilio di Calcedonia, abrogato da san Leone Magno, contiene in germe tutto lo scisma bizantino, perché attribuisce alla supremazia del Romano Pontefice un fondamento politico e non divino. Per questo nel 515, papa Ormisda (514-523) fece sottoscrivere ai vescovi orientali una Formula di Unione, con cui essi riconoscevano la loro sottomissione alla Cattedra di Pietro (Denz-H, n. 363).
Tra il V e il X secolo, mentre in Occidente si affermava la distinzione tra l’autorità spirituale e il potere temporale, in Oriente nasceva intanto il cosiddetto “cesaropapismo”, in cui la Chiesa viene di fatto subordinata all’Imperatore che se ne ritiene il capo, in quanto delegato di Dio, sia nel campo ecclesiastico che in quello secolare. I patriarchi di Costantinopoli erano di fatto ridotti a funzionari dell’Impero bizantino e continuavano ad alimentare un’avversione radicale per la Chiesa di Roma.
Dopo una prima rottura, provocata dal patriarca Fozio nel IX secolo, lo scisma ufficiale avvenne il 16 luglio 1054, quando il patriarca Michele Cerulario dichiarò Roma caduta nell’eresia per motivo del “Filioque” ed altri pretesti. I legati romani deposero allora contro di lui la sentenza di scomunica sull’altare della chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli. I principi di Kiev e di Mosca, convertiti al Cristianesimo nel 988 da san Vladimiro, seguirono nello scisma i patriarchi di Costantinopoli, di cui riconoscevano la giurisdizione religiosa. Le discordie sembravano insormontabili ma un fatto straordinario avvenne il 6 luglio 1439 nella cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore, quando il Papa Eugenio IV, annunciò solennemente, con la bolla Laetentur Coeli (“che i cieli si rallegrino”), l’avvenuta ricomposizione dello scisma fra le Chiese di Oriente e di Occidente.
Nel corso del Concilio di Firenze (1439), al quale avevano partecipato l’imperatore d’Oriente Giovanni VIII Paleologo e il patriarca di Costantinopoli Giuseppe II, si era trovato l’accordo su tutti i problemi, dal Filioque al Primato Romano. La Bolla pontificia si concludeva con questa solenne definizione dogmatica, sottoscritta dai Padri greci: «Definiamo che la santa Sede apostolica e il Romano pontefice hanno il primato su tutto l’universo; che lo stesso Romano pontefice è il successore del beato Pietro principe degli apostoli, è autentico vicario di Cristo, capo di tutta la Chiesa, padre e dottore di tutti i cristiani; che Nostro Signore Gesù Cristo ha trasmesso a lui, nella persona del beato Pietro, il pieno potere di pascere, reggere e governare la Chiesa universale, come è attestato anche negli atti dei concili ecumenici e nei sacri canoni» (Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Centro Editoriale Dehoniano, Bologna 2013, pp. 523-528).
Fu questo l’unico vero storico abbraccio tra le due chiese nel corso dell’ultimo millennio. Tra i più attivi partecipanti al Concilio di Firenze, c’era il metropolita di Kiev e di tutta la Russia, Isidoro. Appena tornato a Mosca egli diede pubblico annuncio della avvenuta riconciliazione sotto l’autorità del Romano pontefice, ma il principe di Mosca, Vasilij il Cieco, lo dichiarò eretico e lo sostituì con un vescovo a lui sottomesso. Questo gesto segnò l’inizio dell’autocefalia della chiesa moscovita, indipendente non solo da Roma ma anche da Costantinopoli. Poco dopo, nel 1453, l’Impero bizantino fu conquistato dai Turchi e travolse nel suo crollo il patriarcato di Costantinopoli. Nacque allora l’idea che Mosca dovesse raccogliere l’eredità di Bisanzio e divenire il nuovo centro della Chiesa cristiana ortodossa. Dopo il matrimonio con Zoe Paleologo, nipote dell’ultimo Imperatore d’Oriente, il Principe di Mosca Ivan III si diede il titolo di Zar e introdusse il simbolo dell’aquila bicefala. Nel 1589 fu costituito il Patriarcato di Mosca e di tutta la Russia. I Russi diventavano i nuovi difensori dell’“ortodossia”, annunciando l’avvento di una “Terza Roma”, dopo quella cattolica e quella bizantina.
Di fronte a questi eventi, i vescovi di quella zona che allora si chiamava Rutenia e che oggi corrisponde all’Ucraina, e a una parte della Bielorussia, si riunirono, nell’ottobre 1596, nel Sinodo di Brest e proclamarono l’unione con la sede romana. Essi sono conosciuti come, Uniati, a motivo della loro unione con Roma, o Greco-cattolici, perché, pur sottomettendosi al Primato romano, conservavano la liturgia bizantina.
Gli zar russi intrapresero una persecuzione sistematica della Chiesa uniate che, tra i tanti martiri, annoverò il monaco Giovanni (Giosafat) Kuncevitz (1580-1623), arcivescovo di Polotzk, e il gesuita Andrea Bobola (1592-1657), apostolo della Lituania. Entrambi furono torturati e uccisi in odio alla fede cattolica e oggi sono venerati come santi. La persecuzione si fece ancora più aspra sotto l’impero sovietico. Il cardinale Josyp Slipyj (1892-1984), deportato per 18 anni nei lager comunisti, fu l’ultimo intrepido difensore della Chiesa cattolica ucraina.
Oggi gli Uniati costituiscono il più numeroso gruppo di cattolici di rito orientale e costituiscono una testimonianza vivente dell’universalità della Chiesa cattolica. È ingeneroso affermare, come fa il documento di Francesco e Kirill, che il «metodo dell’uniatismo», inteso «come unione di una comunità all’altra, staccandola dalla sua Chiesa», «non è un modo che permette di ristabilire l’unità» e che «non si può quindi accettare l’uso di mezzi sleali per incitare i credenti a passare da una Chiesa ad un’altra, negando la loro libertà religiosa o le loro tradizioni».
Il prezzo che papa Francesco ha dovuto pagare per queste parole richieste da Kirill è molto alto: l’accusa di “tradimento” che ora gli viene rivolta dai cattolici uniati, da sempre fedelissimi a Roma. Ma l’incontro di Francesco con il patriarca di Mosca va ben oltre quello di Paolo VI con Atenagora. L’abbraccio a Kirill tende soprattutto ad accogliere il principio ortodosso della sinodalità, necessario per “democratizzare” la Chiesa romana. Per quanto riguarda non la struttura della Chiesa, ma la sostanza della sua fede, l’evento simbolico più importante dell’anno sarà forse la commemorazione da parte di Francesco dei 500 anni della Rivoluzione protestante, prevista per il prossimo ottobre a Lund, in Svezia.
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Intervista al Cardinale Sarah: non possiamo lasciare l'Uomo senza una strada sicura
Intervista al Cardinale Sarah di Lorenza Formicola | 3 Aprile 2016
“'Sono la Via, la Verità, e la Vita'. È questo che è stabile. È questo che io cerco di testimoniare”. L'Occidentale ospita una intervista al Cardinale Robert Sarah, uomo dalla fede ardente, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, e autore del libro "Dio o niente".
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Il Cardinale Burke, tempo fa ha detto: “Se per fondamentalista si intende qualcuno che insiste sulle cose fondamentali, sono un fondamentalista.” Rispondeva ad una provocazione data la sua nota e ripetuta opposizione a ogni mutamento della prassi pastorale in discussione al Sinodo. Si sente di sposare questo stesso sentire?
Papa Benedetto XVI ha sottolineato senza sosta il problema della dittatura del relativismo. Oggi tutto è possibile. Non abbiamo più radici. Niente di stabile. Eppure noi una Dottrina stabile l’abbiamo, abbiamo una Rivelazione. Far sì che la gente torni alle radici delle cose, della Rivelazione è un dovere per noi Vescovi. Non possiamo lasciare la gente senza una strada sicura. Senza una roccia su cui appoggiarsi. Nella parrocchia la roccia su cui appoggiarsi è il parroco, nella diocesi è il Vescovo, nella Chiesa universale, è il Papa. E noi cerchiamo di aiutare il Santo Padre ad assicurare la gente che una stabilità esiste. Che c’è una strada. E la strada è Gesù Cristo. Lo ha detto chiaramente: “Sono la Via, la Verità, e la Vita”. È questo che è stabile. È questo che io cerco di testimoniare. Abbiamo davvero una roccia, abbiamo una strada, abbiamo una Verità che ci salva. È inutile spostarsi da lì.
Quindi è anche lei un “fondamentalista”, nel senso che ha attribuito Burke al termine?
Sì, sicuramente. (Sorride di gusto)
La parola ‘fondamentalismo’ è ormai associata all’islam. Tema che ha invaso le nostre conversazioni quotidiane. L’islam identifica il mondo politico e quello religioso, convinto che solo il potere politico possa moralizzare l’umanità. Qui si rende manifesta tutta la differenza e la novità del cristianesimo, il cui Dio non è il Re di un banale regno temporale. In quest’ottica, non è forse vero, quanto diceva, quando era ancora Cardinale, il Papa Emerito? “Nella pratica politica il relativismo è il benvenuto perché ci vaccina della tentazione utopistica”. La Chiesa Cattolica del 2016 ha conservato questo stesso atteggiamento nei confronti della politica, oppure è convinta che in fondo, il Paradiso in terra si possa sempre realizzare?
Penso che dall’inizio noi dobbiamo dividere l’uomo. Separare cioè la sua identità propria e il suo lavoro, la sua politica. Non dobbiamo mischiare la religione con la politica. Però, allo stesso tempo, l’uomo è uno. Non puoi essere un cristiano in chiesa, e fuori un’altra persona. E come dunque radicare il Vangelo nel mio operare, nella politica, nell’economia? Questo è il problema fondamentale. Perché se divido, cosa succede? Sono un cristiano in chiesa, ma un passo fuori dalla chiesa e il mio comportamento è da pagano, da uomo che non crede a niente. Un uomo che crede solo nel suo avere, nel potere. Ma la vera fede opera nella carità. La vera fede si manifesta nella carità, cioè nella concretezza delle azioni. E dunque penso che il problema stia tutto nell’essere ‘cristiani veramente veri’ nell’attualità, nell’economia nella politica, nell’arte, nella cultura, nella vita familiare. È impossibile dire sono cristiano e poi non mi sposo in chiesa, per esempio. (Sorride). È difficile dire sono un cristiano però non vado a messa. L’esser cristiano deve riflettersi per forza nella vita pratica. E ognuno di noi è immerso nella società. Dobbiamo vedere nella nostra vita il Vangelo. C’è una trasparenza che deve vedersi nella vita quotidiana, e questo è la vera cristianità.
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Transgender e bagni pubblici, non solo guerra
Assuntina Morresi
Avvenire 2 aprile 2016
Lo Stato americano del North Carolina potrebbe perdere fondi federali per miliardi di dollari, destinati a scuole, trasporti e alloggi, perché ha appena approvato una legge in cui si stabilisce che i maschi devono andare nei bagni pubblici per i maschi, e, analogamente, le femmine in quelli destinati alle femmine.