Asili, "creatività", autodidattica, tecnica di gruppo, presa di coscienza e
educazione liberatrice... Siamo di fronte ad una "educazione" rivoluzionaria che
è la negazione dell'educazione (1).
Una delle sue caratteristiche si basa nel rifiutare un'educazione fondata sul reale. Il
bambino non deve acquisire l'abito della virtù fin da piccolo; la sua coscienza morale
non deve essere educata ed il suo spirito neppure. Raggiungerà tutto ciò quando sarà
grande e potrà scegliere da solo ciò che preferirà. E' una "educazione" che
si pretende non sia diretta, ma sia frutto della volontà del bambino, che diventa libero
poco a poco, mentre cresce, posto che non gli s'impone mai niente: tutto deve essere
frutto del suo interesse, delle sue scoperte di fronte al mondo e alla vita.
Una "educazione" puramente "istruttiva", asettica sul piano morale
e religioso, nei confronti del quale, al massimo, si afferma che "poi" farà la
sua scelta. Ma é pure un'educazione "distruttrice", assolutamente
negativistica, che rinuncia ad educare nel periodo dell'infanzia perché si possa educare
nell'adolescenza o maturità.
Una "Educazione" basata o influenzata dall'idea rousseauviana del buon
selvaggio - che verrebbe corrotto dalla società -, che vuole mantenere il bambino nello
stato di bontà naturale: parlargli del bene e del male, di doveri e di verità, di Dio,
è perciò cosa dannosa poiché, essendo buono, egli conoscerà il male o la bugia solo
quando - contro la sua "natura" - gli si parlerà di ciò, o gli si chiederanno
cose che lo faranno mentire o che lo renderanno, addirittura, ateo o idolatra.
Rousseau dice che "la sola abitudine che bisogna lasciar prendere al bambino è
di non contrarne alcuna" (2); "nessuno, nemmeno il padre, ha il diritto
di ordinare al bambino ciò che non gli è utile" (3) perché "l'esperienza
o l'impotenza da sole debbono fare per lui le veci della legge [...] non sappia
cos'è obbedienza quando agisce" (4); "mai comandare o proibire qualcosa
[...] fino ai dodici anni l'educazione deve essere negativa" (5), perché non
si deve esigere nulla dai bambini per obbedienza (6): "é la legge dell'obbedienza
a generare la necessità di mentire, perché, essendo quest'obbedienza penosa, ci se ne
dispensa in segreto più che si può e l'interesse presente di evitare la punizione o il
rimprovero ha il sopravvento sull'interesse più remoto di dire la verità [...] non
lo rimproverate, non lo punite mai, non esigete nulla da lui. Perché non dovrebbe dirvi
tutto quel che ha fatto con la stessa ingenuità con cui lo direbbe ad un suo compagno di
giochi?" (7). "Quanto a noi - continua Rousseau (8) -,che
impartiamo ai nostri allievi solo lezioni di pratica e che preferiamo saperli buoni
piuttosto che colti, non esigiamo da loro la verità per paura che la travisino"
(9).
E' una "educazione" che non educa, basata sul sofisma che si fa il male e si
mentisce solo se si conosce la verità o l'errore, il bene e il male: essa si limita a
addestrare o istruire il buon selvaggio, come si potrebbe fare con un animale.
Senza dubbio, questa "educazione" negativistica, non imposta, non diretta, si
pretende di applicare oggi affinché l'alunno possa scoprire da solo il mondo e da solo
procedere a valutarlo, accettandolo o rifiutandolo liberamente.
E' una "educazione" immaginaria, posto che Rousseau crea un alunno
immaginario col quale verificherà i suoi principi mediante esperienze ugualmente
immaginarie (10): un'educazione, pertanto, a ciò che non esiste, a ciò che non è che il
frutto di una mente traviata. Ma, nonostante questo, Rousseau è il precursore di teorie
"moderne" come quelle già segnalate.
Si tratta di preparare il bambino alla libertà, si dice, nello stesso modo in cui
Rousseau dirà essere necessario "preparare in anticipo il regno della sua
libertà" (11). Libertà che oggi consiste, come per Rousseau, in mancare
d'attaccamento a qualunque posto, e nel non avere altra legge che quella dettata dalla
volontà (12). Come commenta Tremolet de Villers, si tratta di una "libertà
negativa, al termine di un'educazione egualmente negativa. E' certamente, l'ideale dello
sradicamento integrale" (13).
10.1.2 Il condizionamento per ottenere la sottomissione alla volontà generale
Per Rousseau, senza dubbio, tale "educazione" aveva un fine preciso, che é
lo stesso che ha oggi per la Rivoluzione: trasformare la società e non semplicemente
riformarla, cambiarla radicalmente. Secondo lui, "tutta la nostra saggezza
consiste in pregiudizi servili, tutte le nostre abitudini non sono altro che soggezione,
difficoltà, costrizione. L'uomo civile nasce, vive e muore in schiavitù: alla nascita lo
si immobilizza nelle fasce, alla morte lo si cuce in un sudario; fin quando conserva volto
umano è incatenato dalle nostre istituzioni" (14). Quasi con le stesse parole
1'UNESCO, l'educazione liberatrice e la rivoluzione culturale respingono la società, per
formare un uomo libero. Per questo, la "educazione" deve essere asettica. Ma si
tratta realmente di formare un uomo libero? Non formerà un uomo, un robot, che accetta e
collabora docilmente alla voce del suo padrone per trasformare e distruggere la società?
Quella libertà del bambino, tanto sbandierata, non è altro che la perdita della sua
libertà che, iniziando col negargli gli elementi con cui potrà giudicare e discernere
(tanto a cuore all'educazione rivoluzionaria), finisce per essere la sua schiavitù. La
libertà, il non dirigismo, la creatività ecc. ... sono, come abbiamo visto, più o meno
sottilmente diretti dai suoi insegnanti. Come lo stesso Rousseau aveva suggerito, il
bambino "si creda sempre il maestro e invece siatelo sempre voi. Non v'è
sudditanza più perfetta di quella che conserva la parvenza di libertà; è così che si
avvince la volontà stessa. Il povero bambino che non sa nulla, che non può nulla, che
non conosce nulla, non è forse alla vostra mercé? Non disponete forse, nei suoi
confronti, di tutto ciò che lo circonda? Non siete forse padrone di influenzarlo come
più vi piace? I suoi lavori, i suoi giochi, i suoi piaceri, le sue pene, non è forse
tutto in mano vostra, senza che egli lo sappia? E' vero, deve fare solo ciò che vuole; ma
non deve voler fare se non ciò che voi volete che faccia; non deve fare un passo solo che
voi non abbiate previsto; non deve aprir bocca senza che voi sappiate quel che intende
dire" (15). Come giustamente osserva Tremolet de Villers, questa "è,
certamente, la miglior definizione di tirannia" (16). E, commentando la frase
"non deve desiderare che quello che voi desiderate che faccia", segnala
che tale "è l'indirizzo di tutta l'educazione senza regole e di quelle che le
sono succedute: la dinamica dei gruppi, la autodisciplina ecc." (17).
Tuttavia, a che scopo catturare la volontà individuale?"Semplicemente -
continua Tremolet de Villers - perché Émile non andrà a vivere solo. Sciolto dalla
sua famiglia, da ogni dovere, dal suo paese, entra nella società degli uomini liberi, non
fondata sulla natura o sulla storia, ma sull'accordo delle volontà [...] E la
legge di questa volontà è la volontà generale" (18). "Bisognerà,
quindi, formare le volontà individuali perché si sforzino di preferire, non il Bello, il
Bene o la Verità, ma la volontà generale. Ma chi è il depositario della volontà
generale? Chi se non lo Stato? Lo Stato nuovo, lo Stato moderno - continua -,
espressione della volontà generale, dovrà controllare incessantemente levolontà
individuali per la sua stessa conservazione. Liberata dalle limitazioni sociali della
famiglia e dei corpi intermedi, liberata dalla verità e dalla Religione, l'educazione
degli uomini finisce per essere un affare dello Stato" (19). O del superstato.
E' un'educazione rivoluzionaria che, mentre impedisce la vera educazione (distrutta
dall'ultima manifestazione della sovversione che è la rivoluzione culturale), grazie alle
nuove tecniche, trasforma l'uomo in artefice della propria rivoluzione per continuarla e
perpetuarla.
10.1.3 La condizione naturale contro la natura
Tale è, in effetti, la conseguenza dell'educazione negativistica di Rousseau, la cui
influenza giunge fino ai nostri giorni (20). Così, come spiega Tremolet de Villers (21),
il "neodirettivismo" di Rogers o di Lapassade affonda le sue radici nelle idee
di Rousseau. Coscienti della necessità di istruire i bambini, non arrivano a respingere
tale esigenza, ma rifiutano l'educazione.
Come osserva Tremolet de Villers, "questa è esattamente l'inversione, la
sovversione radicale di tutta l'educazione. Trasmettere la tecnica ma non lo spirito. Dare
le cose, ma non l'ordine delle cose. E' la scienza senza coscienza, come disse Rabelais;
é il male del quale muore questa società dei consumi, nella quale il bambino dispone di
tutto, ma senza sapere il fine ultimo di ciò che dispone" (22). Siamo di fronte
a una diseducazione che deriva, di conseguenza, dall'educazione rivoluzionaria; a
un'educazione distruttiva, che pretende sostituire il vero oggetto dell'educazione con la
sottomissione alla volontà del potere, sia questo del maestro o dello Stato, democratico
o meno, ma comunque totalitario (23). E' una diseducazione che nasce da Rousseau e da
tutte quelle dottrine pedagogiche che ereditano il pesante fardello del di lui ottimismo
pedagogico naturalistico e dell'educazione negativistica.
Come indica Dante Morando, "il difetto fondamentale di uneducazione
puramente naturale é quello che abbiamo già accennato a proposito delleducazione
rinascimentale: di confondere leducazione della natura e leducazione della
persona. Leducazione naturale, intesa solo come sviluppo dinamico dellessere
secondo la specifica natura dei suoi istinti e delle sue tendenze, non affronta né
risolve il vero problema delleducazione umana, che é quello che si riferisce
alleducazione della persona" (24).
L'errore di base consiste, allora, nella confusione dovuta alla sostituzione della
natura con la condizione naturale dell'uomo. La natura, contemplata in tutta la sua
ampiezza, comprende tutto l'uomo - con le sue facoltà intellettive e volitive -, mentre
lo considera pure un essere sociale e storico; in accordo con ciò, è naturale che l'uomo
sia educato in accordo con la sua natura specifica, che è razionale. Conformemente a
questo, si deve tendere a che l'educazione si svolga verso tutta quella pienezza e, per
ciò stesso, insistere specialmente sulle facoltà intellettuali e morali dell'uomo; fare
in modo che egli sia ciò che è in base a ciò che la natura concretamente gli ha dato e,
inoltre, ciò che deve essere secondo le sue facoltà spirituali, in accordo con le sue
possibilità potenziali: é questo che la natura umana richiede.
Al contrario, la condizione naturale (presociale) da cui parte Rousseau, è
qualcosa di immaginario, una mera illusione, qualcosa di non reale. Tale condizione sorge
dall'immaginare l'uomo isolato e fuori della storia, nonché dal prendere un elemento
considerato come essenziale (nel caso di Rousseau la condizione di libertà) per la cui
attuazione si stabilisce il contratto sociale. In questo modo il concetto di natura,
identificato con una condizione naturale immaginaria e fittizia, è mutilato
perché vengono escluse dalla natura le qualità, i fini ed i rapporti sociali naturali
(25).
Per questo motivo già Aristotele aveva segnalato che gli elementi di tutta
l'educazione erano tre: natura, abitudine e ragione (26); mentre san Tommaso aveva
indicato che il fine dell'educazione é la promozione e lo sviluppo dell'uomo per
raggiungere la condizione perfetta nella sua individuale specificità di uomo, costituito
dallo stato di virtù (27). Dante Morando (28) osserva giustamente che "leducazione
umana, che é essenzialmente educazione della persona, é uneducazione naturale, non
nel senso meccanico e positivista, e neppure nel senso chessa si attua per spontaneo
dinamismo degli istinti naturali, ma nel senso che non é contro natura, anzi attua ciò
che di meglio ha in sé la natura stessa delluomo" (29).
Come conseguenza della negazione della natura e per l'immaginare un fittizio stato
naturale, luomo viene condotto alla schiavitù (30) per mezzo di una
diseducazione integrale (31).
10.2 L'educazione marxista
10.2.1 La prassi contro la verità
Il rifiuto dell'intelligenza ha nel marxismo il suo più chiaro esponente.
Per il marxismo, infatti, la pratica ha il primato sulla conoscenza; con il marxismo
scompare la contemplazione come fondamento del sapere (32): "non la contemplazione
ma l'elaborazione é il fondamento di ogni conoscenza", come affermava il
pedagogo socialista Seidel (33). E' la famosa XI Tesi di Marx (34) su Feuerbach, che tutti
i discepoli di Marx non hanno esitato di mantenere e che è la base stessa del marxismo.
E' il primato della prassi sulla conoscenza, dell'azione sulla dottrina, del fare
sull'essere.
Del resto, Marx, nella II Tesi su Feuerbach, aveva detto: "la questione se al
pensiero umano spetti una verità oggettiva, non é questione teoretica bensì una
questione pratica. Nella prassi luomo deve provare la verità, cioè la realtà e il
potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà
del pensiero - isolato dalla prassi - é una questione meramente scolastica"
(35). Nello stesso senso, Mao affermava che "la conoscenza comincia con la
pratica, raggiunge attraverso la pratica il piano teoretico, e deve poi ritornare
nuovamente alla pratica" (36); in realtà, "criterio della verità può
essere soltanto la pratica sociale" (37). E uninversione completa
dellintelligenza, che Mao ci illustra adeguatamente quando aggiunge "pratica,
conoscenza, più pratica e più conoscenza. Questa formula nella sua ciclica ripetizione,
é infinita: ma ad ogni nuovo ciclo il contenuto della pratica e della conoscenza si eleva
a uno stadio sempre più alto [...] questa é la concezione dellunità del
sapere e di azione propria del materialismo dialettico" (38).
La conseguenza immediata di questa tesi per l'insegnamento, come osserva Octavi Fullat
commentando la II Tesi menzionata, è che, per il marxismo, "educare non è porre
in contatto con la verità, ma con la pratica" (39). Infatti, come
affermava lo stesso Mao, una delle caratteristiche del materialismo dialettico consiste
nel ritenere "la pratica più importante della conoscenza (teorica) [...] laffermazione
dellinterdipendenza tra teoria e pratica, laffermazione che alla base della
teoria sta la pratica, e che a sua volta la teoria serve la pratica [...] Il punto
di vista della pratica deve essere il punto di vista primo e fondamentale della teoria
della conoscenza nel materialismo dialettico" (40).
Come osserva Theo Dietrich "secondo la dottrina marxista, l'uomo può soltanto
giungere a conoscere la volontà storica, accordare la sua volontà ad essa e agire in
accordo con la necessità storica. Questo accordo della volontà soggettiva dell'uomo con
la volontà oggettiva della storia è ciò che costituisce, secondo Marx, la fede nella
verità del senso della storia" (41). In accordo con quanto esposto, per il
marxismo l'educazione e l'insegnamento devono realizzare praticamente il vincolo dell'uomo
col senso della storia; "l'educazione è necessaria - segnala Dietrich -. Il
suo significato e il suo compito consiste nel provocare la massima accelerazione del
processo storico e nel rendere possibile, ossia far trionfare, la trasformazione della
coscienza degli uomini" (42).
10.2.2 Lobiettivo e la tattica
Octavi Fullat osserva giustamente che per il marxismo "educare é inserire
luomo nella dialettica totale e portare a termine tutto ciò in modo polemico"
(43); "l'unico modo possibile di educare consiste nel riprodurre in lui le leggi
necessarie della dialettica della materia; ottenere che, coscientemente e liberamente
(parliamo di libertà marxista) l'educando si venga realizzando, per mezzo di
contraddizioni successive, nella natura e nella storia" (44); insomma, "se
l'educazione marxista deve interpretarsi come adattamento [...] esso è adattamento
alla situazione rivoluzionaria, progressiva del momento [...] educare è
socializzare" (45).
Di conseguenza, come segnala T. Dietrich, "conoscendo la verità ed
avendo linsegnamento come obiettivo quella della trasmissione di tale
verità, possiamo dedurre che l'attività autonoma dell'individuo trova posto solo
dove può esercitarsi in modo conforme ai fini che assegna l'ideologia. Il giovane deve,
in primo luogo, piegarsi all'autorità dell'ideologia, e solo dopo, potrà diventare attivo
nel senso fissato dall'ideologia. In base a ciò, non è l'"IO" dell'uomo che
si esprime ma si dovrebbe piuttosto parlare di attività autonoma della coscienza
ideologica alla quale l'uomo subordina la sua attività. Questo principio esige che
l'insegnamento sia in mano a maestri indottrinati ideologicamente. Il maestro
svolge un ruolo importante. Deve essere capace di accendere la scintilla della coscienza
comunista nei suoi alunni. Oltre a una formazione politecnica adeguata, deve avere,
innanzi tutto, una coscienza politica. La scuola e l'insegnamento devono essere
permanentemente controllati per evitare che si infiltrino nella scuola residui di
concezioni borghesi" (46).
Perciò, oltre allistruzione e allo studio, la "formazione della
coscienza raggiunge la sua maggiore profondità quando vi si accumula la propria
esperienza individuale", ma, "gli ambiti in cui si deve portare a termine
lesperienza sono: la lotta di classe, loppressione del mondo proletario, il
lavoro sociale degli operai e dei contadini, la società comunista. La natura di questi
ambiti, fin da subito, non permette altro che unesperienza molto particolare. Di
conseguenza, la coscienza può nutrirsi solo di conoscenze orientate in una direzione
determinata [...] Lo spazio in cui si possono portare a termine é, primariamente,
la scienza spezzettata nella macina dellideologia. Pertanto, secondo Lenin, la
scuola ha come missione limprimere il sigillo della coscienza comunista per
mezzo di un'istruzione ed una formazione sistematica; ma perché tale impronta possa
divenire realtà, é altrettanto necessario acquisire unesperienza personale nel
chiuso dello spazio comunista. Per questo motivo, e per mezzo di un programma metodico
distruzione, sottomette il sapere ereditato al vaglio degli orientamenti generali
del comunismo" (47).
Tale è l'obiettivo della educazione marxista: fare coscienze comuniste (48). Ma come
si fa? Come lo si ottiene? Il procedimento varia secondo le circostanze. Il fatto che il
marxismo sia già al potere oppure che non l'abbia ancora conquistato, non comporta lo
stesso genere di tattica. Quando domina nella società, abbiamo visto come agisce. E
nell'altro caso?
In primo luogo, deve essere chiaro che esso non si prefigge di migliorare niente: si
tratta di trasformare, di cambiare tutto, a causa del carattere dialettico del marxismo.
La critica del marxismo ad ogni ingiustizia reale (o a ogni situazione che si presenta
come ingiusta o viene fatta passare come tale) non ha come scopo il ristabilimento della
giustizia, il cambiare le cose nella direzione più ampia e buona, ma linserire
l'uomo nella dialettica, lottenere che gli uomini accettino di essere vincolati al
processo dialettico, che è ciò in cui per il marxismo consiste il progresso (49).
Il piano per l'educazione e l'insegnamento ce lo spiega Maurice Levitas; secondo lui,
il marxismo si oppone ai miglioramenti sociali e vuole la rivoluzione sociale (50). Il
fatto é che, come Marx aveva segnalato, "la classe dominante è tanto più forte
e pericolosa nel suo dominio quanto più è capace di assimilare gli uomini più
importanti delle classi dominate" (51); "per questa ragione -
sostiene Maurice Levitas -, i marxisti rifiutano di ammettere l'opportunità di
miglioramenti sociali come fine di una politica socialista o democratica dell'educazione"
(52).
Il fatto é che l'obiettivo del marxismo, quello confessato e reale, è la presa del
potere da parte della classe lavoratrice. Tuttavia, come segnala M. Levitas, "questo
non vuol dire che non si può fare niente prima che il potere della classe lavoratrice
divenga realtà. La lotta per il miglioramento dell'educazione della classe lavoratrice (53)
ha questa importanza: senza la dedizione a questa lotta non possono prendere forma e
svilupparsi né i mezzi per portare atermine l'offensiva "ultima" e
neppure l'ideologia che la sostiene. Inoltre, qualunque vittoria nel progresso educativo (54),
può aiutare asviluppare la coscienza di classe della classe lavoratrice, anche se
aiuta gli obiettivi correnti del capitale finanziario" (55). Da ciò
l'importanza, per il marxismo, dell'insegnamento nei centri scolastici della società in
cui non ha ancora preso il potere. Da qui l'importanza e il pericolo del marxismo nelle
scuole,collegi e università del mondo occidentale.
Pericolo molto più importante e reale oggi, posto che 1'eurocomunismo si
propone proprio di arrivare allo "stato finale della storia", ossia al
comunismo, per mezzo della conquista della società; cosa che renderà possibile, e
possibile facilmente, la successiva conquista dello Stato. In altre parole, per usare la
terminologia di Gramsci (56): la conquista della società civile come preludio della
conquista della società politica.
Una delle modalità con cui preparare e ottenere che la società sia marxista è
l'educazione liberatrice, sviluppata da Paulo Freire e dai suoi seguaci, a partire
principalmente dagli ambienti impropriamente denominati cattolico-progressisti o cattolici
di sinistra, posto che, in realtà, in tali luoghi il cattolicesimo è scomparso.
10.2.3 Leducazione liberatrice
10.2.3.1 Precisazioni concettuali
Per intendere ciò che significa "educazione liberatrice" (57) è necessario
conoscere il contenuto di alcune parole ed espressioni che, nella concezione di Paulo
Freire, si utilizzano volutamente in forma equivoca.
Conoscere è verificare la natura delle cose,le sue qualità e relazioni.
L'oggetto della conoscenza sono le cose: nella misura in cui il nostro giudizio é in
accordo con la realtà delle stesse, la nostra conoscenza risulta verace. Inoltre, la
conoscenza è connaturale a tutto l'uomo.
Ebbene, per Paulo Freire e l'educazione liberatrice, tutto ciò è falso. Per
l'educazione liberatrice, non è la conoscenza della realtà che ci porta a operare
secondo un ordine o una finalità che la natura delle cose richiede e che, con
l'osservazione di esse, scopriamo, conosciamo e, in conseguenza, attuiamo in accordo con
essa. L'educazione liberatrice rifiuta la conoscenza in quanto attività intellettuale:
per essa la conoscenza non è altro che la prassi e si identifica con essa in modo che la
conoscenza stessa si può solo acquisire attraverso la stessa prassi. Non si può nemmeno
ammettere, che l'uomo possa conoscere di per sé stesso: lo può fare solo attraverso una
relazione di compartecipazione, di dialogo, dove ciò non è che la prassi stessa, per cui
anche la verità scompare trasformandosi (58).
La coscientizzazione - un'altra delle basi su cui si fonda l'educazione liberatrice -,
suppone il rifiuto della intelligenza, essendo anch'essa prassi attraverso la quale si
opera la trasformazione della coscienza; una coscienza che, inoltre, è "coscienza di
classe" perché scompare la persona, l'individuo concreto, per il quale non resta
posto in tale concezione. Infatti, per l'educazione liberatrice, la condizione dell'uomo
risulta dall'accordo rivoluzionario: è uomo solo chi si impegna nella prassi
rivoluzionaria, nell'azione trasformante della realtà. Inoltre, l'uomo non "è"
ma si "fa" continuamente nella prassi, visto che non è altro che una parte del
tutto collettivo; così, l'umanesimo al quale fa allusione l'educazione liberatrice, non
è altro che pura trasformazione, prassi. La liberazione che proclama non è altro che la
liberazione dalle strutture di oppressione per mezzo della lotta di classe, per arrivare -
attraverso una trasformazione continua - a una nuova società, della quale non si sa nulla
se non che viene annunciata come la "via inedita". La libertà dell'uomo
scompare davanti un determinismo fatale, che conduce a una società aperta, liberata,
critica, nella quale non vi sono strutture di dominazione e oppressione. E' chiaro che
Freire non può spiegare come sia possibile che si verifichi la trasformazione delle
coscienze (che renda possibile l'apparizione di quella società), dal momento che le
coscienze dipendono dalle strutture e queste sono di oppressione e dominazione: la
conseguenza logica del pensiero marxista dì Freire, che impregna tutta l'educazione
liberatrice, e che egli è radicalmente incapace di spiegare la realtà in modo
soddisfacente.
10.2.3.2 Rivoluzione culturale
L'educazione a cui fa riferimento l'educazione liberatrice, non ha nulla a che vedere
con il concetto che la parola educazione esprime. Il concetto tradizionale di educazione,
basato sull'esistenza di un ordine e di una realtà oggettiva - che è possibile conoscere
e in accordo coi quali bisogna agire -, è rifiutato dall'educazione 1iberatrice, giacché
tale concetto fa parte della "ideologia dominante" (59), e serve solamente per
"integrarsi" (60) nella società che opprime: una tale concezione
dell'educazione è una concezione "creditizia" della stessa società, che
l'educazione liberatrice rifiuta in pieno e contro cui lancia ogni tipo di critica (61).
Per Paulo Freire, e per l'educazione liberatrice, educare è coscientizzare:
l'obiettivo dell'educazione è "rendere possibile (che gli uomini) approfondiscano
la loro presa di coscienza della realtà, nella quale e con la quale sono" (62).
Tale "approfondimento della presa di coscienza che si fa attraverso la
coscientizzazione" (63), "non consiste nello stare di fronte alla realtà
assumendo una posizione falsamente intellettuale; la coscientizzazione non può esistere
fuori della prassi" (64), "è un compromesso storico" (65) che
"implica, necessariamente, un compromesso politico" (66); é, tuttavia,
un compromesso politico che porta alla lotta di classe, perché"non vi é
coscientizzazione se dalla sua pratica non sorge l'azione cosciente degli oppressi, in
quanto classe sociale sfruttata, nella lotta per la loro liberazione" (67). In
realtà, l'educazione liberatrice non educa, ma coscientizza. E' uno strumento al servizio
dell'educazione rivoluzionaria.
L'educazione liberatrice (forse perché non compresa, o perché compresa fin troppo
bene), tuttavia, oggi sta venendo messa in pratica, grazie alla critica che fa
all'educazione non liberatrice, all'educazione "creditizia". Senza dubbio,
l'educazione liberatrice non ha alcun fondamento nella sua critica all'educazione che non
viene ritenuta liberatrice. Questa critica ad alcuni aspetti negativi dell'educazione non
liberatrice, è solo un modo di nascondere l'aspetto fondamentale dell'educazione
liberatrice, di far dimenticare ciò che essa propone, di ottenere, insomma, che si
accetti l'impegno al quale conduce l'educazione liberatrice (68). In realtà, la critica
alla educazione non liberatrice, sorge perché la si considera strumento della classe e
della cultura dominante, che non libera l'uomo, bensì lo integra nella società, perché
è un'educazione integratrice (69).
L'educazione liberatrice e il metodo da essa impiegato si basa nell'azione, nella
prassi: è prassi. Attraverso di essa è possibile cancellare la memoria storica - e con
essa la tradizione -, e annullare l'intelligenza. Con l'azione, mediante la prassi, si
impedisce la contemplazione - che è il fondamento del sapere -, e così si rende
possibile la rivoluzione totale, permanente, continua. Si è rifiutata l'intelligenza e si
impedisce all'uomo l'esercizio della sua facoltà intellettiva. Il vincolo all'azione,
alla prassi, impedisce completamente di pensare, tanto che, alla fine, si pensa e si
ragiona come si agisce; siamo ancora di fronte al postulato marxista della azione che
precede la dottrina e la conoscenza, essendo la stessa azione la guida di sé stessa (70).
10.3 Il rifiuto dell'intelligenza
Educazione rivoluzionaria significa rifiuto dell'intelligenza. Sebbene l'uomo, per il
fatto di essere tale, sia intelligente, dire che l'educazione rivoluzionaria rifiuta
l'intelligenza, non vuol dire che l'uomo cesserà di possedere la facoltà intellettiva;
non è possibile cambiare la natura umana fino a questo estremo senza distruggerla
completamente. L'uomo non può formare uomini che manchino di intelligenza. Ma, in
compenso, si può arrivare ad annullare l'intelligenza, impedire l'uso della ragione,
ottenere, insomma, di cambiare in modo tale l'intelligenza umana che l'uomo non saprà
poi, veramente discernere, pensare da solo. Questo è, in realtà, il risultato
dell'educazione rivoluzionaria e in una delle sue manifestazioni, quella marxista, non è
soltanto il risultato a cui si giunge inesorabilmente, ma il fine che sin dall'inizio si
persegue.
E' respingere l'intelligenza il negare di poter conoscere l'esistenza di una realtà
oggettiva, esterna all'uomo, conformemente alla quale dobbiamo operare una volta
conosciutala e nella misura in cui la conosciamo. E' una realtà oggettiva esterna che,
certamente, può essere in una qualche misura modificata dall'attività dell'uomo, ma che,
fondamentalmente, non dipende dall'attività umana bensì ubbidisce alle leggi della
natura, é un'attività frutto di un ordine naturale che ubbidisce all'intelligenza del
Creatore. Ciò viene negato dall'educazione rivoluzionaria, che non vuole ammetterlo:
dalla educazione naturalista e negativistica di Rousseau, alle ultime manifestazioni
dell'educazione marxista.
E' ugualmente respingere l'intelligenza impedirne l'uso, il vincolare all'uomo e alla
prassi, che ha proprio per obiettivo l'impedire di pensare, per ottenere senza ostacoli
tale vincolo. Perciò, si cerca anche di cancellare la memoria storica e in questo modo
realizzare ciò che Orwell (71) intravide nella sua Oceania immaginaria, nella
quale - a seconda degli interessi del Partito e attraverso il Ministero della Verità -
si confezionavano gli avvenimenti storici presenti e passati, perché con la memoria
cancellata e le testimonianze scritte falsificate, le pretese del Partito fossero
necessariamente accettate, non esistendo più nulla con cui paragonarle.
Per questo, l'educazione rivoluzionaria è qualcosa di totalmente contrario al concetto
di educazione. Anche per questo, l'educazione rivoluzionaria è totalmente sottomessa, in
ogni aspetto, alle direttive del Partito, dello Stato o del super-stato: per fare un
"perfetto" mondo di robot, dove la disumanizzazione sarà totale e permanente.
E' pure la stessa ultima conclusione alla quale porta la rottura con l'ordine della
natura, alla cui osservazione e conoscenza dobbiamo sottometterci e operare in accordo con
i suoi insegnamenti, così come era stato percepito dal realismo aristotelico tomista. Una
rottura iniziata col nominalismo di Ockam (72) e - passando per l'idealismo - conclusasi
col marxismo, sia sul piano morale, quanto in quello sociale e politico (73).
NOTE
Cfr. Jacques Tremolet de Villers: La educaciòn revolucionaria, in Verbo 119-120,
novembre-dicembre 1973, pp. 973 e succ. [http://web.tiscalinet.it/educazione/]
Jean Jacques Rousseau, Émile a cura di Jean Louis Lecercle, Editori Riuniti,
Roma 1979, pag. 62.
Ibid.
, p. 79.
Ibid.
, p. 80.
Ibid.
,p. 83-84.
Ibidem.
Ibid.
, p. 88-89.
Ibidem.
Ibid.
, p. 90.
Ibid.
, p. 59.
Ibid.
, p. 62.
Ibid.
, p. 57.
J. Tremolet de Villers, op. cit.
J. J. Rousseau, op. cit., pag. 52.
Ibid.
, p. 97.
J. Tremolet de Villers, op. cit.
Ibidem.
Ibidem.
Ibidem.
Sulla pedagogia influenzata delle idee di Rousseau, cfr. E. Cantero: Alcune
innovazioni della pedagogia moderna, Verbo, Spagna. n° 171/172, in questo libro al
cap. IX. Come ha recentemente posto in risalto Iván R. Luna, anche Dewey subisce
l'influenza di Rousseau: analizzando la libertà di giudizio, il libero arbitrio, segnala
che - per Dewey - il soggetto usa adeguatamente della libertà per sua stessa natura - a
causa della bontà naturale - e su essa si fonda la morale. Per questo, secondo Dewey, non
bisogna correggere il bambino e educare la sua volontà, giacché presupposta la bontà
naturale dell'uomo, non é necessario rettificare gli interessi dei bambini, ma solo
regolarli: quanti non si adattano al gruppo, non sono altro che eccezioni a questa regola,
"casi eccezionali", ai quali non si deve dare troppa importanza (Educaciòn y
libre albedrìo, in Filosofar cristiano, Còrdoba-Argentina, n. 2, 1977, pp.
246-249).
Fra le esperienze attuali nelle quali si riescono a scorgere presupposti ed idee simili
(che ciò avvenga in modo cosciente, incosciente o anche senza una influenza diretta) a
quelle di Rousseau, è utile segnalare quelle portate avanti da A.S. Neill nella sua
scuola di Summerhill, a cui non è ozioso riferirsi per l'importanza che gli si sta
concedendo e per la proliferazione delle edizioni delle sue opere. Neill ritiene che la
scuola e l'educazione debbano essere per la vita, debbano formare uomini liberi ed
insegnare a pensare. Non ci sarebbe nulla da obiettare a tutto ciò, se questo fosse
effettivamente il suo proposito e la meta da perseguire. Ma la realtà é ben diversa,
principalmente a causa della concezione che Neill ha della vita, dell'uomo, della
società, della realtà e della natura. Per Neill - il cui "principale desiderio
é la felicità dei bambini" (Autobiografia, Fondo de cultura economica,
Madrid 1976, p. 268) -, "il fine della vita è raggiungere la felicità"
(Summerhill, Fondo de cultura economica, Madrid 1976, p. 36) e "la
felicità può essere definita come la condizione in cui si ha il minimo di repressione"
(ibid. pag. 283). "Come si può avere la felicità? La mia personale risposta è:
abolite l'autorità, lasciate che il bambino sia se stesso. Non lo spingete. Non
insegnategli. Non fategli prediche. Non miglioratelo. Non obbligatelo a fare niente"
(Ibid., p. 241).
Tuttavia, "l'eccessiva libertà diventa licenza. Io definisco la licenza come
qualcosa che viola la libertà degli altri" (Hijos en libertad, Granica,
Barcellona 1978, II ed., p. 21); "l'autocontrollo implica la capacità di pensare
agli altri, di rispettare il diritto degli altri" (ibid., p. 22).
Per Neill, che sembra considerare tutti i bambini come problematici o difficili,
il male é nella società, nel "sistema repressivo" (Autobiografia,
op. cit., p. 12), che infonde nei bambini il complesso di colpa e il complesso
del peccato (da cui non potranno liberarsi quando saranno uomini) con la repressione
provocata dall'autorità: sono specialmente colpevoli la repressione religiosa e la
repressione sessuale, cause di tutti i mali. Neill rifiuta, perciò, l'autorità,
affermando che la educazione deve essere basata sui sentimenti più che sull'intelligenza,
giacché "le emozioni e non l'intelletto, costituiscono la forza che dà impulso
alla vita" (Autobiografia, op. cit. p. 143). Secondo lui, "non é
possibile insegnare alcunché di importante: non l'amore, né l'essere onorato e neppure
l'essere caritatevole; devono invece insegnarsi delle abilità, come ve ne sono nel lavoro"
(Autobiografia, op. cit., p. 112). Insomma, "non vi è alcuna necessità di
insegnare ai bambini come devono comportarsi. Un bambino imparerà ciò che è buono o
cattivo a suo tempo, sempre che non venga condizionato" (Summerhill, op.
cit., pag. 210); "la gioventù ne uscirà avendo guadagnato la libertà di
decidere da sola ciò che è bene e ciò che è male" (Hijos en libertad,
op. cit., p. 106). Inoltre, "la legge provoca il crimine e la censura provoca la
pornografia" (ibid., p. 107); ed "è l'istruzione morale che fa
male al bambino. Vedo che quando faccio a pezzi l'istruzione morale che ha ricevuto un
bambino, questo diventa un bambino buono" (Summerhill, op. cit., p. 207).
Il fatto é che, per Neill, "un criminale non può evitare di esserlo; sono
l'eredità e l'ambiente che rendono l'individuo buono o cattivo" (Autobiografia,
op. cit., p. 298). Per Neill, il criminale, i bambini ribelli, i bambini problema, sono in
realtà dei malati, nei quali la volontà non può fare nulla: è sempre il subconscio che
opera: "agiamo, ma non sappiamo il perché" (Summerhill, op. cit.,
p. 206).
Neill soffre di una vera ossessione nei confronti della religione e del sesso.
Nelle sue opere le allusioni all'una e all'altro sono una costante, che induce a credere
che da esse derivi ogni male. Una volta liberato l'uomo, il bambino, da ogni senso di
colpa, la libertà e la felicità hanno libero corso. Secondo Neill "se si insegna
(al bimbo) che certe cose sono peccato, in lui l'amore alla vita può trasformarsi
in odio" (ibid., p. 202) ed il fatto è che "la religione postula
il peccato dove esso non esiste" (ibid., p. 233). Per questo egli soffre
di un'ossessione, che rivela apertamente il suo odio verso la religione e la Chiesa
Cattolica "Non mi piace odiare, ma la mia più grave ostilità è verso per la
Chiesa Cattolica. Odio una autorità che inculca un sentimento di colpa verso il sesso a
cinquecento milioni di persone, un sentimento che le trasforma in vassalli" (Autobiografia,
op. cit., p. 179). In realtà, per Neill, l'uomo è naturalmente buono e nella natura
umana non esiste alcuna possibilità di cattive inclinazioni, di fare il male, che non sia
prodotta dall'autorità, dalla "repressione" religiosa, morale o sessuale. Di
fatto, Neill non crede nel bene e nel male, nel cattivo e nel buono oggettivamente
considerati: ecco l'origine delle sua affermazioni che abbiamo trascritto. Così, per
Neill, "non ci sono cose importanti da insegnare" (ibid., p. 345);
"non ci sarà libero arbitrio finché ci sarà la tendenza a formare la gioventù"
(ibid., p. 146); e "la cosa più pericolosa é che il maestro trasmetta
agli alunni le proprie idee. La missione dell'insegnamento consiste nello stimolare il
pensiero, non nell'inculcare dottrine" (Hijos en libertad, op. cit., p.
119).
Per Neill é la bontà innata dell'uomo quando segue le sue inclinazioni- senza
possibilità di alcuna specie di male -, il fondamento dell'educazione e dello sviluppo
dell'uomo verso la sua perfezione, verso la libertà. Di conseguenza, nella sua
concezione, non c'è ordine naturale, morale o religione. La sua meta é la felicità, una
felicità lontana da Dio, ottenuta grazie alla libertà scevra da ogni autorità e
disciplina. L'unica cosa che impedisce alla libertà di diventare libertinaggio é,
secondo Neill, il diritto altrui. Ma chi determinerà quali sono tali diritti? La
democrazia diretta di tutti? E, in questo caso, ciò non produrrà forse quei sentimenti
di colpa nei bambini e nelle persone? Nel corso delle sue opere, Neill sembra volere
distinguere l'impossibilità della libertà che considera degenerata da quella che
concepisce come libertinaggio o licenza, sulla base del rispetto dei diritti altrui,
specialmente inerenti la proprietà. Un bambino non deve prendere quel che é di altri,
perché non gli appartiene, é di altre persone. Può fare quel che vuole purché non
prenda quanto é di altri, non invada il terreno dei diritti altrui. Perché? Forse che la
proprietà non genera sentimenti di colpa? Perché la repressione nell'ambito dei diritti
altrui, non dovrebbe generare sentimenti di colpa?
Oltre al fatto di misconoscere la realtà col partire da concezioni erronee relativamente
alla religione, alla dottrina della chiesa e soprattutto alle questioni sessuali, che
vengono proibite solo in quanto si oppongono all'ordine naturale; del supporre che
l'insegnamento e l'educazione soffrano ovunque dei mali da lui descritti che, sebbene
siano in parte reali, sono immaginari per gran parte dell'educazione e dell'insegnamento;
a parte questo e molte altre cose che si potrebbero dire, Neill soffre davvero di
un'autentica ossessione verso il sesso. Persino Erich Fromm sembra suggerirlo quando
afferma: "l'autore é legato ai presupposti di Freud e, per come la vedo io, stima
un pò troppo l'importanza del sesso, come tendono a fare i freudiani" (Prologo a
Summerhill, op. cit., p. 14). Non solo di Freud, ma anche di Wilheilm Reich, che
era un vero paranoico (cfr. Enrique Dìaz Araujo, Wilheilm Reich, sexo y
revoluciòn, in Verbo, n. 165-166, giugno 1978).
J. Tremolet de Villers, op. cit.
Ibidem.
Ibidem.
Dante Morando, Pedagogia, Morcelliana, Brescia 1951, p. 217.
Cfr. J. Vallet de Goytisolo, Los pactistas del siglo XVII: Hobbes y Locke, in Verbo,
n. 119-120.
Aristotele, Etica Nicomachea, Laterza, Bari 1979, II ed., Libro II 1-6, p. 29-40
e Libro VI 13, p. 159-161; IDEM, La Politica, Espasa-Calpe, Austral, 10° ed.
Madrid 1965, p. 143.
San Tommaso d'Aquino, Summa Teologica, Suppl. q. 41a.. 1, Salani, Roma 1972, vol.
XXXI, pag. 24.
Dante Morando, op. cit., p. 219.
E continua: "Lequivoco che spesso si cela nel concetto d'educazione
naturale é quello di credere contro natura ogni intervento educativo che sembri venire
dallesterno delleducando, e naturale solo ciò che si sviluppa in lui
spontaneamente di momento in momento. Ora leducazione, proprio per la sua stessa
natura di educazione umana, 1) suppone sempre la natura data delleducando, cui essa
si applica; ma 2) non ha affatto il compito di assecondarla in tutte le sue indisciplinate
manifestazioni, altrimenti cesserebbe desistere come educazione [...] Alleducazione
spetta pertanto il compito, non già di lasciare le cose al loro stato naturale, ma di
potenziare la vita umana, sfruttando le migliori aspirazioni e disposizioni della natura,
e costringendo tutti gli impulsi inferiori ad accettare la disciplina imposta dal sorgere
dellautentica personalità, fondata sopra la consapevolezza di finalità superiori,
razionali e morali" (ibid., p. 219-220).
Come osserva Jacques Boislevant (Jean-Jacques, pére de la barbarie moderne, in l'Ordre
Française, n. 222, luglio 1978), "le tesi di Rousseau sono quelle
dell'individualismo assoluto, che non possono fare altro che condurre all'anarchia o alla
schiavitù. Ha due elementi che soprattutto lo compongono: il rifiuto d'ogni autorità e
l'esaltazione delle passioni [...] Ciò che Rousseau rifiuta completamente è
l'autorità di una persona su di un'altra e, di conseguenza, il valore d'ogni istituzione
sociale fondata implicitamente o esplicitamente sull'esistenza di una gerarchia.. Ma se
Rousseau non può tollerare alcun tipo di tutela sull'uomo, avendolo immaginato senza
sostegno, sente molto profondamente la sua debolezza, la sua impotenza di vivere nel corpo
sociale, la quasi totale assenza di energia che patisce: lo Stato, questo potere astratto
e impersonale, provvederà. Lo Stato totalitario - che preconizzò - risponde a queste due
esigenze contraddittorie: essere libero vuol dire, secondo lui, non dipendere da nessuno,
e disporre di una protezione superiore affinché i suoi simili non minaccino la sua
libertà".
Come indica ancora Jacques Boislevant, per Rousseau, "l'uomo dominato dalle sue
passioni non è l'uomo debole che corre verso la sua perdizione, come fino allora si era
creduto, ma il giusto che segue la gran voce della sua coscienza e, perciò, raggiunge la
verità, posto che la verità si confonde con la sincerità" (ibidem).
Moreno, Poblador e del Rìo, da parte loro, segnalano che "é deplorevole la
pertinace negazione naturalistica di ogni azione positiva che s'inquadri nellordine
della natura. Rousseau sostiene che non disponiamo legittimamente delleducazione
umana. Leducazione naturale, come si é detto, é anzitutto negativa. Si limita ad
allontanare dal bambino qualsivoglia influenza che possa sviare il normale corso del suo
sviluppo" (Historia de la educaciòn, Paraninfo - BIE, Madrid 1974, p.
303).A causa della frammentazione della natura dovuta all'amputazione del concetto di
natura, l'ordine naturale di Rousseau e del naturalismo non è altro che la condizione
naturale immaginaria e utopistica; é per questo che il corso "normale" dello
sviluppo del bambino si rivela, in realtà, uno sviluppo totalmente anormale. E per
questo che PIO XI, nellenciclica Divini illius Magistri, condannò il
naturalismo pedagogico dicendo: "Falso è perciò ogni naturalismo pedagogico che
in qualsiasi modo escluda o menomi la formazione soprannaturale cristiana nell'educazione
della gioventù; ed è erroneo ogni metodo di educazione che si fondi, in tutto o in
parte, sulla negazione o dimenticanza del peccato originale e della Grazia e quindi sulle
sole forze dell'umana natura. Tali sono generalmente quei sistemi odierni di vario nome,
che si appellano ad una pretesa autonomia e libertà sconfinata del fanciullo e che
sminuiscono o anche sopprimono l'autorità e l'opera dell'educatore, attribuendo al
fanciullo un primato esclusivo d'iniziativa ed una attività indipendente da qualsiasi
legge superiore naturale e divina nell'opera della sua educazione" (Tutte le
encicliche dei sommi Pontefici, Dall'Oglio editore, Milano 1979, V ed., Vol. I., pag.
860). Si osservi, una volta di più, come Rousseau ed il naturalismo mutilino la natura
umana. Continua Pio XI: "Se con alcuni di quei termini si volesse indicare, pur
impropriamente, la necessità della cooperazione attiva, a grado a grado sempre più
consapevole dell'alunno alla sua educazione; se s'intendesse rimuovere da questa il
dispotismo e la violenza (quale non è, del resto, la giusta correzione), si direbbe il
vero, ma nulla affatto di nuovo, che non abbia insegnato la Chiesa ed attuato nella
pratica l'educazione cristiana tradizionale, a somiglianza del modo tenuto da Dio stesso
rispetto alle creature, che Egli chiama alla cooperazione attiva, secondo la natura
propria di ciascuna, giacché la Sua Sapienza "si estende con potenza da una
estremità all'altra e tutto governa con bontà" (Sap. VIII, 1). Ma, purtroppo,
col significato ovvio dei termini e col fatto stesso, si intende da non pochi sottrarre la
educazione da ogni dipendenza dalla legge divina. Onde ai nostri giorni si dà il caso, in
verità assai strano, di educatori e filosofi che si affannano alla ricerca di un codice
morale universale dell'educazione, quasi non esistesse né il Decalogo, né la legge
evangelica, e neanche la legge di natura, scolpita da Dio nel cuore dell'uomo, promulgata
dalla retta ragione, codificata, con rivelazione positiva, da Dio stesso nel Decalogo. E
similmente, da tali novatori si suole denominare, come per disprezzo, "eterònoma",
"passiva", "superata", l'educazione cristiana perché si
fonda sull'autorità divina e sulla sua santa legge. Costoro miseramente si illudono nella
pretensione di liberare, come essi dicono, il fanciullo, mentre lo rendono piuttosto
schiavo del suo cieco orgoglio e delle sue disordinate passioni, poiché queste, per
logica conseguenza di quei falsi sistemi, vengono ad essere giustificate quali legittime
esigenze della natura sedicente autonoma".
Cfr. Michele Federico Sciacca, La contemplaciòn como fundamento del saber, in Contemplaciòn
y acciòn, Speiro, Madrid 1975.
Cfr. Theo Dietrich, Pedagogìa socialista, Sìgueme, Salamanca 1976, p. 143.
"I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ora si tratta di
trasformarlo" in Augusto del Noce, I caratteri generali del pensiero politico
contemporaneo. Lezioni sul marxismo, Giuffrè, Milano 1972, p. 227.
Ibid.
, p. 111.
Mao Tse-Dun, A proposito della pratica, in Scritti scelti, Edizioni
Rinascita, Roma 1954, vol. I, p. 427.
Ibid.
, p. 414.
Ibid.
, p. 434.
Octavi Fullat, La educaciòn sovietica, Nova terra, Barcellona 1972, p. 69.
Mao Tse-Dun, op. cit., p. 414.
Theo Dietrich, op. Cit., p. 58.
Ibid.
, p. 65.
Octavi Fullat, op. cit., Ibid., p. 64.
Ibid.
, p. 65.
Ibid.
, p. 66.
Teo Dietrich, op. cit., p. 84.
Ibid.
, p. 228.
Questo è l'obiettivo anche dei pedagoghi sovietici più rappresentativi, come Makarenko
e Sujomlinski; vedasi la nota 77 di La educaciòn permanente, in Verbo, n.
169-170, novembre-dicembre 1978.
Non si insisterà mai sufficientemente su quest'aspetto del marxismo e del comunismo.
Basato sulla dialettica e sulla prassi, il marxismo non farà mai nulla per procurare
l'armonia sociale. Nulla per migliorare le situazioni. Si tratta di cambiare tutto in modo
radicale e perpetuamente. Lenin segnala: "Quasi tutti i socialisti di allora, e in
generale gli amici della classe operaia, non vedevano nel proletariato altro che una
piaga; vedevano con spavento ingrandirsi questa piaga a misura che si sviluppava
l'industria. Così cercavano tutti i mezzi per frenare lo sviluppo dell'industria e del
proletariato. Marx e Engels al contrario riponevano tutte le loro speranze nella crescita
continua di quest'ultimo. Più ci sono proletari maggiore é la loro forza come classe
rivoluzionaria, più prossimo possibile é il socialismo" (Lenin, Karl Marx et
sa doctrine, Edic. Sociales, Paris, p. 42, cit. da Jean Ousset in Marxismo y
Revoluciòn, Speiro, Madrid 1977, pag. 65). Del resto, come non dubita di affermare il
comunista Henri Lefebvre, "il marxismo non arreca un umanitarismo sentimentale e
piagnucoloso. Marx non si è chinato sul proletariato perché esso è oppresso, per
lamentarsi della sua soppressione [...] Il marxismo non si interessa al
proletariato in quanto esso è debole - come le persone caritatevoli, certi utopisti,
paternalisti, sinceri o no - ma in quanto esso è una forza" (H. Lefebvre, Il
marxismo, Garzanti, Milano 1954, pag. 49). Nello stesso senso, già nel Manifesto
del Partito Comunista, erano stati criticati i socialisti utopisti, che volevano
conciliare gli antagonismi opponendosi alla lotta di classe o cercando di temperarla.
Maurice Levitas, Marxismo y sociologìa de la educaciòn, Siglo XXI, Madrid 1977,
cap. 4, p. 66-112.
Karl Marx, Il capitale, citato da M. Levitas: op. cit., p.77.
Ibidem
.
Si intenda: per fare coscienze rivoluzionarie.
Si intende: nel fare coscienze rivoluzionarie.
Ibid.
, p. 89.
Esempio chiaro di sconfitta marxista dovuta al non aver avuto l'egemonia sulla società
civile, è quello subìto da Allende in Cile (cfr. Estampas de Chile, Speiro,
Madrid 1975). E' da questa lezione subita che data l'uso della tattica detta
dell'egemonia.
Sull'eurocomunismo si può consultare lo studio di Paloma Sànchèz Gòmez (Eurocomunismo,
F.E. Horizonte, Madrid 1978, collezione Hoy-Aquì). Come indica P. Sànchèz
Còmez, "Gramsci distingue fra la "società civile" e la "società
politica": prima di prendere il potere è necessario conquistare la cultura. Una
volta realizzato ciò, niente si opporrà all'instaurazione del comunismo. Per questo
motivo Gramsci rifiuta la violenza rivoluzionaria - che ammetterà solo in casi estremi -
dando più importanza all'educazione guidata dagli intellettuali, che sono il
principale fattore rivoluzionario. Egli cerca in questo modo di evitare che la forte
consistenza nei paesi occidentali della società civile, reagisca contro il governo
rivoluzionario, portandolo allo sfascio" (ibid., p. 13). Deriva da ciò il
fatto che, sulla strada del "compromesso storico", si sia proposto (da Enrico
Berlinguer all'episcopato italiano, per mezzo di una lettera all'arcivescovo di Ivrea,
Mons. Luigi Bettazzi), nel 1977, il cosiddetto "compromesso culturale" (cfr.
Giovanni Cantoni: Il compromesso culturale, in Cristianità, n. 31 del
novembre 1977). Come segnala Cantoni, tale compromesso si presenta come "una
proposta comunista di collaborazione con l'episcopato e con i cattolici, per la
costruzione in comune di una società pluralisticamente laicista" (ibid.,
p. 2). In realtà, come indica lo stesso Cantoni, "perché il cattolicesimo possa
essere sconfitto nella sua battaglia contro la perversione comunista della società e
dello Stato, il PCI chiede che i cattolici accettino un 'compromesso culturale': accettino
cioè di attenuare la professione e la pratica integrali dei principi immutabili della
loro dottrina dogmatica e morale - e in particolare quelli della dottrina sociale e
politica - fino al punto in cui tale attenuazione permetta di teorizzare, prima e di
praticare, poi, una intesa compromissoria, una sintesi, o 'compromesso', tra verità
cattolica ed errore comunista" (ibid., pag. 1). E' quanto Gramsci aveva
già detto: "l'egemonia politica può e deve esistere prima di ottenere il
governo; non è necessario far assegnamento solamente sul potere e sulla forza materiale
che questo consente per esercitare la direzione o egemonia politica". Questo
concetto è così commentato da Christine Buci-Glucksmann: "non si può essere
più espliciti: direzione e dominio non costituiscono due mondi separati, ma la
preliminare direzione politica (una politica di alleanza e di massa) é la condizione sine
qua non per l'esercizio di un dominio - direzione effettiva - che non si limiti
alla sola forza materiale derivante dallo Stato" (Gramsci y el Estado,
Siglo XXI, Madrid 1978, p. 83). Sin dal 1916, ci narra la Buci-Glucksmann, "Gramsci
condurrà tutta una battaglia ideologica e culturale che renderà la cultura "uno
strumento e una forma necessaria all'emancipazione politica di classe"" (ibid.,
p. 106). Tuttavia, si deve intendere bene il concetto di cultura: "Gramsci
rifiuterà - continua la Buci-Glucksmann - tanto il riformismo culturale, che in
definitiva subordina la classe operaia ad un'aristocrazia culturale, quanto l'anti
culturalismo di Bordiga" (ibid., p. 106); "Gramsci condivide il
pensiero esposto da Barbusse: é necessario distruggere il vecchio mondo per instaurarne
uno nuovo. Ma per fare ciò é necessario che gli uomini credano a quel mondo nuovo e
sappiano come dovrà essere. E' necessario, prima di tutto, fare la rivoluzione nello
spirito" (Ibid., p. 108). M. A. Macciocchi lo spiega quando afferma che
"è impensabile che una lotta politica possa ottenere veri risultati se non è
accompagnata da una rivoluzione, da "una riforma intellettuale e morale",
per usare la terminologia gramsciana, se non si cambia la mentalità della gente, e di
conseguenza la sovrastruttura" (nella prefazione al libro di Dominique Grisoni e
Robert Maggiori: Leer a Gramsci, Zero, Madrid 1974, p. 34). Perciò, "il
problema della rivoluzione è anche un problema di educazione" (ibid., p.
37).Si deve procedere alla conquista della società civile per mezzo dell'insegnamento e
della cultura, perché essa, secondo Grisoni e Maggiori, é "l'insieme degli
organismi sovrastrutturali che permettono la "direzione intellettuale"
della società ed ottengono il consenso e l'adesione delle classi subalterne. La società
civile é, in accordo con tale criterio, il luogo nella sovrastruttura dove si elaborano e
diffondono le ideologie; essa comprende l'ideologia propriamente detta, la "concezione
del mondo" che unifica il corpo sociale, la "struttura ideologica"
(cioé gli organismi privati che creano e diffondono ideologie), ed il "materiale
ideologico" (il sistema scolastico, l'organizzazione religiosa, le case editrici,
le biblioteche, i mezzi di informazione)" (ibid., p. 230-231). Infatti,
secondo Gramsci, "è necessario che il fatto rivoluzionario appaia non soltanto
come un fenomeno di potere. ma anche come un fenomeno di costume, che sembri un fatto
morale" (ibid., p.88); per questo, "il fenomeno implica
necessariamente una trasformazione radicale delle mentalità" (ibid., p.
88). Da questo deriva che, come rileva la Buci-Glucksman, un punto essenziale in Gramsci
é considerare "la cultura come instaurazione di una nuova civiltà" (ibid.,
p. 101). Ecco spiegato il perché dell'importanza della scuola per Gramsci, nella quale
politica, cultura e pedagogia vanno indissolubilmente unite.
Mario Alighiero Manacorda (El principio educativo en Gramsci, Sìgueme, Salamanca
1977), evidenzia che "Gramsci poneva la scuola al centro della duplice azione
egemonica (verso gli intellettuali e verso la massa), sottolineando l'importanza che
questa azione ha per il successo di un programma scolastico e di un principio educativo"
(ibid., p. 141), nel quale risulta essenziale il conformismo (ibid.,
p. 307 e seg.), il quale non è altro che l'accettazione e il legame alla filosofia della
prassi, al marxismo. Da ciò l'importanza fondamentale dell'azione culturale, a cominciare
dalla scuola.
Angelo Broccoli (Antonio Gramsci y la educaciòn como egemonìa, Sìgueme,
Salamanca 1977) ha cercato di edulcorare il totalitarismo, l'indottrinamento, la
sottomissione e la totale dipendenza del pensiero e della formazione dell'uomo che il conformismo
gramsciano implica. A questo fine distingue tra conformismo imposto e conformismo
proposto: soltanto il secondo sarebbe quello difeso da Gramsci e dalla sua prospettiva
pienamente marxista, esso consisterebbe e si identificherebbe con la libertà (cfr.
ibid., p. 120 e seg. e p. 299 e seg.). Tuttavia, come lo stesso Broccoli indica,
"porre i presupposti per il superamento della società attuale, tramite la
conoscenza delle contraddizioni esistenti ed il conseguimento di un genuino senso di
storicità, sembra essere il fine dell'educazione" (ibid., p. 161) in
Gramsci. Quest'ultimo, nella sua lotta per instaurare la società comunista, aveva
sostenuto che "conoscere il folklore significa, in coscienza, per il maestro,
accorgersi che altre concezioni del mondo e della vita di fatto lavorano per la formazione
intellettuale e morale delle generazioni più giovani ed agire affinché siano estirpate e
sostituite con concezioni ritenute superiori" (cit. in ibid., p. 170).
A tale opera si rivolge - come suggerisce Broccoli (ibid., p. 175) - la scuola
unitaria di Gramsci, a cominciare dagli asili (a questo proposito è interessante
ricordare che già Engels aveva indicato che nell'ordine sociale comunista, "i
bambini saranno educati dalla società, in modo tale che resteranno distrutte le due
colonne che costituiscono le basi fondamentali del matrimonio: la dipendenza della donna
dall'uomo, e quella dei bambini rispetto ai genitori nel regime della proprietà privata"
in Marx-Engels: Textos sobre la educaciòn y enseñanza, Comunicaciòn, Madrid
1978). Una scuola unitaria che "compie rispetto ai giovani lo stesso ruolo del
partito politico che (è) lo strumento di omogeneizzazione culturale delle generazioni
adulte" (ibid., p. 175).
E' dunque un vano intento, quello di presentare il conformismo gramsciano come
condizione di libertà: "superamento della società attuale", "estirpate
e sostituite con concezioni ritenute superiori", "l'omogeneità culturale":
è questa la cultura, il conformismo e la libertà marxista nei quali è annegata la
libertà. Broccoli afferma che Gramsci, come Lenin, era cosciente de "la
necessità di "condurre" un processo di direzione in senso politico e
culturale, dal momento in cui la sola esplosione delle contraddizione borghesi non fosse
sufficiente per assicurare la vittoria del proletariato" (ibid., p. 148).
Ma il Gramsci maturo, quello dei Quaderni, sarebbe lontano dal giovane Gramsci, il
quale "sembra che abbia diretto all'inizio i suoi sforzi verso l'appropriazione
della cultura borghese, anche quando è trasfigurata e nobilitata dal compromesso politico
personale" (ibid., p. 40). Invece Gramsci segnala che "esisterà
una cultura (una civiltà) proletaria, totalmente differente da quella borghese"
(cit. da Broccoli, ibid., p. 63), essendo, anche secondo Broccoli, "il
distruggere la presente forma di civiltà l'unica opera veramente necessaria per la
costruzione di una cultura operaia" (ibid., p. 63). Tale è, di
conseguenza, l'obiettivo perseguito.
Peraltro, "c'è un altro elemento destinato a svolgere un ruolo fondamentale
nell'opera gramsciana: la necessità di organizzare la cultura" (ibid., p.
44), per la quale é essenziale "l'organicità, che é solo il risultato
dell'unione di teoria e pratica" (ibid., p. 50), dovendosi "soprattutto
organizzare la cultura in maniera completamente nuova" (ibid., p. 52). E'
la direzione politica e culturale del proletariato a caratterizzare l'opera di Gramsci (ibid.,
p. 57 e seg.), il quale "accentua il potere di direzione del partito nei confronti
delle masse" (ibid., p. 52), senza escludere la componente culturale
dell'esercizio dell'egemonia, data "la necessità di una preparazione culturale
delle masse, intesa in modo strettamente vincolato ad un'attività politica concreta"
(ibid., p. 83). Per questi motivi, secondo Gramsci, "la diffusione da un centro
omogeneo, di un modo di pensare omogeneo, è la condizione principale [...] al
fine dell'elaborazione nazionale unitaria di una coscienza collettiva" (cit. in ibid.,
p. 109).
Direzione, organizzazione della cultura, centro omogeneo, modo di pensare omogeneo,
elaborazione di una coscienza collettiva, conformismo, scuola unitaria: il tutto destinato
a imporre e fare in modo che la società civile si assimili la filosofia della prassi, il
marxismo. Davvero, alla fine, niente è cambiato. Si tratta di strumentalizzare la cultura
e l'insegnamento per conseguire l'obiettivo proposto: la sottomissione dell'uomo per mezzo
dell'asservimento della sua intelligenza. In ogni caso, si va verso la scomparsa della
vera cultura, insegnamento e educazione, col traguardo finale di disumanizzazione
integrale del mondo e dell'uomo, al raggiungimento dello "stadio finale della
storia", del comunismo.
Per una maggior comprensione: E. Cantero, Paulo Freire y la educaciòn liberadora,
Speiro, Madrid 1975.
Che "la verità é prassi efficace", lo segnala, tra gli altri, J.
Carmelo Garcìa nel prologo al libro di Paulo Franco El hombre: construcciòn
progresiva. La tarea educativa de Paulo Freire, (Marsiega, Madrid 1975, p. 12).Il
che risulta esser una conseguenza logica del suo marxismo. Così, per esempio, Julio
Girardi (Para una pedagogìa revolucionaria, Laia, Barcelona 1977) rileva che
"c'è un'incompatibilità strutturale fra gli interessi della classe dominante e
la verità" (ibid., p. 41); "la verità [...] è da una
parte, quella degli oppressi. Esiste un vincolo intimo fra classi, coscienza di classe,
lotta di classe. La verità sgorga nel cuore della lotta [...] passa per la presa
di coscienza [...] La verità non può conquistarsi che in una lotta contro la
cultura dominante" (ibid., p. 104). "Le classi popolari divengono
luogo di verità nella misura che accedono all'accordo rivoluzionario" (ibid.,
p. 106). "La verità fa parte di un processo di liberazione; non esiste che nel
trasformarsi e nel trasformare il mondo. Non si definisce soltanto in relazione
all'essere, ma anche al non-essere, al progetto" (ibid., p. 110); "La
verità è rivoluzionaria [...] non la si può cercare senza farla" (ibid.,
p. 113).
J. Girardi, ibid., p. 22 e p. 77 e seg.
Ibidem.
L'unanimità nel rifiuto e nella critica è totale, si può riscontrare in Freire, in
Girardi, in Adam Curle, in Miguel Marti, ecc.
P. Freire, Extensiòn o comunicaciòn?", Siglo XXI, Buenos Aires 1973, p. 36
Ibid.
, p. 88.
P. Freire, El mensaje de Paulo Freire. Teorìa y pràctica de la libertad,
Marsiega, Madrid 1973, III ed., p. 36.
Ibidem
.
Ibid
., p. 135.
Ibid
., p. 136.
Così, la critica ad un'educazione puramente mnemonica, ad un'educazione o un
insegnamento dove l'alunno si limita a ripetere o a imparare a memoria, ad un'educazione
che massifica, è una critica fondata e ragionevole. Ma non è questa la cosa principale
per l'educazione liberatrice: questi sono soltanto pretesti affinché le sue critiche
abbiano un barlume di rispettabilità. Inoltre, non bisogna dimenticare che non tutta
l'educazione, né tutto l'insegnamento, incorre nei difetti che vengono segnalati dai suoi
avversari, partigiani dell'educazione liberatrice. Né si deve dimenticare che essa non si
propone di rimuovere tali difetti negli insegnamenti che li hanno: non si tratta di
migliorare l'educazione o l'insegnamento, ma di cambiarli, distruggerli. Come dice Adam
Curle (Educaciòn liberadora, Herder, Barcellona 1977, p. 40), non si tratta di
perseguire "il miglioramento dell'insegnamento. Io sono interessato a una
trasformazione più radicale perché credo che un miglioramento del tipo che lei mi indica
[si riferisce ad Anni Stein] si limiterebbe a rafforzare il sistema". Non
si può nemmeno dimenticare che, se la critica a quella che viene chiamata educazione
influenzata ha il suo punto di forza nel sostenere che essa fa diventare l'alunno un
oggetto invece di considerarlo soggetto dell'educazione, questo non deve confonderci, dato
che "esser soggetto" nella terminologia dell'educazione liberatrice consiste
nell'esser legato al processo rivoluzionario, nel vincolarsi alla trasformazione radicale
della società, nell'accettare e lavorare per la rivoluzione.
Per questo motivo è erronea ogni interpretazione dell'educazione liberatrice che la
supponga occupata ad insegnare a pensare, a rendere libero e responsabile l'uomo, o in
qualunque altra cosa che normalmente ci si aspetta e si pretende dall'educazione. Così,
Miguel Marti, partigiano e praticante della educazione liberatrice, sostiene che "l'oppresso
deve elaborare il proprio contenuto di sapere liberatore nel tempo successivo al processo
di liberazione. Non può fidarsi dei contenuti del sapere, elaborati dalla classe che
opprime, che tendono ad assimilarlo per mezzo del sistema della promozione individualista
e dell'accumulazione interessata del sapere" (M. Marti e Soler, Por una
educaciòn liberadora, Nova Terra, Barcellona 1977, p. 82). Adam Curle afferma che
"quasi tutti i tipi di educazione, persino i migliori, i più umani, liberali e
intelligenti, sono al servizio del sistema, perché impartiscono conoscenze di cui esso ha
bisogno e anche perché fissano delle mete [...] che pure hanno valore per il
sistema" (op. cit., p. 37). Julio Girardi spiega che l'educazione non
liberatrice, "è quella che ha come fine reale, cosciente o incosciente, di
integrare l'individuo nella società, facendo di lui un "buon cittadino",
vale a dire, "un uomo d'ordine", per mezzo dell'imposizione
dell'ideologia dominante. In questo modo, l'educazione integrante è un fattore
fondamentale per la riproduzione della società" (op. cit., p. 37). Quello che
preoccupa particolarmente Freire - e l'educazione liberatrice in genere -, non è il fatto
che l'educando sia veramente soggetto dell'operazione di apprendimento, bensì la prassi
rivoluzionaria. Per questo motivo l'educazione "influenzata" o
"integrante" deve essere eliminata, dato che non essendo liberatrice ed avendo
un fondamento nella ragione, è radicalmente opposta alla coscientizzazione. Quindi, non
siamo di fronte solo al rifiuto di un determinato tipo di criticabile di educazione, ma,
in conseguenza di quei principi, a una vera rivoluzione culturale con la quale si cerca di
far scomparire ogni residuo di cultura precedente, "integrante",
"oppressiva", "dominante" e "influenzata". L'educazione
liberatrice è necessaria per cancellare dalla coscienza degli uomini tutto ciò che non
é prassi rivoluzionaria: questo è il suo obiettivo. Non è sufficiente cambiare le
strutture, ma è necessaria una educazione che riesca a cambiare le coscienze: questo è
il ruolo della coscientizzazione.
Cfr. Jean Ousset, El marxismo leninismo, Speiro, Madrid 1967; cfr. J. Ousset, Marxismo
y Revoluciòn, Speiro, Madrid 1977.
George Orwell; Millenovecentottantaquattro (1984), Destino, Barcelona 1974, III
ed., p. 102. In 1984, inoltre, "l'ortodossia non significa non pensare; non
avere bisogno del pensiero. La nostra ortodossia - dice il protagonista - é
l'incoscienza". E, "la sua filosofia negava non solo il valore
dell'esperienza, ma l'esistenza della stessa realtà esterna. La più grande delle eresie
era il senso comune" (ibid., p. 89). Quello che Orwell aveva vaticinato,
minaccia già di divenire una realtà, soprattutto attraverso l'educazione e
l'insegnamento.
Francisco Puy Muñoz, Il nominalismo: la prima crisi delle idee della Cristianità,
in Verbo, n. 104, aprile 1972.
Come scrive Sciacca, "il grande errore del pensiero moderno (é) credere che la
ragione umana sia fondamento di sé stessa e che la sua verità sia tutta la verità.
Questo principio irrazionale - perché contrario alla natura della ragione - condusse
soprattutto gli illuministi, e successivamente l'idealismo trascendentale, a liberarsi
dalla tradizione e dai suoi fondamenti metafisici e teologici, considerati come un
ostacolo secolare, irritante e pernicioso. Facendo questo essi non credettero di
compromettere la solidità né la veridicità dei valori intellettuali e spirituali, ma
proprio il contrario. Secondo loro, una volta restaurata l'autonomia del regnum
hominis, tali valori sarebbero stati meglio fondati in un'era di progresso infinito. Da
allora, un nuovo messianismo laico ed iconoclasta ha continuata a frastornare tutto,
annunciando che l'uomo e la società, la natura e la storia sono fondati solo sull'ordine
naturale ed umano; che perdendo Dio non si é perduto nulla (lo cristianesimo stesso può
essere riconvertito come dottrina morale e sociale, quando fosse spogliato dei suoi "mitici"
elementi soprannaturali); che privando ogni valore del suo fondamento lo si riconquista.
Per oltre due secoli la ragione autonoma ed autosufficiente si é sforzata di salvare se
stessa creando invano il mito della sua assolutezza - l'assoluto costituito dalla scienza,
dalla filosofia, dalla natura o dall'umanità - benché ciascuno di questi miti si sia poi
rivelato effettivamente tale. La filosofia posteriore a Hegel ha dato l'assalto alla
ragione, ha abbattuto la sua mitica assolutezza e con essa la validità oggettiva di ogni
valore conoscitivo, morale e religioso. Ed é oggi che ci si rende conto che - demolita la
verità che serve da fondamento alla ragione e la trascende; negato l'Essere che fonda
ogni altro essere - nessuna verità si salva e non sopravvive alcun valore. Questa
coscienza é la crisi del pensiero moderno, perché evidenzia il suo equivoco fondamento,
e cioè: cercare di salvare l'uomo negando Dio; credere di aumentare la capacità della
ragione privandola della Rivelazione; pensare di garantire la civiltà ed il progresso, la
verità ed i valori rinnegando il loro fondamento assoluto e innalzando la ragione umana
alla condizione di Dio stesso, in una "elevazione" che l'ha abbassata
sino alla negazione di sé stessa e d ogni altro valore spirituale. Ciò é accaduto per
una logica intrinseca all'errore: negato il Cielo, tutto é terra e materia, e diviene
polvere. Dopo Hegel - che segna l'apice della ragione costituita in verità assoluta da
e in se stessa -, Marx sposta l'idea hegeliana nella Storia e trasforma la
dialettica dello spirito in dialettica dello "economico" o del "materiale".
Così, la rivoluzione del pensiero moderno in nome del valore assoluto, si trasforma, per
inesorabile logica interna, in rivoluzione della "materia", che trova il
suo assoluto nella struttura dell'economico e relega i valori spirituali nel regno
inferiore delle sovrastrutture: l'entusiasmante regnum hominis degrada nel meno
entusiasmante e messianico regnum materiae" (Michele Federico Sciacca, Estudios
sobre Filosofìa Moderna, Miracle, Barcelona 1966, p. 187-188).