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Gli psichiatri Usa sdoganano la pedofilia, da malattia a “orientamento”
La stampa conservatrice parla già di “mainstreaming della pedofilia”, della sua definitiva normalizzazione. I liberal più militanti esultano per la “destigmatizzazione della pedofilia”.
E’ successo che l’Associazione degli psichiatri americani, una delle più importanti associazioni scientifiche del mondo, ha modificato nel suo ultimo manuale la linea sulla pedofilia: non più “disordine” ma “orientamento” come gli altri. In sostanza, le “attenzioni” degli adulti nei confronti dei bambini non sono più considerate un “disturbo”.
La decisione è stata subito denunciata dall’Associazione della famiglia americana e va a completare un ciclo di ripensamenti della pedofilia cominciato negli anni Cinquanta.
Una sorta di evoluzione linguistica che indica però una trasformazione culturale.
Nel precedente “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders”, una specie di “bibbia” occidentale per gli psichiatri, il manuale usato per i trattamenti psichiatrici e che si prefigge l’obiettivo di “fornire alla comunità psichiatrica internazionale un linguaggio comune sui disturbi mentali basato sull’evidenza scientifica”, la pedofilia era stata declassata da “malattia” a “disordine”, a un “orientamento sessuale o dichiarazione di preferenza sessuale senza consumazione”.
Adesso l’Apa, a tredici anni di distanza dall’ultima revisione del testo, fa un passo ulteriore: “Come l’Apa dichiarò negli anni Settanta che l’omosessualità era un orientamento sotto la forte pressione degli attivisti omosessuali, così ora sotto la pressione degli attivisti pedofili ha dichiarato che il desiderio sessuale verso i bambini è un orientamento”, denuncia l’Associazione cattolica.
Nel precedente manuale, a cui hanno lavorato oltre mille esperti in psichiatria, psicologia, assistenza sociale, pediatria e neurologia, si considerava “disordine mentale” quello di un molestatore di bambini, se la sua azione “causa sofferenze clinicamente significative o disagi nelle aree sociali, occupazionali o in altri importanti campi”.
La pedofilia viene definita “amore intergenerazionale”. Una trasformazione avvenuta sotto la spinta degli studi di Alfred Kinsey, il guru della rivoluzione sessuale occidentale che ha ispirato molti studi psichiatrici in campo sessuale.
Nel suo secondo “Rapporto” c’è un paragrafo intitolato “Contatti nell’età prepubere con maschi adulti”, nel quale vengono descritti rapporti sessuali tra adulti e bambini: “E’ difficile capire per quale ragione una bambina, a meno che non sia condizionata dall’educazione, dovrebbe turbarsi quando le vengono toccati i genitali, oppure turbarsi vedendo i genitali di altre persone, o nell’avere contatti sessuali ancora più specifici”.
Già nel 1998 il prestigioso Bollettino di psichiatria aveva pubblicato uno studio di tre professori (Bruce Rand della Temple University, Philip Tromovitch della Università della Pennsylvania e Robert Bauserman della Università del Michigan) che per la prima volta ridefinivano l’espressione e il significato di “abuso sessuale sui bambini”.
Si legge nel volume che “questi studi dimostrano che le esperienze sofferte da bambini, sia maschi che femmine, che hanno avuto abusi sessuali sembrano abbastanza moderate. Essi asseriscono inoltre che l’abuso sessuale su un bambino non necessariamente produce conseguenze negative di lunga durata”.
Dopo le accuse questa settimana di aver normalizzato la pedofilia, l’Associazione degli psichiatri ha detto che rettificherà il nuovo manuale, distinguendo stavolta fra “pedofilia e disordine pedofiliaco”.
Se la seconda resta una patologia psichiatrica, la prima diventerà “un orientamento normale della sessualità umana”.
Il discrimine è nella mano che accarezza?
Sofismi da parte di chi per anni, nelle aule dei tribunali americani e sui media, ha scatenato la caccia alla chiesa cattolica a suon di psichiatri-testimoni e che adesso considera la pedofilia al pari di ogni altro comportamento sessuale.
D’altronde questa è la forza di chi scrive i manuali scientifici: un disturbo psichiatrico non esiste se non c’è nel manuale degli psichiatri americani.
E’ il potere di scrivere, letteralmente, la realtà.
di Giulio Meotti, per Il Foglio
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Maestro nella vita spirituale? Intransigente custode della fede? Campione nella lotta contro la modernità? Niente di tutto questo.
Vaticano, promosso il vescovo che ha fatto il barbone
Città del Vaticano - Largo ai vescovi da strada. La Chiesa da tre anni in qua, pian piano, procedendo gradualmente, sta mutando volto. Man mano che nelle diocesi i vescovi se ne vanno in pensione raggiungendo il 75esimo anno, il Papa li sta sostituendo con candidati di rottura, pastori disposti a tutto pur di evitare ogni scontro. Si tratta di successori degli apostoli che si avvicinano al suo modo di agire per costruire l'ospedale da campo, decisamente più aperti alla modernità, accoglienti solo verso gli emarginati, propensi ad un dialogo a 360 gradi capace di ignorare l'esistenza di steccati culturali o ideologici.
In sintesi meno ardimentosi e più conformisti.
L'ultima nomina che va in questa direzione riguarda il Canada, la città di Regina. A ricoprire la sede vacante è andato un giovane vescovo, Donald J. Bolen, noto forse soltanto per avere provato a vivere come un homeless per tre giorni, facendo la fila alle mense, chiedendo l'elemosina, dormendo in alloggi di fortuna, fraternizzando con gli altri senza tetto di Saskatoon, una cittadina canadese di 200 mila abitanti, dove le estati sono calde e gli inverni sono capaci di arrivare anche a meno 50 gradi.
Dopo qualche anno di seminario e di sacerdozio, Bolen in quei giorni ha finalmente riportato una esperienza capace di cambiarlo. “Ho capito molte cose”.
Insomma l'identikit del vescovo 'modello' è il prete callejero, il prete da strada, colui che non ha paura a ignorare l'odio del mondo alla Chiesa, per immergersi solo in uana parte della realtà circostante abbandonando, se occorre, le certezze della fede.
L'orientamento di Bergoglio era stato chiaro sin dall'inizio, anche in Italia, con la nomina di Galantino che da vescovo di Cassano allo Jonio si è ritrovato a fare il segretario della Cei. Catapultato dalla periferia al centro da un giorno all'altro. Uno che non si è mai fatto chiamare “eccellenza” ma solo don Nunzio e che ha sempre viaggiato in seconda classe o guidato la sua utilitaria un po' scassata. Pronto a inchinarsi davanti ai potenti della politica, dell'economia, dei mass media.
Poi è stata la volta dei nuovi arcivescovi di Bologna e Palermo. Altri due esempi illuminanti. Anche lì si è trattato di una sorpresa per il profilo dei prescelti. Il nuovo vescovo di Palermo, Corrado Lorefice, prima era uno sconosciuto parroco siciliano che ha scritto un libro sulla Chiesa dei poveri secondo il Concilio Vaticano II.
A Bologna, invece, Bergoglio ha nominato Matteo Zuppi, già vescovo ausiliare di Roma, con alle spalle una storia di impegno per i poveri e per la pace in Africa. La scorsa estate, invece, aveva mandato a Padova un parroco di Mantova, Claudio Cipolla, anche in questo caso andando a pescare fuori dalla regione ecclesiastica del Triveneto e dai nomi proposti.
L'idea del Papa è di mescolare le carte, ricoluzionare le logiche delle promozioni e delle ambizioni di chi spera in uno scatto di posizione fino arrivare alla porpora. Insomma la Chiesa 3.0.
da Il Messaggero del Mercoledì 13 Luglio 2016, di Franca Giansoldati con integrazioni
Sulla stessa incredibile vicenda Cfr. La Stampa.
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Nomine episcopali
I nuovi vescovi “targati” Francesco: in tre anni cambiato il volto delle diocesi
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Gustave Thibon – La libertà dell’ordine – Un sentiero aperto per il ritorno – Fede & Cultura – Verona – 2015 pp. 127 - €. 12,00
di Andrea Gasperini
Nel 1972, un gruppo di giovani pisani, tra i quali il futuro docente di storia medievale Marco Tangheroni, spinse Giovanni Volpe, figlio dello storico Gioacchino Volpe e proprietario a Roma di una piccola casa editrice, a pubblicare una raccolta di brevi saggi, poco più che aforismi, del francese Gustave Thibon (1903-2001) dal titolo “Ritorno al reale-Nuove diagnosi”. Ad essa, l’anno, dopo seguì la pubblicazione dell’altra raccolta del medesimo autore dal titolo “Diagnosi-Saggio di fisiologia sociale”[1].
In quegli anni di forte tensione politica, i due libri di Thibon poterono essere diffusi pressoché esclusivamente in ambienti che oggi diremmo ‘di nicchia’. In questo caso, si trattava di quella piccola -ma assai attenta culturalmente- parte del mondo cattolico che si opponeva alla deriva progressista postconciliare della Chiesa ed insieme, alla diffusione del marxismo nella società.
Dei due libri che l’autore aveva scritto negli anni ‘40, quei giovani ed altri in Italia, si servirono principalmente come testi di lettura nei loro incontri formativi. I brevi saggi di Thibon ben si prestavano infatti sia ad essere esauriti nello spazio di una riunione che a fornire argomento di riflessione e di discussione di gruppo.
Per comprendere il motivo di tale particolare interesse, servirà soffermarsi anzitutto sulla figura dell’autore. Thibon, nato da famiglia contadina del sud della Francia, aveva presto abbandonato le scuole (preferendo ad esse la terra: come ricorderà più volte in seguito) ma aveva ugualmente proseguito gli studi da autodidatta con molteplici letture impadronendosi delle lingue classiche e del pensiero di autori anche distanti tra loro; ad esempio, San Tommaso d’Aquino e Friedrich Nietzsche.
Intorno ai 25 anni, dopo l’esperienza della guerra ed il rientro definitivo a casa (dove, nel 1941, avrebbe ospitato anche la nota scrittrice ebrea Simone Weil), Thibon recuperò la fede cattolica e si dedicò allo scrivere coniugandolo però sempre con l’amore alla terra così da divenire il ‘filosofo contadino’.
La sua riflessione, affidata a numerosi saggi di vario argomento più d’uno dei quali (oltre a quelli indicati) tradotti nel tempo anche in italiano, non è però costituita da argomentazioni logico-deduttive da citazioni o dal diretto confronto con gli autori. Essa nasce piuttosto da un incessante chinarsi sulla realtà per coglierne il ritmo vitale e comprendere il senso delle singole cose senza pregiudizi ideologici. Né più né meno di come il contadino osserva instancabilmente il lento evolversi della natura sapendo che in essa non vi sono schemi geometrici da applicare o rigide soluzioni valide una volta per tutte ma che vi è invece un organismo vitale da accompagnare nella crescita riequilibrandone di volta in volta, ma sempre con estrema delicatezza, le immancabili deviazioni che incessantemente si presentano.
Questo vero e proprio ‘realismo della terra’ si traduce per Thibon in un modo di vedere l’uomo e la realtà sociale che, pur senza citarli ad ogni momento, fa sua la lezione politica dei classici: a cominciare dai greci (Aristotele) e dai romani (Cicerone e Seneca) sempre però filtrati attraverso San Tommaso d’Aquino. La società che Thibon analizza non è dunque una meccanica unione di individui tutti uguali cui imporre ricette ideologiche e dunque, leggi, cibi, vestiti, gusti identici in ogni luogo ed in ogni tempo. Come la terra, essa costituisce invece un insieme organico di persone (uomini e donne, giovani e vecchi, ricchi e poveri, sani e malati, bianchi e neri, fisicamente ed intellettualmente dotati ed altri che lo sono meno), ciascuno con la propria individualità e la propria dignità. Spetta dunque all’autorità politica aiutare ognuno (ed i più deboli certamente per primi) ad incarnare il proprio ruolo sapendo che la salute –non solo fisica- di ogni membro del corpo sociale è fondamentale per il benessere del’intero organismo. Ad ogni passaggio, Thibon ricorda che per la società non esistono soluzioni pre-confezionate, che i problemi non potranno mai essere risolti né le ingiustizie eliminate una volta per tutte; al pari di quanto avviene nell’individuo i cui mali non sempre possono essere eliminati del tutto e comunque, anche dopo esservi riusciti, è inevitabile che altri si presenteranno fino alla fine sempre nuovi. Da qui la diffidenza per le ideologie e per le grandi costruzioni burocratiche ed invece l’attenzione per tutte le concrete realtà sociali soprattutto quelle piccole (familiari, professionali, locali), ciascuna delle quali dev’essere preservata, amata, e quindi aiutata nella crescita perché è solo in esse che l’uomo, ogni uomo, può realizzare sé stesso.
Gli aforismi/brevi saggi di Thibon si occupano così di problemi quali il concetto di ordine, di libertà, del retto uso della proprietà, sempre evitando di volare nel regno delle utopie o auspicare piaceri a buon mercato o fare facile propaganda di diritti senza doveri. I rimedi che Thibon propone non sono così le riforme, costose ed inutili, tanto care ai politici in cerca di voti quanto il recupero del senso comune delle cose, dell’equilibrio delle persone, dello spirito di sacrificio e del senso di responsabilità di ciascuno: nulla dunque di più distante dai miti della modernità.
Il suo periodare è sempre leggero e facile e molti sono gli esempi ed i riferimenti al concreto vissuto che rendono per chiunque agevole la lettura.
È pertanto merito della casa editrice “Fede & cultura” e del Curatore l’avere, a distanza di oltre 40 anni da quelle vecchie edizioni “Volpe”, raccolto circa 30 brevi saggi di Thibon comparsi negli anni ’70 su varie riviste, per lo più di area francese. Essi hanno il non piccolo pregio di affrontare, con il particolare stile dell’autore, la società uscita dalla progressiva dissoluzione dei legami sociali prodotta dai sommovimenti del ’68 che ancora stiamo vivendo. Si tratta di questioni che certamente non potevano costituivano materia delle vecchie raccolte delle quali però costituiscono l’ideale prosecuzione, stimolando ancora un volta la riflessione non ideologica del lettore.
Andrea Gasperini
[1] Sarebbero poi stati entrambi ristampati nel 2007, dall’editore milanese Effedieffe, in unico volume, con il titolo ‘Ritorno al reale’
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Il finanziere George Soros ha dato consistenti contributi ad organizzazioni cattoliche per «spostare le priorità della Chiesa cattolica americana» dai temi vita e famiglia a quelli della giustizia sociale: occasione particolare, la visita di Papa Francesco negli Usa nel settembre 2015. È quanto emerso nei giorni scorsi, in aggiunta alle precedenti rivelazioni, dai numerosi documenti riservati hackerati alla sua Open Society Foundation. La notizia è circolata soprattutto negli Stati Uniti, focus dell’azione di Soros, ma merita di essere ripresa e conosciuta ovunque perché le sue implicazioni riguardano la Chiesa universale.
Se la Chiesa cade nelle mani di Soros
di Riccardo Cascioli
artiamo dai fatti contenuti nei documenti pubblicati da DC Leaks: nell’aprile 2015 la Open Society ha versato 650mila dollari nelle casse di due organizzazioni legate ad ambienti cattolici progressisti, PICO e Faith in Public Life (Fpl), con lo scopo di «influenzare singoli vescovi in modo da avere voci pubbliche a sostegno di messaggi di giustizia economica e razziale allo scopo di iniziare a creare una massa critica di vescovi allineati con il Papa». Le due organizzazioni destinatarie dei versamenti sono state scelte, spiegano i documenti, perché impegnate in progetti a lungo termine che hanno lo scopo di cambiare «le priorità della Chiesa cattolica statunitense». La grande occasione è data dalla visita del Papa negli Stati Uniti e la fondazione di Soros punta esplicitamente ad usare i buoni rapporti di PICO con il cardinale honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga, tra i principali consiglieri di papa Francesco, per «impegnare» il Pontefice sui temi di giustizia sociale e anche avere la possibilità di inviare una delegazione in Vaticano prima della visita di settembre in modo da far ascoltare direttamente al Papa la voce dei cattolici più poveri in America.
C’è poi un Rapporto del 2016, un bilancio dell'anno precedente, in cui la fondazione di Soros si ritiene soddisfatta di come sia andata la precedente campagna in vista della visita del Papa e anche per il numero di vescovi che, in vista delle presidenziali, hanno apertamente criticato i candidati che puntano sulle paure della popolazione, con evidente riferimento a Donald Trump ed altri candidati repubblicani.
Se questa soddisfazione sia giustificata o meno e quanto la visita del Papa sia stata effettivamente influenzata da questa azione di lobby, è certo materia di discussione. Ma ognuno può trarre le sue conclusioni ripercorrendo discorsi, incontri, conferenze stampa e polemiche legate a quella visita. Quello che qui preme sottolineare sono invece due realtà che tali documenti portano alla luce e che hanno un valore ben oltre la contingenza di una visita papale.
Il primo e più importante è il grande investimento che organizzazioni filantropiche tradizionalmente anti-cattoliche stanno facendo per sovvertire l’insegnamento della Chiesa. È questo il vero scopo del cambiamento di priorità invocato, dai temi su famiglia e vita a quelli di giustizia sociale. In questo Soros si colloca nel solco di una tradizione ultradecennale che vede protagoniste le principali fondazioni americane, dai Rockefeller ai Ford, dai Kellog a Turner e così via. È un progetto di “protestantizzazione” che il sottoscritto aveva già documentato in un libro pubblicato venti anni fa (Il complotto demografico, Piemme). Il motivo? La Chiesa cattolica che, in sede di organizzazioni internazionali ha come obiettivo fondamentale di difendere la dignità dell’uomo, è l’ultimo baluardo che si oppone all’instaurazione di un nuovo ordine mondiale che vuole ridurre l’uomo a semplice strumento nelle mani del potere.
Parte fondamentale di questo progetto è la diffusione universale del controllo delle nascite, dell’aborto come diritto umano, della distruzione della famiglia e della promozione dell’ideologia di genere. Proprio negli anni ’90 del secolo scorso, in un ciclo di conferenze internazionali dell’ONU (dal vertice di Rio de Janeiro sull’ambiente nel 1992 fino al summit di Roma sull’alimentazione nel 1996) si scatenò una battaglia diplomatica senza precedenti tra Stati Uniti e Unione Europea da una parte e Santa Sede dall’altra proprio su questi temi. Sebbene possiamo oggi notare come quell’agenda abbia fatto passi da gigante a livello mondiale, la strenua resistenza della Chiesa, che aveva trascinato con sé molti Paesi in via di sviluppo (vittime di questo neo-colonialismo) ha ritardato e sta ostacolando quel progetto. Molto lo si deve a Giovanni Paolo II, il quale ha sempre avuto chiaro che la famiglia e la vita sono oggi il principale terreno su cui si gioca la battaglia per la dignità dell’uomo. Vale la pena ricordare per inciso che proprio per questo motivo e per questa battaglia, il Papa istituì allora il Pontificio Consiglio per la Famiglia e anche l’Istituto per gli studi su Matrimonio e Famiglia presso la Pontificia Università Lateranense (l’Istituto Giovanni Paolo II che nei giorni scorsi ha visto un cambiamento significativo alla sua guida).
Si può capire quindi come si siano intensificati gli sforzi internazionali per indebolire la Chiesa su questo fronte. Negare l’esistenza di princìpi non negoziabili e la promozione quasi esclusiva della giustizia sociale a scapito dei temi di famiglia e vita è la via maestra per raggiungere questo scopo. E i soldi di Soros sono parte di questi sforzi che però vanno ben oltre l’attività della sua Fondazione.
Del resto - e qui è la seconda questione - questi personaggi e queste organizzazioni trovano una facile sponda all’interno della Chiesa stessa in certi ambienti progressisti che già per conto loro condividono questo approccio. Proprio le due organizzazioni finanziate da Soros nel 2015 ne sono una dimostrazione. PICO, ad esempio, è stata fondata nel 1972 dal padre gesuita John Baumann e si propone di affrontare i problemi sociali attraverso l’organizzazione di cellule fondate sulle comunità delle varie religioni presenti, per intenderci un modello evoluto di comunità di base di sudamericana memoria. Proprio per questo PICO si è guadagnata il supporto del cardinale Maradiaga (c’è un video promozionale del 2013 in cui il cardinale invita a sostenere PICO). Ma tale organizzazione è anche ispirata dal “guru” comunista Saul Alinski, conosciuto come il “profeta” dell’organizzazione delle comunità di base e delle minoranze etniche. Del resto nell’elenco dei finanziatori di PICO troviamo le Fondazioni Ford e Kellogg in aggiunta a un’altra decina di fondazioni dalla forte identità liberal. Curiosamente, poi, si trova Alinski anche all’origine della carriera politica di Hillary Clinton e non può quindi sorprendere l’impegno di PICO, tra l’altro, nella campagna elettorale per le presidenziali.
Impegno ancora più esplicito per l’altra organizzazione finanziata da Soros, Faith in Public Life, che tra i successi del 2015 – oltre alla “preparazione” della visita del Papa, tra cui un sondaggio ad hoc sui cattolici americani teso a supportare l’agenda liberal – cita anche la mobilitazione per bloccare la legge sulla libertà religiosa della Georgia, finalizzata tra l’altro a garantire l’obiezione di coscienza contro l’imposizione dell’ideologia gender e delle nozze gay.
Quanto il cardinale Maradiaga e altri esponenti dell’episcopato sono coscienti o partecipi di questo disegno decisamente anti-cattolico? Non lo sappiamo e non ci azzardiamo a processarne le intenzioni. Possiamo solo notare come certi esponenti ecclesiali di primo piano vengano individuati come omogenei ai progetti di chi vuole distruggere la Chiesa, a prescindere poi dal successo o meno che abbiano certi tentativi di approccio.
Però qui corre l’obbligo di aggiungere un dato inquietante ai documenti rivelati. Si può infatti facilmente capire che di tale progetto di cambiamento nella dottrina della Chiesa faccia parte anche un'opera di infiltrazione di specifici personaggi nei centri decisionali della Chiesa. E non si può non andare immediatamente al caso di Jeffrey Sachs, l’economista dell’ONU e direttore dell’Earth Institute che ha avuto un ruolo importante nell’enciclica “Laudato Sii”, tanto da essere chiamato dal Vaticano sia per le presentazioni dell’enciclica sull’ambiente sia per i convegni internazionali sullo sviluppo sostenibile.
La sua inspiegabile onnipresenza è stata contestata nei mesi scorsi – oltre che dal nostro giornale (clicca qui, qui e qui) – dalle principali organizzazioni pro-life e pro-family internazionali perché Sachs è ben noto come grande sostenitore delle politiche di controllo delle nascite. Ma è stato difeso a spada tratta dal presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, il vescovo argentino Marcelo Sanchez Sorondo, che ne ha anche sponsorizzato la nomina da parte di papa Francesco nella Pontificia Accademia da lui presieduta. Ebbene, ciò che forse non è stato detto, è che Sachs è anche conosciuto per essere un uomo di Soros (peraltro entrambi sono ebrei originari dell’Est Europa), da diversi decenni impegnato nella concezione e diffusione di teorie economiche a sostegno dell’Open Society perseguita da Soros.
Alla luce dei documenti che attestano le strategie di Soros nei confronti della Chiesa cattolica, la presenza di Sachs nei piani alti del Vaticano risulta meno inspiegabile, sebbene ancora più inquietante. A questo punto sarebbe però opportuno che a spiegarsi siano il vescovo Sorondo, il cardinale Maradiaga e quanti altri sono coinvolti in questa rete.
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Aborto, immigrazione, Lgbt e lotta all’islamofobia
Tutti i sogni nel cassetto di George Soros
Per alcuni conservatori è il diavolo in persona, un puparo che si cela dietro a ogni evento funesto. Per altri è solo un cinico speculatore che compie ogni mossa per lucrare sulle perdite altrui. Stiamo ovviamente parlando del finanziere George Soros, uno degli uomini più ricchi del pianeta, classe 1930, ungherese ed ebreo “non sionista”. Torna alla ribalta in questo periodo ferragostano perché è vittima di una delle operazioni di hacker più eclatanti del decennio. Oltre 2500 documenti della sua Open Society Foundation sono stati infatti pubblicati sul sito DC Leaks. Dai quali possiamo capire meglio chi sia veramente e soprattutto a cosa miri.
L’Open Society nacque nel 1984 per contribuire alla liberazione dell’Est europeo dal giogo comunista. La prima sede fu aperta in Ungheria, sfidando la repressione del regime, per distribuire fotocopiatrici, con cui potevano essere replicati scritti proibiti. Altre sedi vennero aperte anche in Polonia e in Russia, negli anni a cavallo del collasso del blocco orientale. In parte la prima missione della Open Society è rimasta la stessa: aiutare i paesi usciti dal comunismo a compiere una transizione verso la democrazia e il libero mercato. L’impegno prosegue tuttora con l’Ucraina, di cui Soros è uno strenuo difensore. E’ soprattutto per questo motivo che non gode di buona stampa nella Russia post-sovietica (che ne ingigantisce a dismisura le colpe). E pare che anche lo stesso furto di dati di cui si parla sia opera di hacker russi, stando a fonti dell’agenzia Bloomberg. Tuttavia, a questa missione storica nell’Est europeo post-comunista, si è poi aggiunto tutto il resto dell’agenda progressista, come nel caso di tante altre organizzazioni non governative per la difesa dei diritti umani nate durante la guerra fredda e poi cresciute nel ventennio successivo. Ci limitiamo a sottolinearne gli aspetti principali, quelli che interessano anche direttamente i principi non negoziabili, la politica europea e italiana. Ne emerge quella che è l’agenda di tutta la sinistra occidentale, nordamericana ed europea.
Immigrazione
Un documento pubblicato da DC Leaks invita a considerare il fenomeno dell’immigrazione in Europa, non come una crisi, ma come un “nuovo standard di normalità”, dunque permanente. L’obiettivo implicito della Open Society è quello di sottrarre le decisioni sull’immigrazione agli Stati nazionali per trasferire la loro gestione a enti sovranazionali. Insomma, quel che l’Ue ha provato a fare (senza riuscirci) con le quote di distribuzione dei rifugiati. Secondo un memorandum redatto da Anna Crowley e Kate Rosin dell’International Migration Initiative, si sollecita con un certo cinismo ad “approfittare della condizione creata dalla crisi attuale (sic!) per influenzare il dibattito sul ripensamento della gestione delle migrazioni”, cioè “riforme volte a una governance globale delle migrazioni”. Obiettivo dichiarato è quello di far accettare all’Ue almeno 300mila rifugiati all’anno, in cambio di 30 miliardi di euro all’anno per realizzare un piano di asilo completo. Anche all’Ucraina (con 2 milioni di profughi interni causati dalla guerra nel Donbass) si propone di accettare una quota di rifugiati in cambio di aiuti economici. In un documento che riguarda gli Stati Uniti, risalente al febbraio del 2015, risulta che la Open Society abbia anche cercato di influenzare un verdetto della Corte Suprema, nel caso Texas contro Corte Suprema: lo Stato americano confinante col Messico aveva fatto causa contro un ordine esecutivo del presidente Obama, che avrebbe permesso il ricongiungimento dei parenti con gli immigrati regolari. L’arma che la fondazione di Soros ha scelto per influenzare il parere dei giudici è una campagna a mezzo stampa, attraverso i suoi membri inseriti nei media più influenti, come Danielle Allen (Washington Post) Rosa Brooks (Foreign Policy) e Steve Coll (decano della scuola di giornalismo della Columbia University).
Islam
Ovviamente la campagna pro-immigrazione, specialmente in Europa, non può essere disgiunta dal tema dell’islam. In questo caso, DC Leaks rivela lo sforzo per combattere contro l’“islamofobia” a tutti i livelli. Un memorandum del 2011, “U.S. Models for Combating Xenophobia and Intolerance”, propone un finanziamento al Center for American Progress (fondato da John Podesta, capo della campagna elettorale di Hillary Clinton) per un programma contro l’islamofobia. Un programma articolato in tre punti: “studiare il fanatismo anti-musulmano nella sfera pubblica”, “condurre un’inchiesta sul movimento islamofobo” e “riunire un convegno di esperti, compresi i rappresentanti di organizzazioni progressiste e della comunità araba, mediorientale, musulmana e sudamericana per formulare una strategia comune contro la xenofobia anti-islamica”. Fra gli “islamofobi” identificati nello studio figurano anche opinion maker di punta del mondo conservatore, come Pamela Geller e David Horowitz, Liz Cheney (figlia dell’ex vicepresidente Dick Cheney) e Cliff May. La campagna riguarda soprattutto Israele. Con buona pace dei teorici della cospirazione che vedono in Soros un sionista volto a promuovere lo Stato ebraico, la sua fondazione finanzia iniziative anti-israeliane arabe e di sinistra, come l’Ong araba Adalah (beneficiaria di 2,7 milioni di dollari dal 2001) che considera Israele come una “impresa colonialista”. E l’Ilam Media Center (beneficiario di 1 milioni di dollari) che nel 2014 chiese al Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu di condannare e isolare lo Stato ebraico per la sua guerra a Gaza contro Hamas. In generale, citando uno dei documenti trapelati dal suo ufficio mediorientale, la fondazione di Soros vanta un “successo nella sfida alle politiche razziste e antidemocratiche di Israele nell’arena internazionale”.
Xenofobia
La lotta all’islamofobia è chiaramente una parte di una più ampia battaglia contro la xenofobia. Una lotta contro i mulini a vento, se consideriamo quanta attenzione venga riposta dal legislatore nordamericano ed europeo alla lotta contro il razzismo. Eppure la Osepi, la branca della Open Society che si occupa delle politiche europee, fornisce agli eurodeputati socialisti e democratici un corso di aggiornamento su come contrastare e letteralmente tacitare gli “xenofobi” europei, fra cui figura anche l’italiana Lega Nord. La Osepi, in uno dei documenti pubblicati da DcLeaks, ammette di organizzare incontri con gli eurodeputati per “riscrivere le regole del Parlamento al fine di vietare ogni discorso di odio”. Termine generico in base al quale si potrebbe tacitare ogni argomento non gradito alla sinistra multiculturale. Tra i beneficiari della campagna di Soros contro la xenofobia risulta anche l’italiana Associazione 21 Luglio un’organizzazione non profit impegnata nella promozione dei diritti umani di rom e sinti. Ha ricevuto 49.782 dollari per il progetto “Per i diritti, contro la xenofobia”, svoltosi dal 1 gennaio al 1 luglio 2014, nell’anno delle elezioni europee. Ma un impegno ancor più vasto è volto a sostenere la lotta all’omofobia, quella che viene considerata come la nuova forma di “razzismo”…
LGBT
In Italia, l’Arcigay ha ricevuto ben 99.690 dollari per un progetto durato dal dicembre del 2013 al dicembre del 2014, sempre l’anno delle elezioni. Il titolo del progetto era “LGBT Mob-Watch Italy-Europe 2014”, e aveva quale obiettivo: “smuovere, canalizzare ed ampliare la voce e la domanda del popolo LGBT italiano ed i loro alleati per le elezioni europee del 2014, costruendo uno strumento permanente di monitoraggio, campagna, mobilitazione e lobbying per queste e le prossime elezioni”. Negare che esista una “lobby gay” d’ora in avanti non sarà più possibile. Chiaramente il programma di Soros non si limita alla sola Italia, ma va a beneficiare anche la Ilga Europa (68.000 dollari ricevuti) per il progetto “European elections 2014: Cross-communities mobilization project for a universal and indivisible EU equality agenda”. In Grecia, l’organizzazione “Athens Pride” ha ricevuto 26.000 dollari per il progetto “Vote for your rights” volto a promuovere la comunità LGBTQ greca sempre in vista del voto europeo. Il grosso dello sforzo per promuovere i “nuovi diritti” è ovviamente negli Usa, dove Soros ha elargito nel 2013 altri 100.000 dollari alla Gay Straight Alliance, la stessa organizzazione che ha promosso l’ormai celebre “guerra dei bagni pubblici” nella North Carolina. L’anno successivo, Soros ha elargito una somma ingente, mezzo milione di dollari, a Justice at Stake, un’associazione che promuove la “difesa della diversità” nei tribunali. Perché “una maggior diversità negli uffici dei giudici migliora la qualità della giustizia per tutti i cittadini”. Cosa vorrà dire? Sarà possibile intuirlo dopo le prime sentenze sulla diversità e sulla libertà di religione.
Vita
Ovviamente, assieme all’impegno per la comunità Lgbt non poteva mancare anche la campagna per l’aborto. La Open Society si è impegnata a promuoverlo in Irlanda e l’anno scorso si preparava a festeggiare la vittoria così, come leggiamo in un documento pubblicato da DC Leaks: “Con una delle leggi più proibizioniste del mondo, una vittoria là (in Irlanda, ndr), potrà avere un notevole impatto sull’opinione pubblica di altri paesi cattolici in Europa, come la Polonia, e fornire la necessaria prova che un cambiamento è possibile, anche nei posti più conservatori”. Cora Sherlock, attivista pro-life, dichiara a Catholic News Agency che ora si spiega il perché di tanta potenza di fuoco del partito avversario: era estremamente difficile esprimersi a favore del diritto alla vita, difficile competere contro un avversario super-finanziato che alla fine è riuscito ad abrogare l’Ottavo Emendamento della Costituzione irlandese, quello che proteggeva la vita sin dal concepimento. L’impegno della Soros, dopo l’Irlanda, proseguirà in Messico, Zambia, Nigeria e Tanzania. Ovunque ci sono organizzazioni locali pronte a ricevere il messaggio e i soldi necessari, in un piano triennale che si dovrebbe concludere entro il 2019.
Sebbene sia impossibile trarre conclusioni definitive su una piccola parte di documenti rivelati e consultabili da meno di una settimana, il quadro che emerge sinora è quello di una fondazione che sta contribuendo a plasmare l’agenda delle sinistre occidentali. La Open Society non è unica nel suo genere: anche altre iniziative filantropiche miliardarie, come la fondazione di Bill Gates, hanno agende simili, a cui si aggiunge la campagna contro il riscaldamento globale. Lascia perplessi, piuttosto, che una fondazione che si intitola Società Aperta (dal titolo del classico del liberalismo di Karl Popper) agisca con metodi non molto aperti, né troppo trasparenti per influenzare classi dirigenti in tutto il mondo. Lo dimostra il fatto stesso che c’è voluto un gruppo di hacker per sapere cosa bolle in quella pentola. E’ segno che queste politiche non potrebbero essere sostenute da ampie maggioranze dell’opinione pubblica, se fossero palesi sin da subito. La sinistra ha perso il marxismo, ma non rinuncia alla sua agenda globalista in cui l’unico valore è ora la “diversità”, nuova declinazione dell’uguaglianza sociale. E sempre con i vecchi esponenti della vecchia sinistra, se è vero che, nel nostro paese, i possibili “compagni di strada” delle politiche europee promosse da Soros sono Sergio Cofferati (ex Cgil), Barbara Spinelli (L’Altra Europa con Tsipras) e Cécile Kyenge.
(di Stefano Magni su La Nuova Bussola Quotidiana del 24 agosto 2016)
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Vescovi coraggiosi. L'aquila di Ferrara:
"No ai musulmani alle messe cattoliche"
di Andrea Morigi, per Libero del 17 agosto
Ora basta con i musulmani a messa. Al termine della celebrazione eucaristica del 15 agosto, nella Cattedrale di Ferrara, l' arcivescovo Luigi Negri ha qualche sassolino da togliersi dalle scarpe. Così, prima della benedizione solenne, torna all' ambone e si rivolge all' assemblea: «Mi sembra fondamentale una chiarificazione», esordisce. Quel che aveva ritenuto di omettere nella predica è un avvertimento: «È certamente importante che in un tempo così delicato come quello che stiamo vivendo, si attivino tutte le possibilità di dialogo e di incontro per favorire la reciproca conoscenza tra gli appartenenti alle diverse religioni. Sono infatti sinceramente convinto che la conoscenza attraverso il dialogo possa favorire un clima sociale migliore».
Fin qui, tutto bene. Se non che, dopo la partecipazione di alcuni esponenti della comunità islamica alle celebrazioni liturgiche anche nel territorio della diocesi di Ferrara-Comacchio, un decreto di espulsione disposto il 10 agosto dal Viminale nei confronti dell' albanese Hidri Sajmir, residente nella vicina Vigarano Mainarda, ha fatto venire alla luce il lato oscuro delle moschee locali, quello violento. Per dirla con le parole del ministro dell' Interno Angelino Alfano, l' uomo svolgeva «un' attività di proselitismo rivolta ai fedeli con un linguaggio denso di tratti di fanatismo e consultava online, freneticamente, siti con contenuti riferibili allo Stato Islamico».
Gente così, meglio tenerla fuori dai confini italiani. In ogni caso, per quanto riguarda la pratica pastorale, non è di nessuna utilità invitare in chiesa fedeli di altre religioni o persone non battezzate che generano soltanto confusione e sconcerto fra i cattolici. Soprattutto dopo che meno di un mese fa, il 26 luglio, a Saint-Etienne-du-Rouvray, in Normandia, proprio dei fedeli di Allah hanno sgozzato un prete che stava celebrando. È naturale che anche fra i cattolici praticanti sorga qualche dubbio sull' improvviso embrassons-nous.
Infatti, in Francia, un' indagine sociologica dell' istituto Ifop pubblicata da Le Monde il 12 agosto indica che il 45% dei cattolici francesi percepiscono l' islam come «una minaccia». L' anno scorso, erano appena il 33%. Fra i francesi in genere, invece, solo una lieve variazione, dal 32 al 33%. Il buonismo delle gerarchie ecclesiastiche appare sempre meno convincente, secondo il sondaggio che registra anche l' opinione del 71% dei fedeli, per i quali l' islam è troppo influente e troppo visibile, alla faccia dei proclami sulla laicità. Quattro anni fa chi la pensava così era soltanto il 60%. E ora i cattolici non sopportano più nemmeno l' ostentazione del velo da parte delle donne musulmane: dal 54% di quattro anni fa, sono saliti al 67, contro il 63% della media francese. Altro che sottomissione.
Indipendentemente dalla lettura dei quotidiani d' Oltralpe, monsignor Negri coglie la medesima atmosfera nel suo piccolo gregge. È convinto «che le iniziative intraprese nelle celebrazioni eucaristiche delle scorse domeniche - da inquadrarsi nel momento drammatico dell' uccisione di P. Jacques Hamel, in cui i rappresentanti delle comunità islamiche hanno espresso vicinanza alle comunità cristiane - dopo aver raggiunto il loro obiettivo abbiano anche esaurito la loro funzione». Grazie a tutti, insomma.
Ma adesso ognuno torni a frequentare i propri luoghi di culto.
«È infatti un bene che i cattolici possano ora vivere autonomamente la santa messa come è nella natura della celebrazione liturgica di questo sacramento, che non è stato istituito allo scopo di far dialogare le diverse religioni, ma per far partecipare i battezzati al mistero della passione, morte e risurrezione del Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio», spiega ancora il vescovo.
Quel che gli preme, infine, è scardinare le argomentazioni di quanti nell' occasione hanno sottolineato la presunta devozione mariana dei musulmani, o almeno la significativa presenza della Vergine Maria in una sura del Corano. La differenza con chi la venera come Madre di Dio è enorme. Dunque «noi non possiamo accettare che neanche per scherzo si possa parlare di Maria con un' accentuazione soltanto storica o storicistica. Non possiamo accettare di ridurre il mistero della Madre del Signore a realtà secondaria, che non toccherebbe la sostanza del dogma di Cristo. Chi riduce l' importanza del mistero della divina maternità della Vergine Maria attacca decisamente la sostanza della fede».
Non è nemmeno necessario che nomini i musulmani. Tanto il popolo di Dio, raccolto lì davanti, ha già capito tutto.
di Andrea Morigi
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Cannabis: Non c’è niente di leggero!
di Don Chino Pezzoli – Fondatore della Cooperativa Sociale Promozione Umana.
agosto 2016
Spesso ritorna questa notizia: uso della cannabis a scopo terapeutico.
Si ripetono le solite sparate, la solita superficialità.
Dopo tanti anni di esperienza con i tossicodipendenti non riusciamo proprio a classificare alcune droghe come “leggere”. Se per droghe leggere si intendono le sostanze canna biche (hashish e marijuana) occorre spiegare ai giovani e adulti che cosa si intende per “leggere”.
Un errore, ormai diffuso, consiste nel classificare come “leggere” le sostanze con le quali si può convivere. Si procede nel pubblicizzare l’uso delle sostanze canna biche.
Si assicura l’opinione pubblica che tali sostanze non fanno male, che occorre permettere l’uso.
Autorevoli personaggi fanno conoscere la loro opinione in merito, che il più delle volte suona come una sentenza o peggio, invito alla trasgressione.
Non va dimenticato poi come l’uso della cannabis è il consolidato “rito” iniziale per passare alle altre sostanze “pesanti” come eroina ma in particolar modo la cocaina. Le schede che compiliamo ai nostri centri d’ascolto, quando i ragazzi vengono per chiedere la comunità, ci danno questo dato chiaro e preciso: più dell’85% dei ragazzi dipendenti da droga hanno iniziato con gli “spinelli”.
E ormai più che certo, oggi, che la cannabis è diventata la droga d’inizio.
L’uso precoce di cannabis può avere un ruolo importante nella sensibilizzazione cerebrale verso la ricerca e la sperimentazione di sostanze stupefacenti a più alto rendimento farmacologico.
In molte persone, non in tutte, l’uso precoce può indurre un comportamento di ulteriore sperimentazione evolutiva di droghe.
Chi usa cannabis corre un rischio 60 volte maggiore di passare ad altre sostanze illecite rispetto a chi non consuma. Credo, poi, che sia necessario considerare, prima di tutto, il significato dell’uso di una sostanza stupefacente all’interno della cultura giovanile e le sue implicanze psichiche sullo sviluppo dell’io.
Bisogna riconoscere che nella cultura contemporanea c’è un’alta incidenza e un’ampia accettazione dell’uso di marijuana, di hashish.
La maggior parte dei diciottenni (2/3 circa) hanno sperimentato tali sostanze.
Un tasso di sperimentatori e consumatori così alto ci preoccupa e non può essere considerato un comportamento deviante da tollerare o da legittimare con una legge.
Il periodo dell’adolescenza è difficile, il giovane affronta il compito evolutivo di differenziazione dai genitori per raggiungere una identità autonoma.
La sperimentazione dei nuovi valori e delle nuove convinzioni, la ricerca di nuovi ruoli e identità, la verifica dei propri limiti e dei confini del proprio sé, non possono essere turbati da una sostanza alternativa della psiche. Affermare che gli adolescenti, proprio per la loro esigenza di sperimentazione evolutiva e verifica dei propri limiti, sono tentati di sperimentare l’uso di sostanze canna biche è davvero una pazzia scientifica.
La mente debole e non ancora strutturata dell’adolescente passa facilmente dall’uso all’abuso delle sostanze canna biche. Spesso l’adolescente trova in queste sostanze lo sfogo emotivo e la compensazione per la carenza di rapporti umani significativi.
E’ estremamente pericoloso favorire al giovane l’uso di sostanze disinibitorie per permettergli un inserimento adeguato nel gruppo dei pari.
Non è la marijuana il “farmaco” che disinibisce e permette la comunicazione, il dialogo.
Una mente alterata non comunica con gli altri, ma solo riesce a fondersi nel gruppo perdendo completamente l’autonomia, l’identità.
Forse alla nostra cultura piace il giovane in balia di spinte emozionali incontrollate, di gesti euforici e disordinati, di comportamenti rambeschi.
Ecco perché si scrive e si dice che i giovani che consumano cannabis hanno migliori capacità di istaurare rapporti sociali, hanno un maggior senso d’avventura e si preoccupano maggiormente dei sentimenti degli altri.
Sono bugie professionali che non possono essere sostenute se non si vuole confondere la maturità dell’io con la stupidità.
Qualcuno poi ha anche sostenuto che l’uso della marijuana e hashish facilità un concetto positivo di sé. Ipotecare una simile eresia equivale a sostenere la tesi che tutte le persone per evolvere e prendere coscienza del proprio io, dovrebbero conoscere l’impiego di cannaboidi o di altre sostanze. Siamo veramente in una cultura demenziale! Si vuole a tutti i costi legittimare una devianza con tesi assurde.
Si cerca, inoltre, di sostenere che il consumo di cannabis abbia assunto, nella cultura giovanile, gli stessi significati psico-sociali che erano associati all’alcool nelle generazioni precedenti.
Di fronte a simili affermazioni pericolose, sarà bene precisare alcuni rischi derivanti dall’uso delle cannabis.
Prima di tutto, è bene ribadirlo, che sono pochissimi gli sperimentatori della cannabis che riflettono una normale fase di esplorazione e di curiosità. I giovani sperimentatori, ben presto, diventano consumatori. I consumatori abituali sono incapaci di investire energie in relazioni interpersonali significative o di trarne soddisfazione.
Inoltre, la loro sfiducia, la loro ostilità e il loro isolamento emotivo, impediscono che le relazione ottenute sotto l’effetto della sostanza divengano realtà.
Non sono in grado di investire le loro energie nella scuola, nel lavoro, o di impegnarle per il raggiungimento di obiettivi significativi.
In altre parole, sono alienati “dall’amore e dal lavoro”, da ciò che da significato alla vita e permette di trarne soddisfazione. Parallelamente si sentono infelici e inadeguati con tutti e con tutto. Sentendosi infelici e incapaci, questi giovani rifiutano qualsiasi rapporto continuo e costruttivo e vivono in un “mondo-altro” palesando reattività e aggressività verso una vita normale.
Dimostrano, quindi, incapacità nel controllare e regolare gli impulsi. Non c’è in loro interessi per i rapporti umani, vale a dire, non c’è rapporto con ciò che dà alla vita un senso di stabilità, uno scopo.
L’impulso del momento diventa per loro fondamentale, non viene però trasformato gradualmente e mediato da un sistema più ampio di valori e di obiettivi, perché il sistema psichico è alterato e quindi carente di funzionalità elaborativa dei contenuti.
Nella mancanza e abbassamento delle capacità interiori, la pazienza e tolleranza sono impossibili. Gli stessi sentimenti vengono “offuscati”in quanto la sostanza offre momentanee gratificazioni illusive di relazione, di contenuto, di rapporto con gli altri.
Si hanno, inoltre, seri motivi (questo è grave) per ritenere che l’uso della cannabis procuri al consumatore disagi assai gravi, come la riattivazione di stati latenti schizofrenici. Sono ormai parecchi i casi accertati di giovani compromessi nella psiche in modo irreversibile per l’uso di tali sostanze.
Cannabis e alterazioni cerebrali
Secondo gli studi del Dott. Ameri (1999), la tossicità della marijuana è stata sottovalutata per molto tempo. Tuttavia, recenti scoperte hanno evidenziato che il principio attivo della THC tetraidrocannabinolo (quintuplicato in questi ultimi anni), induce la morte cellulare con restringimento dei neuroni e la frammentazione del DNA nell’ippocampo. L’esposizione al THC nella fase dell’adolescenza è stata associata a deficit cognitivi a lungo termine e ad una minore efficienza delle connessioni sinaitiche nell’ippocampo in età adulta. Gli studi sugli effetti cognitivi dell’uso di cannabis riportano deficit nell’attenzione sostenuta, nell’apprendimento, nella memoria, nella flessibilità mentale. Gli studi sugli umani indicano che più precoce è l’inizio d’uso di cannabis, maggiori e più gravi sono le conseguenze cognitive associate.
Cannabis e disturbi psicotici
Il consumo i cannabis ha effetti molto gravi sempre a partire dall’adolescenza: confermano che le alterazioni conseguenti all’uso di cannabis alterano la capacità dei neuroni di svilupparsi in maniera appropriata, con il risultato che il cervello di un adulto che da adolescente ha consumato cannabis risulta (più leggero) più vulnerabile ed esposto all’insorgere di disturbi mentali (depressione, psicosi, e disturbi affettivi) (Le Bec 2009)
Dipendenza e astinenza
L’uso di cannabis a lungo termine può condurre a dipendenza. I sintomi di una possibile dipendenza, quali umore irritabile o ansioso, accompagnato da modificazioni fisiche come tremore, sudorazione, nausea, modifiche dell’appetito e turbe del sonno, sono stati descritti anche in associazione a dosi molto alte di cannabis.
Cannabis e cancro
Il fumo di cannabis altera la composizione genetica del DNA aumentando il rischio di cancro. La tossicità colpisce a livello osseo, respiratorio (danno alle mucose bronchiali 3-4 spinelli al giorno corrispondono a quello derivante da 20 o più sigarette al giorno) e psichiatrico.
Cannabis e sessualità
Molti soggetti consumatori di cannabis possono risultare incapaci di raggiungere l’erezione. E’ noto da tempo, infatti, l’effetto negativo sulla sfera sessuale del principio attivo della cannabis (THC) sia sugli uomini che sulle donne. Il consumo di marijuana è stato anche associato all’inibizione dell’orgasmo. L’abuso di sostanze potrebbe contribuire a provocare l’infertilità nell’uomo. E’ stato osservato una minor incidenza di spermatozoi competenti, cioè in grado di fecondare, nei fumatori di cannabis rispetto ai non fumatori. Per la fertilità femminile, aumento dei livelli testosterone, alterazione del ciclo mestruale.
Cannabis, alcool ed effetti sulla guida
Alcool e cannabis sono le due sostanze psicoattive più diffuse tra i consumatori di droghe, spesso assunte in maniera combinata anche prima di mettersi alla guida e, per questo causa di numerosi incidenti stradali. Gli effetti della cannabis alla guida variano in relazione alla dose di principio attivo assunta, alla via di somministrazione, alle esperienze pregresse dell’utilizzazione, alla vulnerabilità individuale e al contesto di assunzione. Sia gli studi sperimentali che gli studi epidemiologici che analizzano gli effetti della cannabis sulle prestazioni psicomotorie evidenziano scompensi gravi rispetto ad una serie di funzioni necessarie alla guida.
Uso di cannabis e comportamenti criminali
Il consumo di cannabis in età adolescenziale aumenta la possibilità di essere successivamente coinvolti in attività criminali.
Conclusioni
Facciamo nostre le parole del Dipartimento Nazionale delle Dipendenze: “..gli effetti negativi della cannabis e dei suoi derivati sulla salute sono molteplici e tutt’altro che sottovalutabili. La letteratura scientifica, a questo proposito, non lascia dubbi. Non si comprende quindi come, alla luce di queste evidenze, vi siano ancora percezioni e opinioni secondo cui tali sostanze non sarebbero pericolose o addirittura dotate di effetti positivi per l’organismo umano. Si ritiene per tanto che il termine comunemente ed erroneamente usato di “droghe leggere” per definire queste sostanze sia completamente fuori luogo e totalmente inadatto, oltre che fonte di interpretazioni distorte e non veritiere. Nessun altra sostanza al mondo, con queste caratteristiche così ben documentata da studi autorevoli, verrebbe altrettanto classificata come “leggera” e quindi fatta percepire come non pericolosa, consentendone, quindi, implicitamente, se non addirittura esplicitamente l’uso. E’evidente, a questo punto, che esistono altri fattori, al di là della razionalità e della semplice logica, che sottostanno alle ragioni di chi ritiene queste sostanze scevre da rischi e pericoli per la salute e pretende la loro esclusione dalla lista delle sostanze proibite”.
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Poligamia, burka e burkini: l’Islam sveglia l’Occidente ?
di Rodolfo de Mattei, per Osservatorio Gender del 20 agosto 2016
L’Islam suona la sveglia all’Occidente mettendone a nudo le intrinseche fragilità ed evidenti contraddizioni. Negli ultimi mesi, l’Europa laica e liberale, di fronte all’intensificarsi dei tragici attentati, dei sempre più massicci flussi migratori provenienti dalle incendiarie coste libiche, in aggiunta agli impietosi dati statistici sul pesantissimo inverno demografico che attende il nostro continente, si è infatti trovata di fronte ad un’accesa e paradossale discussione in merito alla “tollerabilità” di alcuni diritti sociali costitutivi dell’Islam. Tra questi, in particolare, il diritto alla poligamia e il diritto ad indossare il cosiddetto “burkini” sulle spiagge europee.
La polemica sulla poligamia
A far scoppiare il caso sulla poligamia è stato Hamza Roberto Picardo il fondatore dell’Ucoii, l’Unione delle Comunità islamiche, il quale, il giorno della celebrazione della prima unione gay a Palazzo Reale da parte del sindaco di Milano Beppe Sala, ha così commentato su Facebook:
“Se è solo una questione di diritti civili, ebbene la poligamia è un diritto civile”. «I musulmani – ha aggiunto Picardo- non sono d’accordo neppure sulle unioni omosessuali e tuttavia non possono che accettare un ordinamento che le ha consentite. Il problema è che se le convinzioni etico e spirituali delle persone non hanno titolo d’interdizione nella sfera pubblica, allora non si capisce perché una relazione tra adulti edotti e consenzienti possa essere vietata, di più, stigmatizzata, di più, aborrita».
La dichiarazione del rappresentante dell’Ucoii ha immediatamente suscitato un fiume di prevedibili sdegnate reazioni, come quella del senatore del PD Luigi Manconi, il quale, in un editoriale pubblicato sul “Corriere della Sera” del 8 agosto 2016, ha replicato a Picardo, sottolineando come l’istituto della poligamia non abbia diritto ad alcuno spazio nell’ordinamento giuridico italiano in quanto violerebbe in nuce i principi fondanti del nostro “vivere civile”:
“Piccardo sbaglia di grosso, sin dalla premessa: la poligamia non è affatto «una questione di diritti civili». La poligamia, per contenuto morale e per struttura del vincolo, si fonda — e non può che fondarsi — su una condizione di disparità, che viene riprodotta e perpetuata. Comunque la si voglia argomentare e manipolare fino a immaginare il suo rovesciamento speculare (più uomini sposati con una sola donna), si tratta in ogni caso di un rapporto fondato su uno stato di diseguaglianza”.
Il fatto non tollerabile evidenziato da Manconi sarebbe quindi lo stato di diseguaglianza in cui si verrebbe a trovare la donna all’interno di una relazione poligama, una disparità nei suoi confronti inaccettabile, da rifiutare senza indugio:
“La parità tra i sessi e la tutela della dignità contro ogni discriminazione, costituiscono un diritto fondamentale della persona, che è (proprio per questo) non disponibile. Ovvero, un diritto non alienabile (e non limitabile, modificabile o cedibile) persino da parte del suo stesso titolare. Un diritto, cioè, sottratto ad ogni potere dispositivo: fosse anche quello del suo stesso beneficiario (…). Questa discussione è di cruciale importanza perché consente di tracciare un discrimine limpido tra quanto – delle tradizioni, delle confessioni e delle culture di diversa origine – è accettabile all’interno del nostro ordinamento giuridico e della nostra vita sociale e quanto, al contrario, deve essere rifiutato. (…) Di conseguenza, il relativismo culturale, che è manifestazione propria di una concezione liberale della società, non può accettare l’esclusione delle ragazze dall’istruzione scolastica o la loro subordinazione ai maschi, i matrimoni precoci e le mutilazioni genitali femminili (…)”.
La polemica sul burkini
Il secondo “tormentone” di questa estate 2016 è stato il “si o no” al burkini, vocabolo ibrido tra burqa e bikini on il quale viene indicato il particolare costume da bagno per le donne musulmane, ideato nel 2000 da una stilista australiana di origini libanesi, che lascia scoperti solo viso, mani e piedi.
A scatenare l’infuocato dibattito sono stati i divieti di indossarlo istituiti da alcuni sindaci della Costa Azzurra e della Corsica, intenzionati con le loro decisioni a dare un messaggio forte alla comunità musulmana.
Contro il burkini si è schierato anche lo stesso primo ministro francese Manuel Valls, definendolo “incompatibile con i valori della Francia“ in quanto “espressione di un’ideologia basata sull’asservimento della donna”.
Sulla stessa linea, anche la Germania della cancelliera Angela Merkel, che attraverso il suo ministro dell’Interno Thomas de Maiziére si è espressa contro l’utilizzo del burka e del burkini, dichiarando:
“rifiutiamo, all’unanimità il velo integrale. Mostrare il proprio volto è fondamentale nella nostra società”. Quello che si prospetta in Germania, come si legge sul “Corriere della Sera” del 20 agosto è dunque “una parziale messa al bando del velo integrale islamico (burqa o niqab): nessuna donna potrà indossarlo a scuola, nelle università, durante manifestazioni, ai controlli di sicurezza, mentre guida o quando svolge funzioni pubbliche”.
Alcune riflessioni sul tema
Gli accesi dibattiti attorno poligamia e burkini di queste settimane suggeriscono alcune riflessioni.
La discussione sul diritto alla poligamia e quella sulla messa la bando del burkini hanno fatto emergere le due anime contrapposte dell’Occidente contemporaneo: l’anima relativista e libertaria e l’anima laicista e ugualitaria.
La prima in nome del liberalismo e dell’autodeterminazione della donna, abituata in Occidente a disporre senza limiti del proprio corpo, sente di non poter “proibire” alla donna la libertà di scelta di intraprendere una relazione poligama o di coprire il proprio corpo dove, quando e come crede.
La seconda anima, emblematicamente incarnata dalla laicité francese, applicando il secolarismo di Stato, rifiuta per principio qualsiasi simbolo che richiami una qualche appartenenza religiosa.
Per uscire dall’ angusto ed imbarazzante vicolo cieco, che vede l’Islam mettere in crisi il decantato pluralismo occidentale, la via di fuga, ben espressa dal senatore Manconi, è quella di passare con un agile balzo dall’ideologia liberale a quella egualitaria, affermando che
“la parità tra i sessi e la tutela della dignità contro ogni discriminazione, costituiscono un diritto fondamentale della persona, che è (proprio per questo) non disponibile. Ovvero, un diritto non alienabile (e non limitabile, modificabile o cedibile) persino da parte del suo stesso titolare. Un diritto, cioè, sottratto ad ogni potere dispositivo: fosse anche quello del suo stesso beneficiario (…)“.
DA VOLTAIRE A ROUSSEAU
Vista la mala parata del liberalismo sfrenato ci si rifugia nell’egualitarismo radicale. Da Voltaire si passa a Rousseau. Liberalismo ed egualitarismo mostrano così di essere frutto dello stesso albero. Il passaggio dal primo al secondo non è altro che una tappa del processo rivoluzionario descritto dal pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995):
«Quando la Rivoluzione si rese conto che, se si lasciano liberi gli uomini, diseguali per le loro attitudini e la loro volontà di impegno, la libertà genera la diseguaglianza, decise, in odio a questa, di sacrificare quella. Da ciò nacque la sua fase socialista. Questa fase ne costituisce soltanto una tappa. La Rivoluzione spera, al suo termine ultimo, di realizzare uno stato di cose in cui la completa libertà coesista con la piena uguaglianza. Così, storicamente, il movimento socialista è un semplice compimento del movimento liberale».
L’attuale scontro culturale attorno ai presunti “diritti” della comunità musulmana mette in luce la debolezza dell’impianto relativista sulla quale è stata costruita la società occidentale. L’odierna politica occidentale volta ad allargare all’infinito la sfera dei diritti soggettivi, se vuole essere coerente con sé stessa, non può negare la rivendicazione del diritto alla poligamia di Picardo o la richiesta di poter coprire il proprio corpo sulle spiagge europee.
La stessa “madrina” della legge sui diritti civili alle coppie omosessuali, Monica Cirinnà, ha sottolineato che, essendo la
“libera scelta e l’autodeterminazione delle donne il faro guida, è giusto che la donna possa liberarsi del burkini o di altri simboli se vi è un’imposizione o un obbligo e la donna non vuole subirlo. Ma se lo indossa per libera scelta deve essere libera di indossarlo”.
D’altro canto, l’Occidente che si scandalizza per le donne coperte e vieta il burkini è lo stesso che permette sulle proprie spiagge la libera esibizione di topless e nudismo integrale senza colpo ferire.
La verità sembra essere che l’Occidente secolarizzato, che ha preteso di espellere la religione da ogni ambito pubblico, rinnegando la propria identità cristiana, dopo decenni di fallimentari politiche multiculturali, si trova oggi a fare i conti con la radicata identità politico-religiosa della popolazione musulmana presente sul suo territorio.
La strategia della “mano tesa” finalizzata a favorire l’integrazione dei musulmani sul suolo europeo attraverso costruzioni di moschee ed innumerevoli concessioni dimostra nei fatti il suo disastroso fallimento. La tanto sbandierata “reciprocità” non c’è e non c’è mai stata. In cambio della nostra politica di accoglienza abbiamo ricevuto solo bombe e il più grande esodo di cristiani dal Medio Oriente della storia.
In questo contesto, il no di alcuni governanti europei alla poligamia e al burkini sembra essere una estemporanea prova di forza, fatta anche per accontentare l’esasperato elettorato, destinata a rivelarsi del tutto velleitaria, senza una autentica riscoperta e valorizzazione dell’identità e delle radici cristiane dell’Europa.
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Dalla Prefazione di Magdi Allam.
"Pietro Castagneri non è, almeno formalmente, un islamologo, ovvero un esperto di islam. Di fatto ha realizzato un’opera di islamologia di valore scientifico per la correttezza dei dati e l’elaborazione oggettiva dei temi.
Al punto che considero “Obamallah” un testo di riferimento di particolare interesse non solo per i neofiti ma anche per coloro che vogliono approfondire la complessa e mistificata realtà dell’islam.
Vi consiglio calorosamente di leggerlo.
Castagneri è riuscito brillantemente nella sua impresa esponendo l’insieme dei fatti e dei concetti in modo semplice e pacato in modo da risultare comprensibile e avvincente al grande pubblico.
Vi troverete una solida struttura fondata sulla ragione che ci consente di pervenire alla realtà dei fatti e di valutarli criticamente, ma potrete toccare con mano una profonda spiritualità che nasce dall’amore sconfinato per la vita, la verità e la libertà. Se pertanto il giudizio sull’islam come religione è rigoroso evidenziando la sua negatività, ciò è sempre e comunque correttamente rapportato alla violazione dei diritti fondamentali della persona che incarnano i valori non negoziabili della nostra comune umanità e civiltà"
L'eBook
"Obamallah"
che da oggi è scaricabile gratuitamente, è un file compresso di grandi dimensioni (7Mb) che contiene il testo in versione PDF, EPub e Mobi.
(Andare sulla homepage, cliccare l'etichetta "Formazione", quindi "Libri scaricabili gratuitamente")
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Lo scopo: rivoluzione contro la famiglia. La tattica: infiltrarsi nelle scuole e intimidire chi resiste.
Un elenco dei progetti pro-gender nelle scuole (cliccare su Leggi tutto in fondo a questa pagina)
Dopo il portale del Governo Renzi per diffondere l'omosessualismo, un esempio
Nuovi obiettivi per l’associazione Lgbt “RAIN”
’associazione “RAIN” di Caserta facente parte addirittura della categoria ONLUS, ha da poco eletto i nuovi organi. Fra tutti spicca il nome di Bernardo Diana, che ricoprirà la carica di nuovo presidente, confermando la sua voglia di fare, a partire dalle tante attività che devono esser promesse sul territorio.
Il neo-presidente, che fra l’altro risulta studente presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, lo stesso in cui vengono organizzate le manifestazioni sportive e non contro “omofobia” e “bullismo omofobo”, ha espresso un commento in seguito all’inaspettata elezione:
«Assumere la presidenza di questa associazione mi rende fiero e davvero felice: abbiamo molte attività che bollono in pentola, speriamo di essere all’altezza ed essere pronti per questo periodo post Pride nel quale ci prepariamo per la celebrazione delle prime unioni civili a Caserta»
Nel mirino di tutti come possiamo vedere, ci sono i frutti del ddl Cirinnà, che si estende ora sempre più in ogni città, sotto il presidio degli entusiasti sindaco e delle comunità LGBT locali.
Tra le attività che inizieranno a settembre sono in evidenza lo sportello di assistenza legale, la biblioteca e centro di documentazione di cultura omosessuale e queer, una rassegna cinematografica nonché appuntamenti settimanali di discussione e conoscenza presso la nuova sede che sarà inaugurata in autunno proprio a Caserta. Siamo certi che in tutte queste “belle” attività di formazione sociale vi sarà l’accompagnamento dei partiti, ivi del comune stesso.
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Gender: “paradigma etico” o rivoluzione contro la famiglia?
L’ideologia gender negli ultimi tempi ha conquistato, rapidamente, spazi sempre più ampi, arrivando a mettere in discussione e a ribaltare concetti elementari e fondamentali del vivere quotidiano di qualsiasi società.
Essa si presenta come un nuovo “paradigma etico“. In realtà è una vera rivoluzione morale.
Il fondamento di tale rivoluzione etica è riassumibile nell’espressione “negazione della realtà”.
In tal senso, alla realtà, così come noi la vediamo e la conosciamo, si sostituisce una pura astratta costruzione sociale, priva di alcun carattere stabile e oggettivo. Tutto è lasciato alla illimitata interpretazione del singolo che, in maniera del tutto soggettiva ed autonoma, sarà libero di attribuire, a qualsiasi fatto o cosa, la propria personale ed esclusiva spiegazione.
Da qui discende, in maniera logica e coerente, il rifiuto di ogni limite o confine naturale o morale.
Come ben osserva, infatti, a tal proposito, la Peeters, se il “dato” non esiste, allora le norme e le strutture sociali, politiche, giuridiche, spirituali possono venire decostruite e ricostruite a piacere, secondo le trasformazioni socioculturali del momento e l’assoluto diritto di scelta. Il “diritto di scelta” diviene, dunque, l’intoccabile valore supremo di questa nuova cultura al quale tutto si deve sottoporre e sacrificare.
In tale ottica, il nuovo paradigma prescinde da implicazioni etiche e morali reclamando ed esercitando ogni diritto «contro la legge naturale, contro le tradizioni e contro la rivelazione divina».
Da tale constatazione si evince il carattere distruttivo di questa ideologia che, per affermare se stessa, deve prima fare tabula rasa delle strutture portanti e consolidate della società.
Un altro lucido autore, mons. Michel Schooyans, ricorda come, il sociologo tedesco Max Weber (1864-1920) distingue tra “etica della convinzione” ed “etica della responsabilità”.
La prima, di origine cristiana, impone di sottomettere le proprie azioni alle norme e ai principi morali, anche a costo della propria vita, secondo l’esempio dei profeti, degli eroi e dei santi; ad essa, si contrappone la nuova “etica della responsabilità”,
«l’etica dell’uomo politico che, impegnato in un mondo violento, dovendo salvare la vita e affermare la sua supremazia, non si lascia intralciare da considerazioni sul bene e sul male». Un etica procedurale per la quale, «ciò che è corretto (right) o non corretto (wrong) risulterà da una decisione consensuale, convenzionale, nata – se necessario – da un voto. Una decisione “democratica” sarà una decisione uscita da un voto di maggioranza».
Per la teoria del gender, la famiglia naturale composta da un uomo e da una donna, che costituisce il nucleo primario di formazione dell’uomo, viene considerata come il principale nemico da abbattere.
Essa viene vista come un’istituzione che frena ed ostacola la libera autodeterminazione dell’individuo e, per tale ragione, va combattuta.
All’interno del processo storico descritto dal pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira si tratta di una Rivoluzione, la Quarta, che punta a distruggere la più importante microsocietà che è la famiglia naturale, dopo aver distrutto o almeno gravemente ferito, la “macrosocietà” politica.
Se i teorici del Sessantotto proclamavano la “morte della famiglia”, gli ideologi del gender celebrano la comparsa di diverse forme di famiglia per proclamare che “tutto è famiglia”: uno slogan astuto e dall’evidente sapore ideologico per dire che “niente è famiglia”. Si tratta di un chiaro stratagemma che, equiparando i diversi modelli di unione, punta a minare l’identità dell’istituto famigliare naturale, svuotandolo della sua peculiarità e specificità.
Le nuove “famiglie” si basano su legami volubili e appaiono come giocattoli, componibili e scomponibili secondo i propri gusti. Una famiglia emancipata dalla natura, costruita a misura dei propri desideri dove la confusione dei ruoli regna sovrana con buona pace dei figli. Un imprudente e letale approccio teorico che, mettendo da parte il giudizio morale, spalanca, potenzialmente, le porte a qualsivoglia tipo di relazione e rapporto.
(tratto da Gender Diktat. Origini e conseguenze di un’ideologia totalitaria – Rodolfo de Mattei,Solfanelli, Chieti 2014)
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Per i progetti pro omosessualismo introdotti surrettiziamente nelle scuole clicca qui.
In questo dossier riportiamo una selezione dei principali progetti e iniziative, applicati nelle scuole italiane o comunque rivolti a studenti o docenti, che si ispirano alla teoria di genere, prodotto dei “gender studies”, o/e alle teorie omosessualiste delle associazioni LGBT. Questeteorie hanno infatti principi e conseguenze comuni e nella pratica spesso si presentano assieme.
Il dossier riguarda principalmente gli anni 2014 – 2016 e non pretende difornireun elenco completo. Sono stati inclusi solo i progettie le iniziative che ci sono stati segnalati ela cui applicazione poteva essere precisamente determinata quanto a data, luogo e contenuti. Spesso il progetto esaminato non si riferiscesoloa unsingolo “caso”, in quanto un progetto è suscettibile di applicazione in più istituti scolastici ein alcune ipotesisi tratta di progetti che hannocoinvolto gran parte del corpo docente, o molteplici scuole, di intere Regioni o Province.
I progettie le iniziativedi questo tipo, con il pretesto di educare all’uguaglianza edi combattere lediscriminazioni, il bullismo, la violenza digenere o i cattivi stereotipi, spesso promuovono: l’equiparazione di ogni orientamento sessuale e di ogni tipo di “famiglia”; la prevalenza dell’ “identità di genere”sul sesso biologico(e la conseguente normalizzazione della transessualità e del transgenderismo); la decostruzione di ogni comportamento o ruolo tipicamente maschile o femminile insinuando chesi tratterebbe sempre di arbitrarie imposizioni culturali; la sessualizzazione precoce dei giovani e dei bambini.
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Nella foto a sinistra: Don Alessandro Santoro di Firenze, uno tra i più confusi presbiteri italiani, passato alle cronache per voler lavare i piedi a gay, musulmani, scismatici e trans. E persino al padre di Eluana Englaro.
Se le “nozze”gay sono un diritto, allora lo è anche la poligamia. Parola di Hamza Piccardo
di Cristiano Lugli, 8 agosto 2016, per Osservatorio Gender
Ci pare interessante segnalare una polemica sopraggiunta nei giorni tra la giunta milanese capitanata dal neo-sindaco Sala e il fondatore dell’Unione delle comunità islamiche (Ucoii) Hamza Piccardo, già portavoce del Coordinamento delle associazioni islamiche milanesi (Cairn).
Dopo i tanti rumors sollevatesi in seguito alle “celebrazioni” delle prime unioni “civili” tra persone dello stesso sesso nella storia di Milano, si è aggiunta quella fra Piccardo e le diversi fazioni politiche comunali e regionali.
«Sala celebra le unioni tra coppie di fatto? Se è solo una questione di diritti civili, anche la poligamia lo è. Lo Stato regolamenti le nozze plurime».
Così si è espresso il portavoce islamico dal suo profilo Facebook, attirandosi addosso un diluvio di critiche e di insulti, tant’è che verso la fine della giornata anche il primo cittadino milanese ha preso parola su quanto accaduto:
«E’ ora di finirla di attribuire chissà quale vicinanza mia e della mia giunta a Piccardo. Personalmente condivido molto poco del suo pensiero, certamente non le recenti dichiarazioni sulla poligamia. Con il mondo islamico come con ogni comunità della nostra città si dialoga, ma io non ho certo un rapporto privilegiato con il signor Piccardo, proprio no».
Gli stessi concetti sono stati poi anche ribaditi dall’assessore al welfare, Pierfrancesco Majorino, impegnatissimo nel dialogo coi musulmani per la costruzione di moschee:
«La posizione di Hamza Piccardo è folle. Promuovere la poligamia significa proporre un terribile passo indietro sul piano dei diritti delle donne e sull’idea stessa di relazione tra i generi. Per fortuna non è minimamente all’ordine del giorno».
La vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani ha invece parlato della necessità di “idee chiare” e “principi fermi”:
«Ci sono stati secoli di lotte per l’emancipazione della donna che non possono essere certo messi da parte».
Apertura e tolleranza — ha detto la presidentessa del Friuli Venezia Giulia — sono il segno caratterizzante della nostra cultura, ma non possono spingersi fino a rinnegare se stesse»
Anche il Centrodestra non si è risparmiato a mettersi contro Piccardo, da Claderoli alla Santanchè, fino ad arrivare al leader della Lega Nord Matteo Salvini:
«Ma Piccardo torni a casa sua! Capito dove ci portano i buonisti? Dopo le unioni gay ora il governo dovrebbe approvare la poligamia …».
Pareva ovvio che la bomba mediatica lanciata dal fondatore dell’Unione delle comunità islamiche avesse come scopo la mera provocazione, pur non dubitando che in realtà sia davvero favorevole alla poligamia, visto che nel Corano viene espressa come cosa buona e giusta:
«Nessuno vuole dettare legge. Non si capisce perché una relazione tra adulti edotti e consenzienti possa essere vietata, di più, stigmatizzata e aborrita. Rispetto la laicità dello Stato che per me vuole dire equivicinanza. Non voglio attivare un movimento, però ho buttato una pietra nello stagno, cosi si è creato dibattito».
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Nonostante questa sorta di rettifica, e nonostante la nostra presa di posizione assolutamente contraria all’assurdo e strampalato pensiero di Piccardo, qualche critica deve essere volta anche ai contestatori che abbiamo poc’anzi menzionato.
Anzitutto a causa del motivo per cui gli stessi condannano la poligamia, ovvero non tanto il fatto che essa sia assolutamente contraria alle prerogative del matrimonio, sia in quanto Sacramento indissolubile fra uomo e donna, sia in quanto esso necessita preternaturalmente di essere monogamico per adempiere correttamente ai propri fini – la moltiplicazione della specie umana e il vicendevole amore che può essere garantito solo fra due persone – ma per il superficialissimo motivo che essa disonorerebbe le battaglie per l’emancipazione femminile.
Si può facilmente comprendere come queste motivazioni siano banali e degne di chi pone il progresso al di sopra di ogni cosa.
La provocazione del Nostro matura a questo punto un senso: perché se possiamo acconsentire a unioni fra persone dello stesso sesso, consenzienti, snaturando la radice dell’unica e possibile unione che è fra uomo e donna, non possiamo allora permettere che l’amore sia libero e anche regolamentato tramite unione con più persone?
Sembra assurdo, ovviamente ( e lo è! ) ma questo non toglie che se pur le due questioni pargano assolutamente con due facce diverse, facciano comunque parte della stessa medaglia.
Se con la poligamia si violenterebbe la natura del matrimonio, la libertà delle donne ed un saldo principio di doverosa fedeltà, abbiamo mai pensato a quanto le unioni “civili” fra persone dello stesso oltraggino la civiltà, scimmiottino il matrimonio e decidano conseguentemente sulla sorte di bambini tanto ignari quanto indifesi?
Forse che questi ultimi non pagherebbero le scelte non volute da loro ritrovandosi a vivere con il papà Marco che molla famiglia per andare a vivere con Luca?
Forse qualche politico dovrebbe centrare meglio il problema, e capire che non vi è molta differenza sotto sotto fra le due cose.
Se “l’amore è amore”, come rintronano i mantra obamiani e renziani, allora si deve recepire che ogni limite potrà e dovrà essere abbattuto.
Ed ecco quel che succede, e ciò che già è successo tramite la rimozione dell’ “obbligo di fedeltà” voluto e passato con il cosiddetto ddl Cirinnà.
Per concludere: fra musulmani ed lgbt scorre o non scorre buon sangue?
La tolleranza secondo i secondi dovrebbe essere alla base di tutto; secondo i primi un po’meno, tuttavia entrambi sembrano combattere per la stessa causa.
Ai posteri l’ardua sentenza.
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Matteo Liberatore s.j. – Il naturalismo politico - Introduzione e cura di Giovanni Turco –
Ed. Ripostes - Giffoni Valle Piana - 2016 – pp.107 - €.12,00
Il padre Liberatore (1810-1892) è stato uno dei più illustri gesuiti italiani dell’800; nato a Salerno ed entrato a far parte della provincia napoletana della Compagnia di Gesù nel 1826, già nel ’48, durante la Rivoluzione napoletana, sarebbe stato incluso tra i padri da sopprimere. Riparato a Malta insieme ai confratelli e quindi tornato a Napoli dopo che il re Ferdinando II ebbe sedato la rivolta, si segnalò ben presto tra i protagonisti della c.d. rinascita tomista cioè dello studio del pensiero di S. Tommaso d’Aquino, di cui era stato iniziatore il suo confratello e maestro il p. Luigi Prospero Taparelli d’Azeglio s.j.
Prolifico scrittore di saggi filosofici, il p. Liberatore si occupò molto anche di questioni giuridiche ed economiche. Per dare un’idea del rilievo del personaggio, basti ricordare che i suoi principali manuali di filosofia (Institutiones logicae et metaphysicae, Ethicae et iuris naturae elementa ed Institutiones Philosophicae, delle quali ultime correva anche una riduzione in italiano), nell’anno della sua morte, avevano oltrepassato le 30 edizioni. Fu inoltre tra i principali collaboratori del pontefice Leone XIII nell’elaborazione di alcune delle sue encicliche di maggior rilievo: Aeterni patris (1879) diretta a favorire la ripresa nella Chiesa dello studio di S. Tommaso; Immortale Dei (1885) sulla costituzione cristiana degli stati e Rerum novarum (1891), di cui gli fu affidata la prima stesura e che avrebbe poi costituito per decenni la pietra miliare della dottrina sociale della Chiesa.
A partire dall’anno della sua fondazione (1850), il nome del p. Liberatore è però principalmente legato alla Civiltà cattolica, la rivista dei gesuiti nata a Napoli e poi, dopo l’arrivo dei risorgimentali, trasferita a Roma, della quale egli fu l’animatore insieme al p. Taparelli d’Azeglio, al p. Carlo Maria Curci -poi allontanatosi dell’ordine- ed al p. Antonio Bresciani. Nei decenni in cui vi collaborò, il p. Liberatore si distinse –tra l’altro- per la sua polemica contro il liberalismo.
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Ė in tale ambito che si collocano tre saggi, aventi la lunghezza consueta (allora come oggi) di tutti quelli della rivista, cioè di circa una decina di pagine l’uno che, nel corso del 1883, egli dedicò al ‘modernismo’. La parola, a tale momento, non poteva certo riferirsi a quel movimento teologico-culturale che successivamente sarebbe poi stato bollato come eretico (ma nel 1907) dal papa S. Pio X con l’enciclica Pascendi dominici gregis ed il decreto Lamentabili, entrambi del 1907.
Per modernismo, il p. Liberatore intende piuttosto “lo spirito che avviva l’odierna rivoluzione. Esso consiste nella così detta autonomia dell’uomo, nella emancipazione della sua volontà da ogni legge positiva o naturale divina, nella sostituzione dell’uomo a Dio nel governo della società umana” (p.591). I tre saggi sono stati raccolti con il titolo ‘Il naturalismo politico’ da Giovanni Turco che li ha fatti precedere da una lunga introduzione volta ad inserirli nel contesto dell’opera dall’autore e delle polemiche del suo tempo. Lo spunto per la loro stesura derivò dalla pubblicazione, avvenuta lo stesso anno, di una raccolta di scritti di politica ed economia di Charles Périn (1815-1905), docente all’università cattolica di Lovanio (Belgio) ed eminente figura del cattolicesimo sociale di quella nazione. Tra i saggi che la compongono, l’attenzione del p. Liberatore è però dedicata a quello dal titolo “Il modernismo nella Chiesa nelle lettere inedite di La Mennais”; illustrandone il contenuto, il nostro autore ha così modo di esporre anche le sue riflessioni.
Più che riassumere il contenuto dei tre articoli, servirà qui richiamarne i punti di maggior interesse, quelli cioè che, a distanza di oltre 130 anni, ne hanno suggerito la ristampa.
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Anzitutto, secondo il p. Liberatore, l’errore di fondo del modernismo (inteso nel senso che si è detto) risiede nel fatto che “tolto Dio e la sua legge, non resta che l'uomo mutabile, soggetto a tutti gli errori della sua fallibile ragione, e a tutte le corruzioni della sua fragile volontà. Una società, formata con tali elementi, non può avere né stabilità di principii che accordi le menti, né amore di bene che leghi gli affetti. Essa naturalmente deve scindersi in partiti: ciascun dei quali cerchi di prevalere, ed agitarsi in cerca di un ignoto avvenire, che non serve ad altro che a fargli odiare il presente. Sempre malcontenta, sempre bramosa, sempre in lotta intestina, una società cosiffatta finirà collo sciogliersi e perdere la stessa effimera unità che tien congiunte le morte membra di un corpo separato dall'anima” (p.61). Si tratta di un’analisi che troverà puntuale conferma nelle vicende dei decenni successivi ed in particolare, per venire ad anni assai più recenti, nelle rivolte del ’68, quando apparirà chiaro a molti come la modernità, al di là dei suoi splendori tecnologici, costituisce in realtà la causa di un’inarrestabile decadenza della civiltà occidentale e cioè della dissoluzione della società ed in primis della famiglia.
Il p. Liberatore mostra poi la falsità dell’argomento cardine di tale modernismo secondo cui, in una società dove l’uomo è libero di scegliere tra la verità e l’errore, la prima finirà senz’altro per imporsi; “ciò avverrebbe, se la verità e l'errore combattessero nell'ordine astratto come due forme platoniche, per sé sussistenti. Ma amendue combattono nell'ordine concreto, individuate entrambe nell'uomo; e bene spesso l'una senza il presidio della scienza, come accade nelle ignare moltitudini, ed osteggiata da furenti passioni; mentreché l'altro oltre il potente aiuto di esse passioni, ha per sé il lenocinio della viva immaginazione, dell'accessibile sofisma e della seducente eloquenza. Se l'errore affrontasse la verità nella sola persona sona de' dotti ed adulti e morigerati, de' forti insomma; anche noi non dubiteremmo della vittoria di questa. Ma esso va ad assaltarla nella persona de' deboli, vale a dire de' popolani, de'giovani, de' magagnati dalle lusinghe del vizio. In costoro la verità, per difetto non suo ma del soggetto, non ha forze bastevoli da resistere, e soccomberà senza fallo, se non viene protetta dai poteri pubblici, il cui compito principale è appunto la protezione del debole”.
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A fronte di tale attacco che investe un po’ tutti i principi dell’ordine sociale il p. Libratore lamenta la presenza, all’interno del campo di chi ad esso dovrebbe opporsi, di pericolose tendenze al compromesso. Da qui, la critica serrata contro il ‘cattolicesimo liberale’, quella tendenza cioè “a sempre cedere” sostituendo “ai princìpi, gli espedienti”. Essa è la dottrina degli “opportunisti .. che .. si studiano di schivare il nemico .. con …concessioni intese a placare l’avversario” mentre in realtà “finiscono per cadergli nelle mani” (p.76).
Non meno incisive sono le critiche del p. Liberatore al moderno concetto di libertà. Con logica stringente, ricorrendo a san Tommaso, egli ricorda che si è veramente liberi solo quando si è padroni delle cause. Poiché invece vi sono molte cose di cui l’uomo non è affatto causa, a cominciare dal proprio essere, dal creato che lo circonda ecc., anche la sua libertà non potrà che essere circoscritta. Invece, “lo spirito rivoluzionario de’ tempi nostri ha pervertito il concetto di libertà … (perché) ... ha voluto che s’intendesse in senso assoluto, quando essa doveva intendersi in senso relativo” (p.80). Ha poi “trasferito la libertà dall’ordine individuale all’ordine politico e nell’uno e nell’altro l’ha concepita come fine a se stessa. Quinci la massima liberalesca che la libertà vuol piena balìa (= potere) come pel bene così pel male. Massima che, al trar de’ conti, viene a distruggere ogni distinzione tra il bene ed il male, e si fonda ultimamente nella negazione di Dio. L’uomo ateo, la società atea è il vero principio da cui quella massima discende” (p.81).
Ne discende che “la libertà voluta dal modernismo è propriamente la libertà del male, l’oppressione del bene.. e .. la società sotto il dominio del modernismo, è una società irrazionale e contro natura” (p.86).
Necessaria conseguenza di tutto ciò è la bruta legge del numero. Poiché infatti, il principio assoluto del ‘modernismo’ non è altro “che la libertà stessa indipendente degli individui .. che produce dissenso, non c’è altro mezzo per trovare in essa un principio di unità (e per) produrre un arbitrario consenso, (che ricorrere) alla prevalenza del numero … Ma il numero come tale non da che la forza ... La forza dunque e l’arbitrio, in luogo del diritto e della ragione debbono diventare il principio governativo della società” (pp.88). Ė questa dunque –e non altra- per il p. Liberatore la necessaria conseguenza di quella modernità che invece, a parole, affermava di voler rivendicare la massima dignità dell’uomo.
Per chiudere, si può solo aggiungere che il p. Liberatore ebbe anche il dono di uno stile piano, facile e ragionato, per cui, al di là di certi inevitabili arcaismi, le sue pagine scorrono agevolmente e rendono gustosa la lettura.
Andrea Gasperini
1 I numeri di pagina senza altra indicazione si riferiscono al saggio recensito
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Può l’Occidente degli uomini “spornosexual” contrastare l’homo islamicus ?
di Rodolfo de Mattei per Osservatorio Gender del 15 agosto 2016
C’erano una volta i “metrosexual”. L’Huffington Post dedica, a tale proposito, un articolo all’ultima frontiera in fatto di tendenze maschili, raccontando il recente fenomeno degli uomini cosiddetti “spornosexual”, secondo l’ultimo criptico neologismo affibbiato alla sempre meno virile e snaturata categoria maschile.
DAI “METROSEXUAL” AGLI “SPORNOSEXUAL“
Il nuovo termine nasce dalla fusione delle espressioni “sports star” e “porn star” ed è stato coniato nel luglio del 2014 dal giornalista inglese, Mark Simpson, che in un articolo per il Telegraph ha definito così il fenomeno dell’aumento degli uomini dediti al fitness esclusivamente per apparire belli, al di là di motivi di salute o di divertimento.
Simpson è lo stesso giornalista che nel 1994 aveva per la prima volta utilizzato, sul quotidiano britannico The Independent, la parola “metrosexual”, un incrocio linguistico tra le parole metro(politan) e (hetero)sexual, per indicare gli uomini provenienti da aree metropolitane caratterizzati da comportamenti simil-femminili, come lo smodato consumo di prodotti cosmetici, la pratica del fitness, l’abbronzatura artificiale, la depilazione del corpo e altri trattamenti estetici o salutistici.
La neo-categoria degli uomini “spornosexual” rappresenta dunque un ulteriore passo verso tale patetica e penosa deriva di de-mascolinizzazione dell’uomo contemporaneo.
Come scrive l’’Huffington Post, gli uomini “spornosexual”:
“Non riescono a raggiungere uno status rilevante, né a livello lavorativo né a livello sociale. Per questo provano a valorizzarsi in un altro modo e scelgono di puntare tutto sul corpo. È questo il fenomeno che coinvolge sempre più uomini che, invece di affrontare la vita, preferiscono correre in bagno davanti allo specchio e farsi selfie a petto nudo”.
IL PROPRIO CORPO COME BRAND
Il fenomeno degli “spornosexual” è stato analizzato e documentato in uno studio britannico, intitolato The Spornosexual: the affective contradictions of male body-work in neoliberal digital culture, condotto dalla University of East Anglia (UEA) e pubblicato sul Journal of Gender Studies.
Tale ricerca mette in luce come, nell’ “austera Gran Bretagna”, i classici e tradizionali percorsi maschili verso il successo e il potere siano stati, negli ultimi anni, abbandonati in favore di nuove inesplorate e improbabili vie che vedono i giovani ossessivamente concentrati sulla cura del proprio corpo fino a farne un vero e proprio social brand da esibire e commercializzare sul web.
Dal crollo finanziario del 2008 – nota l’autore dello studio il dott. Jamie Hakim – si è registrato un netto aumento di giovani che condividono le immagini dei loro corpi a scopo lavorativo sulle moderne piattaforme dei social media:
“L’aumento degli uomini ossessionati dalla palestra e che condividono immagini dei loro corpi perfetti si nota a partire dal 2008 e coincide con l’inizio della crisi. C’è una correlazione tra i due fenomeni: le strategie economiche messe in atto hanno favorito la disuguaglianza e sono state particolarmente ingiuste soprattutto nei confronti di quelli nati dopo il 1980. Prezzi delle case proibitivi, contratti di lavoro non a tempo indeterminato e le tasse hanno favorito l’instaurarsi di un clima di insicurezza”.
Il dott. Hakim ha intervistato tantissimi di questi giovani frequentatori assidui di palestre e proprietari di profili online aggiornati continuamente, osservando come la loro presenza ed attività sui social media sia diventata una delle loro principali “ragioni di vita”:
“Continuano a pubblicare foto perché l’idea di guadagnare del capitale grazie al loro essere ‘spornosexual’ è una delle poche gioie che rimane loro. Questa è solo una risposta al precariato causato dalla crisi”.
“Alcuni di questi profili – continua il dott. Hakim – si sono poi trasformati in brand, attività ben poco vantaggiose, però, dal punto di vista economico: se costa tempo e fatica mantenere un corpo ben allenato e un profilo aggiornato, il guadagno è tutto in termini di soddisfazione personale, nulla di più. Nonostante ciò, non trovando il loro posto nella società corrente o un lavoro soddisfacente, secondo i ricercatori, tali categorie di uomini sono spinte a continuare su questa strada”.
A conferma delle proprie tesi, lo studioso inglese ha dichiarato di aver esaminato i dati provenienti dal principale ente sportivo del Regno Unito, Sport England, che hanno mostrato un significativo aumento, anno dopo anno, tra il 2006 e il 2013, degli iscritti in palestra nella fascia di età dai 16 ai 25 anni. Allo stesso tempo, la società di ricerche di mercato Nielsen ha rilevato un fortissimo aumento, pari al 40%, delle vendite di prodotti nutrizionisti sportivi, utilizzati per eliminare il grasso corporeo e aumentare la massa muscolare, in 10 dei supermercati più grandi della Gran Bretagna.
Parallelamente a ciò, il dottor Hakim ha registrato inoltre una vertiginosa impennata delle vendite dei magazine, rivolti ad un pubblico maschile, riguardanti la salute e la cura del corpo. Tra questi – precisa il medico dell’UEA – la rivista Men’s Health è diventata uno dei giornali più letti nel 2009 del Regno Unito, arrivando a vendere due volte le copie di GQ, il suo più vicino competitor. Un inedito fenomeno, sintomo di un incredibile ed inquietante escalation di interesse per le immagini di uomini dai petti depilati e dagli addominali scolpiti, riscontrabile anche sui social network dove hanno iniziato a circolare sempre di più hashtag volti a documentare i “progressi” fisici di uomini ossessionati dal fitness.
RIFLESSIONI
La comparsa degli uomini “spornosexual” e lo studio del dott. Hakim suggeriscono alcune spontanee riflessioni.
Tale disastrosa deriva dell’uomo del XXI secolo non è, come afferma lo studio, il risultato del crescente clima di crisi economica e austerità, quanto il logico approdo di una ben più seria e profonda crisi valoriale e morale.
L’uomo “metrosexual” o “spornosexual” è il figlio naturale di una società iper sessualizzata e schizofrenica che rifiuta, per principio, l’esistenza di qualsiasi limite o confine dato.
Una prospettiva ideologica e perversa che pretende di costruire un ibrido uomo nuovo, né maschio né femmina, frutto della mescolanza e fluidità di genere.
Un progetto contro natura che mira a de-costruire l’uomo, svuotandolo della sua mascolinità, negando l’esistenza di confini naturali e biologici invalicabili.
Gli uomini “spornosexual” sono il simbolo emblematico della debolezza e della decadenza di un Occidente fragile e senza identità, sottomesso alla dittatura del relativismo e minacciato dalla sempre più massiccia presenza del vigoroso e fortemente identitario homo islamicus.
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Maria di fronte al Protestantesimo
Tratto da: P. Amadio Tinti OSM: MARIA DEBELLATRICE DELLE ERESIE
Cessato lo scisma d'Occidente, la Chiesa era quanto mai impegnata a ristabilire la disciplina, mediante una radicale riforma. Se non che, sotto il pretesto di ritornare alla vera vita cristiana, sorsero, eretici che pretesero riformare la Chiesa stessa. Questi furono Martin Lutero, Ulderico Zuinglio e Giovanni Calvino.
Con questo non vogliamo già dire che l'origine e la diffusione di questa pseudoriforma debba attribuirsi direttamente a Lutero, no; ma solo diciamo che Lutero e compagni trovarono il terreno preparato. Gli abusi e gli scandali che si deploravano nel secolo XVI, potevano dare occasione, ma non la vera causa delle aberrazioni luterane, perché, sebbene la corruzione fosse allora grande, non era però, ai tempi di Lutero come ai tempi di S. Pier Damiani e di S. Bernardo. Né migliori erano i cosiddetti riformatori di una chiesa che, senza confronti, era più santa di loro. (Mauri. Lez. Eccl. P. II. p. 197).
I motivi che facilitarono la cosìddetta riforma di Lutero, vanno piuttosto ricercati nello scadimento della riverenza dovuta all'autorità Pontificia: scadimento che si era già verificato fino dai tempi della lotta di Filippo il Bello, dall'esilio di Avignone ecc.
Altro motivo fu pure la tendenza a separare dalla Religione il potere civile. Infatti si pretese allora di negare l'autorità Religiosa nei rapporti pubblici, sociali; a cui si aggiunse il fatto dell'Impero che da tempo aveva cessato di essere, secondo la sua istituzione, tutela dei diritti della Chiesa.
In questo stato di cose, apparve Lutero.
Lutero era figlio di un minatore. Nacque ad Esleben (Sassonia) il 10 Novembre 1483. A 14 anni studiò a Magdeburgo e ad Eisenach, presso i Padri Francescani. A 18 anni frequentò l'Università di Erfurt, dove ottenne i gradi di filosofia. In seguito, mentre attendeva allo studio del diritto, atterrito dalla morte di un suo amico che gli cadde al fianco fulminato, entrò (1503) nell'Ordine degli Agostiniani detti Monaci Eremiti.
Per quattro anni parve tutto dedito agli studi e a Dio. Nel 1507, ordinato Sacerdote, passò a Vittemberga, presso un Convento dello stesso Ordine, dove pubblicamente insegnò la Dialettica e la fisica di Aristotele.
Frate senza vocazione, a poco a poco cominciò a persuadersi che il giogo delle virtù Sacerdotali e Religiose gli erano ormai insopportabili. Nel suo orgoglio, non sapeva trovare un conforto e alcun aiuto nella preghiera. Si confermò sempre più nella persuasione che la natura umana è corrotta, e si consolava al pensiero di una fatalità di colpe, dalle quali si viene giustificati per la esterna applicazione dei meriti di Gesù Cristo, mediante la fede.
Questa giustificazione esterna, senza le opere, è l'errore fondamentale di tutta la dottrina luterana. (Pighi. Hist. Eccl. To. III. p. 121).
Frattanto venivano pubblicate in Germania (15 Settembre 1517) le Indulgenze che Leone X concedeva ai fedeli che, in espiazione dei loro peccati, avessero concorso con elemosine alla costruzione del Tempio di S. Pietro in Roma.
A questa predicazione delle Indulgenze, Lutero alzò la voce, accusando i predicatori di vendere le Indulgenze allo scopo di arricchire e aprire la via ad ogni vizio, facendo credere al popolo che poi col denaro si potesse cancellare ogni peccato.
Il Papa Leone X adoperò tutti i mezzi per ricondurre Lutero a miglior consiglio, ma invano. Finché il 15 Giugno 1520, con la Bolla «Exurge Domine», furono condannate 41 proposizioni, tolte dalle opere di Lutero. Venne sospeso dalla predicazione, e gli fu fatta la minaccia di dichiararlo eretico se entro 60 giorni non avesse ritrattato i suoi errori. Ma Lutero continuò nella sua ostinazione al punto di rispondere alla Bolla con ingiurie ed opuscoli infami «Adversus execrabilem bullam anticristi», e di più il 10 Dicembre 1520, davanti alle mura di Wittemberga, in mezzo ad un gran baccano di gente, bruciò la Bolla Pontificia e il Corpus Juris Canonici.
Dopo forti polemiche con i Papi, dai quali venne scomunicato, e non poche contese con gl'Imperatori, Lutero moriva il 18 Novembre 1546, nella spaventevole insensibilità dell'impenitenza, fra le disillusioni e le amarezze del malcostume suo, e dei suoi discepoli. (Mauri. Lez. Eccl. P. II. p. 203).
Intanto Melantone, Zuinglio e Calvino ed altri eretici della medesima stregua, pur seguendo, in sostanza, gli insegnamenti di Lutero, vi andavano apportando non poche varianti, per cui il protestantesimo si suddivise in tante sette quante erano le diverse opinioni.
Non è facile poter dire i grandi mali che portò questa eresia dei protestanti alla Chiesa e alle nazioni in cui riusciva a penetrare...!
Oltre alla Germania, sede del luteranesimo, l'Inghilterra subì gravissimi danni. Enrico VIII, che aveva preso le difese del Cattolicesimo contro Lutero (1521), e si era meritato dal Papa Leone X il titolo di «difensore della fede», nel 1527, trascinato da una indegna passione verso Anna Boleyn, pretendeva da Clemente VII che venisse dichiarato nullo il suo matrimonio celebrato con Caterina di Aragona, da lui sposata nel 1509. Ma il Papa rispose non essere lecito quanto chiedeva Enrico.
Sdegnato per tale rifiuto, irritato per l'opera dei due Cardinali Capeggio Vescovo di Salisbury, e Wolsey, Cancelliere del regno, delegati dal Papa per esaminare la causa, Enrico VIII comandò che il Capeggio uscisse dall'Inghilterra, poi depose dalla carica di Cancelliere Wolsey, confiscandogli tutti i beni.
Non contento, si fece dichiarare dal Parlamento, oltre che re anche capo della chiesa in Inghilterra, accettando la dottrina dei protestanti.
Nel 1533 celebrò il matrimonio con Anna Boleyn, facendo credere al suo Cappellano di Corte di avere avuto la dispensa da Roma.
Privò del diritto al regno la figlia legittima Maria, dichiarando erede al trono Elisabetta, figlia naturale.
Scomunicato da Paolo III (30 Agosto 1535), Enrico non conobbe più freno. Si abbandonò ad ogni eccesso contro Vescovi, Abbazie, Monasteri, non che contro tutti i cattolici. Il Cardinale Fischer e il dottissimo Tommaso Moro, gran Cancelliere del regno, perché si opposero alle sue pazze deliberazioni, salirono il patibolo (1535).
Moriva Enrico VIII il 28 Gennaio 1547.
Ad Enrico successe Edoardo VI, che aveva nove anni. Dai suoi perfidi reggitori, fu introdotta una nuova costituzione ecclesiastica, con la quale veniva minacciata la morte a chi avesse ancora creduto al Primato di Pietro, al Purgatorio ecc. Ma Edoardo morì ancora giovanetto. Ad Edoardo successe Maria d'Aragona, che pensò a riconciliare lo Stato con Roma, ma anch'essa morì presto; ed il trono lo ebbe Elisabetta, il cui governo di 45 anni, può definirsi di dispotismo e di vergogna.
Queste rovine morali e religiose le subì pure la Francia, per gli Ugonotti. Questi Ugonotti formavano una comunità calvinista politico-religiosa. Da Ginevra, da Friburgo e da Berna scesero e si diffusero in Francia. Nel 1559 tennero a Parigi il loro primo sinodo in cui decisero di attenersi all'ordinamento ecclesiastico e alla costituzione presbiteriale di Calvino. In questa era pure compresa una professione di fede detta «confessione Gallicana», che stabiliva la pena di morte ai fedifraghi. La Religione Cattolica fu chiamata «culto idolatrico», le chiese «templi idolatrici», i Vescovi «malandrini», il Papa «anticristo».
Divenuti una falange di 800.000 unità, ebbero l'importanza di un gran partito. Sotto questo aspetto, si immischiarono nella lotta di successione al trono di Francia, fomentando guerre per la durata di trent'anni. Ovunque seminavano stragi ed orrori, come quelli della notte di S. Bartolomeo, in cui furono uccisi cinquemila Ugonotti (Encicl. Catt. P. III).
Sarebbe una impresa troppo grave voler descrivere gl'immensi mali che ne vennero alla Chiesa e a tante nazioni, per causa dei protestanti!
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Piuttosto ci domandiamo: Cosa ha fatto la Madre di Dio contro questi eretici e le loro dottrine?
Ci risponde la storia. Nel 1526 i calvinisti esordirono il loro ingresso in Parigi con insultare e oltraggiare il culto alla Madre di Dio. Mutilarono una statua della Vergine SS. ma, che era oggetto di grande venerazione ai francesi, e le spiccarono il capo. Il popolo di Parigi si sentì offeso e profondamente commosso da questo attentato contro la sua fede. Il re Francesco I fece fare un'altra statua d'argento dorato, molto più bella della prima, e, portandola egli stesso con le sue mani, seguito da una immensa processione, la collocò nel luogo ove era l'antica; mentre quella mutilata, nello stato di mutilazione, fu portata con grande pompa nella Chiesa di S. Gervaso, dove fu venerata sotto il titolo di Nostra Signora della Tolleranza (Nicolas. Vol. II. p. 231).
Chi non vede qui l'intervento della Vergine SS. ma che, dal sacrilegio, trasse motivo di un trionfo pubblico, a confusione della eresia?
Sempre in Francia, nella città di Salins, Maria liberava il popolo a Lei devoto dalla eresia calvinista:
Questa città aveva un umile e pio Religioso dell'Ordine Cistercense di nome Pietro Marmet. Egli passava gran parte del giorno e della notte davanti ad una Immagine della Beatissima Vergine, di cui era teneramente devoto, e non cessava di supplicarla con lagrime perché si prestasse alla liberazione del suo popolo.
I calvinisti ad ogni costo volevano impadronirsi di Salins: la guerra si faceva sempre più dura: stava ormai per essere assediata. Il popolo già si presentava alla mente gli orrori dei saccheggi e delle profanazioni, della carneficina che, in quei tempi, accompagnavano sempre le vittorie degli eretici.
Il Religioso Cistercense, nella previsione di tanti mali, si presentò ai Capi della città, e propose loro, se volevano uscirei da sì grave afflizione, di fare voto di edificare e consacrare un Tempio a Maria SS.ma. Il voto fu fatto, e fu pure designato il luogo dove sarebbe stato costruito.
Ascoltiamo, su questo avvenimento, ciò che scrive il Ricciardi nei suoi volumi intorno ai Santuari Mariani.
«Mirate, o Madre pietosa, ripeteva il P. Marmet davanti alla Immagine della Vergine, alla nostra afflizione! Se le porte della nostra città saranno forzate da quelle orde inferocite, il Santuario che vi dedichiamo, sarà il primo oggetto del loro furore... I Monasteri saranno abbattuti, le cose più sacre, profanate, la fede perseguitata... Alzate il vostro braccio e cada, per il vostro potere, la forza di coloro che minacciano i nostri altari. Salvate quelli che vi amano e che sono consacrati a voi. Siate la nostra liberatrice».
«Salins era per cadere nelle mani degli eretici, quando una fanciulla di dieci anni, in letto ammalata, alzò improvvisamente la voce esclamando: Ecco, ecco, la Madonna scaccia i nemici. Nello stesso momento il P. Marmet, levatosi dall'orazione, corse fuori dal Monastero, e a quanti incontrava ripeteva: Adesso, adesso la Vergine nostra Liberatrice sta mettendo in fuga i nemici. Così era. Gli eretici calvinisti, assaliti da improvviso terrore, abbandonarono il campo, senza che alcuno li minacciasse, e con la confusione di una vera fuga, si allontanarono lasciando gran parte dei loro bagagli».
«Indescrivibile fu l'esultanza del popolo che salutava la Madre di Dio quale sua Liberatrice. Fu costruito il Santuario. Venne innalzata sopra l'altare una statua della B. V. avente sul petto uno scudo e sotto ai piedi un trofeo di lance e bandiere, per attestare il trionfo sul nemico, dovuto alla Madre di Dio». (Ricciardi. Santuar. Marian. Vol. IV. p. 384).
Non è questo un trionfo di Maria contro i protestanti?
Cosa ha fatto ancora la Madre di Dio? Ha impedito che l'eresia protestante entrasse in Italia.
A Tirano, nella Valtellina, ai confini dell'Italia con la Svizzera, esposta agli assalti degli eretici, la Vergine Madre di Dio (1504) apparve ad un certo Mario Omodei, ordinandogli di dire al popolo che erigesse un Tempio dove Ella posava i piedi. L'eresia, proprio allora, minacciava di invadere la terra italiana. Ma il popolo della Valtellina eseguì a Tirano tutto quello che aveva chiesto la Madonna. Quando l'eresia tentò di passare dalla Svizzera in Italia, la Madre di Dio Maria, dal suo Santuario, parve dicesse: «Di qui non si passa», e l'eresia non entrò!
Il bel Santuario, ufficiato dai Servi di Maria, è tuttora là, centro di pellegrinaggio e di vita cristiana, che conferma ancora la potenza di Maria contro i nemici della fede.
A Pietralba di Bolzano, anch'essa esposta al pericolo della eresia (1553), la Madre di Dio apparve ad un certo Leonardo detto Weissensteniner, chiedendo che le si costruisse una Cappella. Nello scavare le fondamenta, si trovò una piccola statua della Vergine Addolorata, una Pietà, scolpita in quella stessa pietra bianca che abbonda in quella terra, da cui viene il nome Pietra Alba. Costruita la Cappella, la Vergine Addolorata cominciò a spargere tale abbondanza di favori e grazie, da chiamare attorno a sé turbe di fedeli che accorrevano da ogni parte d'Italia, dalla Germania ecc. E quando da quel confino italiano parve che il protestantesimo volesse entrare, Maria SS. ma Addolorata sembrava dicesse: Sono la forza di Dio... non entrerete!
Anche questo Santuario, ufficiato dai Servi di Maria, è tuttora centro di vita spirituale, per i tanti pellegrinaggi che là accorrono, perché si sentono protetti e difesi dalla materna bontà della SS. ma Vergine.
Non sono questi veri trionfi di Maria contro gli eretici?
Ma altre apparizioni e strepitosi miracoli potremmo ancora citare, avvenuti in quegli stessi anni in cui l'eresia tentava di entrare nella nostra terra italiana, con cui la Madre di Dio, presente a tutti i pericoli che minacciano i suoi devoti, dissipava le astuzie e le macchinazioni dei nemici della Chiesa.
Nè vale il dire che intanto vi sono nazioni, grandi nazioni, nelle quali predomina il protestantesimo, che anzi è la religione dello Stato.
Questo è vero. Però non bisogna dimenticare che in queste stesse nazioni, cattolici ne rimasero. Resistettero. Pagarono a caro prezzo la loro integerrima fedeltà alla Chiesa di Roma, ai suoi dogmi e al suo Pontefice. E questo, è vittoria.
Inoltre dall'origine del protestantesimo ad oggi, non troviamo più l'avversario che impiccava e squartava i cattolici. Nel 1791, in quelle nazioni, i cattolici potevano aspirare alla magistratura, celebrare il proprio culto in Chiese e Cappelle. Finché si è giunti alla legge che sanziona l'uguaglianza, dal punto di vista legale, tra i cattolici e protestanti.
Non parliamo poi delle tante conversioni che si succedono con un crescendo che ha del prodigioso, specialmente tra persone le più istruite e più quotate nella società. E non sono questi veri trionfi?
Conveniamone pure: la progressiva distruzione del protestantesimo conferma la lode alla gran Madre di Dio: «Gaude, Maria Virgo, cunctas haereses sola interemisti in universo mundo».
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Padre Marco, piazzato sulla collina, levava il crocifisso verso il luogo dove maggiormente si manifestava il pericolo per le armi cristiane; Jan Sobieski, a capo della sua cavalleria, spalleggiato dagli alleati si diresse con disprezzo del pericolo e grandissimo coraggio direttamente verso il cuore dell’accampamento turco, la tenda di Kara Mustafà, e superò di slancio anche il fossato che la circondava per difenderla.
Il terrore si impadronì del Gran Visir che fece precipitosamente suonare la tromba della ritirata: la rotta fu totale!
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Si ricorda che il magnifico film di cui è protagonista il Beato Marco d'Aviano è visibile gratuitamente su youtube:
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Preghiera del Beato Marco d'Aviano
da lui composta per l'occasione e letta all'alba del 12 settembre 1683, dopo la celebrazione della S. Messa e la benedizione impartita all'esercito cristiano che si accingeva a dare vittoriosamente battaglia ai
Turchi che assediavano Vienna
O grande Dio degli eserciti, guardaci prostráti qui ai piedi della Tua Maestà, per impetrarTi il perdono delle nostre colpe.
Sappiamo bene di aver meritato che gl’infedeli impugnino le armi per opprimerci, perché le iniquità, che ogni giorno commettiamo contro la Tua bontà, hanno giustamente provocato la Tua ira.
O gran Dio, Ti chiediamo il perdono dall’intimo dei nostri cuori; esecriamo il peccato, perché Tu lo aborrisci; siamo afflitti perché spesso abbiamo eccitato all’ira la Tua somma Bontà.
Per amore di Te stesso, preferiamo mille volte morire piuttosto che commettere la minima azione che Ti dispiaccia.
Soccórrici con la Tua grazia, o Signore, e non permettere che noi Tuoi servi rompiamo il patto che soltanto con Te abbiamo stipulato.
Abbi dunque pietà di noi, abbi pietà della tua Chiesa, per opprimere la quale già si preparano il furore e la forza degl’infedeli.
Sebbene sia per nostra colpa ch’essi hanno invaso queste belle e cristiane regioni, e sebbene tutti questi mali che ci avvengono non siano altro che la conseguenza della nostra malizia, síici tuttavia propizio, o buon Dio, e non disprezzare l’opera delle Tue mani. Ricordati che, per strapparci dalla servitù di Satana, Tu hai donato tutto il Tuo prezioso Sangue.
Permetterai forse ch’esso venga calpestato dai piedi di questi cani?
Permetterai forse che la fede, questa bella perla che cercasti con tanto zelo e che riscattasti con tanto dolore, venga gettata ai piedi di questi porci?
Non dimenticare, o Signore, che, se Tu permetterai che gl’infedeli prevalgano su di noi, essi bestemmieranno il Tuo santo Nome e derideranno la Tua Potenza, ripetendo mille volte: “Dov’è il loro Dio, quel Dio che non ha potuto liberarli dalle nostre mani?”
Non permettere, o Signore, che Ti si rinfacci di aver permesso la furia dei lupi, proprio quando T’invocavamo nella nostra miserevole angoscia.
Vieni a soccorrerci, o gran Dio delle battaglie! Se Tu sei a nostro favore, gli eserciti degl’infedeli non potranno nuocerci.
Disperdi questa gente che ha voluto la guerra! Per quanto ci riguarda, noi non amiamo altro che essere in pace con Te, con noi stessi e col nostro prossimo.
Rafforza con la tua grazia il tuo servo e nostro imperatore Leopoldo; rafforza l’animo del re di Polonia, del duca di Lotaringia, dei duchi di Baviera e di Sassonia, e anche di questo bell’esercito cristiano, che sta per combattere per l’onore del Tuo Nome, per la difesa e la propagazione della Tua santa Fede. Concedi ai príncipi e ai capi dell’esercito la fierezza di Giosué, la mira di Davide, la fortuna di Jefte, la costanza di Joab e la potenza di Salomone, tuoi soldati, affinché essi, incoraggiati dal Tuo favore, rafforzati dal Tuo Spirito e resi invincibili dalla potenza del Tuo braccio, distruggano e annientino i nemici comuni del nome cristiano, manifestando a tutto il mondo che hanno ricevuto da Te quella potenza che un tempo mostrasti in quei grandi condottieri.
Fa’ dunque in modo, o Signore, che tutto cospiri per la Tua gloria e onore, e anche per la salvezza delle anime nostre.
Te lo chiedo, o Signore, in nome dei tuoi soldati.
Considera la loro fede: essi credono in Te, sperano tutto da Te, amano sinceramente Te con tutto il cuore.
Te lo chiedo anche con quella santa benedizione, che io conferirò a loro da parte Tua, sperando, per i meriti del Tuo prezioso Sangue, nel quale ho posto tutta la mia fiducia, che Tu esaudirai la mia preghiera.
Se la mia morte potesse essere utile o salutare, per ottenere il Tuo favore per loro, ebbene Te la offro fin d’ora, o mio Dio, in gradita offerta; se quindi dovrò morire, ne sarò contento.
Libera dunque l’esercito cristiano dai mali che incombono; trattieni il braccio della Tua ira sospeso su di noi, e fa’ capire ai nostri nemici che non c’è altro Dio all’infuori di Te, e che Tu solo hai il potere di concedere o negare la vittoria e il trionfo, quando Ti piace.
Come Mosè, stendo dunque le mie braccia per benedire i tuoi soldati; sostienili e appóggiali con la Tua Potenza, per la rovina dei nemici Tuoi e nostri, e per la gloria del Tuo Nome. Amen.
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Breve descrizione degli eventi bellici della fine del Seicento
che videro questo grande europeo nel ruolo di assoluto e decisivo protagonista.
L’idea del Sultano era quella di creare un secondo impero turco al centro d’Europa con Vienna capitale.
Nel luglio 1683 il Visir Kara Mustafà giunse a Belgrado e la conquistò; nell’avanzare, le guarnigioni cristiane venivano massacrate.
I turchi dilagarono in Ungheria e l’Imperatore Leopoldo, per non essere fatto prigioniero fuggì a Linz.
Le truppe turche arrivate sotto Vienna, trasformarono i suburbii in un mare di fuoco. La città subì un assedio di due mesi.
La popolazione poteva vedere l’immensità dell’accampamento turco ed udire la sera ed il mattino il terribile grido di Allah Akbar.
Padre Marco, su istanza dell’Imperatore Leopoldo I, fu nominato, da Innocenzo XI, Legato Pontificio. La situazione destava grande preoccupazione ed il Papa temeva per la sorte del cattolicesimo e della cristianità in tutta Europa.
Padre Marco raggiunse immediatamente l’esercito della coalizione che era stata promossa dallo stesso Pontefice.
Contro l’esercito turco forte di 150.000 uomini, i príncipi cristiani ne potevano schierare a malapena 70.000: austriaci al comando del Duca Carlo di Lorena, polacchi guidati dal Re Jan Sobieski, tedeschi guidati dai Duchi di Baviera e di Sassonia, volontari italiani posti agli ordini delle truppe del principe Eugenio di Savoia, tutti erano coscienti del loro ruolo e del loro gravoso compito.
Mancavano del tutto i francesi e gli inglesi. I primi si erano addirittura alleati con la Sublime Porta in chiara posizione antagonista nei confronti dell’Austria: tutto sommato credevano che la caduta del Sacro Romano Impero germanico, avrebbe spalancato la porta alla loro egemonia sul continente, dopo che una dinastia francese aveva già sostituito i sovrani spagnoli. Balza alla vista la miopia di questo disegno e l’inconsistenza assoluta di certe mire. Ma se davvero i turchi avessero vinto, forse che si sarebbero fermati a Vienna o, secondo i loro piani politico-religiosi, sarebbero dilagati in Italia e messo in scacco e cercato di mandare in fumo i deliranti disegni del Re di Francia?
Gli inglesi, nel loro splendido isolamento insulare, erano pronti a fare affari con un’Europa musulmanizzata, ma alla fine il loro potenziale finanziario avrebbe comunque prevalso e reso dipendente in modo assoluto un Impero che oltre alla vis religiosa altro non offriva se non desertificazione e miseria!
I capi della coalizione cristiana, al solito, erano divisi, ognuno avrebbe voluto essere il capo della coalizione medesima a dispetto degli altri. Il tutto mentre a Vienna si moriva di fame e le sue difese erano sempre più rese inoffensive dalle mine che i turchi facevano brillare sotto i forti e sotto le mura della città.
Padre Marco con la forza che gli era concessa dal divino, dopo aver parlato con l’Imperatore Leopoldo, riuscì nella improba impresa di portare la pace e l’unità nel campo cristiano. Così si esprimeva in un dispaccio inviato al cardinale Cibo, Segretario di Stato Vaticano: «Due volte composi e sedai il Re di Polonia, altissimamente disgustato et indussi ad affrettare la marcia più di una settimana. Col Divino aiuto potei aggiustar moltissime e gravi differenze insorte nei primi capi dell’esercito».
Poi, scrivendo all’Imperatore, affermò: «… Ebbi tanta grazia di Dio da sollecitare il soccorso di almeno 10 giorni di quello che sarebbe conseguito; che essi soli cinque giorni fusse tardato, sarebbe forse caduta Vienna nelle mani dell’inimico».
L’8 settembre, festa della Natività di Maria, l’esercito cristiano nella pianura di Tulnn si fermò per una giornata di preghiera. Una cosa del genere non si era mai vista prima: JanSobieski, il Re polacco, scrisse alla moglie: «Padre Marco ha celebrato la Messa con molta devozione; ha tenuto un infiammato discorso; c’è chiesto di avere molta confidenza in Dio e nella Madonna, calata la sua benedizione, facendoci ripetere più volte: Gesù! Maria!».
Alle prime luci dell’alba del 12 settembre 1683, padre Marco, celebra la Messa sulla collina del Kahlemberg, Messa che viene servita dal Re di Polonia e da suo figlio Giacomo.
I paramenti usati per questo rito sono ancora conservati a Rizzios di Calalzo in Cadore, ovviamente del tutto ignorati e dimenticati. Certi avvenimenti e reliquie è meglio che cadano nell’oblio, come succede per la vittoria sui protestanti ottenuta da Wallenstein, oppure la Madonna sfregiata dagli stessi protestanti e conservata in Santa Maria delle Vittorie a Roma. È quasi assurdo ma sembra che ci si vergogni di certe vittorie cristiane volute e benedette da Dio.
Al rito seguì l’assoluzione e la distribuzione dell’Eucarestia ai comandanti cattolici; i protestanti furono comunque benedetti da padre Marco che, ricordiamolo, era il Legato Pontificio. Seguì la recita di una commovente preghiera da lui stessa composta.
Lo scontro fu brevissimo. Padre Marco, piazzato sulla collina, levava il crocifisso verso il luogo dove maggiormente si manifestava il pericolo per le armi cristiane; Jan Sobieski, a capo della sua cavalleria, spalleggiato dagli alleati si diresse con disprezzo del pericolo e grandissimo coraggio direttamente verso il cuore dell’accampamento turco, la tenda di Kara Mustafà, e superò di slancio anche il fossato che la circondava per difenderla.
Il terrore si impadronì del Gran Visir che fece precipitosamente suonare la tromba della ritirata: la rotta fu totale! Il potentissimo esercito turco abbandonò tutto: tende, armamenti, vettovaglie ed anche le ingenti ricchezze frutto dei saccheggi e delle ruberie precedenti.
Il numero dei cristiani morti fu basso, ma nel campo turco le perdite furono ingenti, molte dovute alla confusione e al panico che seguì l’assalto delle armate cristiane.
A Roma le campane suonarono a festa per tre giorni: in ricordo dell’evento Papa Innocenzo XI estese a tutta la Chiesa la festa del Santo Nome di Maria.
Il Re di Polonia Jan Sobieski scrisse al Pontefice: «Venimus, Vidimus et Deus vicit». Lo stesso padre Marco fu convinto che la vittoria era stata un miracolo: niente è impossibile a Dio!
Cosa ancora più toccante: mentre i comandanti cattolici cantarono il solenne Te Deum nella cattedrale di Santo Stefano nella Vienna liberata, padre Marco si ritirò nella chiesa dei Cappuccini per pregare per i soldati caduti, cristiani e musulmani, vittime loro malgrado della violenza bellica.
Padre Marco è sepolto nella Chiesa dei Cappuccini di Vienna, sopra alla celebre cripta dei cappuccini (Kapuziner Krypt), ove giacciono le spoglie di tutta la Casa d'Austria.
A Vienna c’è un monumento dedicato al cappuccino: «A padre Marco d’Aviano, anima della liberazione di Vienna. 12 settembre 1683».
Questo è scritto sul cippo del monumento.
L’attività e la sua missione in Austria continuò: riuscì a fare stipulare un’alleanza tra Santa sede, Serenissima Repubblica di Venezia e Polonia, che portò alla liberazione di Buda, capitale ungherese, dopo ben 145 anni di dominazione turca.
Padre Marco scrisse all’imperatore: «Viva Gesù e Maria! Buda è stata presa d’assalto. È un vero miracolo di Dio!».
Padre Marco d’Aviano passò attraverso la breccia della città portando una statua della Madonna che personalmente collocò nel Duomo di Santo Stefano che era stato trasformato in moschea dai turchi. Ottenne dall’Imperatore il restauro di tutte le chiese ungheresi che i turchi avevano devastato e che i sacerdoti svolgessero il ruolo di ufficiali di stato civile.
Nel 1688 anche la strategica roccaforte di Belgrado tornò ai cristiani. Dopo la caduta della città, 800 soldati turchi caddero prigionieri: essi temevano moltissimo per l’incolumità della propria vita, dal momento che era loro costume massacrare i prigionieri nemici; padre Marco intercedette per loro presso il Duca di Baviera e per loro ottenne che fossero risparmiati in quanto anch’essi figli di Dio.
I prigionieri volevano ricompensare il francescano con doni, ma fedele ai suoi voti di povertà ed umiltà mostrò loro che dovevano ringraziare Gesù Crocefisso.
Essendo scoppiata una rivoluzione nell’impero turco, padre Marco tentò di far liberare anche la Bosnia, la Moldavia e la Bulgaria. Non tutti sentivano, come lui, la causa dell’Europa unita in Gesù Cristo e libera dall’oppressione.
Possiamo facilmente immaginare, alla luce di ciò, quali esiti completamente differenti avrebbe potuto avere il corso degli avvenimenti recenti nella ex Jugoslavia.
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Quando lo Stato tenta di regolamentare la vita degli uomini dalla culla alla bara, siamo di fronte ad un vero e proprio "Welfare State".
Il Welfare è il modo subdolo in cui oggi si avverano le premonizioni di Orwell e Huxley su una società composta da schiavi, individui isolati gli uni dagli altri, per i quali lo Stato provvede a tutto, avendo così diritto a decidere tutto.
La Famiglia naturale, fondata sulla fedeltà indissolubile e la procreazione, è il maggiore ostacolo allo Stato totalitario welfarista.
A che cosa serve l'uomo? In Svezia non serve a niente
di Marco Dotti -05 agosto 2016
da:
[www.vita.it]
Era il paradiso del welfare, la meta di ogni sogno di liberazione. Che cosa è successo alla Svezia? Nel suo ultimo documentario, l'autore di Videocracy Erik Gandini racconta un Paese in cui le persone vivono isolate, sempre più donne single scelgono la fecondazione artificiale e molti anziani muoiono da soli, dimenticati da tutti. E con 80 euro vi spediscono anche il kit per la fecondazione artificiale a domicilio
«Nell'inverno del '72, un gruppo di politici ebbe una visione rivoluzionaria del futuro. Era giunto il momento di liberare le donne dagli uomini, gli anziani dai figli, gli adolescenti dai genitori». Venne scritto anche un manifesto, La famiglia del futuro. A volerlo, fu la sezione femminile del partito socialdemocratico allora guidato dal primo ministro Olof Palme.
Che cosa prevedeva il documento? Ce lo spiega Erik Gandini, regista bergamasco autore di Videocracy, che in Svezia vive e lavora. Lo spiega in un documentario importante, di cui si è parlato poco o, comunque, non abbastanza in Italia: La teoria svedese dell'amore. Andato in onda la settimana scorsa sulla Rai (che, a dispetto delle critiche, fa ancora qualcosa di buono) per Doc3, lo potete vedere cliccando qui.
Ogni individuo dovrà essere considerato come autonomo, non come l'appendice di qualcun altro. È dunque necessario creare le condizioni economiche e sociali che ci renderanno finalmente individui indipendenti
Manifesto del Partito Socialdemocratico svedese, 1972
Olof Palme, pilastro della socialdemocrazia svedese, voleva modernizzare il Paese. Riformò il sistema pensionistico, stabilì sussidi e forme di sostegno, edificò il paradiso del welfare attorno a un'idea non così scontata, quando si parla di Stato e diritti sociali: l'autonomia individuale. L'indipendenza degli individuio. L'indipendenza della donna dall'uomo, dei figli dai padri, della madri dai figli. In qualche modo, la distopia immaginata dal grande drammaturgo svedese August Strindberg nella riscrittura post-amletica del Padre, ma senza più ossessioni per la solitudine.
Oggi, in Svezia il 50% dei cittadini vive solo. Una vita senza l'altro e una morte che non è da meno: 1 cittadino su 4 muore in solitudine, abbandonato dai figli. È la teoria svedese dell'amore: un'idea talmente assoluta di indipendenza che porta a considerare che l'amore autentico può esistere solo tra estranei. O tra sconosciuti. O tra sé e sé: la relazione è un peso che sempre meno svedesi sembrano disposti a sopportare. Non serve. Nemmeno per avere figli.
In Svezia va per la maggiore la fecondazione fai da te. Una gran parte delle donne svedesi - svela Gandini - acquista sperma per corrispondenza. Lo fa dalla Cryos, una società danese fondata da Ole Schou. «La banca del seme più grande del mondo», alimentata da donatori che dichiarano di «volere il bene dell'umanità» e disponibile per tutti e per tutte le tasche. Lo sperma in Europa arriva con corriere espresso, conservato in ghiaccio secco e pronto all'uso (vengono fornite delle apposite fiale/siringhe fai da te). I tempi di consegna vanno da 1 a massimo 2 giorni.
Il prezzo va da 63 euro per 1 fiala/siringa ai 12mila euro per il "donatore esclusivo". Si possono poi consultare i dati ex post, con le fotografie dei bambini, il loro - testuale - «profilo di intelligenza emotiva e il campione vocale». Si può pure scegliere - anche qui: testuale - la razza: caucasica, africana, medio orientale. Più della metà dei clienti della Cryos sono donne single.
«Ho pensato che fosse meglio avere un figlio da sola, ed evitarmi la fatica di trovare un partner», dichiara una donna.
A 40 anni dal manifesto Familjen i framtiden - en socialistisk familjepolitik l'utopia svedese si è rivelata una desolante emancipazione regressiva. Si nasce soli, si vive soli, si muore soli. Come nota Gandini nel Docu-film: “Ognuno va per la propria strada ma non c'è nulla che li tenga insieme”. Quest’ultimo fenomeno è talmente aumentato negli ultimi anni che lo Stato svedese ha dovuto creare uffici appositi che si occupano di tutte le incombenze legali e burocratiche legate alla scoperta di un morto senza legami, nel disinteresse di figli e parenti.
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La scienza dice no al “matrimonio” gay
Un saggio, quello del dottor Gerard van den Aardweg – psicoterapeuta di fama internazionale, specializzato nel trattamento delle persone omosessuali, smonta le erronee concezioni al momento dominanti (con l’incredibile appoggio di tanti Governi e l’apatia, quando non peggio, della Chiesa cattolica), le quali vogliono far apparire l’omosessualità come un “orientamento sessuale” normale, naturale, che l’individuo, agendo in piena libertà da costrizioni di qualsiasi tipo, dovrebbe solo scoprire in se stesso (La scienza dice “no”. L’inganno del “matrimonio” gay, con un’introduzione del prof. Paolo Pasqualucci, Solfanelli, Chieti 2016, p. 168, € 12).
Lo studioso, forte di mezzo secolo di esperienza sul campo, riporta l’origine dell’omosessualità ad un disturbo mentale, che prende piede soprattutto nel periodo dell’adolescenza, allorché il soggetto che ne è vittima, per una serie di motivi dovuti solo in parte a rapporti squilibrati con uno dei due genitori, si forma complessi di inferiorità, di esclusione, di autocommiserazione, che finiscono con il coinvolgere la percezione della sua identità sessuale.
L’omosessualità deve dunque ritenersi, quanto alla sua origine, una patologia di origine nevrotica, da considerarsi sempre nel novero delle malattie mentali: infatti, in nessuno di noi esiste un “orientamento sessuale” omosessuale naturale, cioè innato.
L’attualità dell’argomento qui trattato è bruciante, dopo che il percorso per l’introduzione del “matrimonio gay” nell’ordinamento giuridico è ufficialmente iniziato anche nel nostro Paese, nonostante le ben note proteste e contestazioni di quella che possiamo considerare la parte ancora sana del popolo italiano.
Il saggio del decano degli psicologi, che da oltre cinquant’anni ha affrontato questa tematica, è solidamente fondato sui dati di una ineccepibile ricerca scientifica. La subcultura gay è riuscita a far prevalere l’idea che l’omosessualità sia un “orientamento sessuale” naturale, innato, pertanto non trattabile con le terapie di tipo psichiatrico e psicoanalitico (invece perseguite con successo dal dottor Aardweg).
Con dovizia di argomenti scientifici l’Autore dimostra la falsità dell’assunto, illuminandoci, nello stesso tempo, sulla vera natura dell’omosessualità e dello “stile di vita” dell’universo gay, ben diverso dall’immagine edulcorata fabbricata dal mondo dell’informazione.
«Che l’omosessualità non abbia un’origine nella natura umana in quanto tale ma sia il frutto di un sentire malato e/o vizioso, risulta anche da quella forma di depravazione a sfondo omosessuale nota come trasgenderismo […]», scrive nella presentazione Paolo Pasqualucci, professore emerito di Filosofia del Diritto nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Perugia, citando lo studio di un altro illustre cattedratico, studioso di psichiatria, il professor Paul McHugh:
«All’inizio erano solo uomini, sia omosessuali che eterosessuali, che volevano essere operati perché si eccitavano eroticamente all’immagine di se stessi come donne. Poi il fenomeno ha cominciato a coinvolgere le donne. Negli ultimi 15 anni è cresciuto in modo esponenziale, tanto che anche adolescenti maschi e femmine hanno cominciato a presentarsi come appartenenti al sesso opposto, rispetto a quello nel quale sono nati. Per questi adolescenti la motivazione non sarebbe erotica. Sono al contrario spinti da una varietà di conflitti e preoccupazioni giovanili di natura psicosociale. Ha dunque preso piede l’idea bislacca secondo la quale il sesso sarebbe appunto una “scelta”, dipendente dall’individuo, una disposizione un modo di sentire più che un fatto naturale in tal modo, lo si concepisce come una realtà fluttuante, che può cambiare ogni momento per qualsivoglia ragione» (p. 17).
Una idea “bislacca” quanto si vuole, ma purtroppo avallata da legislatori ignoranti e da gerarchie ecclesiastiche incapaci di reagire.
(Gianandrea de Antonellis per Corrispondenza Romana del 10 agosto)
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Qui a lato: pauroso scivolone del quotidiano della Cei. Già in passato il Segretario aveva rlasciato dichiarazioni sconcertanti in tema di lotta all'aborto e di omosessualismo. Il cattivo esempio di Mons. Galantino immediatamente seguito dal vescovo di Lucca. Un commento di Corrispondenza Romana.
Vescovo di Lucca filo sodomiti: “Necessario un trapasso culturale”
La chiesa di Lucca apre ai gay. Castellani: “Necessario un trapasso culturale”. Il vaticanista Luise: “Omosessualità, un’attitudine umana”
“Gay. Ecco, lo confesso: quando utilizzo questa parola sembra che ci sia già un giudizio intrinseco. A usarla ho difficoltà. E’ quindi necessario un trapasso culturale, perché la differenza è ricchezza”.Sono le parole del vescovo di Lucca Italo Castellani. Di fronte ai giornalisti è lui a fare ‘outing’ invocando la necessità di un cambiamento culturale che pare lo coinvolga direttamente. “Sì, utilizzare il termine ‘gay’ ancora mi dà fastidio. Significa che ci vorrà tempo. Ma il cambiamento culturale è necessario”, racconta pubblicamente.
Un’apertura necessaria e di buon senso che ci auguriamo sia lontana dall’approccio ipocrita e demagogico fin troppo diffuso nell’ambiente ecclesiale. Un’apertura ribadita e sottolineata anche dal vaticanista Rai Raffaele Luise, ospite della diocesi insieme ai giornalisti del territorio.
“Sui gay la chiesa è chiamata a una rivoluzione culturale”, ha detto. Dopo le parole espresse da Papa Francesco nel viaggio di ritorno dall’America Latina (“Chi sono io per giudicare un gay che cerca Dio?”) e dopo la sua elezioni a personaggio dell’anno da parte della rivista gay “The Advocate”, Luise tiene a ribadire che “il Papa ha impostato bene la questione, ma è solo. Nessuno lo aiuta. E la rivoluzione chiama la rivoluzione. Ci sono 486 specie animali che contemplano l’omosessualità. Quindi questa non è una caratteristica puramente umana. Non è una devianza, ma fa parte della natura. L’omossessualità è un’attitudine umana. Quindi ci troviamo di fronte a una grande sfida, fuori e dentro la chiesa”.
Secondo quanto riportato da Luise, il dieci per cento della popolazione è omosessuale. Quindi il rapporto di lesbiche e gay è pari nella società civile come nella chiesa. Ma per favore, non parlate di lobby. “In Vaticano non mi risulta ci siano lobby. Sì, esistono massoni che si relazionano ai poteri forte e che si occupano dei rapporti e delle relazioni economiche”,dice Luise. “Sì, ci sono tanti gay attivi e passivi, anche in alto. Ma non ho elementi per dire che esista una lobby massonica e una lobby gay”.E tanto basta.
Il nostro vescovo invoca invece un grande “cambiamento” e un“trapasso” culturale. Affronta la questione della “diversità come una ricchezza”. Del resto “se tutti i fiori fossero ugauali, i prati perderebbero la loro bellezza”, dice Castellani. Che poi racconta episodi che lo hanno coinvolto personalmente. Esperienze di vita vissuta, storie di cittadini e cittadine che hanno a che fare con l’omosessualità. Perché hanno un figlio o una figlia omosessuale. Perché a scuola hanno un alunno gay. “Quel che conta è soprattutto la dignità della persona”, fa ggiunge Castellani.“E mi domando perché i giovani considerino la chiesa come ‘omofobica’…”.
Be’, forse è perché ad oggi gli omosessuali non possano vivere pienamente la propria fede. Forse perché chi è omosessuale e desidera attenersi alle indicazioni della chiesa trova evidenti contraddizioni. Proprio come accade per le coppie di fatto. Forse perché da anni la chiesa può fare qualcosa e invece non lo fa. Quest’apertura suona come un buon auspicio. Perché prima di essere un problema di fede, questo è un problema strettamente legato ai diritti.
[www.loschermo.it]
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Le incomprensibili affermazioni di mons. Galantino, segretario generale della CEI
Hanno suscitato sconcerto e disappunto le parole di monsignor Galantino, segretario generale della Cei, il quale in un’intervista rilasciata al giornale online QN ha detto la sua su alcune importanti questione etiche e morali ed in particolare sull’aborto.
Alla domanda dell’intervistatore sui principi non negoziabili monsignor Galantino ha così risposto: “Pensiamo alla sacralità della vita. In passato ci siamo concentrati esclusivamente sul no all’aborto e all’eutanasia. Non può essere così, in mezzo c’è l’esistenza che si sviluppa. Io non mi identifico con i visi inespressivi di chi recita il rosario fuori dalle cliniche, che praticano l’interruzione della gravidanza, ma con quei giovani che sono contrari a questa pratica e lottano per la qualità delle persone, per il loro diritto alla salute, al lavoro”.
Ci permettiamo di fare alcune considerazioni in merito: innanzitutto, non si capisce quando ed in quali occasioni la Chiesa ed in particolare la Cei abbia trascurato le necessità materiali e spirituali delle persone occupandosi esclusivamente di aborto ed eutanasia, come lascia intendere monsignor Galantino. Ai più pare semmai il contrario vista la non eccezionale determinazione con cui i vescovi italiani hanno combattuto la buona battaglia in questi ultimi decenni.
Lo stesso Papa Francesco ha inteso prendere le distanze da una certa mentalità dominante arrivando ad affermare in un discorso di pochi mesi fa come non sia coerente chi parla volentieri della fame nel mondo ma non si oppone all’orrore dell’aborto. Inoltre, monsignor Galantino pare dimentico del fatto che è proprio prendendosi particolare cura dei più deboli ed indifesi, minacciati da leggi omicide come la 194/1978, che la Chiesa afferma la dignità intrinseca dell’essere umano fatto a immagine e somiglianza del Creatore.
Particolarmente sgradevole poi la rappresentazione caricaturale che il segretario generale della Cei fa dei tanti pro life che con dedizione e spirito di sacrificio lottano contro l’assassinio legalizzato dell’innocente e per la vita recitando il rosario fuori dalle cliniche ove si praticano gli aborti. Tale forma di lotta è particolarmente efficace non solamente perché, come dovrebbe ben sapere monsignor Galantino, ha come fine la riparazione dei crimini connessi con l’aborto ma anche perché non di rado salva la vita a molte creature innocenti altrimenti destinate a morte certa.
Ci auguriamo che le sconcertanti parole riportate nell’intervista pubblicata su QN vengano pubblicamente smentite dal segretario generale della Cei, il quale difficilmente può ignorare che identificarsi con quei giovani che lottano per la qualità delle persone, per il loro diritto alla salute, al lavoro vuol dire approvare ed incoraggiare coloro che si battono, in qualunque modo, affinché ad ogni persona venga riconosciuto il principale diritto, senza cui tutti gli altri non hanno ragion d’essere, ossia quello alla vita. Altrimenti se ne dovrebbe dedurre che monsignor Galantino non sia interessato a difendere né gli uni né gli altri.
(A.D.M in:
[www.corrispondenzaromana.it]
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Cosa si nasconde dietro l’ideologia del gender
Caterina Giojelli, per Tempi.it
«Non è vero – scriveva Pier Paolo Pasolini in Lettere Luterane – che comunque, si vada avanti. Assai spesso sia l’individuo che la società regrediscono o peggiorano. In tal caso la trasformazione non deve essere accettata: la sua “accettazione realistica” è in realtà una colpevole manovra per tranquillizzare la propria coscienza e tirare avanti».
Tirare avanti: fin dove?
Thomas Beatie non è un uomo, ma una donna: si chiamava Tracy Lagondino prima di innamorarsi di Nancy. I due decidono di avere un figlio: grazie alla donazione del seme da parte di un amico e a una inversa terapia ormonale, si procede con una fecondazione assistita eterologa e a portare avanti la gravidanza è proprio Tracy-Thomas. Oggi i due hanno tre figli che hanno una madre che vuole fare il padre (Tracy-Thomas, appunto), una madre “sociale” (Nancy) e un padre biologico (il donatore) grazie al quale è stata innescata l’intera procedura.
Una vicenda resa ancora più complicata dalla separazione, dopo lungo travaglio giudiziario, dei due, un arresto per stalking di Tracy-Thomas nei confronti dell’ex moglie e una intervista rilasciata lo scorso dicembre al Sun in cui l’ormai celebre “pregnant man”, parlando dei suoi figli e dichiarando di volerne altri dalla sua nuova compagna Amber, racconta che il piccolo Austin «aveva i capelli lunghi e ha iniziato a dire che voleva essere una ragazza quando aveva tre anni», mentre Susan, la primogenita, a 7 anni gli ha già chiesto se tutte le ragazze debbano, prima o poi, diventare maschi.
Una storia che è un caso limite? No, una storia con tutti i limiti del caso, piena di risvolti etico-giuridici e paradossi etico-esistenziali di immediata (e drammatica) comprensione.
La vicenda di Tracy-Thomas, una delle molte restituiteci da questi assurdi tempi di opposizione dei diritti/desideri/amori umani all’esercizio stesso del diritto, non è che infatti una delle tante propaggini connesse al tema del pensiero gender, per cui «ciò che è rilevante ai fini della propria identità non è più ciò che uno è, ma ciò che uno ritiene di essere; per cui ci si può percepire come maschio, come femmina, come entrambi o come nessuno dei due», un pensiero radicato in un soggettivismo etico, che combinato agli sviluppi tecnoscientifici conduce in fretta «a tutta una complicata e insolita tipologia fenomenologica che, invece di mettere in evidenza il diritto rivendicato, espone sotto gli occhi di tutti quanto il diritto, nella sua essenza strutturale, venga semmai violato».
Non manca il coraggio della verità ad Aldo Rocco Vitale, autore dell’efficace Gender questo sconosciuto (Ed. Fede & Cultura, 12 euro), 133 pagine e 30 capitoli che rispondono ai tanti punti oscuri sul pensiero poco conosciuto, sottovalutato e da più parti negato come invenzione propagandistica della Chiesa cattolica: il gender, appunto, andato configurandosi nella storia come quel «momento di negazione della differenza sessuata dell’essere umano, o meglio, come pensiero teso a elidere il dato dell’elemento biologico-naturale per sostituirlo con l’elemento psicoculturale».
Avvocato, firma preziosa di numerose testate online (fra cui Tempi), socio dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, Vitale si destreggia tra storia e casi di cronaca, mostrando con chiarezza per ciascuno di essi paradossi e problemi antropologici e biogiuridici che il pensiero gender porta inevitabilmente con sé, arrivando ad esprimere «il livello più avanzato di annientamento radicale dell’essere dell’uomo».
Che si tratti di un vero e proprio totalitarismo, «lo si comprende facendo riferimento agli elementi che secondo la più nota ed autorevole teorizzatrice del tema, Hannah Arendt, sono necessari per dar vita, appunto, ad un totalitarismo: l’ideologia, la massa da indottrinare e la polizia politica per tacitare chiunque dovesse resistere all’indottrinamento».
Vitale non ha paura di usare le parole giuste, avvalorare la sua scrittura chiara con i contributi di numerosissimi pensatori, da Karl Marx a Judith Butler, dal professor Francesco D’Agostino a Benedetto XVI, e instrada il lettore sulle vie della nascita e dello sviluppo complesso del gender che lungi dal rappresentare un’invenzione vaticana si afferma in un preciso momento storico, come frontiera ultima ed evoluzione sofisticata del pensiero femminista; svela l’interesse dei sostenitori del gender a promuovere l’equivoco che esso c’entri con l’omosessualità; rimette ordine su ciò che è diritto, fondato, come diceva Cicerone, «non su una convenzione ma sulla natura»; smaschera la pretesa di chi vorrebbe porre quale causa prima della famiglia («quell’istituto riconosciuto dal diritto statuale che su quest’ultimo non si fonda, ma che è fondamento di quest’ultimo») non il diritto naturale – che attiene alla natura dell’uomo ed è dunque accessibile attraverso l’esercizio della ragione – bensì il diritto positivo e statale, e quella di chi vede nell’amore «un principio ordinante del diritto che a sua volta deve disciplinare e ordinare l’esistenza», come è accaduto lo scorso giugno quando Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha statuito che i singoli Stati non potessero rifiutarsi di riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso senza violare la Costituzione: incentrata non sulla razionalità del diritto, ma sulla passionalità dell’amore, «la suddetta sentenza, lungi dall’essere espressione di giustizia rappresenta piuttosto il triste volto di un diritto violato, cioè, in definitiva dell’ingiustizia».
La diffusione del fast-divorce, la proliferazione delle convivenze more uxorio, le richieste di riconoscimento e tutela giuridica di situazioni «che normalmente dovrebbero essere sottratte al diritto per natura (loro intrinseca e del diritto medesimo), come per esempio in matrimonio omosessuale o l’omogenitorialità (cioè la genitorialità come diritto delle coppie omosessuali attraverso l’istituto dell’adozione o le tecniche di procreazione medicalmente assistita)», evidenziano con forza le spinte contrarie e opposte a cui è soggetta l’istituzione famigliare, tra questi marosi è tuttavia possibile distinguere due principali prospettive «quella che in tende la famiglia come uno dei numerosi prodotti sociali che storicamente si vengono a determinare e succedere» (tipicamente sociologica e marxista) e «quella che rivela la famiglia come società naturale evidenziandone la struttura giuridica sostanziale e sottraendola così a tutte le ipotizzabili manipolazioni»: ecco allora come leggere l’articolo 29 della Costituzione Italiana ai sensi del quale «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», ovvero l’unione tra uomo e donna, requisito naturale, essenziale e logico della società naturale.
Uomo e donna: è qui che Vitale affronta i paradossi che derivano dalla negazione della natura propagata dal gender, sostituita dal sentimento e dal desiderio che una volta benedetti dalla politica e dal legislatore approdano facilmente alle storture del caso Beatie, al sostegno delle lobby gender all’industria dell’utero in affitto con la surrogazione di maternità che rappresenta per gli individui LGBT l’opportunità di avere una famiglia.
Dai più recenti casi internazionali a quelli italiani, il libro racconta i problemi biogiuridici legati a omoconiugalità e omogenitorialità giocati sulla pelle di bambini ridotti a prodotti ultimi di una catena di montaggio procreativa: valga per tutti il caso del 31enne omosessuale messicano Jorge che nel 2010 decide di diventare padre senza nemmeno essere fidanzato, usa il proprio seme e l’ovulo donato da un’amica e l’utero della madre: nasce un bambino che è figlio di Jorge e della sua amica, figlio della sua amica e di sua madre, figlio e fratello di Jorge, figlio e nipote della madre di Jorge, «essendo figlio di tutti, paradossalmente, è figlio di nessuno.
È più figlio o più nipote? E di chi è figlio? E si possono avere due madri e un padre? E se il proprio padre è proprio fratello? E se la propria madre è la propria nonna?
Contorsioni esistenziali derivanti da una concezione e da un’applicazione del possibilismo tecnico assolutamente svincolate da ogni paradigma veritativo dell’essere umano».
Un’altra storia che è un caso limite?
No, un’altra storia con tutti i limiti del caso, una delle tante provenienti dagli Stati dove l’ideologia gender, sotto l’ipocrisia della tutela dei diritti riproduttivi (un pensiero unico in cui trova accoglimento anche la promozione del reato di omofobia), va frammentando i ruoli genitoriali e trasformando le tecniche di procreazione medicalmente assistita da rimedio estremo per i casi di sterilità e infertilità in mezzi in cui poter strumentalizzare i figli a soddisfazione dei propri desideri e delle proprie aspirazioni.
Scrive Donna Haraway in “A manifesto for cyborgs: science, technology and socialist feminism in 1980s”, pubblicato nel 1985 sulla rivista Socialist Review: «Il cyborg è una creatura di un mondo post-genere: non ha niente da spartire con la bisessualità, la simbiosi pre-edipica, il lavoro non alienato o altre seduzioni di interezza organica ottenute investendo un’unità suprema di tutti i poteri delle parti. Il cyborg non ha nemmeno una storia delle origini nell’accezione occidentale del termine. (…) Il cyborg definisce una polis tecnologica in parte fondata sulla rivoluzione delle relazioni sociali nell’oikos. (…) Il cyborg non sogna una comunità costruita sul modello della famiglia organica».
E ben si comprende l’orizzonte in cui si muove l’homo faber, che può modificare a proprio piacimento la realtà e la sua stessa natura, raccontato da Vitale.
Un libro per non “tranquillizzare la propria coscienza” e tornare finalmente a ragionare.
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La sinistra vuol punire chi convince i bambini a non diventare gay
Tra i promotori la Cirinnà e Lo Giudice (Pd) Nel mirino psicologi, educatori e pedagogisti
di Francesca Angeli per Il Giornale
Roma Carcere fino a due anni. Multe fino a 50.000 euro. Sospensione per cinque anni dall'ordine professionale e confisca delle attrezzature.
Pesantissime le pene previste per «chiunque faccia uso su soggetti minorenni di pratiche rivolte alla conversione dell'orientamento sessuale» ovvero psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, consulenti, assistenti sociali, educatori e pedagogisti.
Si avventura in un terreno complesso con la pesantezza di un carro armato il disegno di legge depositato a Palazzo Madama da un gruppo di senatori del Pd, primo firmatario Sergio Lo Giudice con Monica Cirinnà insieme a Sinistra Italiana e Misto.
L'intento dichiarato da Lo Gudice è quello di evitare anche in Italia casi come quello dell'adolescente transgender dell'Ohio, Leelah Alcorn. Dopo aver rivelato di voler intraprendere un percorso per cambiare sesso ai suoi genitori il ragazzo era stato costretto dalla famiglia, che non accettava la sua scelta, a sottoporsi alla cosiddetta «terapia di conversione». In sostanza una «cura» per l'omosessualità. Ma non sentendosi accettato di fronte al rifiuto della sua famiglia all'età di 17 anni l'adolescente si è suicidato, diventando così un simbolo per tutte le comunità gay. Di buone intenzioni però è lastricata la via dell'inferno e nel ddl «Norme di contrasto alle terapie di conversione dell'orientamento sessuale dei minori» si entra in modo piuttosto brutale nei rapporto esclusivo tra terapeuta e paziente, oltretutto minore, e lo si fa per condannare una pratica, ovvero la terapia di conversione in realtà già bandita da tutto il mondo scientifico e dagli ordini professionali chiamati in questione. Il ddl si compone di tre soli articoli. Nel primo si specifica che per «conversione dell'orientamento sessuale si intende ogni pratica finalizzata a modificare l'orientamento sessuale di un individuo», inclusi i tentativi di «eliminare o ridurre l'attrazione emotiva, affettiva o sessuale verso individui dello stesso sesso, di sesso diverso o di entrambi i sessi». Ma se il minore è attratto da un individuo adulto? Nel ddl non si specifica l'età. Se il proprio figlio dodicenne ha rapporti con un quarantenne che cosa dovrebbero fare i genitori? E se il terapeuta lo invita a frenare rischia la galera? Nella legge si specifica che non saranno sanzionati «gli interventi che favoriscano l'autoaccettazione, il sostegno, l'esplorazione e la comprensione di sé da parte dei pazienti senza cercare di cambiare il loro orientamento sessuale».
Ma chi stabilirà dove sta il limite tra l'intervento ritenuto lecito e quello fuorilegge? Non dovrebbe essere proprio il terapeuta o lo psichiatra a stabilirlo? Ma con la spada di Damocle di una legge punitiva che pende sulla sua testa non si finirà per impedire qualsiasi tipo di intervento nel timore di ricadere nelle casistiche che prevedono il carcere? Il rischio è di paralizzare l'intero settore delle terapie su bambini e adolescenti.
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In occasione della Giornata Internazionale contro l’Omofobia, Sergio Lo Giudice, senatore del Partito Democratico, ha presentato il disegno di legge n. 2402, intitolato “Norme di contrasto alle terapie di conversione dell’orientamento sessuale dei minori“disegno di legge n. 2402, intitolato “Norme di contrasto alle terapie di conversione dell’orientamento sessuale dei minori”, volto a mettere al bando in Italia le cosiddette “teorie riparative” rivolte ai minori, su richiesta dei genitori.
Il provvedimento, oltre a Lo Giudice, primo firmatario, è stato sottoscritto dai senatori Bocchino, Capacchione, Cardinali, Cirinnà, Dalla Zuanna, De Petris, Gatti, Guerra, Idem, Lo Moro, Lumia, Mastrangeli, Orellana, Palermo, Pegorer, Ricchiuti e Spilabotte.
La premessa del disegno di legge rappresenta un vero e proprioexcursus ideologico della propaganda omosessualista in cui i proponenti hanno messo insieme le conquiste ottenute dal movimento LGBT lungo il “percorso di depatologizzazione dell’orientamento omosessuale” a partire dal fatidico 1973, anno in cui l’American Psychiatric Associationeliminò la diagnosi di omosessualità egosintonica dal DSM, il Manuale Diagnostico e Statistico delle Malattie Mentali. Una derubricazione – è superfluo ricordarlo – frutto non di particolari risultati scientifici raggiunti ma piuttosto del singolare contesto socio-politico di quegli anni.
I firmatari del progetto di legge si richiamano alla politica promossa in materia dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, affermando come “La depatologizzazione dell’omosessualità è un percorso ormai compiuto dai professionisti della salute mentale di tutto il mondo, le associazioni professionali e scientifiche, italiane e straniere, hanno a più riprese dovuto chiarire l’antiscientificità e la pericolosità delle terapie di conversione“.
Il disegno di legge consta solo di tre articoli.
L’articolo 1 fornisce una definizione preliminare di “conversione dell’orientamento sessuale”, specificando che con tale dicitura si intende
“(…) ogni pratica finalizzata a modificare l’orientamento sessuale di un individuo, inclusi i tentativi di cambiare i comportamenti o le espressioni di genere ovvero di eliminare o ridurre l’attrazione emotiva, affettiva o sessuale verso individui dello stesso sesso, di sesso diverso o di entrambi i sessi“.
In tale prospettiva le nuove norme vorrebbero addirittura impedire alle figure preposte la libertà di esercitare la propria attività professionale,pena multe salatissime e perfino il carcere. In questo senso, all’art. 2rivolto ai destinatari si legge:
“Chiunque, esercitando la pratica di psicologo, medico psichiatra, psicoterapeuta, terapeuta, consulente clinico, counsellor, consulente psicologico, assistente sociale, educatore o pedagogista faccia uso su soggetti minorenni di pratiche rivolte alla conversione dell’orientamento sessuale è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da 10.000 euro a 50.000 euro. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle attrezzature utilizzate.”.
L’art. 3 prevede, per di più, una sanzione accessoria qualora il responsabile del “reato” dovesse essere una figura abilitata dallo Stato per la quale scatterebbe l’immediata sospensione dell’incarico:
“Se la condotta è posta in essere nell’esercizio di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dallo Stato, la condanna comporta la sospensione dall’esercizio della professione da un minimo di un anno a un massimo di cinque anni.“
Che l’omosessualità non possa essere curata è una delle affermazioni più devastanti della propaganda omosessualista. Fino al 1973 attorno all’omosessualità veniva fatta una seria ricerca scientifica e assumere uno stile di vita omosessuale era un comportamento “sconsigliato” e, in quanto contro natura, giustamente stigmatizzato.
Dal 1973 in avanti la progressiva campagna di sdoganamento dell’omosessualità al motto di “gay is good” ha capovolto la situazione, portando, da un lato, ad arrestare totalmente la ricerca scientifica in materia e, dall’altro, a far sì che la classe medica passasse da un atteggiamento di corretta ed sana prevenzione alla sua promozione secondo lo slogan politically correct di “sei come sei”. Un approccio folle e antiscientifico che induce gli adolescenti più fragili ad assecondare i propri istinti e pulsioni sessuali, per altro confusi e traviati dalla martellante propaganda gender, al di là di ogni legge naturale. Una vera e propria ribellione contro la ragione e la realtà!
In un mondo capovolto, lo stigma sociale nei confronti dell’omosessualità e, poi, l’omofobia interiorizzata sono divenuti le vere cause del malessere delle persone omosessuali e, in conseguenza di ciò, la soluzione proposta è quella di costruire un diverso clima culturale, atto a far sentire finalmente “normali” coloro con pulsioni sessuali verso persone dello stesso sesso. Una soluzione chiaramente ideologica, presa in nome del principio di non discriminazione, che, paradossalmente, nella realtà, finisce per abbandonare al loro involontario e insoddisfatto destino i tantissimi omosessuali in lotta con i propri istinti.
Dopo aver ottenuto la legge sulle unioni civili, tale intollerante ed ideologico provvedimento, assieme al “ddl Scalfarotto”sull’omofobia, costituisce un altro tassello del prepotente, e sempre più aggressivo, piano di “normalizzazione” dell’omosessualità.
(di Rodolfo de Mattei su Osservatorio gender)