(15 novembre)
Conferenza tenuta alle suore Domenicane di Bologna
Scienza e Fede, Fede e Ragione.
Sorelle carissime, oggi tutta la Chiesa è in festa, in particolare voi dell’ordine di san Domenico, per la solennità di sant’Alberto Magno, un grande vescovo e un grande predicatore della fede, un uomo di orazione e di scienza. Oserei dire che egli fu uomo di scienza proprio perché fu uomo di orazione. Questo sembra strano alla moderna mentalità laica, che tende a separare queste due sfere accuratamente, sostenendo che ci si può dedicare alla scienza solo quando si fa astrazione dalla fede. Viceversa si pensa (anche nel popolo cristiano c’è questa convinzione) che, per dedicarsi pienamente alla fede e all’orazione, bisogna evitare lo studio (sentito come una distrazione). Invece sant’Alberto ci insegna proprio questo: l’unità globale e organica del sapere porta l’anima a Dio, che nelle cose create contempla il Creatore. Noi con la nostra intelligenza abbiamo la grande prerogativa, dataci dal Creatore, di riconoscere in tutto quello che egli ha creato, che ha posto in essere, una traccia della sua sapienza e della sua bontà.
L’uomo si fa sapiente quando dalle creature risale al Creatore. Per sant’Alberto dedicarsi alla scienza era come dedicarsi alla preghiera e dare gloria, onore e lode a Dio. Egli viveva la sua vita spirituale nella dimensione adorante della preghiera, della ricerca e dello studio. Se adoriamo Dio, se crediamo in Cristo, se ci sforziamo di vivere la vita soprannaturale di grazia, anche a noi compete il dono mistico della divina sapienza, infusa nei nostri cuori assieme alla carità, che è impronta e sigillo dello Spirito santo. Care sorelle, se ci sforzassimo di vivere soprannaturalmente, dovremmo non disprezzare mai la scienza umana, l’amore di Dio ci dovrebbe portare all’amore per la scienza. Mi viene in mente la frase dolorosa e violenta con cui sant’Alberto biasima alcuni confratelli dell’ordo praedicatorum, qui blasphemant id quod ignorant, riprendendo un’espressione già presente nella lettera di Giuda (Gd 10: " Costoro bestemmiano tutto ciò che ignorano "), facendo riferimento alla lettera di San Giuda, il quale parla di quegli empi che, come animali irrazionali bestemmiano quelle cose che non sanno. A che cosa si riferisce in particolare sant’Alberto? Allo studio della filosofia, delle scienze, di quelle cose che chiamiamo humana, perché inciviliscono l’uomo, sottraendolo alla barbarie, nel senso più vero e globale della persona, non quell’umanesimo riduttivo, che è retaggio del rinascimento. L’uomo è al centro di tutto, se pone Dio al centro di tutto. L’antropocentrismo è conseguenza del teocentrismo. Sant’Alberto sottolinea l’importanza della ricerca filosofica, scientifica, razionale e umana nell’ambito ben più grande e sublime della fede, della sapienza divina, della sapienza soprannaturale.
A un cristiano non è lecito giungere né a un eccesso di razionalismo, né a un eccesso di fideismo. Per i razionalisti a oltranza tutto è spiegabile tramite la sola ragione e non c’è bisogno di esplorare i territori della metafisica. Per loro è sufficiente applicarsi al mondo dei fenomeni. Ma questo fenomenismo naturalistico uccide non solo la fede, ma anche la ragione. Ecco la tragedia dell’uomo moderno: la razionalità, allontanandosi dalla sapienza della fede, si allontana anche da sé stessa. Infatti l’oggetto ultimo della ragione umana, la quale è una facoltà per eccellenza spirituale, non può essere che Dio. Come da un lato bisogna evitare lo scoglio del razionalismo, cioè di una razionalità infatuata del mondo finito, così si deve con altrettanta cura evitare quella piaga che dilaga sempre più nel popolo cristiano: la "fede impaurita". Sant’Alberto se la prende con quei fideisti i quali pensano che la fede vada in crisi appena comincia a pensare. Care sorelle, com’è debole quella fede che teme il pensiero della ragione! La fede non è forse una luce che inonda il nostro intelletto umano, scendendo da Dio? Non è forse radicata nel Verbo e perciò salda come roccia incrollabile? Allora se siamo certi della nostra fede (come ogni buon cristiano cattolico deve essere), non dobbiamo certamente temere la ragione! Fede e ragione si appartengono a vicenda, come giustamente dice la colletta di questa messa. Facciamone un programma di vita.
Ciò che fece diventare grande sant’Alberto fu la ricerca dell’armonia tra fede e ragione. Queste due sfere si danno testimonianza a vicenda, si appoggiano l’una all’altra. Oggi invece si dice: " Lasciamo perdere la cultura, bando alle cose intellettuali, demandiamole ai laici. Noi ci dedichiamo solo alla vita di fede ". Questo è il miglior modo per perdere la fede. Infatti ne perdiamo la sostanza soprannaturale e la sostituiamo con le nostre povere certezze umane. Quando si teme di affrontare una domanda razionale, vuol dire che già abbiamo paura, già dubitiamo della nostra fede. Perciò una fede sicura, una fede orante, una fede soprannaturale, lungi dall’avere paura della cultura, immediatamente si fa cultura. È una reazione assolutamente spontanea, da sempre: la fede sùbito diviene pensiero, spontaneamente.
D’altra parte sarebbe ben strano che noi ricevessimo da Dio verità così eccelse, così grandi per poi lasciarle nella nostra mente senza coltivarle, senza trarne le ultime conclusioni. Insomma, la fede spontaneamente si fa teologia e la teologia non è tale, se non è razionale, se non fa ricorso a quella sapienza umana che è la filosofia. Sant’Alberto biasima i confratelli fideisti, che "bestemmiano ciò che ignorano", perché vogliono escludere l’intelligenza umana dallo studio del sacro, come se ci fosse la possibilità di conoscere senza adoperare l’intelletto. È una contraddizione in termini! Se l’uomo non fosse dotato d’intelligenza, Dio non potrebbe nemmeno rivelarglisi. Perché mai Dio non si rivela ai minerali e alle piante? Perché non si rivela agli animali irrazionali? Per il solo motivo che queste creature, per quanto buone, non hanno la ragione. Dio invece si rivela all’Angelo e all’uomo perché hanno la razionalità. L’interlocutore di Dio nel dialogo della rivelazione (dialogo in cui Dio prende sovranamente l’iniziativa), non può che essere la ragione creata, umana o angelica che sia. La risposta di fede alla rivelazione è ancora una risposta razionale e l’amore che accompagna e vivifica la nostra fede si manifesta ancora tramite la cultura teologica e filosofica e, in generale, tramite tutte le scienze umane, purché sapienzialmente coltivate.
In questo secolo di divisioni, di divorzi in tutti i sensi, occorre ritornare alla sapienza dei nostri padri, in particolare a quella di sant’Alberto, reso grande dalla sua infaticabile ricerca dell’armonia tra fede e ragione. Voi forse, sorelle care, obietterete: " Com’è possibile che ragione e fede si diano la mano, essendo delle realtà assolutamente distanti e diverse l’una dall’altra? ". Eppure è così. La cultura ha un vitale bisogno della fede. Esaminando la storia, vi accorgerete che non c’è cultura senza religione. Ogni cultura, dopo la venuta di Cristo, deve confrontarsi con il cristianesimo. Sta dalla parte di Cristo? Allora sarà una cultura veramente umana. Si metterà contro Cristo? Allora subirà la sorte di tutti coloro che si pongono contro Dio, attratti dal maligno.
Quando leggo certi scritti di atei intelligenti e sofisticati, così infervorati, talvolta mi sembra di sentire sant’Alberto che ci rimprovera dal cielo: " Se voi cristiani, se voi sacerdoti, se voi uomini e donne di chiesa, adoperaste tanta intelligenza e diligenza nel difendere la fede, quanta quella gente adopera per togliere la fede dalle anime, le sorti della fede sarebbero ben diverse ".
Care sorelle, la cultura vera non può non essere amica della religione e in particolare dell’unica vera religione. In questo tempo di scetticismo bisogna avere il coraggio di dire che tra le religioni umane ce n’è una e una sola che è pienamente vera e rivelata: quella cristiana. Tramite la verità del Cristianesimo — l’unica religione rivelata — cultura e fede diventano alleate. È un’alleanza imprescindibile. Là dove quell’alleanza non c’è, la cultura va in rovina. Voi forse mi chiederete: " La fede cosa riceve dalla cultura? ". Nel mondo spirituale le perfezioni si appoggiano a vicenda, cioè le perfezioni minori si sottomettono a quelle maggiori e ricevono il loro splendore. Nel contempo le perfezioni maggiori non disdegnano superbamente quelle minori, ma s’appoggiano ad esse, come a sicure fondamenta. San Tommaso, parlando della prudenza e della carità, dice: " Infinitamente più grande della prudenza è la carità, non c’è alcun dubbio. Però la carità, con santa umiltà, si lascia guidare dalla povera prudenza ". Uno potrebbe obiettare: " Abbiamo la fede. Che bisogno c’è di farsi una cultura? ". No! La fede molto umilmente vuole la cultura, perché riconosce in tutto ciò che c’è di vero la voce di Dio, quella voce di Dio che ci parla naturalmente in ogni creatura. È importante non permettere che ci sia una separazione traumatica, spaventosa, tale da ferire l’animo dell’uomo, tra cultura, religione e fede. Bisogna però, per giungere a questo, avere una sapienza globale, che non esclude nulla. Purtroppo le nostre scienze fenomeniche di oggi sono completamente avulse da una visione globale dell’uomo. Ecco perché traumatizzano l’animo umano. Nella vita intellettuale bisogna rispettare molti equilibri. Perciò occorre da un lato evitare con accuratezza la parzialità della cultura scientifica e filosofica, dall’altro rinunciare agli sconfinamenti in settori non di competenza. Delle cose bisogna avere una visione globale, ma anche articolata. Una cosa è la fisica, altra cosa è la matematica; una cosa è la filosofia, altra cosa sono le scienze. Non bisogna confondere. C’è purtroppo una certa tendenza a scavalcare le parti inferiori e a legarsi troppo in fretta a quelle superiori. Bisogna invece rispettare i singoli passaggi, cioè inquadrare bene ciò che è minore e ciò che è maggiore, facendo convergere le singole parti della razionalità umana all’edificazione di una sapienziale globalità. La filosofia deve rispettare e amare le scienze, in altre parole. Quindi non solo s’ha da evitare il divorzio tra fede e sapienza umana, ma nell’ambito stesso della sapienza umana bisogna anche avere una visione d’insieme di tutti i suoi settori.
Ho notato nella vita intellettuale della nostra cara città di Bologna una tendenza (che si afferma purtroppo dappertutto, ma in particolare nei centri culturalmente insigni come Bologna per via del suo celebre Studio) a dormire sugli allori, cioè a essere soddisfatti della propria sapienza, dicendo: " Ho studiato. Non ho più nulla da imparare da nessuno ". Questo non è un atteggiamento né fecondo né umile. L’intelligenza dà testimonianza alla fede, perché entrambe hanno la profonda esigenza di farsi umili e docili. L’intelligenza è umile e docile sottomettendosi all’Essere; la fede è umile e docile sottomettendosi alla parola di Dio. Se la nostra anima è fatta per Dio, come allora potrebbe essere soddisfatta di qualche verità particolare? Con animo appassionato sant’Alberto afferma che la vita di un uomo che s’accontenta dell’intellectus possibilis non è una vita veramente umana. Per lui l’intelletto si divide in "agente" e "possibile". Questi due tipi costituiscono l’intelletto "formale", il quale può essere "simplex" e "compositus". Poi c’è l’intellectus innatus, cui s’affianca l’intellectus adeptus, cioè l’intelligenza che l’uomo acquista con lo studio. Sant’Alberto conclude: " Un’anima, che non si dedica alla cultura, non vive a livello della sua dignità umana ". Sono parole tremende, ma vere. Già Aristotele diceva che l’unica definizione plausibile dell’uomo era questa: "anima razionale". L’uomo è un essere vivente dotato di razionalità, dotato di intellettualità.
Il testamento spirituale di sant’Alberto è questo: bisogna inculcare negli uomini, soprattutto nei ragazzi, l’amore disinteressato per la verità, evitando una concezione materialistica dell’intelletto (infatti la verità non deve servire per avere un posto nella società o per svolgere questo o quel lavoro). Guai a dire " Siccome ho imparato, chiudo le orecchie, perché la mente non si riempia di troppe verità! ".
Inoltre sant’Alberto è per noi un perfetto paradigma di spirito critico. Invece la mentalità contemporanea è acritica, poiché si fonda su Kant, per il quale non è l’oggetto che determina il soggetto, ma è il soggetto (cioè il pensiero) che detta legge all’essere.
Se si rinnega il fondamento della nostra ragione, se si rinnegano i principî incrollabili di identità, di non contraddizione e di causalità, si cade in balia dei fenomeni. Allora che cosa bisogna fare? Bisogna ritornare al sano realismo della ragione e dire finalmente che la ragione, se infatuata superbamente di sé stessa, si autodistrugge e distrugge l’uomo. La ragione, al contrario, può dare agli uomini una felicità parziale su questa terra (in attesa della felicità eterna del cielo), solo se, assieme alla fede che l’aiuta, umilmente si sottomette alla dignità dell’Essere, di quell’Essere di per sé eternamente sussistente che è Dio. Così sia.