SECONDA PARTE
LA RIFORMA DELL'INSEGNAMENTO: SOVVERSIONE E RIVOLUZIONE NELL'INSEGNAMENTO
CAP. V - La statalizzazione dell'insegnamento
La rivoluzione e la sovversione stanno attualmente compiendo rapidissime catastrofi
nella società. L'insegnamento é uno dei campi nei quali ciò si manifesta nel modo più
allarmante e crescente. La cosa é totalmente comprensibile, dato che dall'educazione
degli uomini, dalla loro formazione, dipenderà tutta la vita sociale. Se si educa e
s'insegna la rivoluzione si arriverà, forzatamente, alla rivoluzione nella società:
l'ordine sociale sarà distrutto perché, essendo basato sui pilastri dell'ordine naturale
e della dottrina cattolica, radicalmente contrari alla rivoluzione, sarà totalmente
sradicato da questa.
Il pericolo maggiore, o uno dei principali, é costituito dall'idea secondo cui le riforme
dell'insegnamento che vengono proposte e si stanno realizzando, non sembrano altro - ad
uno sguardo superficiale - che il metodo, il modo razionale ed efficace di avere un
insegnamento adeguato.
Per questo motivo tratteremo svariati punti che, sotto l'apparenza di riforme necessarie
(come sono costantemente qualificate da parte di chi le propone e dai mezzi di
comunicazione), mirano ad eliminare la libertà dell'uomo.
5.1 La statalizzazione dell'insegnamento: uninversione di valori.
La prima e fondamentale di queste riforme cerca e pretende di porre ogni insegnamento,
in tutti i suoi ambiti e livelli, alle esclusive dipendenze dello Stato. Le misure per
raggiungere quest'obiettivo sono molteplici e possono svolgersi in modo diretto o
indiretto.
Abbiamo visto in precedenza (1) quale sia la competenza dello Stato in materia educativa:
segnaliamo ora l'assoluta necessità della separazione del potere politico dal potere
culturale.
In altro luogo (2) abbiamo detto che senza tale separazione la schiavitù dell'uomo
diverrà completa, perché "il suddito scolarizzato assimilerà nel periodo della
sua formazione e apprendistato tutto ciò di cui lo Stato vuole nutrirlo, trasformandosi
in suo fedele seguace e docile strumento per quanto gli verrà comandato in qualunque
campo: la schiavizzazione delluomo sarà completa e ottenuta col suo consenso, dato
che con le nuove tecniche neppure la sua intimità personale resterà al di fuori del
potere dello Stato. Una schiavitù mai sognata - continuavamo -, che rende le
precedenti un gioco da bambini. Luomo potrà forse avere un alto livello di vita,
disporre di grandi risorse materiali (cosa che é pure discutibile), ma potrà usarle solo
per ciò che lo Stato permetterà, nel modo e luogo che questo vorrà. Ma la sua capacità
di discernimento resterà mutilata, se non completamente annullata, essendo deformata
dalla legislazione statale ed esercitata nellambito definito dallo Stato e nella
direzione da questo stimata conveniente: con ciò perderà lesercizio reale di ciò
che lo caratterizza e lo distingue in quanto essere razionale".
Segnalavamo, ancora, come l'unione del potere politico e di quello culturale - che altro
non é che la statalizzazione dell'insegnamento - avrebbe posto fine alla civiltà.
Prima di vedere quali siano le strade per cui si giungerà alla schiavitù più completa e
alla rovina della civiltà, è necessario segnalare la totale inversione di valori
verificatasi in merito al soggetto e alla funzione dell'insegnamento, al punto che lo
stesso termine "insegnamento" non può essere adoperato per entrambi i
presupposti, giacché indica due cose totalmente diverse.
Si giunge alla rivoluzione e alla sovversione nell'insegnamento per due strade che, se
partono dallo stesso concetto rivoluzionario della vita, si manifestano in modo differente
e a volte (apparentemente) contrapposto. Di una di queste manifestazione é difficile,
senza un'analisi dei suoi orientamenti, avvertire il significato sovversivo e
rivoluzionario, essendo perciò quella più pericolosa.
La prima di queste manifestazioni, quella più chiara e facile da avvertire, é la
sovversione illegale, che si manifesta col combattere il sistema politico del mondo
occidentale e la sua organizzazione sociale, fondata (sebbene molte volte sia quasi
impossibile riconoscerlo) sulla civiltà cristiana. E' la sovversione studentesca,
riscontrabile da un lato nelle turbolenze degli studenti e, dall'altro, nell'insegnamento
di molti professori. Questi ultimi, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto
aspettare, sono lasciati sulle loro cattedre dal potere politico che combattono, mentre
mira alla conservazione un ordine sociale (più o meno perfetto) che quei professori
vogliono corrompere dalle loro cattedre.
Tuttavia, c'è un'altra manifestazione di questa sovversione e rivoluzione
nell'insegnamento, sostanzialmente identica, che combatte la medesima concezione cristiana
e naturale dell'uomo, dell'ordine sociale e politico.
Questa manifestazione della rivoluzione (che abbiamo detto essere difficile da individuare
senza un'analisi dei suoi orientamenti), si svolge, si sta realizzando legalmente, con
l'acquiescenza incosciente o cosciente del potere politico. E' quella che viene realizzata
in molti paesi attraverso le riforme educative che, tutte, vengono elaborate sulla base
delle direttive dell'UNESCO: é una cosa nota a tutti, specialmente nella nostra Patria,
dato che lo stesso potere politico lo proclama apertamente ed orgogliosamente. Esse, a
causa della inversione e sovversione di valori che implicano, costituiscono una vera
rivoluzione, nel senso che al termine Rivoluzione ha dato Albert de Mun (3).
Nel 1972, l'UNESCO ha pubblicato un libro che porta come titolo nella sua edizione
francese quello di Apprendre à être (4) - la cui traduzione significa
"imparare ad essere" -, che il nostro ministro Villar Palasì ha recensito in un
articolo nel quale segnala che l'educazione e l'insegnamento hanno come fine che l'uomo "impari
ad essere", concernono "l'imparare ad essere". Diversamente,
l'insegnamento e l'educazione non sono altro che un mezzo per raggiungere determinati
fini, in cima ai quali s'innalza quello fondamentale ed eccelso della salvezza eterna, e
non, come si sostiene, quello di imparare ad essere. Siamo di fronte ad una concezione
secondo cui l'uomo non é, vale a dire, non costituisce un essere con dei fini: ecco quel
che, in definitiva, tale espressione comporta. L'uomo non é; egli diviene continuamente e
costantemente (educazione permanente) senza che mai sia, il che non é altro che la
concezione marxista di tutto il reale. Il reale, per il marxismo, non é, ma diviene: é
sempre in evoluzione e varia, permanentemente. Da questo continuo cambiamento, da questo
farsi permanente dell'uomo, sorge l'assenza di fini concreti, immutabili e soprannaturali
da raggiungere: é questa la concezione dell'uomo per l'UNESCO. Nonostante l'accettazione
di questo concetto sia difficile, per tale concezione l'uomo non esiste (se ci si
riferisce al concetto aristotelico tomista di esistenza ed essere), dato che deve
continuamente farsi, imparare ad essere.
Tutto questo ha un'enorme importanza: il significato di quel continuo farsi dell'uomo,
di quel cambiamento permanente, altro non é che la negazione della sua condizione di
essere razionale e libero. Ciò implica la negazione della sua individualità e
personalità, d'ogni fine trascendente e spirituale: l'uomo diventa uno strumento. Ed uno
strumento maneggiato e diretto, in un compito costante e non mai finito, da coloro che
elaborano i piani stabiliti dall'UNESCO o dai poteri che accettano tale concezione
legandosi ad essi.
In questa concezione e condizione, quanto abbiamo detto dell'insegnamento (5) non ha alcun
significato, ma é solo il frutto di un passato che, in "un mondo in cambiamento",
"un mondo in divenire", spiazza e che cerca di imporsi autoritariamente.
E', ancora una volta, il vento della storia al cui soffio ci si deve arrendere e,
prigionieri di esso, con la cui permanente trasformazione occorre collaborare. E' il
materialismo marxista che si é impadronito, coscientemente o incoscientemente, delle
linee guida dell'insegnamento. L'uomo diviene uno strumento in mano al potere politico - nazionale
o sovranazionale - che per mezzo dell'insegnamento ed unito al potere, sarà
maneggiato a piacimento e bisogno.
Con questa rivoluzione, questa sovversione del concetto dell'insegnamento e dell'uomo, non
c'è più alcun valore stabile, immutabile, permanente.
E' chiaro che la statalizzazione dell'insegnamento é una tappa necessaria ad ottenere
quel cambiamento permanente, quel farsi continuo, quell'imparare ad essere.
5.2 Dottrina cattolica e socializzazione
Innanzi tutto, sembra conveniente segnalare - per lo speciale valore vincolante nei confronti dei cattolici - la dottrina di Santa Madre Chiesa sulla socializzazione.
Il socialismo, soprattutto a partire da Leone XIII (6), é stato condannato ripetute
volte, come é ammesso e riconosciuto da tutti. Le divergenze sorgono - a causa di una
mancanza di autorità ed infiltrazione d'idee - nei periodi dei pontificati di Giovanni
XXIII, il Concilio Vaticano II e Paolo VI.
Tuttavia, anche essi hanno condannato il socialismo, sia direttamente che per riferimento
a documenti precedenti o tornando a proporre il principio di sussidiarietà. E', comunque,
necessario segnalare che:
a) quanto é stato condannato come incompatibile con la dottrina cattolica e la natura
umana, non può essere diventato compatibile oggi, posto che la dottrina cattolica é
immutabile e la natura umana resta sostanzialmente sempre identica;
b) la condanna del socialismo appartiene al Magistero ordinario della Chiesa e che molte
questioni sostenute dal socialismo sono incompatibili col Magistero perenne e
straordinario;
c) tanto il Magistero ordinario quanto quello solenne sono vincolanti per i cattolici.
Pertanto non si può né si potrà giammai cooperare col socialismo;
d) é dobbligo per tutti gli uomini, e specialmente per i cattolici, il procurare
lordine sociale, il che é incompatibile col socialismo;
e) pertanto, in materia di educazione ed insegnamento, é obbligatorio per i cattolici il
resistere alla leggi e disposizioni che contrastano con la dottrina cattolica, perché si
deve obbedire a Dio prima che agli uomini.
5.3 Strade che conducono alla statalizzazione dell'insegnamento
5.3.1 Linsegnamento obbligatorio
Non seguiremo lordine storico e cronologico della crescente statalizzazione
dellinsegnamento; pertanto, non faremo riferimento ai suoi inizi con le
intromissioni assolutiste dello Stato nellinsegnamento che - da secoli - veniva
impartito dalla Chiesa: tratteremo di quelle che oggi ci sembrano più importanti e
pericolose.
"Laberrazione socialista e linteresse pratico - scriveva Enrique
Gil y Robles - dai quali procede lerroneo principio dello Stato docente,
contrario allautarchia individuale, familiare e sociale in questordine della
vita e del Diritto, hanno generato anche il moderno "dogma"
dellinsegnamento obbligatorio, il cui limite ed obiettivo non é ancora stato
fissato dalla politica nuova, perché lassurdo la porterebbe alle conseguenze
logiche più estremistiche ed odiose.
"Dalla verità secondo cui lo Stato é interessato allistruzione dei
componenti la nazione, non pochi trattatisti e politici hanno tratto la conclusione che
non solo lo Stato deve insegnare, ma pure che lobbligo di apprendere si trasforma in
un dovere giuridico, sanzionato dal potere civile con la coazione e le pene relative,
supponendo, con un grossolano sofisma, che una persona deve fare tutto quanto é di suo
interesse e che lo Stato é chi meglio ed esclusivamente può fare quel che é d'interesse
della società nazionale.
"La conseguenza di questa tesi sarebbe limposizione di tutti gli
insegnamenti (non solo di quelli fondamentali e comuni), ma anche - sulla base delle
attitudini - di quelli professionali, lo Stato scatenandosi nelle occupazioni e le
stravaganti minuziose organizzazioni in cui va a finire il socialismo radicale. Perciò,
quando lo Stato si ferma alla soluzione socialista più attenuata e dottrinale, si limita
a dichiarare obbligatorio il primo insegnamento elementare, costringendo i genitori, per
mezzo di alcune sanzioni, a che i figli la ricevano.
"Anche se lesistenza di una situazione così forzata (nella quale lo
Stato - con i genitori che dimenticano il loro dovere - fosse nella situazione di imporre
tale obbligo per ragioni formali non diverse da quelle dellalimentazione corporale)
non ripugna, non é tuttavia possibile stabilire nella pratica la necessità di
trasformare in dovere giuridico - e di giurisprudenza statale - un dovere puramente etico.
Infatti, si deve tenere conto che linsegnamento strettamente indispensabile al
compimento delle finalità umane (e di conseguenza quello di supremo interesse individuale
e nazionale) é quello che non deborda dalleducazione sulla totalità dei doveri
delluomo nei confronti di Dio, di sé stesso e dei suoi simili. Quest'insegnamento
(che per avere senso etico é necessario che abbia pure il fondamento e lo spirito
religioso dellunica vera religione), è fornito dalla Chiesa attraverso svariate vie
ed organi di catechesi, con unattrattiva e delle sanzioni che hanno
unefficacia maggiore persino di quella dello Stato" (7).
Che si neghi, in pieno XX secolo, il "dogma" dellobbligatorietà dellinsegnamento, sembrerà a molti una cosa aberrante, segno di pazzia, classismo o mentalità reazionaria. Tuttavia, la questione merita una riflessione più ampia.
Linsegnamento e leducazione - lo ripetiamo ancora - non sono la stessa
cosa. Leducazione si acquisisce fondamentalmente nellambiente familiare e, per
laspetto religioso, nella catechesi della Chiesa (8). Quest'educazione, normalmente,
é quella sufficiente a che luomo conosca i doveri che ha "verso Dio, se stesso
e i suoi simili", in quanto uomo.
Linsegnamento - sia quello elementare, secondario e medio - acquisito nelle
scuole e nei collegi, é accessorio al compimento di quei doveri. Se leducazione
fallisce, difficilmente potrà essere sostituita dallinsegnamento. E certo che
linsegnamento può perfezionare lo svolgimento di quei doveri delluomo e
contribuire al migliore sviluppo dello stesso, ma può anche corromperlo. In questo caso,
sostenere lobbligatorietà dellinsegnamento, é la strada più facile e sicura
per distruggere luomo e la società.
La questione verte sulla possibilità - in conformità al diritto - da parte dello Stato
di stabilire lobbligatorietà coattiva dellinsegnamento. Se si risponde in
modo affermativo, la bontà o perniciosità dellinsegnamento diviene un fatto
secondario. Se é un dovere giuridico esigibile dallo Stato, lo é indipendentemente dalla
qualità dellinsegnamento: la funzione di esso passa in secondo piano davanti al
primato del dovere giuridico esigibile, allobbligatorietà dellinsegnamento.
Così, lo stretto obbligo dei genitori dovrebbe fermarsi alleducazione: il di più
non può essere loro richiesto dallo Stato; e questo sia per non avere titolo per poterlo
esigere che per le perniciose conseguenze che derivano da tale principio.
In primo luogo lo Stato - non avendo potere docente -, manca del titolo necessario per imporre lobbligatorietà dellinsegnamento, indipendentemente dal fatto che esso sia o non sia statale. Lo Stato é incaricato del bene comune temporale: può esigere quellobbligatorietà? Se il diritto sullinsegnamento dei figli spetta ai genitori, esso è eliminato alla radice con lobbligatorietà dellinsegnamento, che é esigibile indipendentemente dallo stesso. Ma se ci si riferisce al concetto di base del bene comune tale principio non può essere sostenuto. Inoltre, se lo si porta alle sue ultime e logiche conseguenze, lo Stato potrebbe imporre alle persone lo studio di una specializzazione (la società ha bisogno di uomini specializzati), il che é assolutamente impensabile, perché è possibile unimposizione fisica ma non quella intellettuale: allo stesso modo tale istruzione, per quanto benefica per la società, non può essere imposta coattivamente.
Secondariamente, per le conseguenze che derivano dallobbligatorietà. Se lo Stato
può coattivamente esigere la frequenza ai centri d'insegnamento, cioé rendere
linsegnamento obbligatorio, essa si trasforma in fine, mentre, in realtà, non é
fine a sé stessa ma é solo un mezzo. In altre parole, la funzione svolta
dallinsegnamento (listruire nella verità - in qualsiasi campo - avendo come
fine la perfezione umana e sociale) viene annullata e resa secondaria: tanto il suo
oggetto quanto il suo fine risultano indifferenti se paragonati al primato che si concede
al dover frequentare i centri dinsegnamento, di qualunque tipo siano e
indipendentemente dal genere di insegnamento impartito. Linsegnamento può così
trasformarsi nella più potente macchina di corruzione. Non stiamo stravolgendo le cose,
né esagerando le conseguenze dellobbligatorietà dellinsegnamento: a parte il
fatto che non é possibile negare quella trasformazione e conversione da mezzo a fine, dal
punto di vista storico, lapparizione del "dogma" dellobbligatorietà
dellinsegnamento fu congiunta al liberalismo e al socialismo, con la conseguente
corruzione religiosa, morale e sociale del bambino.
Lobbligatorietà dellinsegnamento non significherebbe nulla se, nel caso
d'inosservanza, lo Stato non mettesse in movimento il suo apparato coercitivo. Ciò é
indubitabile: i genitori che rifiutassero di mandare i figli nei centri
dinsegnamento verrebbero, in un modo o nellaltro, privati della patria
potestà.
Argomentare che l'obbligo va a favore dei figli, oppure che è imposto perché i genitori
sono degli irresponsabili, é totalmente sofistico. E proprio per la responsabilità
che i genitori hanno verso i figli, che essi hanno tutto il diritto - e a volte
lobbligo - di impedire che i figli frequentino detti centri. Sono proprio
lamore e la responsabilità a stabilire limpossibilità dell'obbligatorietà:
cosa accadrebbe se linsegnamento dovesse corrompere i figli? E, in questo caso, si
potrebbe esigere dai genitori che mandassero i figli in istituti dove verranno corrotti?
Quando la scuola é nociva, i genitori hanno lobbligo di sospendere la frequenza dei
figli, cosa ricordata da Pio XI ai cattolici messicani: "A tutti i cattolici
messicani simpongono due gravi precetti: luno negativo, che é di tenere
quanto é possibile lontani i fanciulli dalla scuola empia e corruttrice" (9); e
nella Divini illius Magistri, ove segnala la proibizione per i cattolici della
frequenza alla scuola laica (10).
La messa in pratica del "dogma" dellobbligatorietà dellinsegnamento
può corrompere ma, quand'anche questa non fosse corruttrice in sé, può avere altre
conseguenze, come la morte della vita familiare (come avviene con limposizione
obbligatoria delle concentrazioni di scolari e degli asili nido), conseguenza
dellerrore di dare priorità allistruzione rispetto alla famiglia o
allintegrità morale, senza le quali listruzione non significa nulla e perde
di senso.
Lobbligatorietà dellinsegnamento non é solo nociva quando produce effetti
perniciosi, ma é lo stesso principio che ne permette listituzione a renderla tale.
Lobbligatorietà dellinsegnamento si é sviluppata contestualmente alla scuola
neutra o laica in Francia, passando quindi in Spagna. Lobbligatorietà é un modo
per ottenere - con la statalizzazione dellinsegnamento - che i sudditi, posti sin
dalla più tenera età scolare nelle mani dello Stato, divengano quel che esso vuole.
Non si deve dimenticare che lobbligatorietà dellinsegnamento é strettamente
connessa - almeno in Francia e Spagna - alla statalizzazione dello stesso. Quello che oggi
si ritorna a pretendere é che linsegnamento obbligatorio sia anche laico, gratuito
e si svolga in scuole pubbliche o statali. Qualunque sia la denominazione che si dà a
questo tipo di scuola o insegnamento (sia prima che attualmente), quel che si vuole é
che, forzatamente e obbligatoriamente, i bambini vadano ad una scuola pubblica o statale,
in cui tutti riceveranno un insegnamento uniforme e laico.
Come indica Guy Avanzini (11) "agli occhi dei leader politici che la imposero, del
partito repubblicano che la sosteneva, e di diversi settori dellopinione pubblica
che la approvavano, la scolarità obbligatoria costituì un elemento decisivo della
politica "sinistrorsa" che si voleva instaurare, evidenziata
dallintroduzione - da parte di Jules Ferry nel 1882 - tra gli altri aspetti, del
positivismo di Comte, col quale avrebbero avuto termine "per evaporazione le
tracce della mentalità teologica o metafisica" " (12).
Ciò nonostante, si potrebbe obiettare che se lo Stato esigesse solo lobbligatorietà dellinsegnamento (senza aggiungere lobbligo di frequentare le scuole statali e lasciando la libertà di frequentare quelle private), non ci sarebbe violazione di alcun diritto, ma solo lesigenza che i suoi sudditi ottenessero un determinato grado distruzione, necessario al bene comune e della persona.
Ma cosa succederebbe se le scuole private non funzionassero o esistessero, ovvero se
non fossero sufficienti per soddisfare la domanda dei genitori? E se a giudizio dei
genitori queste scuole non possedessero le condizioni necessarie per leducazione dei
figli? La scuola, infatti, non può limitarsi allistruzione, ma deve collaborare
nellopera educativa; non può limitarsi ad istruire ed ancor meno può essere fonte
di corruzione. E se in questultimo caso i genitori non fossero in condizione di
aprire scuole private perché i figli venissero formati in accordo coi loro desideri? Come
verrebbero rispettati in questo caso i diritti delle famiglie?
Che linsegnamento sia statale o meno, la sua obbligatorietà non può essere
imposta, in quanto non dipende da questo aspetto. Il fatto che allo Stato sia interessato
ad una maggiore istruzione dei suoi sudditi, non significa che possa imporla
coattivamente. Tutto quel che porta benefici alla società e all'uomo é d'interesse dello
Stato, ma ciò non costituisce un titolo sufficiente perché lo imponga ed esiga
coattivamente.
D'altra parte, tutto il corpo sociale é interessato all'istruzione dei propri membri: il
buon funzionamento della società é la migliore e maggiore garanzia dell'insegnamento,
cosa che però sembra essere dimenticata quando si ritiene che lo Stato (in una concezione
onnisciente e onnipotente dello stesso, che porta alla morte sociale e personale) sia
l'unico a conoscere quel che é buono per la società e per l'uomo.
Inoltre, la scuola non é l'unica modalità con cui le persone si educano ed istruiscono
(13), né vi é motivo per stabilire un'età scolare minima uguale per tutti.
Negli Stati Uniti, la resistenza alle disposizioni delle leggi che stabiliscono
l'obbligatorietà della frequenza scolastica é stata portata in tribunale. Secondo quanto
riferisce Good "i tribunali hanno affermato il diritto dello Stato
nell'approvazione ed imposizione del compimento del disposto di queste leggi. In un caso
presentatosi nell'Ohio, nel 1877, il tribunale affermò che, sebbene i genitori avessero
dei diritti sui figli, la loro autorità non era esclusiva. Dichiarò che "il
consenso dei minori" é di "importanza primordiale", e che lo Stato può
interferire nella libertà dei genitori nell'interesse del bambino" (14). Orbene,
con questo criterio scompare la patria potestà e i diritti e doveri inerenti alla
paternità: se é lo Stato o i tribunali che definiscono in cosa consiste il
"consenso del minore", s'intromettono nella più intima e sacra di tutte le
istituzioni sociali, che é proprio la famiglia.
Per sviluppo logico del principio, di quel principio, si arriverebbe alla conseguenza
verificatasi nell'Unione Sovietica, in cui, come dice Octavi Fullat, secondo l'articolo 41
del codice del 1927, i genitori divengono rappresentanti dello Stato all'interno della
famiglia, posto che "i figli appartengono allo Stato prima che alla famiglia"
(15).
Il fatto é che, sebbene sia certo che lo Stato - attraverso i tribunali ed in casi molto
concreti - può provvedere al benessere del minore di fronte a una condotta nociva dei
genitori, giungendo anche a privarli della patria potestà, é certo che non si può
generalizzare per tutte le famiglie quanto è possibile solo per casi singoli e
particolari. Non si può pretendere che, nell'interesse dei figli, si possano imporre
prescrizioni ai padri di famiglia (che, di fatto, annullano il concetto stesso di
paternità), posto che quest'ultima non si riferisce solo alla generazione, ma anche al
sostentamento e all'educazione. Quel che, invece, non é certo, é che lo Stato debba
vegliare in modo sistematico e generalizzato sul benessere dei minori, perché i loro
genitori non sanno (o non conoscono bene quanto lo Stato) quel che é meglio per loro. In
questo modo lo Stato è considerato come soggetto di diritti e doveri sui minori con
priorità su quelli dei genitori, col che la famiglia cessa di esistere.
E' certo che le leggi dei diversi paesi degli Stati Uniti lasciano libertà di
frequentare scuole pubbliche o private, purché ciò avvenga per tutta la durata stabilita
dalla legge statale (16). Orbene - senza negare che in questo modo è permessa una certa
libertà rispetto alla frequenza obbligatoria in una scuola unica -, il problema consiste
nella liceità dell'imposizione da parte dello Stato, indipendentemente dal tipo
d'istituto scolastico frequentato. Crediamo di aver addotto sufficienti argomenti per dar
fondamento ad una risposta negativa, messa in risalto anche da un'altra angolazione:
sempre negli Stati Uniti si é verificato un altro caso relativo a questo tema.
Nel 1922, nello Stato dell'Oregon, venne promulgata una legge che sopprimeva tutte le
scuole primarie private, costringendo, di conseguenza, i bambini a frequentare le scuole
statali. Come indica Good, "nel cosiddetto caso Oregon, la Corte Suprema ha negato
a qualunque Stato il diritto di sopprimere le scuole private per il solo fatto d'essere
tali, ovvero di esigere che tutti i bambini frequentino le scuole pubbliche" (17)
"Nel 1925 la Corte Suprema, in riferimento al caso Meyer versus Nebraska (1923),
ha dichiarato che "la legge del 1922 interferisce senza motivo con la libertà
che hanno i genitori e i tutori per dirigere l'educazione dei bambini posti sotto il loro
controllo"... Il bambino non é una creatura dello Stato" (18).
"Solo quando una legge dello Stato o un atto dei suoi tribunali sembra contrario
alla legge federale, è portato davanti alla Suprema Corte degli Stati Uniti. Nei casi
citati, quest'alto tribunale ha sentenziato che le autorità scolastiche, i genitori e gli
alunni hanno attribuzioni e diritti che lo Stato non può violare" (19).
Vale a dire che, se i genitori e tutori hanno la libertà di "dirigere
l'educazione dei bambini posti sotto il loro controllo", se "Il bambino
non é una creatura dello Stato", se "i genitori hanno attribuzioni e
diritti che lo Stato non può violare", si deve di conseguenza concludere che lo
Stato non può imporre coattivamente la scolarità obbligatoria, cosa indirettamente
riconosciuta dalla sentenza relativa al caso Oregon: l'insegnamento obbligatorio, viola
quei diritti inviolabili.
Se ai genitori competono diritti e doveri - prioritari rispetto a quelli dello Stato -
relativi all'educazione dei figli, in un dato momento essi possono ritenere nocivo non
solo l'insegnamento nelle scuole statali, ma anche quello delle private, cui potrebbero
mandare i figli. Possono anche reputare che sia meglio mandarli a scuola più tardi,
oppure decidere per una frequenza di durata inferiore, educandoli ed insegnando loro
direttamente od affidando l'incarico ad altre persone da loro incaricate.
In definitiva, la sentenza del caso Oregon riconosce che il diritto dei genitori
nell'educazione dei figli é fondato sull'ordine naturale; é un Diritto Naturale che
stabilisce la priorità di diritti della famiglia sullo Stato, perché è l'unico modo di
intendere, eccettuati i sarcasmi, la frase secondo cui "i genitori hanno
attribuzioni e diritti che lo Stato non può violare". Ed il Diritto Naturale
scompare se al posto dei genitori si sostituisce lo Stato e s'impone ai bambini l'obbligo
di andare a scuola, in contrapposizione alla volontà meditata e ragionevole dei loro
genitori.
5.3.2 La gratuità dellinsegnamento
Come frutto dell'utopico ideale socialista e dei suoi perniciosi principi, si sta insinuando, tanto nelle menti degli uomini che nelle loro realizzazioni pratiche, un nuovo "dogma", che impone d'autorità una tesi, presentata come fosse un principio inviolabile: quella secondo cui si ritiene che l'insegnamento debba essere gratuito. E' un principio che, se applicato, porta inevitabilmente - lo si voglia o meno - al trasferimento dell'insegnamento allo Stato.
Tra le conseguenze più visibili della gratuità dell'insegnamento (20), si possono enumerare quelle di seguito esposte.
5.3.2.1 La proibizione di usare i mezzi economici della famiglia per l'insegnamento.
Essendo obbligatoriamente gratuito, é chiaro che l'insegnamento sarà indipendente dai mezzi economici di cui dispongono i genitori: nell'opera educativa essi si troveranno privati della possibilità di disporre dei propri mezzi economici per educare i loro figli.
5.3.2.2 La soppressione della libertà di scelta dei genitori nell'educazione.
Nonostante la gratuità sia frequentemente sbandierata come "l'unica forma con
cui realizzare il diritto di tutti i genitori a scegliere l'istituto scolastico per
i figli" (21), la sua conseguenza é esattamente contraria: la gratuità elimina
quella libertà di scelta.
Come sarebbe regolamentata l'iscrizione ai centri d'insegnamento? Supponendo che il
numero dei posti per studenti fosse sufficiente, chi deciderebbe quali alunni andranno
nelle diverse scuole? La sollecitudine paterna? Se così fosse, avremmo indubbiamente
alcuni istituti con molte più richieste dei posti effettivamente disponibili, ed altri
con molte meno di quelle che potrebbero accogliere. Per rendere effettiva tale libertà -
portata come argomento a favore della gratuità -, i centri d'insegnamento dovrebbero
essere di natura tale che tutti i loro elementi fossero - in ogni momento, automaticamente
e perfettamente - adattabili alla domanda. Cosa che, inutile dirlo, é impossibile.
Ma, allora, quale sarà il criterio? Qualunque criterio venga adottato, andrà contro la
libertà, posto che l'adattamento é impossibile per incompatibilità.
Perché, allora, invocare quel pretesto per impiantare la gratuità, se essa é
impossibile e irrealizzabile? Tutti i criteri di selezione saranno autoritari, estranei
alla volontà dei genitori e, pertanto, contrari a quella libertà. Se é lo Stato che, in
definitiva, decide per ogni bambino la scuola da frequentare, perché parlare di libertà
di scelta? I criteri, qualsivoglia siano, saranno d'imposizione statale. E tra tutti i
criteri che si possono scegliere, ce ne é uno particolarmente odioso: quello della
selezione intellettuale. A parte il fatto che i genitori - qualora i figli ricadessero in
tale gruppo - potrebbero non volere la frequentazione dei centri per intelligenti (e,
senza espressa manifestazione, non si può presumere volontà favorevole a quella
selezione e frequenza), ne deriva che questo sistema creerebbe due classi di esseri umani,
di uomini, che saranno inconciliabili per sempre: quella degli intelligenti e quella
"degli altri". Diseguaglianza questa, in verità, davvero perniciosa. E' stato
affermato che l'intelligenza é così ben ripartita che nessuno si lamenta di quella che
ha: tuttavia, in un sistema che sin da piccoli segnala gli uni come trionfatori o
intelligenti e come falliti "gli altri" (cosa che avviene con la selezione
paventata), la vita sarà realmente impossibile, per quanti intelligenti vi siano.
La gratuità dell'insegnamento non é altro che la messa in pratica dell'errore funesto, prodotto dall'invidia e dall'egualitarismo, secondo il quale quel che non tutti possono avere, non deve essere di nessuno. Al contrario, abbiamo visto come un buon sistema d'insegnamento, all'interno del buon funzionamento sociale, non solo è garanzia della libertà di scelta, ma anche di tutti i diritti che i genitori hanno in materia educativa.
5.3.2.3 La dipendenza assoluta degli istituti scolastici dallo Stato.
Essendo l'insegnamento gratuito, tutte le scuole saranno tenute in vita dallo Stato,
finendo col porre nelle mani di questo - e ovunque si estenda la gratuità - ogni
l'insegnamento. Le scuole saranno costrette a seguire le direttive perché, altrimenti,
smetteranno di ricevere il denaro statale e di conseguenza dovranno chiudere: per
sopravvivere dovranno eseguire solo ciò che lo Stato comanda.
La gratuità è, pertanto, un mezzo con cui si sopprime l'insegnamento privato. Ogni
insegnamento sarà identico: ma identicamente statale. Imponendo la gratuità (e quindi il
dovere di eseguire le disposizioni statali, qualsiasi esse siano), le scuole d'ogni genere
non si differenzieranno sostanzialmente le une dalle altre, e chi non applicherà le norme
sarà costretto a chiudere.
5.3.2.4 La scomparsa della libertà d'insegnamento.
Dove si stabilisce la gratuità d'insegnamento, si porta il monopolio statale. E' l'usurpazione della funzione docente da parte dello Stato, l'asservimento dell'uomo per mezzo dell'insegnamento. La gratuità non é altro che un sofisma con cui si cerca di conquistare le masse, ma col quale s'instaura il monopolio statale che annienta la libertà.
Un caso a parte é quello che estende la gratuità solo a quanti la desiderano ma
permette, a coloro che sono contrari, di inviare i propri figli in centri privati: si
sostiene che, così facendo, la gratuità é un provvedimento magnifico. A parte la
considerazione fondamentale, cosa che é stata già trattata e secondo cui allo Stato non
compete in alcun modo la funzione docente, anche questa "innocua" proposizione
é foriera di conseguenze molto pregiudizievoli.
La prima: chi opta per la possibilità di mandare i propri figli in una scuola privata,
ossia non gratuita, non statale, dovrà pagare due volte l'istruzione dei suoi figli:
dapprima attraverso le imposte (che sono il modo con cui lo Stato finanzia l'opera docente
che ha usurpato), quindi con le rette del centro privato. Questa é una situazione
ingiusta per due motivi: in primo luogo perché, essendo un legittimo diritto (e non una
concessione dello Stato) il poter mandare i figli nell'istituto che si ritiene opportuno,
la detrazione d'un importo per un insegnamento che i suoi figli non riceveranno é
un'odiosa coazione. In secondo luogo, perché solo le persone che possiedano adeguati
mezzi economici potranno mandare i figli in quei centri: è una discriminazione che va a
scapito del più debole economicamente, di chi non potrà pagare due volte la scuola dei
figli, ma che, invece - se non pagasse imposte per questa libertà -, potrebbe farlo.
La seconda: con l'esistenza dell'insegnamento gratuito per tutti quelli che lo desiderano,
si fa concorrenza sleale all'insegnamento non statale, al quale invece compete tale
missione. Lo Stato ha una tale posizione di forza che, entrando in concorrenza, può
distruggere ogni insegnamento privato o lasciarlo per i soli "super - ricchi".
La gratuità instaurata in modo generalizzato (non facciamo riferimento ora alle borse di
studio individuali che lo Stato può dare, né alla sua missione sussidiaria) é
incompatibile con l'insegnamento privato (22). In definitiva, la gratuità
dell'insegnamento, anche quando si tenta di renderla compatibile con l'insegnamento
privato, finisce col condurre alla statalizzazione completa, al monopolio statale.
5.3.3 I nuclei di concentrazione scolastica
Un'altra tendenza che si manifesta attualmente, é quella della creazione di centri
d'insegnamento per concentrarvi gli alunni di villaggi e luoghi diversi.
Si suole dire che, senza tale concentrazione, ci sarebbero molti bambini che resterebbero
senza insegnamento e, dunque, tali centri vengono imposti per il loro bene. Si ricorre,
poi, ad argomenti economici, sostenendo che solo con tali concentrazioni é possibile
disporre di mezzi adeguati per l'insegnamento che il mondo d'oggi richiede. Così, una
sofistica argomentazione d'ordine economico distrugge la vita familiare, produce lo
sradicamento e tutta una serie di danni, che sarebbero evitabili se si seguisse il sistema
d'organizzazione per corpi intermedi, il quale non prevede tali concentrazioni
scolastiche. Per il bambino, infatti, la cornice naturale nella quale si sviluppa la sua
vita é molto più importante di tutti i progressi tecnici che tale concentrazione può
fornire.
"La supposizione che linsegnamento e la cultura - scrive Rafael Gambra -
siano realizzabili o raggiungibili soltanto a scuola, studiando determinati contenuti e
programmi su libri o seguendo lezioni, é frutto di una restrizione concettuale provocata
dalla mentalità razionalistica [...]. Nei casi normali questi elementi che
luomo riceve dallambiente familiare, circostante e vitale saranno -
nellinsieme della sua cultura e della sua educazione - molto più profondi e
decisivi di quanto possa in seguito ricevere da libri e centri di insegnamento"
(23).
La creazione delle concentrazioni scolastiche costituisce una vera e propria deportazione,
con cui i bambini sono allontanati dai propri genitori; una misura brutale e perniciosa,
esercitata arbitrariamente dallo Stato e già praticata in Unione Sovietica e nella Cina
di Mao. Mandarlo nelle concentrazioni, come segnala Gambra, "significa privarlo di
qualcosa molto più importante per lui di quello che si pretende di dargli: significa
frustrare in lui i suoi punti di riferimento basilari, la sua fede e le sue convinzioni
profonde, il calore del focolare, e trasformarlo - in molti casi - in un uomo
spiritualmente tarato" (24).
Tali concentrazioni scolastiche, contrarie al Diritto Naturale, sono frutto del concepire
lo Stato come un ente docente o quantomeno supremo, onnisciente e onnipotente, di fronte
al quale non cè nulla - neppure luomo - che meriti di essere tenuto in
considerazione. I nuclei di concentramento scolastico conducono alla statalizzazione
dellinsegnamento perché nella loro stessa impostazione cè un principio
statalistico, ma soprattutto perché annientano la vita familiare e ambientale,
trasformando luomo nel ricettore di quanto lo Stato vuole insegnargli: essendo
linfanzia la tappa più importante della formazione umana, luomo diviene uno
strumento in mano allo Stato e viene da esso reso schiavo. I centri dinsegnamento -
che in una società sana vengono creati dallo stesso corpo sociale -, devono essere
costruiti dove sono i bambini, ossia dove sono necessari, invece di mandare i bambini di
villaggi diversi allo stesso centro.
Daltra parte, oggi che leguaglianza sembra essere un ideale, le concentrazioni
scolastiche sono totalmente anti egualitarie: i bambini del luogo in cui viene costruito
il centro non dovranno essere portati in un altro villaggio, con un evidente vantaggio di
questi sugli altri.
5.3.4 La rivoluzione e la sovversione, conseguenze della statalizzazione
In altro luogo abbiamo segnalato "lerrore di quanti credono che la concentrazione del potere fermi la Rivoluzione, o di coloro che credono, peggio, che sia il miglior mezzo per arrestarla. In un momento determinato - continuavamo -, specifico, può contenerla, farla rallentare: se però nello stesso tempo non si ricompone il tessuto sociale, non si é fatto altro che ritardarla, se non farla precipitare" (25). E quel che accade quando lo Stato si occupa dellinsegnamento come di cosa propria, contribuendo - direttamente ed indirettamente - alla sovversione e alla Rivoluzione. Questo accade per due ragioni: in primo luogo perché considerando linsegnamento come un servizio che deve essere fornito dallo Stato, e quindi rendendolo statale, si adottano dei principi rivoluzionari. Secondariamente, perché con tale attività si danno motivi allopera della sovversione, permettendole che la usi come base della contestazione.
Il fatto é che, come abbiamo detto in altro luogo (26), il fenomeno della sovversione
universitaria (anche quando per ampiezza rivesta un carattere mondiale), non costituisce
una caratteristica della gioventù studentesca d'oggi.
La sovversione é provocata dal comunismo e dagli agenti della Rivoluzione utilizzando,
come slogan e pretesto su cui basare la loro azione, una serie di fatti che
provocano disagio nellattuale sistema universitario.
Uno di tali slogan, il quale in realtà non è usato che per dare forza
allazione rivoluzionaria, ma, invece é tuttaltro che auspicato, é costituito
dalle libertà universitarie, dalle autonomie dellUniversità (27).
E facile suscitare disordini partendo dalla richiesta di alcune libertà e di
unautonomia universitaria che non esiste: lo studente non ha legami che lo uniscono
allUniversità perché essi sono ridotti a rapporti amministrativi e burocratici con
lo Stato. E, per lo Stato, egli non é altro che un numero fra gli altri,
nellinsieme costituito dagli studenti universitari. Così, per la Rivoluzione, é
facile attirare gli studenti assumendo come bandiera quella dellautonomia: nella
maggioranza di loro, da un lato, non ci si preoccupa dei veri problemi
delleducazione e dellinsegnamento, e, dallaltro, non si sente legati ed
uniti ad unUniversità amorfa e burocratica. In unUniversità davvero
autonoma, la Rivoluzione non riuscirebbe ad utilizzare la bandiera della lotta per la
libertà e, daltra parte, lo studente avrebbe dei legami - che oggi non esistono
più - dunione con lUniversità; inoltre, egli sarebbe unindividualità
peculiare e diversa dal resto dei suoi compagni, col conseguente arenarsi del processo di
massificazione e una gestione delleducazione svolta dai corpi intermedi e dalle
famiglie, a ciò deputate dalla loro stessa natura. La Rivoluzione troverebbe il nemico
più accanito in una società nella quale ogni individuo, famiglia e associazione,
avessero le libertà ed i diritti loro spettanti: il suo progredire è, infatti, dovuto
alla diffusione - nei suoi seguaci e nella società -, di una serie di idee e concetti
erronei che dissolvono la società stessa e che, grazie a tale progressiva dissoluzione,
fa avanzare e consolidare la sovversione e la Rivoluzione.
5.3.5 Obbligatorietà e gratuità: esigenze del Diritto Naturale?
Non manca chi, in modo più o meno velato, fonda linsegnamento gratuito ed
obbligatorio sul Diritto Naturale; chi afferma che tanto lobbligo - imposto
coattivamente dallo Stato - di recarsi nei centri d'insegnamento, quanto la gratuità -
anchessa data dallo Stato o da altri enti come il municipio o la regione -, sono
conseguenze del Diritto Naturale; chi sostiene, insomma, che sia la gratuità e
obbligatorietà dellinsegnamento, sono un Diritto Naturale.
Così, per esempio, per Dìaz Gonzaléz, "la dimensione sociale del diritto
alleducazione della persona" é plasmata nel "dovere di educarsi"
che é "esigito dalla legge e dal Diritto Naturale" (28), ed "un
modo in cui questo dovere si concretizza nellordinamento giuridico statale é col
dar corso alla scolarità obbligatoria degli Stati moderni" (29), essendo "principi
di garanzia del diritto alleducazione [...] lobbligatorietà e
gratuità dellinsegnamento" (30). L'obbligatorietà per il fatto che "il
diritto alleducazione implicava lesigenza da parte della società, posto che
non presupponeva solo un dovere individuale, ma un dovere sociale. E facoltà non
mediata degli ordinamenti statali lesigere questo dovere" (31); la
gratuità perché "se si esige lobbligatorietà e luniversalità, si
dovrà dar corso ad eguali opportunità anche in campo economico [...] il principio
della gratuità non deve proiettarsi unicamente nel sistema delle scuole statali ma anche,
per il criterio della sussidiarietà e della giustizia (32), nelle scuole fondate
da altre società, entità private o sociali, ed in questo modo conseguire
luguaglianza d'opportunità per tutti gli alunni" (33).
Da unaltra prospettiva, si afferma che il diritto dei genitori nelleducazione
dei figli "é un diritto inviolabile, ma non dispotico; lo si deduce dal dovere
che i genitori hanno di educare i figli e rispettare lordine morale e la verità
oggettiva. Una prova del carattere non assoluto di tale diritto la troviamo
nell'obbligatorietà e gratuità dellinsegnamento, protette dalla legge positiva"
(34).
Opinioni d'altri autori potrebbero essere citate come esempi di questa tesi, ma ciò
esorbiterebbe dai limiti di questo studio; daltronde quanto riportato é sufficiente
per illustrare la posizione secondo cui, considerando il diritto alleducazione un
Diritto Naturale, si vuole fondare la gratuità e obbligatorietà nel Diritto Naturale.
E evidente che il Diritto Naturale non implica lobbligatorietà né la
gratuità; al contrario queste sono contrarie a quel diritto.
E certo che il diritto alleducazione é un Diritto Naturale della persona.
Ciò vuol dire che ogni persona ha diritto ad essere educata, a ricevere
uneducazione. Si tratta di un Diritto Naturale soggettivo, di una facoltà che
appartiene alluomo in quanto tale, di un diritto appartenente alluomo per
natura. Si avverta che se dal punto di vista della persona si tratta d'un diritto
soggettivo, tuttavia, il fondamento di quel Diritto Naturale ha carattere totalmente
oggettivo, cioé appartiene immediatamente alluomo, come ha osservato Victor
Cathrein: "a causa del Diritto Naturale oggettivo e delle relazioni costituite
dalla stessa natura" (35). Il che vuol dire che, sebbene il diritto
alleducazione sia un diritto fondamentale della persona, lo é indipendentemente
dalle dichiarazioni positive che sono fatte al riguardo, siano esse dello Stato o
Dichiarazioni o Trattati Internazionali. Quando le leggi positive stabiliscono o
dichiarano il diritto della persona alleducazione, non fanno altro che recepire,
riconoscendone lesistenza previa, il Diritto Naturale alleducazione.
Orbene, la legge umana positiva riconosce e raccoglie il Diritto Naturale nel suo disposto
con due modalità o forme: come conclusioni e come determinazioni. Le prime sono
conclusioni necessarie dei principi primi del Diritto Naturale. Le seconde, invece, non
contengono conclusioni necessitate dai principi primi, ma precetti che derivano da essi;
sono precetti che non sono giusti o ingiusti di per sé, ma lo sono perché vengono
determinati dalla legge (36): é la legge positiva che determina che deve essere fatto
così, ma potrebbe anche essere fatto in modo diverso. Non avviene così per le leggi
determinate nel primo modo (conclusioni necessarie), le quali non possono fare altro che
raccogliere e plasmare quanto ha un modo determinato dalla natura.
Il diritto alleducazione, plasmato nelle leggi positive, deriva come conclusione dai
principi primi del Diritto Naturale, mentre non si può alcun modo supporre che la stessa
derivazione per lobbligatorietà e la gratuità. Ma anche supponendo che queste
ultime derivassero dal Diritto Naturale, potrebbero esserlo come determinazioni, giacché,
ad esempio, il Diritto Naturale non dice se la scolarità debba durare dai sei ai
quattordici anni, dai sette ai diciotto o qualunque altra età.
Ebbene, non dobbiamo dimenticare che stiamo facendo riferimento al diritto
alleducazione come un Diritto Naturale della persona, cioè relativo al soggetto che
ha diritto alleducazione. Tenendo presente questo, lobbligatorietà e la
gratuità sono in qualche modo di Diritto Naturale, nonostante lapparente
contraddizione con quanto escluso nei precedenti paragrafi. Il bambino è, infatti,
soggetto alla patria potestà (lo stesso bambino che ha il Diritto Naturale ad essere
educato, alleducazione) ed ha lobbligo di sottomettersi alle prescrizioni che
gli sono imposte per essere educato, tanto nel seno del focolare domestico che nel centro
dinsegnamento. Per lui, essa é davvero obbligatoria e gratuita: non avendo propri
mezzi di sostentamento, né la capacità di procurarseli ed essendo soggetto alla patria
potestà, leducazione e linsegnamento gli devono essere impartiti
gratuitamente.
Ma qui ci si ferma. Il Diritto Naturale non dice se leducazione scolastica deve
durare un numero determinato d'anni, né se deve essere sostenuta dallo Stato, dal
municipio o dalla regione: sono invece questi gli aspetti cui si fa riferimento nelle
odierne leggi positive relative alla gratuità ed obbligatorietà. Lobbligatorietà
e gratuità, così come sono concepite dalle leggi positive attuali, se proprio fossero di
Diritto Naturale, lo sarebbero come determinazioni, ma mai come conclusioni. E per
questo che i periodi e gli ambiti della gratuità cambiano nelle diverse legislazioni.
Tuttavia, non si può parlare di diritti naturali neppure in questultimo senso,
perché il Diritto Naturale non é solo un insieme di norme, ma piuttosto e
fondamentalmente un metodo. E un metodo in cui si discerne ciò che é giusto
facendo attenzione a quanto é giusto per natura e a quanto é giusto perché di diritto
positivo. Quanto é giusto per natura é attinente la natura della cosa stessa; quanto
invece é d'origine positiva proviene dalla volontà del singolo, dalla volontà pubblica
o dagli ordini del principe. Ed una cosa può essere naturalmente giusta in tutti e due i
modi, sia considerandola assolutamente per se stessa che in relazione alle sue conseguenze
(37).
Abbiamo già visto le conseguenze della gratuità e dellobbligatorietà, il che
ci porta a concludere che, in relazione alle sue conseguenze, non sono giuste, né sono un
diritto, sia lobbligatorietà che la gratuità.
Ma nonostante tutto, esiste un modo conforme al diritto in cui potrebbero essere imposte
dallo Stato? In altre parole: quando lo Stato le impone, deborda o no dai suoi confini?
Se si guarda alla realtà sociale, al bene comune (non solo di questo momento ma anche
dei successivi, delle future generazioni), al diritto dei genitori ad educare i propri
figli, alla funzione di favorire lo sviluppo che ha lo Stato e al suo carattere
sussidiario, la gratuità e lobbligatorietà sono pregiudizievoli. Il bene che oggi
si vuole ottenere finisce col produrre degli effetti peggiori di quelli che si cercano di
evitare, impedendo beni maggiori (38). Con lobbligatorietà e la gratuità si
pretende di garantire laccesso di tutti ai beni della cultura, salvaguardando il
diritto d'ogni persona alleducazione. Ma questa visione risulta errata a causa della
confusione consistente nellidentificare la giustizia ed il diritto con
leguaglianza.
Che linsegnamento non sia gratuito non vuol dire che chi manca di mezzi economici
non ha accesso allinsegnamento. Un buon sistema d'organizzazione sociale, realizza
in modo sussidiario e suppletivo quel che la gratuità pretende di ottenere in modo
generale ed egualitario, con la tremenda differenza che non impedisce lesercizio
legittimo dei diritti impediti dalla gratuità e non cade negli effetti gravemente dannosi
che essa comporta.
Che non si stabiliscano età obbligatorie d'insegnamento scolare non significa che gli
abitanti della nazione rimarranno lontani dalleducazione e dallinsegnamento.
Sono i genitori gli incaricati delleducazione dei figli e lo Stato non può
sostituirsi a loro, esigendo una scolarità obbligatoria che va a detrimento della patria
potestà e che produce in modo più o meno evidente e rapido, secondo le circostanze, il
trasferimento delle persone nellorbita dello Stato totalitario, anche se nel suo
aspetto esterno ed apparente sembra democratico. Se lo Stato ha il potere di chiedere la
scolarità obbligatoria dai sei ai sedici anni, perché non dovrebbe averlo a cominciare
dai due anni o persino per strapparli ai genitori dal momento della nascita? Non si dica
che la prima scelta non implica la seconda, né che impossibile che ciò accada, perché
non cè ragione per supporre - ammesso il principio - che tale sviluppo non ci
sarà; le attuali tendenze, inoltre, per lo stesso sviluppo logico delle idee che servono
loro da base, portano a dar corso a scolarità obbligatorie che iniziano nei nidi (a due o
tre anni) e, persino, a lasciare i bambini in istituti statali o comunali dopo pochi mesi
dalla nascita.
Il Diritto Naturale alleducazione é un diritto concreto d'ogni persona, che in ogni
caso si svolgerà in un modo determinato, con una regola specifica, a seconda del contesto
concreto e caratteristico di ciascuno: in questo modo tutta la ricchezza della varietà
della realtà sociale potrà intervenire nel processo educativo. Tale diritto si
differenzia sostanzialmente da quello soggettivo (basato sulle moderne dichiarazioni di
diritti che stabiliscono un diritto astratto, disincarnato dalla realtà sociale
nella quale é inserita la persona), il quale mutila nel processo educativo tanto la
varietà degli aspetti sociali, ambientali, familiari, intellettuali (e d'ogni altro
genere concorrente a rendere più reale ed effettivo il processo educativo), quanto il
diritto stesso della persona alleducazione.
Lobbligatorietà e la gratuità sono conseguenze del concepire tale diritto in modo
astratto, del pretendere di renderlo identico ed uguale per tutti, e la cui
giustificazione ultima si trova nell'ineludibile necessità di fare tutti eguali.
Ma se il motivo ultimo degli atti umani o lultima e superiore giustificazione
dellattività delluomo consistesse nelluguaglianza, non potremmo affatto
lamentarci se in un domani ormai prossimo - e che é già possibile intravedere -, saremo
riusciti a costruire un mondo disumano, un mondo di "uomini - massa", un
mondo di robot in carne ed ossa: il "mondo nuovo" di Huxley o del
"1984" di Orwell. Un mondo nel quale necessariamente la cultura e
la civiltà scompariranno; nel quale non ci sarà più luomo. E tutto ciò soltanto
per essersi luomo ribellato alla natura volutamente non scoperta e, senza dubbio,
trasformata secondo idee fornite dalla sua intelligenza sradicata; intelligenza separata
dalla natura per lo stupido intestardirsi nel credere di essere la misura di tutto e che
le idee siano lunica realtà. Una ribellione contro la natura e contro Dio, che lo
precipita nellabisso della sua stessa distruzione.
5.4.1 Largomento del bene comune
Nella difesa della statalizzazione dellinsegnamento, non é mancata la tesi
secondo cui essa fosse da esigere in nome del bene comune, come ha segnalato Victor
Pradera: "Lo Stato - si dice -, in quanto organo dellautorità, deve
dirigere gli uomini verso il bene comune e, di conseguenza, gli tocca d'insegnare a quanti
devono essere diretti quel che devono conoscere in relazione a quel fine. Il sofisma su
cui é sbadatamente fatta tale osservazione, non é tanto da profondo da non poter essere
segnato a dito. E certo che lautorità sociale dirige gli uomini verso il loro
destino temporale, ma non indipendentemente dalla società, bensì come suo organo. Se
lautorità conosce il bene comune, non é perché lo scopre allinsaputa
della società, ma perché ha ricevuto da essa tale conoscenza, così come riceve il
potere necessario alla sua missione dautorità. A quanto detto si deve aggiungere
che, se lAutorità dirige gli associati verso il conseguimento del bene comune, non
sostituisce la società in tale conoscenza" (39).
Il fatto é che la tesi dellinsegnamento statale - che portata al limite logico
conduce al monopolio statale - costituisce un totalitarismo completo, imposto niente meno
che in nome del bene comune e - per dirla in termini più aggiornati e del sapore meno
tomistico - del bene o dellinteresse sociale, prescindendo dalla società (che viene
annientata) e mettendo al suo posto lo Stato. Perciò, la statalizzazione
dellinsegnamento, come qualsiasi altra statalizzazione o socializzazione, annienta
la libertà. Il suddito imparerà quel che lo Stato vuole che sappia e nel modo in cui
vuole che lo sappia; ma lo Stato potrà inoltre dividere, classificare e dirigere gli
uomini a determinati compiti, secondo il grado d'accettazione e di vincolo
allideologia dello Stato. Così, costringerà gli alunni e le famiglie che non
accetteranno la sua ideologia ad interrompere gli studi o a svolgere i compiti meno
desiderati, mentre quelli che laccetteranno godranno di privilegi. Questo accade non
solo in Unione Sovietica (40) e negli altri paesi della Cortina di Ferro - come la
Cecoslovacchia -, ma anche nel "diverso" paradiso socialista, che Cuba pretende
d'essere. Così lo espone Donatella Zotta - in un libro (41) per nulla sospettabile di
anticastrismo ma, anzi, ad esso favorevole -, quando segnala che "la valutazione
dellalunno si realizza [...] prestando una speciale attenzione alla sua
posizione ideologica e morale in senso ampio, cioè alla sua coscienza e disponibilità
rivoluzionaria"(42). La statalizzazione dellinsegnamento produce la perdita
della libertà e, come chiusa, la scomparsa della libertà delluomo.
Lo sviluppo logico del principio dellinsegnamento statale, porta la totale
soggezione allo Stato di tutto lambito della cultura, come segnalava Victor Pradera
"se linsegnamento orale - quello scolastico e dellUniversità - é una
funzione dello Stato e, pertanto, suo monopolio, non ci sarà alcuna ragione perché non
lo sia anche quello scritto. E linsegnamento scritto è costituito dalla stampa e
dai libri. E inutile protestare per questa conclusione. E inutile che nel
presentarla ai rivoluzionari, questi cerchino di snaturarla. La si trova in quella
precedente come unimmagine nello specchio". (43). Di fatto, quella
conseguenza si é già verificata in paesi come lURSS o nelle autocritiche degli
scrittori a Cuba (44). E non solo per quanto riguarda la cultura scritta, ma per ogni
manifestazione culturale realizzata attraverso larte, la radio, il cinema o la
televisione.
Perciò, é unincoerenza il lamentarsi di altre socializzazioni o statalizzazioni -
come quella della stampa (45), o della radio e televisione (46) - ed applaudire alla
statalizzazione o socializzazione dellinsegnamento.
5.4.2 Largomento del servizio pubblico
Per difendere la socializzazione dellinsegnamento - com'è accaduto per qualunque
altra - si é sostenuto largomento secondo cui linsegnamento costituisce un
servizio pubblico, che in quanto tale deve essere soddisfatto dallo Stato. Ma
quest'affermazione é un argomento sofistico, basata sul fatto che l'imprecisione nell'uso
del linguaggio é una delle malattie di cui soffre la società attuale, così come veniva
messo in risalto da un articolo pubblicato su El pensamiento Navarro (47).
La parola "socializzazione", nel suo senso più autentico, significa
l'assorbimento da parte dello Stato delle funzioni proprie all'iniziativa privata o alle
società infrasovrane o corpi intermedi. E' pertanto escluso quel significato che,
impropriamente, la considera come intervento nella direzione o condivisione (con tutto il
personale che interviene in una determinata attività) della gestione, il cui normale
sviluppo si oppone a tale intervento o quantomeno non lo esige, in quanto inopportuno e
non conveniente (così come quello che la considera come partecipazione nella dei
destinatari o utenti di tale attività).
Si esclude anche l'altro significato, col quale a volte si confonde la socializzazione,
ossia quello che la considera come svolgimento delle funzioni proprie dello Stato o della
sua amministrazione, fatto dagli organi o funzionari ad esso propri (questa non é altro
che la competenza in senso ampio, cioè l'operare nell'ambito delle proprie attribuzioni).
Anche il termine "servizio pubblico" deve essere precisato. Con esso
s'intende, in primo luogo e nel suo senso più ampio e lato, ogni attività rivolta
all'insieme della società; ogni attività il cui beneficiario é, o può essere, tutto il
popolo, tutti gli individui indistintamente. Così, la difesa della nazione, la polizia,
l'economia, l'insegnamento, la stampa, la sanità, l'agricoltura, l'alimentazione,
l'esercizio della professione forense... ed in generale ogni attività
"generalmente" considerata, in astratto, che si sviluppa nella società, ha, in
quest'accezione, il carattere di servizio pubblico perché di essa beneficia generalmente
il pubblico a cui viene diretta. In tale senso, all'interno del servizio pubblico vi sono
attività esclusivamente statali come strettamente private, perché ciò che serve per
caratterizzarle non é l'esercizio dell'attività (cioè il soggetto che le esercita),
bensì il destinatario di essa.
In secondo luogo, più concretamente, quel che caratterizza il servizio pubblico,
supponendo che venga destinato al pubblico, é l'esercizio dell'attività. Così, si é
detto che sarà un servizio pubblico quello che, parlando in senso lato, é nelle mani
dello Stato o di enti pubblici, vale a dire procede da essi. In questo senso, lo si é
identificato con la totalità dell'opera amministrativa statale o, in un senso più
ristretto, si é contrapposto il servizio pubblico alla funzione pubblica. Ma mentre il
secondo si caratterizza per competere necessariamente allo Stato (come, ad esempio, la
difesa della nazione), il primo, invece, può essere realizzato dai privati, e se lo
assume lo Stato é per ragioni di convenienza o, più precisamente, d'utilità o sociali
(ad esempio le ferrovie). In definitiva, quel che caratterizza il servizio pubblico, sarà
il fatto di realizzare la pubblica utilità che soddisfa, nonché il fatto d'essere svolto
dallo Stato, sia direttamente che per concessione o delega.
Vi sono, dunque, due significati sostanzialmente diversi di servizio pubblico: il primo,
che abbraccia praticamente ogni attività sociale, ed il secondo, più tecnico e proprio,
che lo circoscrive all'attività propria dello Stato, che serve il pubblico soddisfacendo
pubbliche necessità.
Tornando al tema della socializzazione dei servizi pubblici, quel che s'intende con essa
é precisamente l'assorbimento da parte dello Stato delle funzioni e attività che
spettano alla società, che é diversa dallo Stato. Insomma, si usa il termine
"servizio pubblico" - per entrambe le caratteristiche segnalate - nel primo
significato esposto.
La socializzazione, che avanza di continuo, utilizza coscientemente l'equivocità del
linguaggio. Da un lato si usa il termine "servizio pubblico" in senso stretto e
ristretto e, di conseguenza, si dice giustamente che il suo esercizio spetta allo Stato;
d'altro canto, si usa la parola socializzazione nel terzo dei sensi segnalati (come
competenza dello Stato), e, di conseguenza, si dice che si devono socializzare i servizi
pubblici (continuando ad usare il termine in senso stretto). Con questo (incongruenza
terminologica a parte), se l'attività già compete allo Stato non si socializza nulla: si
vuole solo indicare che le funzioni proprie dello Stato devono essere esercitate e svolte
da esso.
Il fatto è che, partendo dalla base del significato di socializzazione dei servizi
pubblici, si passa parlarne in un senso totalmente diverso. Così, si parla della
socializzazione della sanità, dell'insegnamento... dopo aver sostenuto che è vero che
l'esercizio del servizio pubblico in senso stretto spetta allo Stato, si comincia a dire
che tutti i servizi pubblici (usando ora il termine in senso ampio) devono essere svolti
dallo Stato e, di conseguenza, devono essere socializzati (in realtà, assorbiti da esso).
Questi sillogismi, peraltro tanto denigrati, sono quindi utilizzati in modo assolutamente
erroneo e tendenzioso, trasformandosi, così, in sofismi. Come premessa maggiore, si dice:
"l'esercizio del servizio pubblico é di competenza dello Stato"; come premessa
minore: "la sanità, l'insegnamento, l'industria elettrica..., le attività sociali
di qualsivoglia genere sono un servizio pubblico; e si conclude: "l'esercizio di tale
attività (l'insegnamento, la sanità...) spetta allo Stato". E' un sillogismo che
non é altro che un puro sofisma, perché invece di tre termini ce ne sono quattro: il
significato di servizio pubblico nella premessa minore é molto più ampio di quello della
premessa maggiore; in questa é considerato in senso stretto, in quella in senso lato.
Questo é il sistema con cui spesso si argomenta a pro della socializzazione o
statalizzazione delle attività sociali private e dei corpi intermedi, come avviene per
l'insegnamento. Ed abbiamo visto che l'insegnamento non compete allo Stato, non é una sua
funzione.
D'altra parte, per qualificare una determinata attività come servizio pubblico in senso
stretto, non basta che sia esercitata dallo Stato, ma é necessaria una precisazione.
Diversamente, ci troveremmo di fronte a un criterio positivista che supporrebbe il
consegnare la società - completamente incatenata - al potere onnipervasivo dei politici
che, pertanto, riunirebbero ogni potere: economico, culturale... L'unica società che
metterebbe in mostra tale positivismo legalitario, sarebbe una "società" che
ubbidisce, senza fare altro, a qualunque ordine o disposizione, in quanto dettato dallo
Stato ed anche qualora fosse ingiusto.
Se il criterio del giusto lo determina solo il potere statale, l'ingiustizia sarà
permanente. La legge non obbliga in ragione della sua forza, ma in forza della ragione (il
che non implica che non la si possa imporre con la forza a quanti la violano). Di più, la
legge, per essere tale, deve essere giusta, e non essere semplicemente potere o forza
coattiva dello Stato.
Perciò, il criterio della giustizia non può risiedere nel potere dello Stato stesso, ma
deve essere esterno e superiore ad esso. La Cristianità medievale fu caratterizzata
dall'aver riconosciuto la superiorità del potere divino su quello umano, cercando (e
riuscendovi in modo più o meno perfetto) di adeguare la volontà dell'uomo e del
governante alla volontà di Dio. Oggi, al contrario, si rifiuta Dio e l'esistenza di una
legge e di un ordine naturale da Lui creati, che devono essere osservati ed adempiuti. In
cambio, e paradossalmente, pretendendo di liberare l'uomo lo si assoggetta al potere
assoluto dello Stato: é lo Stato a definire - al di sopra di tutti unicamente - la
giustizia.
Se un'attività é considerata un servizio pubblico perché viene esercitata dallo Stato,
e se é esso - basandosi unicamente sul suo potere - a determinare quali sono le attività
che deve svolgere, é chiaro che la libertà dell'uomo concreto, le libertà dei corpi
intermedi, e, di conseguenza, la libertà della società, sono appese a un filo che lo
Stato potrà tagliare o accorciare quando e come vorrà, sino a far sparire ogni libertà.
Al contrario, non c'è altro criterio all'infuori della giustizia e del bene comune per
determinare quali siano le attività che lo Stato deve svolgere e che gli appartengono. Ma
a questo fine é necessario osservare la natura, della quale l'uomo é parte, leggendo in
essa e scoprendovi l'ordine naturale inscrittovi da Dio. Come ci ricorda Vallet de
Goytisolo, si tratta di legiferare come legere e non come facere (48). E
questa osservazione - che va dalla cosa all'idea e non da questa a quella - ci mostra che
l'uomo é anteriore alla società, ed entrambi lo sono allo Stato. Fra l'uomo e lo Stato
esistono una serie di corpi intermedi o società infrasovrane (con finalità proprie che a
loro compete raggiungere e per le quali dispongono di facoltà proprie), che non sono una
concessione dello Stato: al contrario, sotto l'imperativo del bene comune, lo Stato é
obbligato a riconoscerle e a non frapporvi ostacoli, a favorirle e a sostenerle.
L'osservazione della natura ci mostra l'esistenza del principio di sussidiarietà, il
quale non é un'invenzione di Pio XI dato che egli, nel formularlo, non ha fatto altro che
ricordare l'obbligatorietà di un principio che si stava violando e che veniva invece
praticato da secoli.
Non é lecito allo Stato assorbire le funzioni proprie della società organicamente
intesa, dell'unico modo in cui può intenderla, perché diversamente sarebbe ridotta ad
una collettività come quella delle formiche o delle api. Il principio di sussidiarietà
non é altro che il riconoscimento delle libertà concrete degli uomini e della società
stessa. E' il maggior freno allo straripare del potere dello Stato, l'unico davvero
efficace, la reale garanzia delle libertà.
Con la socializzazione e la statalizzazione dei servizi pubblici - intesi in senso ampio e lato -, e dell'insegnamento tra di essi, lo Stato restringe il campo della libertà man mano che assorbe ogni attività sociale, annientando la libertà concreta corrispondente. Per questo la statalizzazione dell'insegnamento distrugge la corrispondente libertà (49) e, per mezzo di ciò, nel giro di pochi anni, ogni libertà e indipendenza.
5.4.3 Lincongruenza liberale
Quando lo Stato monopolizza e statalizza l'insegnamento, e tale misura viene vista con compiacimento o persino applaudita, il lamentarsi della stampa in Perù o dei canoni artistici e culturali imposti dallo Stato in Unione Sovietica, é un controsenso ed un'incongruenza: tali fatti non sono altro che lo sviluppo logico, il punto terminale, cui porta il principio secondo il quale lo Stato é incaricato di fornire cultura e insegnamento.
E' un'incongruenza ed un controsenso - come avevano osservato i giuristi delle regioni
forali (50) - reclamare delle libertà
politiche ed assentire alla perdita delle libertà civili; offrire quelle negare od
impedire queste. A che mi serve votare periodicamente una legge o un governante (cosa su
cui spesso non avrò capacità a causa della complessità del problema) se non posso
studiare che dove lo Stato mi comanda, o se i figli non possono ricevere l'insegnamento
che i genitori desiderano per essi, o, infine, se non si può insegnare liberamente ed
indipendentemente dallo Stato?
E' un'incongruenza ed un controsenso dire all'uomo: tu non sai cosa ti conviene imparare e
tu non sai cosa é conveniente per i tuoi figli, ma nello stesso tempo dirgli: partecipa
al governo della nazione, vota i tuoi governanti, vota le leggi.
E' un'incongruenza ed un controsenso reclamare la partecipazione e la decisione a livello
nazionale, ma restare impassibili quando non si può apprendere ed insegnare liberamente;
pretendere che l'uomo sia sovrano fuori dalla porta della sua casa e dominato dallo Stato
dentro ad essa; dire che partecipa e decide dei compiti più alti del paese e al contempo
impedirgli l'esercizio della libertà d'insegnamento; offrire ed esigere la Libertà (con
la maiuscola) e negargli o rinunciare alle libertà (con la minuscola) concrete. Infine,
é un'incongruenza ed un controsenso reclamare certe libertà ed assentire alla perdita di
altre che portano con sé le prime, ovvero dare di spallucce perché a me ancora non é
direttamente toccato di perderle.
NOTE