CAP. II - A chi spetta educare e insegnare
Delimitata la finalità delleducazione, é chiaro che ad essa é interessata
tutta la società, posto che da essa dipende lo sviluppo delluomo e, di conseguenza,
della società.
Si tratta, tuttavia, di un interesse armonico, finalizzato al reale compimento dei fini
dell'educazione. E' un'armonia che presuppone una gerarchia nei confronti della causa
ausiliare ed esterna all'uomo che viene educato e che é imprescindibile nel processo
educativo; gerarchia o priorità non dovuta a costruzioni mentali astratte, ma fondata
sulla natura umana e, perciò, nelle stesse finalità perseguite dall'educazione. Riguardo
a queste ultime, esiste diversità di competenze, di obblighi e di diritti in materia
educativa: alcuni naturali e innati, altri derivati e circoscritti ad un campo specifico
nel quale hanno competenza ad insegnare ma che perdono all'infuori di esso.
Il diritto a educare spetta e appartiene, primariamente e fondamentalmente, per sua stessa
natura, alla famiglia. I maestri e i professori possono insegnare per sua delega e,
in forza di questa, ricevono lautorità per insegnare ai bambini. Perciò, il loro
diritto deriva dal diritto primario che spetta alla famiglia. Per questo, le famiglie
possono opporsi, e a volte avranno lobbligo di farlo, a che insegnino determinati
professori la cui docenza sia nociva, sia per ciò che insegnano che per lesempio
che danno.
Daltra parte, anche i corpi intermedi possono insegnare; alcuni, come
conseguenza della loro stessa funzione, senza di cui sarebbe incompleta (così é per gli
insegnamenti impartiti dalle professioni per quanto concerne lapprendistato delle
medesime), altri, in modo sussidiario rispetto alle famiglie o alle stesse professioni (é
il caso del municipio o della regione nella misura in cui quelle sono insufficienti).
Anche lo Stato ha una missione relativamente allinsegnamento; la sua funzione
propria e specifica in questo campo, quella primordiale, é quella di vegliare con
carattere sussidiario sullarmonia tra insegnamento e bene comune.
La Chiesa, infine, ha il dovere e il diritto di insegnare e educare in virtù di un
titolo soprannaturale, senza che tale missione possa essere impedita legittimamente da
alcun altro potere.
2.1 La famiglia
Diritto naturaleMichel Creuzet (
1) ha esposto con perfetta chiarezza le ragioni per cui é alla famiglia che compete leducazione dei figli, ponendo in risalto quattro ordini di motivi:Se proprio ai nostri giorni l'amore familiare tra genitori e figli non sembra così
forte, è perché, in un modo o nell'altro, si é smesso l'esercizio dei doveri che esso
esige, sia per la negligenza dei genitori (che abbastanza frequentemente si sono abituati
a portare i figli nei collegi, senza preoccuparsi dell'educazione che vi viene impartita),
che a causa di dottrine pedagogiche - politiche o pretestuosamente religiose - che, per
difendere la cosiddetta formazione autonoma della personalità infantile, lo abbandonano a
se stesso, specialmente nell'ambito morale, rompendo i legami che precedentemente univano
genitori e figli, facendo allontanare i genitori e raffreddandone l'amore.
Non é l'amore, ma piuttosto sua la mancanza a provocare certe situazioni. L'amore
presuppone il rispetto e la sopportazione, il riprendere e il castigare quando é
necessario. Se queste cose mancano oppure senza vero amore, come sarà possibile una buona
educazione?
E' proprio la mancanza di vita familiare che fa crescere il bambino maleducato. Dove manca
la famiglia, la delinquenza, ad esempio, é proporzionalmente maggiore.
Alcune teorie sostengono che debba essere lo Stato ad occuparsi dell'educazione dei
bambini, il che costituisce un autentico attentato contro la natura: lo Stato non é né
padre né madre. Lo Stato non ama: in qualche caso ci potrà essere amore verso
determinati bambini da parte di alcuni suoi funzionari, ma mancherà l'amore basilare di
cui ogni bimbo ha bisogno e che riceve nella sua famiglia.
Il bambino fa parte della famiglia, partecipando di quanto essa é e di quanto in essa
esiste. Come segnala Creuzet, il bambino é un erede: erede di un retaggio morale,
spirituale e materiale, "eredi, i bambini non si trovano nella famiglia, ma sono
della famiglia. Non sono corpi estranei, ma rami dello stesso albero destinati a crescere
ricevendo la stessa linfa di saggezza" (4).
Nella famiglia, il bambino cresce in modo equilibrato, perché si sviluppa nell'ambiente
più naturale; in essa apprende a conoscere e ad amare quanto lo circonda, dando vita ai
legami sociali più durevoli, stabili e più necessari alla vita sociale.
2.1.2 Educatrice di uomini concreti
Non si deve, infatti, dimenticare la questione fondamentale: si tratta di educare uomini
concreti. La famiglia é educatrice di uomini concreti; essa sola é capace di tenere
conto di mezzi, capacità, ambiente e dell'insieme che costituisce il contorno in cui il
bambino nasce, cresce e si sviluppa.
Non esiste una "educazione tipo", non c'è un'educazione giusta, identica per
tutti i bambini perché non c'è un bambino che sia uguale ad un altro.
L'egualitarismo racchiude tutto nel concetto d'uomo considerato in modo astratto,
nell'intelligenza del bambino, imponendo autoritariamente una medesima educazione a tutti
perché tutti abbiano le stesse opportunità. Ciò sarebbe giusto se si trattasse di robot:
si tratta invece d'esseri umani concreti, con peculiarità e capacità diseguali; si
tratta d'esseri umani differenti per natura, diversi.
L'egualitarismo prescinde dalla natura umana - in virtù della quale gli uomini sono
uguali nell'essenza ma diversi per accidens, con profonde differenze che
determinano la diversa personalità di ciascun uomo in concreto.
L'egualitarismo si muove sul piano dell'astrazione e dell'idealismo, ma sbaglia per voler
sopprimere quanto é concreto e reale.
Non esiste un'educazione "tipo" perché non ci sono uomini "tipo":
esistono uomini concreti che nascono, vivono e si sviluppano in famiglie ed ambienti
concreti. E' perciò che esistono tanti tipi d'educazione quanti sono i tipi di famiglia e
d'ambiente. Ciascuna ha peculiarità e caratteristiche proprie, frutto del vivere
quotidiano in una società concreta.
E' questa, nel suo insieme, la vera educazione di una società diversificata e plurale,
nella quale ogni famiglia esercita liberamente i propri diritti e libertà.
L'educazione non può affatto essere ridotta a questione meramente economica: la
formazione umana che l'educazione deve conseguire non si ottiene col denaro, bensì con
un'attenzione personale nella quale il bambino impari a pensare e a volere e per cui
acquisisca l'abito della virtù; ed é la famiglia il luogo in cui ciò si realizza.
Solo se si vuole costruire un mondo di robot - e si crede che sia possibile - si
potrebbe affermare e difendere la pretesa di un'educazione egualitaria in cui
(teoricamente e idealmente, ma non in pratica e realisticamente), con le stesse
possibilità, tutti abbiano le medesime opportunità.
Affermare e difendere tale educazione egualitaria da una posizione liberale e democratica,
anche senza volerla mai imporre a coloro che non la condividono, equivale a non avere una
concezione dell'educazione altrettanto valida quanto quella esposta in precedenza (5),
che, basata sull'osservazione e percezione dell'ordine naturale oggettivo, é l'unica
conforme ad esso.
Il fatto é che, per giunta, tale uguaglianza d'opportunità, con la concessione di mezzi
identici, é quanto di più lontano dall'eguaglianza ci possa essere: col prescindere da
ogni tipo di diversità familiare, essa crea delle diseguaglianze innaturali. I bambini,
che sono esseri concreti e diversi gli uni dagli altri, rimangono completamente senza
protezione e abbandonati alle loro sole forze, il che non solo fa aumentare le
diseguaglianze, ma ne crea di nuove: diversamente, nel seno delle famiglie esse sono
corrette dalla natura delle cose, che lascia esistere solo quelle naturali che
accompagnano gli uomini concreti.
Nella famiglia non tutti ricevono la stessa educazione, ma, generalmente, tutti vengono
educati, ed educati bene. Senza di essa o al di fuori di essa, tutti riceveranno la stessa
educazione e saranno educati male. Di fronte ad uomini equilibrati, formati in modo
naturale dall'educazione familiare, ci saranno uomini squilibrati da un'educazione
egualitaria.
E' la conseguenza di un'educazione materialistica ed idealistica che, fornendo a tutti
mezzi identici e credendo che tutti siano uguali, fa sfumare tutto. Ne deriva che, in
definitiva, per questa visione, tutto dipende alla fine da una questione economica.
2.1.3 La dottrina della Chiesa
L'educazione dei figli spetta ai genitori. Questo é un diritto inalienabile derivato
dalla natura e finalità della famiglia. Di conseguenza, essa ha priorità nel compiere i
suoi fini specifici su qualunque altra società, Stato compreso. I genitori hanno il
diritto ed il dovere di educare i propri figli, non hanno il diritto a che siano educati
da altri: sono essi stessi che devono educarli. Perciò possono opporsi, e dovrebbero
farlo, a che siano educati contro la loro volontà: sono essi i responsabili
dell'educazione dei propri figli, non lo Stato o la società.
Così sostiene Pio XI: "Dapprima la famiglia, istituita immediatamente da Dio al
fine Suo proprio, che é la procreazione ed educazione della prole, la quale perciò ha
priorità di natura, e quindi una priorità di diritti rispetto, rispetto alla società
civile"(6).
"La famiglia ha dunque immediatamente dal Creatore la missione e quindi il diritto
di educare la prole: diritto inalienabile perché inseparabilmente congiunto con lo
stretto obbligo; diritto anteriore a qualsiasi diritto della società civile e dello
Stato, e quindi inviolabile da parte di ogni potestà terrena" (7).
Non si deve vedere nella dottrina della Chiesa su questo punto una difesa dei suoi
interessi. Col riconoscere (perché si tratta del riconoscimento d'un qualcosa di
preesistente, non di una dichiarazione di volontà che crea un diritto) che l'educazione
dei figli spetta ai loro genitori per diritto naturale, la Chiesa riconosce e difende non
solo il diritto dei genitori cattolici, ma anche quello di tutti i genitori.
Due testi del Dottore Angelico ci illustreranno in modo magistrale questo argomento:
"La natura non mira soltanto alla generazione della prole, ma anche al suo
sostentamento e alla sua educazione fino alla maturità perfetta delluomo in quanto
uomo, cioè alla formazione nella virtù. Cosicché, a detta del Filosofo, dai
genitori riceviamo tre cose, e cioè l'essere, il nutrimento e l'educazione
" (8). Alla domanda "se si debbano battezzare i bambini degli Ebrei e
degli altri increduli contro la volontà dei genitori", San Tommaso risponde
negativamente, essendo la materia di diritto naturale, ossia per "lincompatibilità
con la giustizia naturale" (9).
Pertanto, perché questo diritto sia reale, i genitori devono poterlo rendere effettivo.
Lo Stato e la società devono riconoscerlo, non concederlo, perché non é loro creazione
o donazione bensì un diritto preesistente allo Stato e alla società, unito in modo
connaturale alla condizione di genitore.
2.2 La Chiesa
2.2.1 Diritto ad educare
Per i cattolici sono determinanti le seguenti parole di Pio XI (10): "E dapprima,
essa appartiene in modo sopraeminente alla Chiesa, per due titoli di ordine soprannaturale
da Dio stesso ad essa esclusivamente conferiti e perciò superiori a qualsiasi altro
titolo di ordine naturale"
"Il primo titolo sta nella espressa missione ed autorità suprema di magistero
datale dal suo Divin Fondatore: "Ogni potere é stato dato a me in cielo e in
terra, Andate, dunque, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del
Figliuolo e dello Spirito Santo; insegnando loro ad osservare tutto quanto v'ho comandato.
Ed ecco io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo" (Mat. XXVIII,
18-20). Al quale Magistero é stata da Cristo conferita l'infallibilità insieme col
mandato d'insegnare la Sua dottrina; onde la Chiesa "fu costituita dal divino suo
Autore colonna e fondamento della verità, affinché insegni agli uomini la fede divina,
ne custodisca integro e inviolato il deposito affidatole, e diriga ed informi gli uomini e
le loro consociazioni ed azioni ad onestà di costumi ed integrità di vita, a norma della
dottrina rivelata (Pio IX, Ep. Cum non sine, 14 luglio 1864)
"Il secondo titolo é la Maternità soprannaturale onde la Chiesa, Sposa
immacolata di Cristo, genera, nutre ed educa le anime nella vita divina della grazia con i
suoi Sacramenti e il suo insegnamento. Perciò a buon diritto afferma Sant'Agostino: "Non
avrà Dio per padre, chi avrà rifiutato di avere la Chiesa per madre" (De
symbolo, ad catechumenos, XIII)" (11).
Queste ragioni, esposte con tanta nitidezza da Pio XI, sono quelle per le quali la
Chiesa può ed ha il diritto di educare e insegnare. Per il cattolico non c'è altro da
fare che credervi: se non lo fa si pone colpevolmente fuori dell'ortodossia cattolica.
Per questo Pio IX condannava il seguente errore: "Tutto il regime delle pubbliche
scuole, in cui si istruisce la gioventù di qualsiasi Stato cristiano (eccettuati
solamente per certi motivi i seminari vescovili) può e deve essere affidato alla civile
autorità; e per siffatta guisa affidato, che non si riconosca nessun diritto di qualsiasi
altra autorità di immischiarsi nella disciplina delle scuole, nel regolamento degli
studi, nel conferimento dei gradi, nella scelta ed approvazione dei maestri"
(12).
La dottrina pontificia, la dottrina cattolica, indica in modo chiaro e definitivo che la
missione educativa della Chiesa non proviene da altra autorità che da quella di Dio. La
Chiesa non esercita la sua missione educativa perché lo Stato lo consente, bensì per la
sua stessa natura soprannaturale.
Perciò, é erroneo credere che la Chiesa abbia lo stesso diritto ad educare ed insegnare
di qualsiasi altra associazione, cioè quando venga permesso dallo Stato e alle condizioni
che esso vuole imporre in riferimento o relativamente a quest'attività. La cosa é messa
in risalto da Pio XI quando segnala che il diritto della Chiesa "non proviene da
placito o calcolo umano o da umane ideologie mutevoli nei diversi tempi e luoghi, ma da
divina ed inviolabile disposizione" (13).
La Chiesa non una società come le altre, ma una società perfetta, superiore nell'ordine
dei fini all'altra società perfetta costituita dallo Stato.
Negare questo carattere soprannaturale per il quale la Chiesa riceve direttamente da Dio
il diritto di educare ed insegnare, e volerlo trasformare in un diritto umano, mutevole e
regolamentato dallo Stato, é qualcosa che la Chiesa ha sempre condannato e sempre
condannerà.
Questo diritto soprannaturale della Chiesa, in quanto concerne l'educazione e
l'insegnamento scolare, si concretizza in due modi: collegi propri e vigilanza su tutta
l'educazione e insegnamento affinché sia concorde con la dottrina cattolica non solo per
quanto é relativo all'insegnamento della religione, ma per tutto l'insegnamento.
2.2.2 Istituzione di centri
propri
Per la sua missione soprannaturale la Chiesa ha diritto, in virtù di quella stessa
missione, a stabilire centri d'insegnamento che non dipendano da altri che dalla Chiesa
stessa. Infatti, se si riconosce quella missione, cosa a cui ogni cattolico é obbligato,
é necessario riconoscere il diritto a renderla realtà, il che sarebbe impossibile se le
si negasse il diritto a istituire i propri centri. Non é che la sua missione
soprannaturale dipenda dall'esistenza di quei centri, ma é logica conseguenza di quella
missione il poterli istituire liberamente.
Ma le ragioni di ordine soprannaturale non sono le sole per cui essa può insegnare: il
diritto di istituire propri centri nasce anche dall'ordine naturale.
In primo luogo, in quanto società e non essendo l'insegnamento monopolio dello Stato,
essa può istituire dei centri come qualunque altra società o privato (anche quando si
sappia e si riconosca che dal punto di vista soprannaturale il suo diritto é superiore).
Secondariamente, perché gli stessi genitori hanno interesse all'esistenza di quei centri
in cui poter mandare i propri figli. Il delegare ad essi l'autorità sui loro figli (cosa
che avviene per coloro che desiderano mandarli nei collegi della Chiesa), é una delle
maniere di realizzare la libertà di insegnamento e di esercitare il diritto paterno
nell'educazione.
In terzo luogo, a causa del beneficio che la società e lo Stato ricevono da essi; e
questo non soltanto in ordine al fine dell'uomo, che é un fine soprannaturale, ma anche
nei confronti del fine temporale di questa vita.. E' sufficiente osservare con
oggettività l'opera sviluppata dalla Chiesa nel corso dei secoli, per rendersi conto che
é stata maestra dei popoli e che l'opera di incivilimento é indissolubilmente legata ad
essa. Valga per tutto la fama raggiunta dai collegi dei religiosi, riconosciuta dai loro
stessi nemici - calvinisti e protestanti - che mandavano i loro figli nei collegi dei
gesuiti (14).
2.2.3 Lavoro di supervisione e
giudizio
La ragione di quest'opera si trova proprio nella natura soprannaturale della sua missione:
essendo l'educazione e l'insegnamento ordinati al fine ultimo dell'uomo - e dipendendo
quelle da tale fine - non possono per ciò stesso ignorare, disprezzare o agire come se le
leggi divine non le toccassero.
E' un aspetto messo in risalto da Pio XI, col segnalare: "la Chiesa é
indipendente da qualsiasi potestà terrena, come nell'origine così nell'esercizio della
sua missione educativa, non solo rispetto al suo oggetto proprio, ma anche rispetto ai
mezzi necessari e convenienti per adempirla. Quindi rispetto ad ogni altra disciplina ed
insegnamento umano, che in sé considerato é patrimonio di tutti, individui e società,
la Chiesa ha diritto indipendente di usare e principalmente di giudicare quanto possa
esser giovevole o contrario all'educazione cristiana. E ciò, sia perché la Chiesa, come
società perfetta, ha diritto indipendente sui mezzi rispondenti al suo fine, sia perché
ogni insegnamento, al pari di ogni azione umana, ha necessaria relazione di dipendenza dal
fine ultimo dell'uomo, e però non può sottrarsi alle norme della legge divina, di cui la
Chiesa é custode, interprete e maestra infallibile" (15).
Più avanti, lo stesso Pio XI continua: "é diritto inalienabile della Chiesa, e
insieme suo dovere indispensabile, vigilare tutta l'educazione dei suoi figli, i fedeli,
in qualsiasi istituzione pubblica o privata, non soltanto rispetto all'insegnamento
religioso ivi impartito, ma per ogni altra disciplina e per ogni ordinamento, in quanto
abbiano relazione con la religione e la morale" (16).
2.2.4 Necessità per il bene comune
temporale
E' lo stesso bene comune temporale ad esigere questo duplice aspetto nel quale si fa
concreto il diritto soprannaturale della Chiesa alla sua opera educativa, perché il
potere temporale, benché temporale, deve essere cristiano.
Il potere temporale, che si occupa del bene comune, deve considerare questo come
dipendente dal fine soprannaturale e ultimo dell'ultimo dell'uomo, facendovi riferimento.
Il contrario implica il materialismo e presuppone una visione mutilata dell'uomo; mutilata
al punto da deformarla completamente, posto che non tenendo conto del suo fine
soprannaturale, riduce la natura umana a pura animalità - superiore agli animali quanto
si vuole, ma pur sempre animalità - prescindendo da quanto lo caratterizza e differenzia
dai restanti essere della creazione: l'essere dotato di un'anima immortale.
Lo Stato, perciò, non solo deve permettere l'opera educativa della Chiesa senza frapporle
ostacoli, ma deve collaborarvi aiutandola con la sua legislazione.
Che il potere temporale debba essere cristiano lo si ricava dalla natura stessa della
dottrina cristiana; e, in questo senso, essa lo ha inteso costantemente. Nell'ultimo
secolo lo hanno segnalato, per esempio, Leone XIII, che nell'Enciclica Immortale Dei
attribuisce allo Stato il dovere di difendere la religione cattolica (17); San Pio X,
nell'Enciclica Vehementer nos, che condanna per l'ennesima volta la dottrina della
separazione tra Chiesa e Stato (18); Pio XI, nell'Enciclica Divini Redemptoris
(19); Pio XII, nell'Enciclica Summi pontificatus (20).
2.2.5 Nessuna ingerenza indebita
Questa doppia manifestazione dell'opera educativo della Chiesa, non può essere
qualificata come una sua ingerenza indebita, perché essendo la religione cattolica
l'unica vera, ed essendo la Chiesa incaricata da Dio stesso di procurare il fine
soprannaturale dell'uomo, essa ha il pieno diritto a svolgere tale missione. Quest'opera
non solo beneficia l'uomo rispetto al suo fine ultimo, ma già in questa vita temporale -
che é transito per quella che verrà e che deve portare frutti in ordine ad essa - si
raccolgono i frutti migliori del lavoro della Chiesa.
Pio XI lo spiegava magnificamente col dire "Né l'esercizio di questo diritto
potrà stimarsi ingerenza indebita, ma preziosa provvidenza materna della Chiesa, nel
tutelare i suoi figli dai gravi pericoli di ogni veleno dottrinale e morale"
(21).
Leone XIII, da parte sua, segnalava i danni per la società e per lo Stato che derivano
dall'assenza di una retta formazione religiosa e morale, dell'opera educativa e di
supervisione dell'insegnamento da parte della Chiesa: "Ove sieno ignorate queste
cose, ogni cultura degli animi dovrà riuscire malsana; i giovani non assuefatti al timore
di Dio, mal sapranno sopportare qualsiasi disciplina dell'onesto vivere, e come quelli che
non mai furono avvezzi a negar nulla alle loro passioni facilmente saranno sospinti a
metter sossopra gli Stati" (22).
2.2.6 Relazioni tra diritti della
Chiesa, della famiglia e dello Stato
Questo diritto della Chiesa non si oppone a quelli della famiglia e dello Stato in questa
materia. Come segnalava Pio XI, "con tale sopraeminenza della Chiesa, non solo non
sono in opposizione, ma sono anzi in perfetta armonia i diritti della famiglia e dello
Stato, e anche i diritti dei singoli individui rispetto alla giusta libertà della
scienza, dei metodi scientifici e di ogni cultura profana in generale. Giacché, per
indicare subito la ragione fondamentale di siffatta armonia, l'ordine soprannaturale, al
quale appartengono i diritti della Chiesa, non solo non distrugge né menoma l'ordine
naturale, ma anzi lo eleva e lo perfeziona, ed ambedue gli ordini si prestano mutuo aiuto
e quasi complemento rispettivamente proporzionato alla natura e alla e dignità di
ciascuno appunto perché entrambi procedono da Dio, il quale non si può contraddire"
(23).
Il diritto della Chiesa non soppianta quello dei genitori, ma lo perfeziona e, spesso, é
l'unico modo per renderlo reale, non solo in quanto riguarda il suo stesso fine, ma anche
perché l'insegnamento nei centri scolastici della Chiesa é molto spesso l'unico modo di
realizzare il diritto il diritto e dovere dei genitori nell'educazione dei figli.
Questo diritto della Chiesa non é sussidiario né indiretto, come é invece quello dello
Stato, ma pieno e diretto, a causa del fine stesso della Chiesa. Né é sostituibile
dall'opera dello Stato, consistente nella sussidiarietà (quando l'iniziativa privata non
fosse sufficiente) e nell'attività legislativa (finalizzata ad impedire che
l'insegnamento sia contrario alla morale, al diritto naturale e alle verità naturali su
cui poggia l'ordine sociale).
2.2.7 Dovere primordiale e diritto
inalienabile
La Chiesa ha il diritto - che deriva dal dovere di insegnare assegnatole da Gesù Cristo -
di fondare, quando lo reputi opportuno, propri centri di insegnamento. Questo diritto é
conseguente a quello primordiale di vegliare per l'integrità della fede, vigilando e
giudicando tutto l'insegnamento alla luce della dottrina di Cristo.
Esso si realizza con maggiore facilità quando la Chiesa dispone di centri propri, cosa
che può anche non verificarsi: in tale caso essa assolve alla sua missione col vegliare a
che tutto l'insegnamento sia completamente cristiano.
Questa missione educativa della Chiesa costituisce un diritto che le spetta in modo
inalienabile nei confronti d'ogni potere che pretendesse di restringerlo o impedirlo,
perché il fine della Chiesa é superiore a qualsiasi altro fine della società o dello
Stato.
2.3 Lo Stato
2.3.1 Lo Stato di fronte
allinsegnamento
Non parleremo ora direttamente degli errori diffusi in merito alla competenza dello Stato
in materia d'insegnamento. Sarà qui esposta solo l'opera che compete allo Stato in questa
materia secondo il diritto naturale.
Anche lo Stato ha una missione relativamente all'insegnamento: più che di diritto ad
insegnare, quello di cui si deve parlare é della sua missione in questo campo.
La sua missione é sussidiaria quanto ad impartire insegnamenti: sotto quest'aspetto esso
si limita a supplire alla mancanza di insegnamento; é l'insufficienza dell'insegnamento
privato (ossia non statale) quel che dà origine all'opera dello Stato.
Significa ciò che - a parte quell'insufficienza - lo Stato non può insegnare? In
effetti, lo Stato é privo di competenza per dare qualsiasi tipo d'insegnamento che non
abbia relazione con lo Stato stesso. Detto in altro modo, lo Stato, anche col migliore
insegnamento privato, può insegnare, ma SOLTANTO nella questioni concernenti il buon
funzionamento dell'apparato statale: é un'attività che riguarda quelli che eserciteranno
una determinata attività alle sue dipendenze, che é direttamente e principalmente
dipendente dallo Stato. Così, la polizia, l'esercito, la pubblica amministrazione, sono
attività in cui lo Stato può svolgere un insegnamento e può dar vita a centri destinati
a quello scopo.
Questa missione sussidiaria é perciò stesso inferiore al diritto dei genitori
sull'insegnamento e educazione dei loro figli. E, per quanto concerne la Chiesa, il
diritto dello Stato é d'ordine naturale e non soprannaturale. Perciò, non si può
addurre il diritto dello Stato come un giusto motivo per restringere sia i diritti dei
genitori che quello della Chiesa in merito all'educazione l'insegnamento.
Come indica Pio XI, i diritti dello Stato in materia di educazione dei cittadini, "sono
partecipati alla società civile dall'Autore stesso della natura, non per titolo di
paternità, come alla Chiesa e alla famiglia, ma bensì per l'autorità che ad esso
compete per il promovimento del bene comune temporale, che é appunto il fine suo proprio.
Per conseguenza, l'educazione non può appartenere alla società civile nel medesimo modo
in cui appartiene alla Chiesa e alla famiglia, ma in modo diverso, corrispondente al suo
fine proprio" (24).
Come in tutte le sue attività, é il fatto d'essere custode del bene comune quel che
qualifica i suoi compiti in materia d'insegnamento, come ci ricorda il Papa. E' una
missione più ampia di quel che alcuni credono, e, nello stesso tempo, più ristretta di
quel che molti altri pensano: posizioni che peraltro, in occasioni diverse, sono sostenute
dalle stesse persone.
L'ampiezza del diritto dello Stato si basa (in modo analogo a quello della Chiesa, che ha
il diritto ed il dovere di supervisionare ogni insegnamento perché sia adeguato alla
religione cattolica in ordine al fine soprannaturale dell'uomo) sul dovere di vigilare (in
modo davvero sussidiario) affinché l'insegnamento sia conforme al bene comune. Per
questo, non può acconsentire a una pretesa libertà di magistero - da non confondersi con
la libertà di insegnamento - come se non ci fosse alcuna norma superiore a quella della
ragione e della coscienza del professore che insegna.
Questa missione di supervisione può, senz'ombra di dubbio, restare in mano alla Chiesa,
posto che col preservare l'insegnamento da ogni errore relativamente alla religione
cattolica (ed essendo questo il cemento più forte, l'unico si cui davvero s'innalza
l'ordine sociale), lo Stato è assolutamente garantito dall'opera vigilante della Chiesa.
Ciò nonostante, se sul piano teorico questo rapporto deve essere così - come lo fu in
passato - oggi, tuttavia, non é più una garanzia di per se stessa: sebbene la Chiesa
rimanga la stessa, i suoi membri, anche quelli più in risalto, diffondono o permettono
che siano diffusi ogni genere di dottrine che distruggono la religione e la società; lo
Stato deve quindi vigilare su questo aspetto e con la sola finalità indicata, perché
l'insegnamento sia in sintonia col bene comune e la religione. Ma occorre sempre
aggiungere che lo Stato deve compiere questa missione con un carattere sussidiario nei
confronti della stessa società e dei suoi membri.
La restrizione del diritto dello Stato si basa sul fatto che, come regola generale,
l'insegnamento diretto - non di sua competenza - gli compete in modo suppletivo e
sussidiario. Perciò, non solo il monopolio statale dell'insegnamento é illecito ma lo é
pure l'influenza verso le istituzioni private, perché, coi suoi potenti mezzi, le può
facilmente annientare: lo Stato non può impartire l'insegnamento quando la funzione
docente nella sua totalità é svolta grazie ad un adeguato funzionamento dell'iniziativa
privata.
2.3.2 Diritti e doveri dello Stato
Il principale obbligo dello Stato é di collaborare alla vita naturale della società,
mediante la sollecitazione dell'iniziativa privata e con l'aiuto ai corpi intermedi che la
costituiscono in modo organico. Lo Stato deve astenersi dal rendere difficile, in
qualsivoglia modo, l'azione familiare e corporativa.
2.3.2.1 Promuovere linsegnamento
2.3.2.2 Ruolo sussidiario
Riassumendo, l'opera dello Stato in materia d'insegnamento é delimitata dal principio di sussidiarietà e diretta al compimento del bene, che é precisamente il fondamento e la ragione d'essere dello Stato. Perciò, lo Stato deve riconoscere (e non stabilire) i diritti della famiglia, dei corpi intermedi e, in definitiva, della società, che é un vero corpo organico e non una somma di individui la cui esistenza é, in realtà, naturale e non creata da esso.
2.4.1 Il diritto ad insegnare
Luomo non fa parte solo della famiglia, ma, inoltre, va a far parte di quelle che
nel Diritto pubblico cristiano vengono dette "società minori o imperfette"
(Pio XI), "società infra sovrane" (Enrique Gil y Robles), "corpi
intermedi" (Michel Creuzet) o "corpi sociali basilari"
(Francisco Puy).
I corpi intermedi sono molteplici e diversi: villaggi, cittadine, municipalità, regioni,
corporazioni professionali d'ogni tipo, sindacati, associazioni culturali... Tutti e
ciascuno di questi corpi intermedi assicurano e danno durevolezza tanto alla famiglia che
alle finalità che questa persegue, fornendo, inoltre, tutto quel che la cornice familiare
non arriva a dare. La famiglia, sebbene sia la cellula primaria e fondamentale del corpo
sociale, non giunge ad impartire alluomo tutti quei beni di cui abbisogna per il suo
sviluppo.
I corpi intermedi, nel campo dellinsegnamento, benché non siano come i genitori e
la famiglia, la Chiesa e lo Stato - ognuna nel suo genere - società perfette, tuttavia
possono ed hanno diritto ad impartire un insegnamento.
Il loro ruolo in questambito viene fatto derivare dallaiuto di cui le famiglie
hanno bisogno per educare ed insegnare ai propri figli. Scrive Creuzet "nella
misura in cui si deve formare il professionista, il cittadino, luomo che dovrà
vivere nei molteplici organi della Città, la famiglia potrà, o persino dovrà, farsi
aiutare dai corpi intermedi competenti" (30).
Con ogni efficacia, Creuzet li ha in qualche modo confrontati con la famiglia. Così,
scrive: "la famiglia é il mezzo naturale dell'educazione dei bambini.
Limpresa, lufficio ed il mestiere, sono il mezzo naturale nel quale
ladolescente si troverà a contatto, non solo della materia da trasformare, ma di un
ambiente umano, di una tradizione, di una vera eredità" (31).
Che anche i corpi intermedi possano insegnare si spiega perfettamente. Le professioni
stesse, i mestieri ed il ramo della produzione, sono interessati a che i futuri colleghi
ben conoscano la loro professione e mestiere. Per questo, servendosi di mezzi propri,
potranno impartire l'insegnamento necessario a questo scopo. Chi sarà migliore degli
stessi, per insegnare quella parte più o meno grande a seconda della professione
del sapere in cui hanno maggiore competenza?
Essi non trasmettono solo una conoscenza tecnica, bensì, inoltre, quellinsegnamento
umano, naturale, che dà vita a dei legami dai quali trae beneficio lintera
società; sono legami che causano il radicamento delluomo alle cose e alle
istituzioni, che non esiste con la freddezza e impersonalità dellinsegnamento
statale.
Perché unimpresa intesa in senso ampio non dovrebbe insegnare al
personale che deve lavorare nella stessa? E, ancor più, perché il ramo professionale non
potrebbe insegnare a quanti si dedicano a quella professione? Questo fu il ruolo svolto
dalle antiche corporazioni, fino a quando la centralizzazione le trasformò in privilegio
messo in vendita al miglior offerente, e la Rivoluzione francese le distrusse totalmente.
Le imprese consorziate tra loro - a pieno diritto in quanto prolungamento delle stesse
famiglie e come garanzia della trasmissione di un sapere da esse praticato - possono dar
vita ai centri adeguati a tale formazione.
La cosa può essere fatta sia direttamente (cioè fondando esse stesse i centri
dinsegnamento), che sovvenzionando dei centri esistenti. Prescindendo per il momento
dal problema del finanziamento, resti la continuità certa del diritto dei corpi intermedi
ad impartire un insegnamento, a collaborare nellopera educativa in quanto corpi
dellorganismo sociale.
Di fatto, benché indirettamente, tale intervento oggi esiste. Così, le imprese non solo
selezionano il personale che deve lavorare in esse, ma le stesse imprese fanno anche dei
corsi a molti dei selezionati, nonostante la previa esistenza dellattestato o titolo
di studio richiesto.
La competenza maggiore su determinate questioni, ce lha chi di esse si occupa.
E quanto accade nellinsegnamento delle professioni e mestieri, delle corporazioni professionali, esistenti o da costituire, che fanno
parte dei corpi intermedi.
Linsegnamento acquisito lontano dal luogo e dallambiente in cui si svolgerà
lattività professionale, nel quale tale insegnamento dovrà essere applicato,
richiede un successivo apprendistato sul campo, che sarebbe stato già acquisito
con le conoscenze teoriche -, se la formazione fosse stata svolta dalle corporazioni
professionali. A ciò si aggiunga limportantissimo vantaggio dellunità tra
quelle nozioni e la creazione di legami, di affetti, di sinergie, che vanno a beneficio
tanto dellapprendista quanto del maestro, della vita sociale e della stessa
professione, rendendo più umane le relazioni tra gli uomini.
Sotto un altro aspetto, complementare all'unione e volontà delle famiglie, ossia in
virtù del principio di sussidiarietà, i villaggi, i municipi e le regioni - in
quest'ordine -, possono aprire scuole, collegi e università, con ogni diritto.
In quanto riunione di famiglie che decidono di dar vita al centro, non si può dubitare
del diritto di farlo anche da parte dei corpi intermedi. E' un prolungamento - per
volontà delle stesse famiglie che rendono effettivo il loro diritto - del loro diritto ad
esercitare la propria attività di educazione e insegnamento.
L'impossibilità per le famiglie di insegnare (non sono delle conoscenze culturali, ma
anche pratiche e professionali) ai figli in tutti i campi, unita al desiderio che i figli
imparino dei genitori, porta a che queste - riunite nelle proprie comunità naturali -
diano vita a centri d'insegnamento. Il che, se non é possibile nelle grandi città (nelle
quali ciò sarà generalmente di competenza di società religiose, associazioni
professionali o collegi privati), é invece facilmente percorribile nei villaggi.
Dalla combinazione tra associazioni professionali e queste associazioni naturali, cioè
dall'armonia tra i diversi corpi intermedi - alle quali deve aggiungersi il fecondo lavoro
della Chiesa - nascerà un insegnamento adeguato ad ogni necessità di tempo e di luogo.
E', in definitiva, la piena vita della società quella che stabilisce il diritto dei corpi
intermedi ad impartire l'insegnamento. La storia e la pratica dimostrano i suoi vantaggi
in tutti gli ordini: professionale, economico, culturale, civile, sociale, religioso,
familiare, non escluse le associazioni o gruppi culturali (come per esempio quelle
musicali, non potendosi dubitare dei benefici che derivano dall'insegnamento dei
conservatori), e potremmo continuare.
L'intervento dei corpi intermedi può, infine, realizzarsi anche in modo meno diretto, ad
esempio con la costituzione di biblioteche, favorendo gli scambi, i premi ed altro.
2.4.2 Ruolo sussidiario del municipio e della regione
Abbiamo visto che i corpi intermedi hanno diritto di insegnare e che, senza dubbio, sono
molteplici e svariati. Tra essi troviamo il Municipio e la Regione (senza considerarne
altri, come il quartiere), per i quali, se considerati come veri corpi intermedi (e non
come per il positivismo, secondo il quale esistono solo nella misura in cui sono
riconosciuti dallo Stato e questo assegna loro le funzioni, non avendone di proprie), ci
si deve chiedere: hanno diritto ad insegnare? l'educare fa parte della loro missione?
I corpi intermedi sono naturalmente formati per raggiungere un qualche fine. Il municipio
o la Regione, hanno come finalità l'insegnamento?
Ricordiamo quanto é stato detto sino qui a proposito della famiglia, delle corporazioni
professionali, eccetera, ed il ruolo dello Stato nell'insegnamento. Da quanto detto é
facile concludere che l'insegnare non spetta né al Municipio, né alla Regione, se non in
modo sussidiario. Una sussidiarietà che, tuttavia, deve esercitarsi prima di quella dello
Stato.
Il ruolo del Municipio e della Regione (e le altre società ad esse inferiori), deriva dal
fatto che sono le società in cui l'uomo riesce a raggiungere delle finalità altrimenti
impossibili; ma questo non é applicabile all'insegnamento. Il Municipio e la Regione
hanno la missione di realizzare quei lavori richiesti dalla comunità e che solo le loro
organizzazioni più complesse, anche se non per questo meno naturali, possono attuare.
Ma l'educazione e l'insegnamento restano fuori dal loro ambito, appartenendo a dei
raggruppamenti che esistono al loro interno, ma che secondo la natura sono più capaci di
esercitare la missione educativa.
"L'insegnamento - scriveva Victor Pradera - deve essere indipendente anche
dal Municipio e dalla Regione, in quanto entità politiche ed amministrative. E' una goffa
contraddizione nella quale incorrono non pochi, il chiedere ... l'inibizione allo Stato
dell'insegnamento ed il suo passaggio a Municipi e Regioni" (32).
Il motivo coincide con quello secondo cui l'insegnamento non compete allo Stato che
sussidiariamente.
I Municipi, almeno quelli piccoli, sono certamente una "trama di famiglie",
come scrive José Gil Moreno de Mora (33). Ma la formazione del Municipio, anche quando
sia considerata in quel significato autentico di "trama", non avviene a causa
dell'insegnamento, ma per finalità diverse, che possono essere raggiunte solo attraverso
quell'organizzazione.
Il Municipio, lo ricordava Michel Creuzet, non ha come "propria missione
l'aprire scuole, salvo che nella mancanza delle iniziative familiari, religiose, dei
gruppi professionali, ecc." (34).
Il fatto é che i corpi intermedi, come ricordava Vallet de Goytisolo, "devono
sorgere come le piante, dal basso verso l'alto" (35); se il Municipio si
appropria indebitamente della missione d'insegnare, s'inverte l'ordine naturale e, per
ciò stesso, la società muore e le sue libertà, responsabilità e facoltà scompaiono
venendo assorbite nel Municipio.
Basti quanto si é detto per mettere in risalto che il Municipio - e a fortiori la
Regione - non hanno come missione l'insegnamento. Il loro ruolo é sussidiario e
precedente quello dello Stato, essendo questo sussidiario di quelli. Perciò, quanto detto
sullo Stato e la sua missione nel campo dell'insegnamento, si applica anche al Municipio e
alla Regione.
Tanto il Municipio che la Regione, in quanto tali, non possono aprire centri
d'insegnamento se non quando manchi l'iniziativa privata, e farlo solo per sanare quella
mancanza. Allo stesso tempo, però, dovranno dare impulso all'iniziativa privata perché
si faccia presto carico dell'insegnamento che il Municipio o la Regione stanno fornendo.
NOTE