CAP. III Universalità e pluralismo nell'insegnamento
3.1 Introduzione
3.1.1 Universalità
Si afferma frequentemente che l'uomo ha diritto ad un'educazione. Il che é parzialmente
certo, poiché tale affermazione da sola non significa nulla (é un'ampollosa
dichiarazione di diritto, astratta, che di per sé non vuol dire nulla), se non si
specifica a quale grado d'educazione e cultura l'uomo - vale a dire ogni uomo, come essere
concreto - abbia diritto.
Le tendenze del "mondo moderno", facendo appello al "dogma" della
democratizzazione dell'insegnamento e della cultura, basate sull'erronea identificazione
della giustizia con l'uguaglianza, e facendo di quest'ultima la norma suprema regolatrice
della condotta umana, pretendono di rendere la cultura accessibile a tutti gli uomini
nello stesso grado. Si postula così un'educazione sistematicamente egualitaria per un
periodo che raggiunge, almeno, i quattordici anni, quando non i sedici o i diciotto,
giungendo, persino, a proclamare il "diritto" a che tutti ricevano
l'insegnamento universitario, come fosse un vero diritto.
Questo é un modo sufficientemente adatto per distruggere la civiltà e farla finita con
la cultura: queste, infatti, saranno necessariamente diluite, perché solo eliminando ogni
profondità del sapere e degradando il suo contenuto, é possibile renderle accessibili in
uno stesso grado a tutti gli uomini. Col che i danni raggiungeranno sia ciascuno degli
uomini così "acculturati", che tutta la società, poiché si distruggerà la
civiltà.
La cultura e la civiltà non prevedono l'egualitarismo, ma, al contrario la
diversificazione. Il che non implica una specializzazione tale che, al di fuori del
ridotto campo di essa, l'uomo ignori qualunque altra realtà.
Vallet de Goytisolo (1) lo ha messo in rilievo col segnalare: "Una civiltà
presuppone una cultura globale, anche se diversificata. Non si tratta di far sì che tutti
sappiano tutto, né che il sapere sia uniforme, ma che ciascuno sappia quello di cui ha
bisogno secondo la sua funzione e che tutti abbiano conoscenza della realtà di base ed
educata la mente e il buon senso morale, sociale ed estetico, necessari per non essere
vittime di allucinazioni e degradazione".
La civiltà e la cultura presuppongono quel che fino a poco tempo fa - bene o male - si
era messo in pratica come condizione delle stesse: universalità e pluralità
d'insegnamento. Educazione e insegnamento per tutti, ma con diversi gradi e tipi, come
conseguenza dell'ordine sociale naturale e come condizione per raggiungerlo.
Pensare che la cultura, l'educazione e l'insegnamento siano stati, sino all'apparizione
della democratizzazione e dell'egualitarismo, terreno riservato a pochi ed inaccessibile
al resto degli uomini, é ignorare la storia o falsarla. Soprattutto, quando é
precisamente nella nostra epoca che la degradazione della cultura é un fatto reale che
annuncia (ed é già possibile osservarlo) il tramonto della civiltà.
Nel passato, quando non esisteva la pretesa che tutti potessero avere lo stesso grado di
cultura in maniera uniforme - e non si pensava neppure a che tutti accedessero a un tale
egualitarismo - ma in cui l'insegnamento e l'educazione erano universali ma sommamente
diversificati e plurali, la cultura era di tutti, tutto il popolo partecipando di essa.
Vallet lo ricorda, segnalando che "in Grecia l'Odissea e l'Iliade furono opere
popolari. Nel medio evo le cattedrali erano cosa del popolo e le canzoni popolari
sprizzavano grazia e nobiltà" (2).
L'Impero romano cadde a causa del potere assoluto dello Stato, che diede origine a quel
che per Rostovtzeff (3) definisce: "il fenomeno principale del processo di
declinazione è il graduale assorbimento delle classi colte per opera delle masse".
Sui valori della civiltà greca e romana la Chiesa edificò la civiltà più perfetta, e
ciò con un insegnamento e una educazione universali, ma diversificati.
La vera cultura non fu patrimonio di pochi. Pensiamo, ad esempio, alla nostra Patria, in
cui il popolo seguiva con attenzione non sola l'arte, ma anche il teatro e la poesia:
forse che un Lope o un Calderòn non era popolare? Persino le dispute di Bañez e Molina,
furono relative ad un tema del quale oggi molto pochi potrebbero anche solo ricordare
l'oggetto e il cui contenuto sfugge a gran parte dei nostri contemporanei. Essere colti e
educati non consisteva nel saper leggere o scrivere o nell'avere una conoscenza
enciclopedica, ma carente di profondità.
Il pensare che la civiltà e la cultura suppongano uniformità ed egualitarismo per tutti
gli uomini é disconoscere il processo storico della civiltà. La civiltà si é formata
con la diversificazione e quando essa cessò, la civiltà e la cultura degradarono e
retrocessero (si pensi, ad esempio, alla massificazione del Basso Impero Romano).
3.1.2 Diversificazione o egualitarismo?
L'universalità (cioè una cultura globale per cui "ciascuno sappia quello di cui
ha bisogno secondo la sua funzione" e "tutti abbiano conoscenza della
realtà di base e educata la mente e il buon senso morale, sociale ed estetico, necessari
per non essere vittime di allucinazioni e degradazione") e la diversificazione
(diversi e molteplici gradi e tipi d'insegnamento), sono conseguenze dell'ordine sociale
naturale (non già di una costruzione mentale che si vuole subito sovrapporre alla realtà
e alla natura per organizzare la società in base a questa concezione razionalista),
essendo, per ciò stesso, anche garanzie del medesimo.
L'ordine sociale che s'inferisce dalla stessa natura, e che per essere conosciuto
necessita dell'osservazione della stessa, é caratterizzato dalla pluralità delle
componenti che lo formano; pluralità sommamente variabile e la cui diversità richiede
armonia affinché, nel concorrere di tutte le diverse pluralità, si raggiunga il fine
dell'insieme e di ciascuna di loro.
Solo identificando la cultura e la giustizia con l'egualitarismo, solamente facendo
dell'egualitarismo la prospettiva che deve regolare l'attività umana, é possibile negare
la realtà che la cultura presuppone la diversificazione. E' proprio la natura che ci dice
non essere certo che tutti gli uomini abbiano diritto alla stessa educazione e ad identico
insegnamento. Non dimentichiamo che, d'altra parte, non si può identificare la cultura, e
neppure l'educazione, con l'insegnamento nelle aule.
L'egualitarismo (4), che é la base su cui si sostiene la tesi dell'educazione uguale per
tutti, è, infatti, totalmente contrario alla realtà e alla natura, al punto che, persino
dove si é preteso di impiantarlo, é sorta una "nuova classe" (5) che
smentisce nei fatti le propagande e le utopie, e dimostra come l'egualitarismo sia
impossibile.
Sebbene esista certamente un'eguaglianza nell'essenza del genere umano, essa non esige, e
neppure considera conveniente, l'eguaglianza d'insegnamento. Richiede soltanto
un'educazione sufficiente perché l'uomo raggiunga il suo fine ultimo e supremo - e,
secondo la natura, una cultura in armonia con la sua funzione nella società -; é qui che
si trova la base e il motivo di quell'universalità di insegnamento che tutti devono
avere.
Ma a fianco di quest'eguaglianza essenziale s'incontra un'amplissima gamma di diversità
d'ogni indole, totalmente naturali, le quali, eccetto che nell'eguaglianza essenziale,
indicano in tutto il resto, le diseguaglianze umane: diseguaglianze fisiche,
intellettuali, ambientali, familiari, ecc.
Sono diseguaglianze che caratterizzano l'ordine sociale e che implicano necessariamente e
naturalmente una diversificazione nell'insegnamento. Solo negando la ricchezza di questa
diversificazione dell'ordine sociale, che rende possibile la civiltà e la convivenza, si
può affermare che tutti gli uomini abbiano diritto alla stessa educazione ed
insegnamento. Un diritto falso, per la cui instaurazione si stabilisce il
"dovere" dello Stato a fornirlo e renderlo efficace (con le spaventose
conseguenze che portano alla statalizzazione dell'insegnamento, al monopolio dello Stato e
all'unione del potere politico e di quello culturale), che conduce alla schiavitù
dell'uomo, il quale perde persino la libertà di riflettere.
E non si affermi che le diseguaglianze naturali non implicano diversità d'insegnamento:
quelle diseguaglianze, per le quali l'egualitarismo nell'ordine sociale é incompatibile,
non possono essere distrutte senza l'aiuto di un insegnamento modificato; in fondo alla
concezione uniformistica dell'insegnamento é latente la concezione dell'ingiustizia di
tali diseguaglianze, che si cercano di distruggere proprio attraverso un insegnamento
uniforme e uniformizzante.
Affermando che quelle diseguaglianze non possono dar luogo a diseguaglianze
nell'insegnamento, si dimentica l'uomo concreto e si mette al suo posto l'uomo astratto,
che non esiste nella realtà. Con ciò si contrappone un'idea, forgiata erroneamente
prescindendo dalla realtà, alla realtà stessa: non si tratterà più di insegnare in
accordo con la natura, ma di agire ignorandola, prescindendone e facendo prevalere
l'utopia, i sogni e l'astrazione sulla stessa.
L'uniformità d'insegnamento non é cosa buona e neppure possibile.
Non é possibile perché, anche limitandosi al piano intellettuale e nonostante il degrado
conseguente al volerlo rendere uguale e accessibile a tutti nello stesso grado, i più
dotati saranno sempre avvantaggiati rispetto ai meno dotati, in modo naturale e
inevitabile.
Non é buona perché, a parte altre considerazioni che seguiranno, l'uniformismo riduce
necessariamente il contenuto dell'insegnamento ad un campo ridottissimo, dal quale restano
escluse molte e diverse conoscenze che sono necessarie perché gli uomini (diversi e
concreti) esercitino funzioni e compiti diversi nella società, senza le quali la società
non sarebbe possibile e sarebbe distrutta la base stessa della cultura e della civiltà.
Quella diversificazione, tale pluralità dell'insegnamento, d'altra parte, non
impedisce l'universalità dello stesso, ma, al contrario, é la condizione perché
quell'universalità diventi un fatto. Solo con la pluralità dell'insegnamento é
possibile che tutti gli uomini acquisiscano un'istruzione concorde con la natura di
ciascuno di loro e con la funzione che ognuno svolge o dovrà svolgere: un insegnamento,
vale a dire, adeguato ad ogni uomo considerato come un essere concreto, con una
personalità determinata e in una data situazione di tempo e luogo. L'insegnamento,
infatti, deve essere in accordo con la persona che lo riceve: dalla diversità delle
persone (ma delle persone concrete, non delle persone come astrazione) deriva la
differenza del tipo e grado di insegnamento.
Tra le differenze e diseguaglianze degli uomini ve ne sono di primordiali, come quelle
familiari e locali, relative cioè all'ambiente più prossimo che circonda il bambino, la
persona: ma con la crescente massificazione si dimentica ogni giorno di più l'importanza
che l'ambiente familiare e locale ha per l'educazione e l'insegnamento. E' soprattutto
quest'ambiente quello che più influisce - e più deve influire, perché é il più
naturale -, in tutto lo sviluppo della personalità, nella sua crescita e
nell'acquisizione d'abitudini che portano ad operare con rettitudine.
Ciò é precisamente dovuto al fatto che quest'ambiente é quello che fornirà convinzioni
e sentimenti duraturi, vincoli che legheranno a Dio, alla famiglia, ai suoi simili, alla
terra, alla Patria, ai propri governanti, alle cose, alla realtà e alla stessa natura: in
definitiva, fornirà quella stabilità la cui mancanza é la malattia più perniciosa
dell'uomo d'oggi, come ha notato Simone Weil (6). In esso si imparerà quel che
Saint-Exupery denomina "apprivoisser", senza il quale l'uomo sarà
perduto, senza tale "addomesticamento" (ovvero "l'atto per il quale le
cose diventano sostanza stessa del soggetto e questi si rende responsabile di esse per
sempre", come scrive Rafael Gambra (7) nello spiegare quel che Saint-Exupery
intendeva con la parola "apprivoissement"), l'uomo mancherà di ogni
stabilità, ed essendone la di lui difesa più efficace, eviterà la massificazione:
questa è una minaccia divenuta realtà, la quale si avvia ad annientare l'uomo
avvicinandovisi, come ha posto in rilievo Vallet de Goytisolo (8), ogni istante di più.
3.1.3 Cultura di massa o "dis-massificazione"?
La cultura di massa - che porta all'egualitarismo nell'insegnamento e nell'educazione -,
é impossibile, perché cultura e massa sono termini contrapposti.
E' conosciuto, anche se non sufficientemente meditato, l'interrogativo con cui Rostovtzeff
conclude la sua Storia sociale ed economica dell'Impero romano: "E'
possibile estendere una civiltà elevata alle classi inferiori senza degradarne il
contenuto e diluirne la qualità sino all'evanescenza? Non è ogni civiltà destinata a
decadere non appena comincia a penetrare nelle masse?" (9).
In problema non consiste nel rendere istruite le masse, cosa impossibile, ma piuttosto
nell'evitare la decadenza della civiltà, impedendo la massificazione. La civiltà decade
quando si massifica, e non é possibile cercare di far penetrare in essa la cultura. Non
ci sono state, né ci sono e non ci saranno mai, masse istruite.
I fatti mostrano che l'interrogativo di Rostovtzeff diviene certezza quando si persegue e
si pretende l'egualitarismo - in altre parole che tutti abbiano la stessa cultura - e
nella misura in cui si pretende di conciliare le masse con la cultura, senza una
preventiva opera di dis-massificazione con la quale smettano d'essere masse.
Senza dubbio, lo stesso Rostovtzeff segnala che "i tentativi violenti di
livellamento non hanno mai condotto all'elevamento delle masse: essi non hanno fatto altro
che distruggere le classi superiori, accelerando così il processo di imbarbarimento
" (10).
Questo ci porta alla distinzione, segnalata da Pio XII (11) nel discorso Benignitas et
humanitas, fra "popolo" e "massa": "Il popolo vive e si
muove di vita propria; la massa é di per se inerte e può essere mossa solo dall'esterno.
Il popolo vive della pienezza di vita degli uomini che lo compongono, ognuno dei quali -
al proprio posto e nella maniera a lui propria - é una persona cosciente della propria
responsabilità e delle proprie convinzioni. La massa, al contrario, aspetta l'impulso
dall'esterno: facile giocattolo nelle mani di chiunque sfrutti i suoi istinti o le sue
impressioni, disposta a seguire successivamente oggi questa bandiera, domani una diversa".
E' allora che l'affermazione di Rostovtzeff diviene certezza: quando si considera che una
civiltà (come la Cristianità medievale o la Spagna d'epoca più tarda), deve essere la
civiltà di tutto il popolo, ossia degli uomini che lo compongono, con la necessaria
diversificazione derivante dalla diversità degli uomini concreti.
Abbiamo precedentemente segnalato (12) le ragioni per cui compete ai genitori l'educazione
dei propri figli; vogliamo adesso mettere bene in risalto l'importanza dell'ambiente
familiare e locale come base di ogni educazione ed insegnamento, mostrando
contemporaneamente la loro importanza, sia in quanto attraverso essi si ottiene
un'universalità di insegnamento, che perché sono in parte il fondamento della
diversificazione dell'insegnamento in gradi e tipi, ed anche per la loro primaria
importanza per tutta l'organizzazione sociale.
3.2 Importanza primordiale dell'ambiente familiare e locale
I benefici innumerevoli che la società riceve attraverso l'educazione familiare, non
possono essere sostituiti da altri tipi d'educazione in cui la famiglia non occupa il
ruolo che le spetta naturalmente.
La mancanza dell'educazione familiare produce danni a non finire, come lo sradicamento, il
disadattamento, la ribellione, le tare psicologiche, la delinquenza, la massificazione,
ecc.: senza l'educazione manca tutto quanto ha esposto Marcel de Corte.
Si può amare solo ciò che si conosce: se si separa il bambino dal suo ambiente familiare
e locale, non potrà amare nulla in modo reale; invece, attraverso essi e grazie alla
stabilità, potrà salire verso altre sfere o campi sociali.
3.3 Diversi gradi e tipi di insegnamento
3.3.1 L'insegnamento elementare
L'insegnamento elementare non può separare il bambino dal suo ambiente familiare e
locale: il fine dell'educazione supera quello dell'istruzione e, al contempo, l'istruzione
deve essere educatrice e non solamente istruttiva, cioè limitata ad apportare una serie
di dati e conoscenze, facendo astrazione dal loro aspetto e valore morale. Come osserva
Rafael Gambra (16), "supporre che l'insegnamento e la cultura siano qualcosa che
si realizza esclusivamente nelle aule, assumendo contenuti e programmi per mezzo di libri
e spiegazioni determinate, é una restrizione concettuale provocata dalla mentalità
razionalista. Normalmente questi elementi, che l'uomo riceve dall'ambiente familiare,
circostante e vitale, saranno - nell'insieme della sua cultura e della sua educazione -
molto più profondi e decisivi di quanto potrà in seguito ricevere da libri e centri di
insegnamento".
La scuola é il prolungamento della famiglia: non é la famiglia a dover supplire la
scuola, ma il contrario. Il primato non spetta alla scuola, ma alla famiglia (dalla quale
riceve, per delega dei genitori, la facoltà di educare e insegnare che ad essi spetta
naturalmente), per cui la scuola non può perseguire una finalità distinta o contraria a
quella assegnatale dalla famiglia e, su un altro piano, dalla Chiesa (17). La scuola é
complementare alla famiglia - e perciò non può far valere diritti su essa - perché
nell'ordine dei fini alcuni sono superiori ed altri subordinati.
Perciò, il bene che si vuole ottenere dall'insegnamento scolastico (se implica
l'allontanamento permanente o considerevole dalla vita familiare o se é opposto ai
desideri e sentimenti dei genitori), è annullato dal male che produce e le sue
conseguenze sono assai più pregiudizievoli degli ipotetici benefici che si ottengono con
l'insegnamento scolastico.
Ma se l'insegnamento non deve essere meramente istruttivo, ma anche - e nella misura in
cui é possibile nei centri d'insegnamento -, educativo, ossia deve collaborare al fine
primario costituito dall'educazione, cos'è che si deve insegnare?
Henry Charlier (18) evidenzia che "la meta dell'insegnamento non consiste nel far
ritenere ai bambini il maggior numero di cose possibili, ma nell'insegnare loro a pensare.
Che la memoria sia piena d'innumerevoli conoscenze accumulate dalle generazioni umane é
completamente inutile, se lo spirito non sa unirle in idee e classificarle [...] E'
su fatti molto semplici che i bambini imparano a pensare. E' necessario insegnare ad
osservare i fatti invece di rimpinzare la memoria; semplificare l'insegnamento, non
complicarlo".
E' certo che l'insegnamento ha due diverse utilità, che consistono, come segnala Henry
Charlier (19), nel "dover formare lo spirito ed insegnare ai bambini molte cose
pratiche che é loro necessario sapere. Deve preparare la ragione all'esattezza;
l'intelligenza ad osservare bene, e, d'altro lato, aprire ai bambini le carriere con cui
si guadagneranno da vivere". Non si deve dimenticare nessuna di queste cose, ma
coordinarle perfettamente, perché "l'utilità pratica dell'insegnamento, per
così dire, é annullata se lo spirito ragiona male e se l'intelligenza é cieca"
(20).
L'insegnamento deve perciò stare in contatto col mondo reale, con la natura, e non
rinchiudersi in astrazioni intellettuali o pseudo intellettuali, che rendono incapaci
d'ogni realizzazione pratica e portano allo sfascio. Il che, se é importante in ogni
insegnamento, lo é specialmente in quello elementare, perché é quello in cui il bambino
acquisirà o mancherà dei primi elementi necessari al suo sviluppo. Pertanto, deve essere
"una vera scienza pratica o un'arte veramente pratica" (21), e mai "una
specie di teoria astratta della pratica, o un rimaneggiamento scientifico quantitativo che
si crede pratico, ma che allontana tanto dalla vita e dai mestieri, quanto dalla pura
teoria intellettuale" (22).
Orbene, se l'insegnamento deve insegnare a pensare, "pensare non é creare, né
ricreare il mondo; é penetrare profondamente la natura delle cose e vedere le relazioni
sfuggite agli occhi, mettere in rapporto fra loro i fatti osservati" (23). Questa
conoscenza delle cose può realizzarsi solo sul campo e, perciò, l'insegnamento non deve
allontanare - specie quello elementare e quello non tipico di futuri studi superiori -, il
bambino dal suo ambiente locale.
L'insegnamento elementare deve essere, in primo luogo, religioso. Deve pure insegnare il
linguaggio e il suo uso, perché attraverso di esso noi comunichiamo e capiamo, anche se
nel grado necessario alla sua elementarità. A questo deve aggiungersi la storia, mettendo
al livello dei bambini la conoscenza della loro patria e del loro popolo, perché
congiuntamente all'educazione familiare imparino a conoscerlo e ad amarlo. Infine, le
quattro operazioni fondamentali e la regola del tre, ma senza concedere all'aritmetica il
primato, perché, come nota opportunamente Henry Charlier (24), "la matematica non
é ... un mezzo di formazione tanto universale quanto le lettere. Ragionare con rigore ed
esattezza sulle quantità non é una buona formazione intellettuale per giudicare le
qualità, che é la nostra principale occupazione della vita: qualità dell'uomo, delle
sensazioni, dei fatti e degli avvenimenti".
D'altra parte, l'insegnamento elementare deve essere tale da poter essere ricevuto da
tutti i bambini. Il che non comporta l'obbligo di doverlo ricevere, ma implica, di fatto,
il dovere di non partecipare ad un insegnamento corruttore e, in ambito giuridico,
l'impossibilità di trasformare un diritto in un obbligo di legge imposto dallo Stato o
dalla società.
Affinché tutti i bambini possano ricevere l'insegnamento elementare, é necessario che
là dove sono i bambini ci siano delle scuole. Pertanto, materialmente, l'insegnamento
elementare deve essere completamente portato in tutti i villaggi - per piccoli che siano
-, posto che, come abbiamo evidenziato, non bisogna separare i bambini dal loro ambiente,
ma operare in accordo con questo.
3.3.2 Il mestiere come educatore
Abbiamo evidenziato che l'insegnamento non deve separare dall'ambiente e che deve essere
svolto a contatto con la realtà. Ciò significa che non deve staccare dai mestieri, deve
esservi unito, svolgersi parallelamente al contatto con le cose nei laboratori, nei campi,
nel mare... con tutto quanto é un mestiere.
Dove il contadino avrà appreso ad osservare il cielo per prevenire la grandine e la
tormenta? Dove il carpentiere e il falegname a tagliare il legno ed assemblarne i pezzi?
Come sapere quando si deve seminare? In che modo distinguere se un legno é secco o fresco
e se serve per fare un mobile o, al contrario, se si dovrà aspettare o escluderlo? Sono,
queste, conoscenze che si imparano sul campo, spesso dalla mano del padre o del familiare
che vi si dedica. Sono conoscenze impossibili da imparare a scuola, dai libri o nei corsi
teorici, per quanto li si frequentino.
L'insegnamento dei mestieri non può essere impartito nelle aule. Questo non é
"classismo", né dimenticare o rinunciare al fine educativo, ma é una
conseguenza naturale della vita. In questo modo si conoscerà il mestiere sin da bambino,
si sarà familiari ad esso e s'imparerà ad amarlo e stimarlo, e gli uomini che si
dedicano ad esso lo assimileranno nel modo più naturale. E questo non implica si debba
obbligatoriamente seguire il mestiere dei genitori o dell'ambiente con cui si é a
contatto: se si hanno attitudini e si vuole, ci si potrà dedicare a "studiare"
e prepararsi a una carriera universitaria o di livello medio o per qualunque altra
attività per la quale si abbiano le capacità.
3.3.2.1 L'educazione dei valori della persona
3.3.2.2.1 La responsabilità personale
3.3.2.2.2 La continuità e l'equilibrio della vita sociale
3.3.2.2.3 La promozione delle autorità sociali
3.3.3 L'insegnamento medio
Parlando dell'insegnamento elementare abbiamo visto che questo deve essere il più
generalizzato possibile, per non separare il bambino dal suo ambiente vitale, familiare e
locale.
Ma, nell'insegnamento medio, questa modalità deve continuare? Deve essere generale? Deve
estendersi a tutti? Ancora, l'insegnamento medio deve essere unico? oppure, al contrario,
esiste diversità di insegnamenti medi? Il baccellierato é l'unico insegnamento medio?
Come osserva Rafael Gambra (37): "Oltre a quest'insegnamento generale di base, ne
esiste uno particolare per coloro che dedicheranno la loro vita alla ricerca, alle
professioni umanistiche e a quelle tecniche che richiedono un capitale di conoscenze
speculative. Quest'insegnamento non é più generale - e non si può desiderare che lo sia
-, dal momento che prepara ad un'attività da esercitare per tutta la vita, e, per legge
naturale, sono i meno quelli che la eserciteranno. Spingere tutti a seguire questo livello
di studi costituirebbe una enorme perdita di energie e farebbe sì che la gran maggioranza
delle funzioni della vita sociale fosse ricoperta in seguito a un insuccesso nelle
professioni umanistiche o scientifiche".
"Concludere - dice altrove (38) - che l'insegnamento medio - inteso come
baccellierato - debba estendersi alla totalità dei cittadini, costituisce quel sofisma
che i logici definiscono come "prendere la specie per il genere", dato
che, come é noto, il baccellierato non é l'insegnamento medio, bensì uno degli
insegnamenti medi, assieme ad altri ugualmente medi (periti, magistrali, ecc.): per la
precisione é il tipo di insegnamento medio che devono frequentare quegli alunni che
rivolgono la loro vita verso gli studi superiori, specialmente quelli universitari. E' per
questo che in esso si frequentano, anche nella fase iniziale, materie come il latino, cui
difficilmente possono essere interessati coloro che non avranno un destino universitario;
é per questo che gli studi possiedono (o devono possedere) un senso disinteressato e
contemplativo che non può coincidere, neppure desiderandolo, col contenuto informativo e
strumentale che per l'uomo non universitario devono avere gli studi medi" (39).
Oggi si pensa che chi non ha passato lunghi anni nelle aule - spesso a tempo perso - non
é "formato", "preparato". Tuttavia, come segnalava Mario Laserna per
la Colombia (40) (e la cosa si potrebbe estendere generalmente a tutti i paesi), "la
scuola primaria di quattro anni che esisteva sino a poco tempo fa nei paesi più avanzati,
ha formato alunni che scrivevano senza errori d'ortografia, conoscevano l'analisi logica e
grammaticale, compivano rapidamente e senza errori le quattro operazioni, sviluppavano una
capacità di astrazione che molti baccellieri di oggi potrebbero invidiare loro e
manifestavano per tutta la vita un genuino desiderio di apprendere". Può dirsi
la stessa cosa oggi, non solo dei baccellieri, ma anche degli universitari?
In verità, come segnalava Balmes (41), "se desideriamo pensare bene, dobbiamo
cercare di conoscere la verità, la realtà delle cose. A che serve discorrere sottilmente
o con apparente profondità, se il pensiero non é conforme alla realtà? Un semplice
operaio, un modesto artigiano, che ben conoscono l'oggetto della loro professione, pensano
e parlano di essa meglio di un presuntuoso filosofo che con elevati concetti e parole
altisonanti vuol dare lezioni su ciò che non capisce".
3.3.4 L'insegnamento universitario e gli insegnamenti superiori
Per quanto concerne l'insegnamento universitario diremo, molto brevemente, che esso deve
essere alla portata di tutti, il che é cosa ben diversa dal fatto che tutti vadano
all'università. Essere alla portata di tutti, vuol dire che tutti coloro che abbiano
spirito o vocazione universitaria e capacità sufficiente per farlo, possano, se questo é
il loro desiderio, andare all'università.
Oggi l'università é spesso trasformata in una fabbrica di titoli, condizione necessaria
per esercitare una professione: senza dubbio non é questo il fine dell'università. Un
gran numero di titoli universitari odierni non corrispondono a quel che é l'università,
o meglio, a quel che dovrebbe essere. Dopo aver ottenuto il titolo, dopo essere passati
per le aule - molte volte e nei confronti di un gran numero d'indirizzi, oggi considerati
universitari -, non si riesce in alcun modo ad essere un universitario. Si é tanto poco
universitari quanto lo si era prima, per quanta qualificazione tecnica si sia ottenuta.
Tuttavia, in qualunque senso si consideri l'insegnamento universitario (sia come
universalità del sapere, che come certificazione specifica di una professione), non si
può pretendere di metterlo né alla portata di tutti, né della maggioranza, ma solo di
coloro che sono capaci di frequentare con profitto detti studi, per non far calare l'alto
livello necessario a che non si degradi il sapere.
L'universalità e la pluralità anteriormente segnalate esigono che l'insegnamento
superiore, universitario, esista soltanto per la formazione d'autentiche élite del
sapere. Da ciò deriva che, assieme a un autentico insegnamento universitario, debbano
esistere altri insegnamenti superiori, imprescindibili per esercitare molteplici
professioni, ma che non richiedono, e non richiederanno mai il carattere universitario,
quand'anche fossero chiamati con questo nome.
In questo modo é possibile ottenere le finalità di molteplici insegnamenti superiori
senza che perdano il loro carattere specifico, e al tempo stesso fare esistere un
autentico insegnamento universitario, che non é soltanto superiore, ma qualcosa di
davvero universitario.
NOTE