CAP. IX
Alcune innovazioni della pedagogia moderna
Legata alle questioni segnalate delleducazione permanente, dellinsegnamento egualitario e dellintroduzione della psicologia, sincontrano altre innovazioni di tipo pedagogico, o pretestuosamente tali, come: il favorire la creatività dellalunno, lautodidattica e lo studio o la formazione di gruppo.
9.1 Pedagogia e "innovazioni pedagogiche"
Le innovazioni pedagogiche, oggi numerose, non possono essere imposte "perchè sì", perchè sono "nuove", "moderne" o "diverse" rispetto al passato. Benchè la loro causa principale sia linserimento nel "corso della storia", non si può ammettere razionalmente tale indiscussa accettazione: devono obbedire ad una ragione, o, perlomeno, ad un motivo, che non sia irrazionale come lindiscutibile mito del "corso della storia".
Le innovazioni della pedagogia non possono essere imposte basandosi sulla tecnica o su considerazioni "scientifiche". La scienza e la tecnica, in quanto tali, non esigono innovazioni pedagogiche, queste o quelle misure, perchè la pedagogia - che è larte di insegnare e educare i bambini - non possono dipendere in alcun modo dagli strumenti (scienza o tecnica) che devono essere utilizzati per raggiungere il fine che si ricerca (insegnamento e educazione). Le nuove tecniche oggi disponibili per il servizio alluomo, non possono imporre innovazioni pedagogiche senza addurre altre argomentazioni; sarà piuttosto la pedagogia ad utilizzare tali tecniche daccordo col concetto che si ha dell'educazione e dellinsegnamento.
La pedagogia, questarte di educare ed insegnare, dipenderà non dalla tecnica o dalle esperienze che si ritengono scientifiche, ma dal concetto che si ha delleducazione: quellarte dipenderà da questo concetto.
Per chi crede nel fine soprannaturale delluomo, nellinviolabilità dellintimità personale, leducazione avrà come fine principale il mettere in condizione di raggiungere quel fine, alla qual cosa si applicherà la pedagogia. Per chi, al contrario, crede che non vi sia un fine trascendente, o che luomo possa essere manipolato come qualunque altro oggetto, linsegnamento corrisponderà a tale concezione e la pedagogia sarà applicata a quel compito, manipolando la mente umana e formando uomini "nuovi".
La pedagogia non destituisce leducazione e linsegnamento; nel suo nome non si possono introdurre "innovazioni", e meno ancora lo si può fare in nome della tecnica o della scienza. Solo in nome della finalità educativa e della concezione che se ne ha (concetto, in definitiva, della vita stessa), si possono stabilire determinate misure pedagogiche corrispondenti, certe maniere di realizzare larte delleducazione e dellinsegnamento.
E un qualcosa che ha segnalato D. de Reckenthal con lo scrivere: "La pedagogia è sempre secondaria rispetto ad una dottrina dellEducazione, della quale non è altro che una conseguenza metodologica, e la stessa dottrina dellEducazione è secondaria rispetto ad una filosofia" (1).
Le innovazioni pedagogiche che si vogliono introdurre e si stanno introducendo, delle quali ci occuperemo di seguito, benchè da molti operate per il "gusto di rinnovare", obbediscono a tutta una filosofia (se di questa si può parlare), che non altro che la rivoluzione stessa, la distruzione dellordine della natura.
Dietro a tali innovazioni esiste un concetto delleducazione totalmente opposto e contrario a quello esposto nel corso di queste pagine, indicatoci dal senso comune e dallosservazione della natura. Tale concetto occultato e poco visibile, è il concetto rivoluzionario delleducazione (2).
Daltra parte, di fronte alle obiezioni sollevate verso alcune innovazioni pedagogiche per i considerevoli pregiudizi che comportano verso il bambino (e per lalunno non più bambino), per il suo sviluppo mentale, etico, morale o sociale, si tenta di contro argomentare assicurando che la pedagogia è neutra, che non prende nessun partito, che è totalmente asettica e si riferisce esclusivamente a tecniche che facilitano ed aiutano la comprensione dellalunno. Da questo punto di vista, le misure pedagogiche potrebbero essere utilizzate indistintamente in qualsiasi genere dinsegnamento e educazione, indipendentemente dal concetto che di esse si abbia quando fossero applicate. In altre parole, non ci sarebbe nessun motivo per guardare con sfiducia a pretese innovazioni pedagogiche fatte in nome dellinsegnamento.
Ma ciò è totalmente erroneo. Dal momento in cui luomo adopera oggetti e tecniche, esse già dipendono dalla concezione che luomo ha della realtà cui le applica. Senza aggiungere che la pedagogia non è una semplice tecnica, ma piuttosto unarte che opera sulle persone.
La pedagogia, dal momento che obbedisce ad uneducazione e questa, a sua volta, ad una filosofia, non è neutrale, nè può esserla. "Non cè pedagogia neutrale - scrive Reckenthal -, giacchè non cè dottrina dellEducazione che sia neutra, poichè tutta la filosofia è, in un certo senso, un impegno" (3).
Il mito della pedagogia e delle sue esigenze innovatrici, inquadrato nel mito assoluto del "movimento della storia", si alza contro ogni ragionamento ed ogni criterio che lo possa mettere in discussione. E pertanto necessario procedere alla sua de-mitizzazione, de-mitizzazione di segno contrario alla de-mitizzazione "moderna".
"Una de-mitizzazione della pedagogia cosiddetta "scientifica" - scrive Reckenthal - è indispensabile. Anche il famoso criterio delladattamento è soggetto ad essere posto in discussione. A cosa si vuole adattare il discente o chi viene educato? Si è sufficientemente rinfacciato alla psicanalisi laver considerato un malato "guarito" come un malato "adattato" al suo ambiente! Chi non si droga in una società dove tutti lo fanno, deve essere considerato un "malato"? Adattare gli studenti a compiti imbecilli è pedagogicamente accettabile, ma non lo è filosoficamente" (4).
Sono parole da meditare attentamente; indicano con chiarezza i pericoli che ci insidiano con le innovazioni della pedagogia. Le misure di cui si parla, infatti, vengono giustificate (assieme ad una pretesa migliore formazione e ed insegnamento), almeno per gran parte, con lessere destinate ad adattare il bambino (e, nellottica delleducazione permanente, a tutto luomo, perennemente alunno): adattarlo ad un mondo in perenne cambiamento, dove anchegli è cambiamento perpetuo, essendo lunica realtà il cambiamento stesso che fa evolvere il tutto secondo un continuo conflitto dialettico di forze.
Innovazioni pedagogiche per adattare il bambino. Ma adattarlo a cosa? Il bambino, infatti, è di norma perfettamente adattato, essendo il suo adattamento connaturale allo sviluppo. E adattato al suo ambiente e alle cose che lo circondano, che - fondamentalmente attraverso la famiglia e le altre società minori vicine ad essa - fanno parte di lui. Solo se il bambino è un disadattato, si renderà necessario adattarlo al suo ambiente: orbene, tale disadattamento ha luogo solo quando la sua cornice di vita è stata rotta. Ladattamento, pertanto, si rende necessario soltanto quando il bambino è privato della sua cornice vitale o quando - caso eccezionale - la famiglia è corruttrice. In tutti gli altri casi, ogni pedagogia che pretendesse di adattare il bambino, sarebbe contro di lui o eccessiva.
"Il giudizio di valore sulla pedagogia - continua Reckenthal - non può prescindere dalla valutazione dei principi e dei fini ricercati, in mancanza della quale non sfuggirà ad un pragmatismo a breve termine, sempre discutibile. Lordine logico passa, pertanto, dalla messa allordine del giorno dei principi fondamentali, dei fini perseguiti; solo in seguito sarà possibile trattare dei mezzi adeguati" (5).
Cosa che è certamente stata fatta dagli "innovatori" col cercare i mezzi pedagogici che rendessero possibile il fine perseguito con tale adattamento: la sovversione delleducazione.
Daltra parte, quanti sono quelli che le innovazioni pedagogiche senza riflettere e per il solo fatto di essere, semplicemente, nuove? Quanti accettano linnovazione perchè quello sembra essere il "senso della storia"? Quanti laccettano senza fermarsi ad analizzarla e senza considerare le sue conseguenze ed i suoi presupposti?
Per questo, analizzeremo quanto cè di conveniente e necessario in ciascuna delle innovazioni pedagogiche oggi proposte come ineludibili, soffermandoci su quel che implicitamente suppongono o presuppongono e sulle conseguenze cui danno luogo.
9.2 La "creatività" dell'alunno
Secondo le esigenze "moderne", la scuola e leducazione devono dedicarsi alla formazione delluomo completo, integrale (come se finora avessero formato mezzi uomini o uomini incompleti!), sicchè devono favorire sin dallinfanzia lo spirito creativo del bambino, la sua "creatività", cosa per cui si deve sopprimere ogni dogmatismo scolastico e nelleducazione.
Ricordiamo che insegnamento ed educazione devono dare una formazione con la quale si impari a pensare, a ragionare in modo logico e, al contempo, stare a contatto con la natura delle cose imparando a leggere nella natura stessa. Ricordiamo pure che a ciò si deve aggiungere limmaginazione: è questa che fa sorgere il genio in qualunque attività. Ricordiamo, infine, che "pensare non è creare nè ricreare il mondo: è penetrare profondamente nella natura delle cose e vedere le relazioni che sfuggono agli occhi, mettere in relazione tra loro i fatti osservati" (6).
Insomma, non c'è nulla di più lontano dallinsegnamento di un formalismo rigido o della negazione e rifiuto dell'immaginazione, dellinduzione, dellispirazione e dellintuizione.
Se ciò che si propone la nuova pedagogia col favorire la "creatività" dellalunno è non rinchiuderlo in un insegnamento puramente formale, anche se non ci piace il termine usato, non avremmo altro da obiettare a ciò. Ma la realtà è molto diversa.
Quel che si propone è limpulso dellimmaginazione perchè egli possa "creare"... con assoluta indipendenza da ogni norma, da ogni regola, da ogni dogmatismo, non solo in relazione al ragionamento e alla logica, bensì alla stessa realtà (il che darà luogo ad utopie, ad irrealtà, a fallimenti e disastri senza numero...).
Limmaginazione e lispirazione con cui uno vede subito chiaramente quello che per tutti era oscuro, abbisogna di una disciplina intellettuale ed un insegnamento a contatto con la realtà, per saper percepire e conoscere la natura delle cose, senza le quali ogni immaginazione sarà malsana e quellispirazione geniale non ci sarà mai.
Limmaginazione e lintuizione presuppongono delle idee, delle conoscenze. Senza di esse la "creatività" è ridotta a fantasia irrealizzabile e, una volta messa in pratica, a fallimento e distruzione. Ma per avere le idee che la rendono possibile ci vuole una disciplina, la disciplina imposta dalla verità, alla quale deve assoggettarsi lopera creatrice. Come segnalava Ortega, e su questo aveva ogni ragione, "lidea è uno scacco alla verità. Chi vuole avere idee deve prima disporsi a volere la verità e ad accettare le regole del gioco che essa impone" (7).
Per conoscere e volere la verità è necessario sottomettersi ad alcune norme durante linsegnamento, a delle regole imposte dalla verità, senza le quali non è possibile conoscerla e, per ciò stesso, ogni educazione o insegnamento che le ignori è evidentemente destinato a rendere luomo deforme.
Questa ricerca della verità non può essere lasciata allarbitrio del bambino, ma deve essere guidata, e non solo dal proprio maestro, professore o genitore, ma anche dal cammino delimitato dalla verità e dai dogmi, se lambito è dogmatico e vero. Perciò, eliminare dogmi, principi e verità, col pretesto di favorire la creatività dellalunno, è incompatibile con la natura delluomo, la quale richiede che le siano segnalati ed insegnati per potere, davvero, svilupparsi come uomo.
Nella stessa prospettiva sta la relazione tra maestro e alunno, che è relazione di subordinazione, in cui il maestro è obbligato ad insegnare e far comprendere, per quanto possibile, la verità allalunno. Non è una ricerca da fare assieme, giacchè così si perderebbe in autorità (che è il motivo per il quale impariamo e crediamo come certe gran parte delle cose) e perchè, inoltre, non cè niente da cercare in comune, posto che lalunno non deve iniziare ad imparare e a dedurre conoscenze e verità come se partisse da zero, perchè se così fosse sarebbero in pochi a giungere a cose che oggi ci sembrano evidenti. Si dovrebbe riscoprire costantemente la teoria della relatività? Il principio di indeterminazione di Heisenberg? La teoria del quanti? La distinzione tra materia e forma? Tra potenza ed atto?
Quanti Aristotele, Einstein, Newton, Pitagora... uscirebbero dalle scuole?
Perchè non prescindere, allora, anche dalla scrittura per vedere se qualcuno inventa lalfabeto?
E indubbio che in tali circostanze non solo si fermerebbe il progresso, ma che in capo a tre generazioni torneremmo allEtà della Pietra.
La "creatività" - pur nellinesattezza del termine - che sarebbe conveniente cambiare con qualcosaltro, può essere accettabile solo se con essa si intendono lispirazione e lintuizione delle quali parla Balmes, o limmaginazione indicata da Charlier, ma per esse è necessario, se non si vuole cadere nellassurdo, che luomo acquisisca sin dalla fanciullezza dei punti di riferimento basilari e fermi, inamovibili, e che sappia pensare.
La "creatività" dellalunno che si vuole introdurre, facendo appello ad una tremenda demagogia consistente nel far credere ai genitori ed agli alunni che saranno dei futuri geni (come se tutti potessero diventarlo, cosa evidentemente falsa), non otterrà altro che impedire leffettiva messa in luce di chi è effettivamente tale. Se la civiltà e la società sono progredite, è perchè quelle intuizioni, aspirazioni, immaginazioni (che illumina dimprovviso la mente di pochi, in modo che dove prima cerano solo tenebre fa sorgere una luce radiosa, dapprima per quei pochi e quindi per tutti), avevano dei principi inamovibili, delle verità informatrici, e perchè, inoltre, sapevano pensare ed osservare la realtà, penetrando nella natura delle cose. Negare ciò è negare il progresso umano. Se la formazione delluomo non avesse dei modelli e dei sentieri da percorrere, non solo linvenzione della ruota ed altre invenzioni altrettanto rilevanti sarebbero impossibili - e lo sarebbero state -, ma neppure un Mozart e un Pascal avrebbero potuto essere dei geni sin dallinfanzia. Infatti, è innanzi tutto necessario sapere che la verità esiste; poi, che è conoscibile e che si deve conoscere come cercarla e conoscerla; quindi, che la volontà deve operare secondo la verità proposta dallintelligenza.
Se manca questa base, la "creatività" si trasforma in "stupidità", per quanto la si voglia presentare come "genialità".
La ricerca della verità, la conoscenza delle cose e della natura, che sono laspetto primario e fondamentale delleducazione e dellinsegnamento, giacchè senza essi non cè formazione delluomo, necessitano di alcune regole e di un'autorità; non possono essere lasciati allarbitrio del bambino o dellalunno come se non esistessero, oppure perchè vengano rinvenute da soli o in "collaborazione" col professore. Diversamente, la deformazione sarà completa, permanente ed ereditaria e, trasmettendosi da una generazione allaltra, porterà così alla scomparsa della civiltà nel giro di alcuni decenni. Solo dimenticando queste cose e mettendo in pratica quelle contrario è possibile affermare che nelleducazione non ci debbano essere dogmi, regole, norme o autorità, col pretesto che le stesse limitano ed impediscono la "libera creatività" dellalunno o del bambino, come sostiene lodierna corrente "made in Unesco".
Forse che un Fidia, un Michelangelo o un Velàzquez mancavano di "creatività" o videro la loro "libera creatività" frustrata? Un Dante, un Omero, un Lope, appartennero alla categoria dei "mezzi uomini" per esser loro mancata uneducazione "creativa", che oggi si vuole impiantare come indispensabile per la formazione di "uomini completi", "integrali"?
Non si creda che quanto abbiamo detto di questinnovazione pedagogica sia esagerato o immaginario: lUnesco illustra compiutamente la correttezza di quanto veniamo scrivendo. Si ricordi quel che abbiamo detto delleducazione permanente, e si osservino le relazioni coi seguenti brani della Commissione dellUnesco: "Una scuola democratica è possibile solo se libera dai dogmi della pedagogia tradizionale" (8). Quali sono o in cosa consistono tali dogmi? LUnesco ce lo spiega in una nota: "Nella pedagogia tradizionale domina la nozione di modello, cioè di un tipo duomo esemplare" (9).
Tralasciando il fatto che linnovazione pedagogica venga imposta per ottenere la democratizzazione, è chiaro che essa non è neutrale, ma è diretta alleliminazione dogni tipo duomo che possa servire da modello, da riferimento. In questo caso, come sarà possibile educare ed insegnare? In fondo, quella eliminazione di modello non è altro che la rinuncia alla natura umana, leliminazione delluomo stesso in quanto essere razionale, libero e concreto. Per il contrasto col senso comune la tesi sembra assurda, ma non la è affatto nei piani dellUnesco: se non cè un tipo duomo che serva da riferimento, un modello per luomo, non possiamo sapere a cosa condurre luomo - educere -, negando, così, ogni finalità nelluomo. Ciò significa misconoscere cosè luomo. La conclusione logica sarebbe rinunciare ad ogni genere deducazione che risulta essere un di più. Tuttavia, non accade così: luomo diviene, invece, uno strumento nelle mani della pianificazione, del pedagogista, dello Stato o del super Stato.
Il rifiuto dei "dogmi della pedagogia tradizionale", che inizialmente poteva sembrare innocuo, venendo sostituito da unaltra pedagogia più adatta alla nostra società (ma basata su un diverso concetto duomo), non significa nientaltro che la riduzione delluomo a robot. E non si creda che questa sia una valutazione ingiustificata: nel libro dellUnesco non cè una sola definizione o concezione delluomo - neanche approssimativa - che possa essere ritenuta valida, posto che non lo si considera mai un essere con delle finalità.
Daltra parte, in un libro dedicato allinsegnamento, si può leggere - non senza perplessità - che "una domanda resta nel corso della storia. Suona così: cosè luomo? La domanda non ha avuto una risposta soddisfacente" (10). La perplessità aumenta proseguendo nella lettura: partendo da tale premessa, si parla deducazione, di metodi e piani, ma si rinuncia a rispondere alla domanda nelle restanti pagine. Davvero, pretendere di educare ed affermare che non cè risposta soddisfacente alla prima domanda, sembra uno sproposito senza limiti (11).
Non cè un tipo duomo, un modello conformemente al quale lo si deve educare: resta soltanto il cambiamento, del quale egli deve essere agente. A questo scopo si cancella ogni verità, ogni regola cui il bambino deve assoggettarsi per conoscere ed imparare, lasciando che lalunno si formi a modo suo e ricerchi (ma cosa, se non cè verità?) a proprio gusto, come se la verità non esistesse o esistesse in quanto captabile dalla di lui capacità creativa, facendo della creatività e dellautodidattica i pilastri dellinsegnamento: ma si tratta di pilastri piantati sulle sabbie mobili.
Si deve introdurre "nellatto educativo un libero e permanente dialogo - dice la Commissione dellUnesco - che stimoli il processo individuale di consapevolezza dellesistenza e orienti sempre lallievo verso lautodidattica [...] La scuola è democratica solo se assume il carattere di unascensione liberamente desiderata, di una conquista, di una creazione , cessando di essere una cosa offerta come un dono o imposta come un freno" (12). Quel che si propone è il traviamento totale. A cosa porterà labbandono dellalunno alle sue sole forze? Se non ci sono vie nè modelli: a cosa, perchè e come educare?
Anche la relazione maestro-alunno è oggetto di cambiamento; è una delle condizioni stabilite dallUnesco per il futuro della società. "Il rapporto maestro-scolaro, pietra angolare della scuola tradizionale, può e deve essere riconsiderato ab ovo, soprattutto quando stabilisce una relazione da dominatore a dominato [...]. Nel rapporto maestro-scolaro si collocano da una parte i vantaggi delletà, della maggiore conoscenza e dellautorità indiscussa, dallaltra un atteggiamento di inferiorità e di sottomissione" (13).
Tale situazione deve essere distrutta. Cosa si propone al suo posto? Linsegnante, "Nellottica delleducazione permanente [...] è chiamato a diventare [...] qualcuno che aiuta a cercare in comune gli argomenti a favore e quelli contrari piuttosto che porgere una verità bella e fatta" (14). "Senza una tale evoluzione di rapporti tra docenti e discenti non ci potrà essere unautentica democrazia nella scuola" (15). E chiaro: secondo questa innovazione, leducazione e linsegnamento non devono insegnare cose certe, non devono essere fondati sulla verità, il maestro non insegnare allalunno nè questi credergli, ma sono libera ricerca, creazione, che si realizza con la ricerca in comune di argomenti contraddittori.
La verità è stata sostituita dalla contraddizione: è questultima loggetto dello studio, delleducazione e dellinsegnamento. E una tesi tutta marxista, che si contrappone completamente alla realtà: la dialettica marxista è stata assimilata perfettamente (16).
Dunque, avvertita o inavvertita, la meta dellinnovazione pedagogica a motivo della quale si introduce la spinta alla "creatività" dellalunno, allautodidattica e al lavoro di gruppo, non è altra che la rivoluzione permanente. E, in quanto chiaramente marxiste, hanno le loro contraddizioni interne: quella "creatività" e quellautodidattica sono fin dal principio inquadrate in un dirigismo e pianificazione assoluti.
In tale prospettiva, inoltre, il maestro non dovrebbe influire in alcun modo sullalunno, ma, tuttavia, la realtà è ben diversa: "Listruttore cerca di porsi come induttore di mutamento, come fa il psicologo con il suo cliente, mentre i membri del gruppo assumono la responsabilità delle ricerche iscritte nel programma di studio e delle soluzioni da apportare ai problemi quotidiani della vita" (17).
Giunti a questo punto è conveniente porsi la domanda: cosè leducazione per lUnesco? Per lUnesco, tra le molte considerazioni che potrebbero farsi, essa risponde "allidea che la scuola può e deve essere uno strumento di libertà" (18), e nella nota a piè pagina ci si rimanda ad una citazione di Paulo Freire per farci capire in cosa consista quelleducazione liberatrice: "Leducazione per la liberazione, che è utopistica, profetica ed ottimistica, è un atto di conoscenza che, contrariamente a quel che accade nella scuola per laddomesticamento, consente di trasformare la realtà. Nella vecchia scuola non si poteva parlare di oggetto da conoscere ma solo di una conoscenza completa che leducatore possiede e trasmette allallievo; nella scuola per la liberazione non esiste alcuna conoscenza completa di cui leducatore sia in possesso, ma solo un oggetto conoscibile che istituisce un rapporto tra educatore ed educando come soggetti attivi di un processo euristico. Mentre nella pedagogia delladdomesticamento il maestro è sempre maestro, nella prassi liberatrice il maestro scompare come tale per rinascere come allievo del suo allievo. Analogamente egli deve proporre allallievo di scomparire come tale per rinascere come maestro del suo maestro. E in questo perpetuo andare e tornare quel movimento umile e creatore che li coinvolge entrambi" (P. Freire, Quelques idées insolites sur léducation, Paris 1971, p. 7).
Assieme alleducazione liberatrice di Paulo Freire (19), ricordiamoci quanto si è detto sulleducazione permanente e sulla psicologia: il maestro diviene il manipolatore della coscienza delluomo (come accade anche con leducazione liberatrice), e questi non potrà che seguirlo giacchè, essendo stato soppresso il saper pensare, non sarà capace di rifiutare quanto è contrario alla verità, al Diritto e alla legge naturale o al senso comune. Il positivismo più assoluto, radicalmente disumano, sinstaura in ogni ambito della vita delluomo, al punto che neppure la sua mente può sfuggirgli.
Lautodidattica, come regola generale, non è buona nè conveniente: essa presuppone il rifiutare ogni insegnamento istituzionalizzato che, invece, si propone proprio che luomo non devii nel cammino della conoscenza della verità e della sua pratica.
Sino a poco tempo fa, lautodidatta aveva una formazione per gran parte acquisita dallinsegnamento dellambiente che lo circondava. Una formazione almeno familiare, religiosa e morale, che gli dava delle basi solide da cui poter partire, quando non un insegnamento acquisito in scuole e collegi.
Lautodidattica oggi proposta come un obiettivo fondamentale e necessario che si deve raggiungere, invece, è lautoformazione sin dallinfanzia (si ricordi che si vogliono togliere i bambini dalle loro famiglie, dal loro ambiente vitale), strettamente legata alla "creatività".
Orbene, lautodidattica non si riferisce alla ricerca della verità in sè stessa (il che è già di per sè mostruoso quando applicato alla formazione del bambino e delladolescente), ma ad una formazione indipendente dalla verità, per la quale verrà convenientemente orientato (20); infatti - ed ecco una nuova contraddizione delle numerose in cui incorre il sistema proposto -, ci si propone "di orientarla sin dallinizio, e poi di fase in fase, nella vera prospettiva di ogni educazione: apprendimento personale, autodidattica e autoinformazione" (21). "Letica nuova delleducazione (si crea tutta unetica, che non può essere altro che il rifiuto dogni etica!) tende a trasformare lindividuo in protagonista del proprio progresso culturale. Lautoapprendimento, in particolare quello guidato, ha un ruolo insostituibile in ogni sistema educativo" (22).
Lautodidattica è generalmente instaurata facendo appello alla libertà delluomo, alla sua indipendenza ed in stretta relazione con la creatività (23); pertanto, non deve esistere nessuna imposizione ed ancor meno "dogmatismi" che lalunno debba seguire nella sua formazione: è lui e soltanto lui - si ripete ad ogni occasione - che deve liberamente formare sè medesimo, ed è chiaro che tale libertà esiste solo in quanto è "assistito" e "orientato".
Questa concezione, opposta alleducazione, ha come conseguenza il relativismo più assoluto, poi linserimento nella lotta rivoluzionaria, il "compromesso storico" e, infine, il totalitarismo rivoluzionario.
9.4 La dinamica o tecnica dei gruppi
Unaltra delle innovazioni che si vogliono imporre concerne la dinamica o tecnica dei gruppi, il cui sviluppo può essere rilevato nello sviluppo teorico di Paulo Freire (24), che non fa riferimento solo allinsegnamento impartito a gruppi di alunni, nelle aule, ma ad una radicale innovazione dello stesso: ha un "senso pedagogico rivoluzionario" (25), marxista, nonostante provenga dagli Stati Uniti, ed è raccomandata dallUnesco (26) come una delle "acquisizioni nuove" (27).
Roger Mucchielli, in un libro non sospettabile di ostilità verso la dinamica dei
gruppo, la definisce come "campo di conoscenze o di realtà" che "comprende
due grandi insiemi differenti, che costituiscono due grandi parti:
"linsieme dei fenomeni psicosociali - come delle leggi naturali che li
reggono - che si verificano nei piccoli gruppi;
"linsieme dei metodi che permettono di agire sulla personalità per
mezzo dei gruppi, così come quelli che permettono ai piccoli gruppi di operare su
organizzazioni sociali più estese" (28).
Di conseguenza, la dinamica dei gruppi è tanto un fattore di cambiamento sociale come di cambiamento della personalità (29).
In base a quel che segnala Mucchielli, alcune delle teorie più importanti sono dovute
ad uno dei padri della dinamica dei gruppi, Jacob Lev Moreno. "La dimensione
sociale è lessenza della personalità. Lessenza non è uninteriorità
nascosta e separata dagli altri, ma un insieme di ruoli sociali, la possibilità di
rappresentarli e la possibilità di cambiarli.
"Ogni gruppo umano ha una struttura affettiva informale che determina il
comportamento degli individui del gruppo, gli uni verso gli altri" (30).
Creuzet osserva che ciò significa:
"- che la persona non è che per e nel gruppo, come conseguenza del
ruolo che svolge;
"- che il gruppo non è soltanto un fattore di sviluppo della personalità, ma
ne è la causa determinante;
"- che lindividuo non può cambiare di ruolo facendo riferimento a una
qualche verità oggettiva o finalità esteriori al gruppo;
"- che la terapia utilizza soltanto le interazioni psicologiche
dellindividuo e del gruppo" (31).
Nella dinamica dei gruppi, non bisogna cercare la verità, di giungere alla conoscenza del reale così comè, ma di raccogliere le opinioni dei partecipanti, lopinione del gruppo (non già di questo o quel partecipante), che, alla fine, è imposta come verità. Come indica Creuzet, "lopinione del gruppo va ad occupare il posto della verità (peraltro previsionale e suscettibile di revisione)" (32). Il gruppo, infatti, "è lespressione libera dei partecipanti riuniti in gruppo informale, cioè liberati dalle imposizioni della realtà: lavoro, ambiente sociale abituale, modi di vedere, educazione, eccetera [...]. Ciascuno dei partecipanti deve prescindere dalla sua situazione familiare, dalla sua posizione nella gerarchia professionale, non deve mai evocare ricordi personali, non trattare alcun tema storico, filosofico o teologico. Sin dallinizio si compie quel che i marxisti chiamato "disalienazione": luomo è tagliato dalle radici che lo legano alla vita sociale, familiare e nazionale, separato dalla sua finalità e dal fine della sua vita" (33).
E il "qui e ora" lunica cosa che interessa al gruppo che è al lavoro. Di conseguenza, si prescinde da ogni conoscenza della personalità dellindividuo, che si procura di vuotare e lasciare in bianco, per poi cambiarla. Lunica cosa che conta è quel che accade nel gruppo, che verrà occultamente imposto dallopinione di esso o da quella dellanimatore.
Come indica Mucchielli, "concentrarsi sul qui e ora (hic et nunc) è costringere i partecipanti a riflettere sui loro effettivi comportamenti nel quadro della loro comune esperienza attuale... Il contento dellintera riunione deve essere in relazione con quanto accade nel gruppo e nei partecipanti, al loro attuale livello" (34).
"(Le) caratteristiche (35) dellincentrarsi sullhic et nunc hanno risonanza immediata sulla formazione ed i metodi generali dapprendimento. Col rompere tutti i concetti precedenti, obbligandoci così a tornare al reale scoperto personalmente...; con linterdire le convinzioni individuali su sè stesso, sugli altri, sulla realtà...; in questo senso, raggiunge il suo senso rivoluzionario..." (36).
"La norma della verità - segnala Creuzet - è lunanimità del gruppo imposta tramite la persuasione o la coazione" (37).
Infatti, uno degli elementi essenziali per arrivare alla "decisione" (38) del gruppo è costituito dalla pressione di conformità svolta dallo stesso (39), che è motivata dalla necessità di approvazione e di certezza (40) ed influisce grazie alla pressione normativa (comportamento concorde al gruppo) e dalla pressione informativa, che tende a far accettare come certa (sicura, degna di fiducia), quando manchi un altro criterio oggettivo, uninformazione considerata vera dal gruppo (41).
Tutto ciò provoca che "quando un individuo emette una idea nuova, originale o insolita allinterno di un gruppo di lavoro, si imbatte nella pressione di conformità, nella forma di resistenza del gruppo, che demoralizza completamente linnovatore, oppure nella forma di freno, che gli impedisce di esporre le sue tesi per timore di essere rifiutato o umiliato dal gruppo" (42). Così, a chi la pensa in modo diverso dalla "opinione" formatasi nel gruppo, sottilmente diretto dallanimatore, non resta che integrarsi nello stesso (con tutte le rinunce che ciò comporta), venire espulso dallo stesso ovvero venire messo da parte, subendo previamente il timore e la pressione psicologica relativi (43).
Il gruppo funziona per mezzo di un coordinatore o animatore (44), che può scegliere i temi da trattare e imporli, sebbene debba farlo in modo discreto: "La direzione di gruppi - scrive Mucchielli - è unazione, a volta aperta, altre segreta, di un organizzatore o sperimentatore, volta ad orientare lopinione, la decisione o il comportamento di un gruppo sottoposto alla sua influenza" (45).
Perchè, allora, non applicare la dinamica di gruppi come un metodo, in sè innocuo, che conduca ad una miglior formazione delluomo?
Mary A. Bany e Lois V. Johnson, in un libro intitolato La dinamica dei gruppi nelleducazione (46), e che ha per sottotitolo Il comportamento collettivo nelle classi distruzione primaria e secondaria, sono favorevoli allo studio ed allapplicazione della dinamica dei gruppi nella scuola. Così, nel libro citato, "si sottolinea la reazione del gruppo come un tutto" (47); invece di mirare a che ciascuno dei bambini che compongono la classe venga educato, quel che interessa è il comportamento del gruppo (48): in questo modo si perde di vista che il fine delleducazione è ciascun uomo concreto e non il gruppo, che va a sostituire gli individui che lo compongono. "Si insiste specialmente... sui mezzi coi quali tale comportamento (del gruppo) può essere guidato o modificato" (49).
Anche la pressione di conformità (50) e la pressione normativa (51) sono caratteristiche del gruppo classe. Si giunge così a cambiare i comportamenti ed il modo di pensare dei componenti in modo conforme a quelli del gruppo, "purchè si sappia che gli altri del gruppo hanno la stessa opinione" (52), e si verifica il processo di identificazione, il quale "fa sì che lindividuo pensi, senta ed operi come percepisce o crede che il gruppo o la persona con cui si identifica pensa, sente ed opera" (53).
Bany e Johnson segnalano alcune delle critiche fatte allapplicazione della dinamica di gruppi alla scuola, come quella per cui "gli individui sacrificano la fiducia in sè stessi per motivi di tranquillità", ovvero che "il gruppo della classe diventa rifugio della più forte mitezza intellettuale, perchè in esso le comodità trovano albergo e non si sviluppa nè liniziativa nè lindividualità" (54).
Ma la maggiore obiezione, che non si risolve e che invalida il procedimento sin qui descritto, è che detta applicazione costituisce un procedimento immorale di cambiamento della personalità dellindividuo, e che fa scomparire lindividuo nel gruppo, che è quanto interessa nella dinamica di gruppi.
I citati Bany e Johnson pretendono di risolvere alcuni problemi etici posti
dallapplicazione della dinamica di gruppi, come ad esempio: "Che diritto ha
il maestro di modificare le attività, le opinioni ed i comportamenti dei bambini?";
"è giustificato in una società democratica che i maestri usino delle tecniche
psicologiche per modificare le attività ed i comportamenti?" (55). Sono
difficoltà che non vengono risolte, perchè se è vero che i maestri devono influire sul
bambino per modificarne i cattivi comportamenti, ciò deve avvenire daccordo con un
criterio oggettivo di bene, in modo che sia la volontà del soggetto quella che vuole il
bene previamente scoperto dallintelligenza, e non accadere per mezzo di pressioni
(come quella di conformità o di normativa della dinamica di gruppi) che non fanno
riferimento nè alla verità nè al bene oggettivamente considerati, e neppure
allintelligenza che deve scoprirli affinchè la volontà li persegua.
Quanto al secondo interrogativo, non lo si risolve dicendo che mediante questo sistema si
modificano dei comportamenti indesiderabili, nè dicendo che tali comportamenti devono
essere modificati (56): la questione non è risolta perchè non viene fatto il minimo
riferimento al procedimento utilizzato, che è quanto deve essere rifiutato.
Ne deriva che, a parte le considerazioni fatte in precedenza, la dinamica di gruppi non è un metodo che possa essere applicato ai fini delleducazione; essa deve formare luomo in modo che la sua volontà operi in accordo con la sua intelligenza, non già in modo che la sua condotta sia modificata in qualunque senso o direzione da pressioni psicologiche, pressioni che agiscono indipendentemente dalla razionalità o dalla bontà, ma daccordo con le opinioni ed i comportamenti del gruppo, per conformarsi ad esso.
Di conseguenza, la dinamica o tecnica di gruppi non può essere adottata
nellinsegnamento perchè annienta la persona, che viene trasformata in un membro
gregario di un mondo futuro diretto dagli "eletti".
Le conseguenze del suo utilizzo, avverte Creuzet, sono "linstaurarsi di una
mentalità collettivista; il provocare delle reazioni totalitarie in risposta, od anche
pilotate dal potere; il produrre disordine con lallontanare dalla ragione, che in
realtà è soppressa, col confondere e sostituire la verità con lopinione"
(57).
Per questo, non è strano che Mao abbia utilizzato tale tecnica nei procedimenti miranti al "lavaggio del cervello": come lo stesso Mucchielli indica (58) "è evidente che la conversione e la sovversione sono applicazioni della tecnica di gruppi" (59).
9.5 La scuola nuova
Prima di concludere è conveniente far riferimento, ancorchè in modo sommario, alla "Scuola Nuova", per la diffusione che nella nostra Patria stanno avendo le opere di tutti quei pedagogisti (Decroly, Dewey, Freinet, ecc.) che, in misura maggiore o minore, vanno a comporne la denominazione.
La Scuola Nuova, benchè manchi di una perfetta uniformità sia nella filosofia che la anima (che spazia dal più aperto individualismo al più acceso socialismo, anche totalitario), che nei metodi utilizzati e preconizzati dai suoi rappresentanti, ha, tuttavia, importanti tratti comuni. Per quel che qua interessa, faremmo principalmente riferimento alla sua filosofia.
Nicolàs Gavirìa, pur riconoscendo i meriti didattici apportati dalla Scuola Nuova, osserva: "Ma oltre a questo, essa costituì una reazione radicale contro il passato. Disprezzò certi principi essenziali delleducazione che la scuola tradizionale aveva conservato con rispetto, e che essendo insostituibili non si possono amputare o deformare senza che leducazione soffra un trauma mortale"; perchè, aggiunge, "la scuola deve evolvere in quanto è contingente, daccordo con i movimenti sociali, politici e scientifici, ma non può essere soggetta a tutte le scosse in principi che sono al di sopra delle fluttuazioni del giorno" (60).
Come indica Dante Morando, "Purtroppo leducazione moderna ha sostituito ai valori morali e religiosi dei palliativi, e crede che la piattaforma di partenza per un mondo migliore sia data soltanto dalle attività esteriori, e si limita per lo più a richiedere che la formazione di particolari abilità tecniche, a volere una educazione sociale che è solo un comportamento riguardo agli altri [ ]; perciò ha creato anche metodi raffinati, ma ha dimenticato la sostanza vera e il fine vero delleducazione. Questa è la sua malattia. Per questo essa offre uneducazione incompiuta agli individui e alla società, uneducazione unilaterale e frammentaria, con sviluppo eccessivo di finalità relative (e quindi secondarie per luomo), senza una sintesi unitaria superiore" (61).
Il fatto è che la pedagogia moderna, la Scuola Nuova, dal punto di vista della filosofia che la anima è puramente orizzontale, naturalistica, quando non apertamente laica e anticristiana (62).E per questo che Gavirìa annota nel passivo della Scuola Nuova, "la sua inefficacia nel formare la personalità morale a causa della sua povertà etica, del suo naturalismo, dellincapacità di offrire un ideale elevato, della sua posizione neutra in campo religioso" (63).
Facendo riferimento allattivismo, uno dei caratteri comuni delle Scuole Nuove, Dante Morando osserva che "lattivismo [ ], dimentica quasi generalmente che luomo tende per natura a svilupparsi nella sua totalità, e non in qualche suo aspetto soltanto. Ora, tra gli elementi costitutivi delluomo cè anche laspirazione a ideali morali superiori al concretismo materiale, e cè anche laspirazione religiosa allassoluto trascendentale [ ]. Escludere unilateralmente queste aspirazioni significa dimenticare tutto luomo, limitarlo a qualcuno dei suoi vari e molteplici elementi costitutivi, e precludersi la via alla formazione delluomo integrale" (64).
In definitiva, come scrive Aldo Agazzi, "Le nuove dottrine educative si caratterizzavano appunto negli indirizzi e negli ideali assunti dal pensiero contemporaneo [ ] La pedagogia ne uscì fratturata in concezioni e correnti [ ] per lo più staccate dal cristianesimo, conformemente a tutto un indirizzo del pensiero moderno di volere una concezione della vita senza dogmi, una morale senza religione, uno Stato senza Chiesa, una cultura senza Dio; ma sempre contrastate, col suo umanismo integrale e teocentrico, con il suo invitto personalismo, dalla pedagogia cristiana" (65).
Il fatto è che la perdita della percezione della totalità delluomo è uno dei difetti essenziali della pedagogia moderna, della Scuola Nuova. E ciò non fa riferimento solo alla filosofia da cui parte o che anima ciascuna delle sue componenti, ma pure ai metodi utilizzati dalle stesse: come osserva Aldo Agazzi (66), "Mai la letteratura pedagogica raggiunse tanta mole [ ]: essa denuncia tuttavia una deviazione quasi generale: lesclusivismo unilaterale: pare perduto il senso delluomo totale e si risolve quasi sempre luomo in uno solo, o in una sola parte, dei suoi vari e molteplici caratteri costitutivi" (67).
Se, dunque, si deve rifiutare la filosofia della Scuola Nuova, occorre fare la stessa cosa con i metodi da essa utilizzati? La risposta è negativa: è opportuno utilizzare i metodi didattici della Scuola Nuova, ma avendo cura di rifiutare la concezione della vita e delleducazione su cui si basano. Non si può dimenticare che esistono dei fini e dei mezzi per il loro conseguimento, e, in riferimento ad entrambi, Emile Planchard osserva che esiste una pedagogia teleologica ed una pedagogia tecnica, evidenziando la subordinazione di questa a quella (68).
I metodi didattici devono essere utilizzati subordinandoli sempre al fine delleducazione; occorre fare sempre attenzione a non cadere nellesclusivismo foriero di deformazioni dovute al considerare aspetti particolari come generali: sebbene il metodo applicato contenga dei principi veri, utilizzandoli unilateralmente si rendono falsi. Neppure si deve dimenticare, ricorda E. Planchard, che se "la pedagogia antica aveva delle indiscutibili debolezze, la pedagogia attuale accusa, forse, deviazioni innegabili ed esagerazioni manifeste" (69).
Di conseguenza, è opportuno adottare i metodi della Scuola Nuova, considerando che "si possono dissociare i sistemi e prendere da essi quel che quadra con la filosofia pratica che condividiamo" (70), ma sempre in modo ponderato, non unilaterale o esclusivo, come avviene quando ci si fissa solo su qualche metodo o su alcuni degli aspetti della persona umana, dimenticando gli altri.
Nicolàs Gavirìa ripete che "uneducazione tradizionale può e deve conciliare la Scuola Nuova con quella tradizionale, prendendo dalluna e dallaltra i contributi migliori. Conservando il prezioso tesoro su cui riposa la concezione cristiana della vita, che la scuola tradizionale ha preservato dalle mareggiate dei settarismi, leducazione deve raccogliere i progressi che la scienza moderna ha portato nellordine della pedagogia naturale" (71).
Che non si dimentichi, ricorda Emile Planchard, che "la pedagogia è una scienza pratica...; avendo come oggetto lessere umano, razionale e morale, essa si ispira necessariamente ad una morale" (72): non esiste vera pedagogia se si dimentica o si prescinde da un aspetto tanto fondamentale, che è invece lerrore in cui cade la Scuola Nuova. Di fronte ad essa sinnalza la pedagogia cattolica che, come indica Aldo Agazzi, "è quindi, innanzi tutto, basata su un concetto totale della realtà e delluomo; e, a differenza della filosofia e pedagogia moderne, che sono antropocentriche, essa, fondata comè sul concetto di creazione (quindi di Dio principio assoluto), è teocentrica, e, in quanto constata luomo decaduto e redento, cristocentrica" (73). Il fatto è che, "mentre la scienza è teoria di ciò che è, la moralità è, invece, dottrina di ciò che deve essere: la morale è una scienza normativa. Ed è qui che il cristianesimo denuncia uno dei più gravi equivoci del naturalismo educativo: quello di sostenere che il fanciullo debba diventare ciò che è, quando, invece, egli deve essere sospinto a diventare ciò che deve essere. Il motto non può essere tanto: diventa ciò che sei, ma piuttosto: diventa quello che devi, poiché leducazione è opera di superamento e di perfezione " (74).
Come indica E. Planchard, citando P. Foulquie, "sebbene leducazione nuova segni grandi progressi nelle tecniche pedagogiche, in essa viene confermata una qualche incertezza nella concezione del fine in relazione al quale le tecniche più fortunate non sono altro che mezzi. La pedagogia non è sufficiente: ha bisogno dessere fondata su una filosofia delluomo e del destino umano" (75).
Per concludere: è opportuno utilizzare le innovazioni tecniche, i metodi e le conquiste della Scuola Nuova e della sua didattica, ma tenendo conto del fine superiore delleducazione e nella misura in cui sono compatibili con esso; ma non è in alcun modo accettabile la filosofia della Scuola Nuova (76).
9.6 I ciarlatani della nuova pedagogia
Non ci sembra conveniente concludere senza fare una breve riflessione sui "ciarlatani della nuova pedagogia", titolo di un libro di Lucien Morin (77), che merita dessere letto e meditato da quanti si dedicano, in un modo o nellaltro, a questi argomenti.
I ciarlatani della nuova pedagogia sono tutti quelli che - "pedagogisti", "educatori", "professori", ecc. - infettati dalla malattia della "opinionite" o "opiniomania" (78), termini con cui Lucien Morin designa "la mania di considerare le proprie opinioni personali e soggettive come verità" (79).
Luomo doggi, contagiato da quella malattia (volontariamente contratta), rifiutando ogni principio ed ogni indizio di senso comune, ha instaurato lopiniomania, per la quale crede ciecamente nella "sua" opinione fino al punto che "la finzione e limmaginazione divengono realtà, fino a che lerrore e la falsità divengono la verità" (80).
Così, il relativismo intellettuale si sparge ovunque (81) e la ragione, principio direttivo delleducazione, è rifiutata (82): lopiniomania pedagogica rigetta il sapere, ma crede sempre in ciò che essa dice; considera quel che crede, solo perchè lo crede, come vero, senza che importi loggetto del suo credo (83).
Il proclama di Mirabeau è divenuto realtà: "Ogni uomo ha diritto ad insegnare ciò che sa, ed anche quel che non sa" (84); alla sequela di Krishnamurti, sinsegna quanto si conosce - che è quantitativamente e qualitativamente minimo - e quel che si ignora, per cui lintuizione "nostra unica vera guida nella vita", è una "intelligenza molto sveglia" (85). Così la finzione si è fatta realtà ed il sofisma si è impadronito della ragione: si impara tutto perchè tutto è insegnato, e si insegna tutto perchè si sa tutto (86).
La pedagogia moderna, contagiata dalla opiniomania, cade in unautentica fede in sè stessa, una fede nellopinione, essendo questa lunico valore esistente, lunica verità.
La pedagogia dellessenza è stata sostituita da quella dellesistenza; si deve abbandonare e sbarazzarsi dogni pregiudizio, dogni idea preconcetta, dogni concezione a priori, liberarsi per sempre dallesecrabile "dover essere" (87). Leccesso della pedagogia dellesistenza ha generato il mostro dellopiniomania pedagogica, che è il rifiuto del senso comune e della scienza, la negazione dellevidenza e della realtà, la deificazione generale del soggettivismo, del relativismo, del pragmatismo e del naturalismo positivistico (88).
La critica di Lucien Morin è dura, ma la realtà è quella, anche quando non la si voglia vedere; lopiniomania è un fatto, è la sua influenza nelleducazione e nellinsegnamento è terrificante: lopinione di ciascuno - professore, pedagogista, alunno, studente - è eretta a norma del bene e del male; negando la realtà e sostituendola con le convinzioni soggettive, gli errori nelleducazione e nellinsegnamento si succedono gli uni agli altri, ed il mondo savvicina allignoranza totale.
Oggi, il sapere ed il conoscere, non sono cose importanti in sè stesse; limportante è che professori ed alunni esprimano opinioni in merito a tutto ed a qualunque cosa, con spontaneità, franchezza e libertà: non si tratta di avvicinarsi alla realtà delle cose, ma di esprimersi ed operare in modo conforme. Siamo tutti uguali; pertanto, tutti abbiamo diritto di opinare su qualunque cosa, e qualunque opinione, di chicchessia, ha lo stesso valore: quel che vale è lopinione considerata in sè stessa, il diritto ad opinare indipendentemente dal contenuto e dal confronto con la realtà: di conseguenza, tutti sappiamo le stesse cose, perchè, inoltre, abbiamo tutti diritto a saperle.
In ultima istanza, la massa (non il popolo) si erge sulle élite naturali (89), distruggendole collimporre il "diritto" a sapere le stesse cose su quelli che effettivamente qualcosa sanno: diversamente non ci sarebbe eguaglianza, ma oppressione di quanti sanno (poco o tanto) su coloro che non sanno o sanno meno.
La cultura di massa e leducazione di massa instaurano il regno delle tenebre dellignoranza, nel quale i ciechi - gli uomini massa doggi -, opiniomaniatici, diretti ed incoraggiati dai ciarlatani della nuova pedagogia, pur sapendosi ciechi, vogliono imporre (e impongono) la "loro visione" a quanti ancora vedono, senza che glimporti neppure del precipizio sul cui orlo si trovano.
NOTE