V Domenica di Pasqua - Festa di San Giacomo fuori le mura - 1986
La Chiesa di Cristo e la santità del tempio.
Cari fratelli e sorelle in Cristo Gesù Signore e Salvatore nostro, in questo grande giorno il suono delle campane, gioioso e maestoso nel contempo, secondo la sana, solida e venerata tradizione cattolica, ci annuncia un lieto giorno di festa per la nostra comunità parrocchiale: è la festa della dedicazione della nostra Chiesa, la festa di S. Giacomo, nostro patrono, nostro esempio celeste, nostro intercessore presso Iddio onnipotente. Cari fratelli, nella gioia di questa festa, in cui ci ricordiamo della fondazione di questa chiesa particolare, nel contempo ci sentiamo veramente pietre vive, impegnate dal Divino Artefice nella costruzione del tempio santo del Signore, di quell’edificio vivente che è la Chiesa di Cristo.
La festa della dedicazione di questa chiesa e la festa anticipata del nostro Santo Patrono ci permettono di continuare le nostre meditazioni pasquali sul mistero della Chiesa, Corpo mistico del Salvatore. Abbiamo già visto la Chiesa configurata nelle reti degli apostoli gettate nel mare, le reti che per prodigio operato da Cristo risorto dai morti, si riempirono immediatamente di 153 pesci, quei pesci che gli apostoli hanno estratto dal mare e portato dal Signore, che li aspettava sull’altra riva. Abbiamo visto domenica scorsa la santa Chiesa di Dio raffigurata nell’ovile di Cristo, l’ovile che è recintato, recintato dalla dottrina e dalla santità della Chiesa, l’ovile verso il quale si accede attraverso le porte, che sono costituite dalla verità degli insegnamenti di Cristo, mentre chi non accede attraverso la porta, ma scavalca tutto il recinto e così entra proditoriamente nel recinto delle pecore, costui non è il vero pastore, ma viene come un mercenario, come un ladro, come il lupo travestito da pecora per fare strage in mezzo al gregge. Abbiamo visto come costoro, i falsi pastori, che dentro sono come lupi rapaci, raffigurano gli eretici, gli scismatici, gli scandalosi.
Invece la santa Chiesa di Dio è come il gregge di pecore: le pecorelle ascoltano la voce del pastore, ma quello che gli animali, privi di ragione, fanno solo per istinto naturale, questo il cristiano, creatura razionale, formata e plasmata da Dio onnipotente a immagine del Creatore stesso ed insignito del dono divino della grazia, in cui è dato nientemeno che il sigillo della Santissima Trinità stessa, ebbene il cristiano quello che gli animali fanno per istinto, lo fa anche lui per istinto, ma non è più un istinto irrazionale, bensì sommamente razionale, anzi soprarazionale, per quell'istinto, per quell’impulso, per quella spinta divina che è l’azione dello Spirito Santo sull’anima dell’uomo Questo è il dono mistico della sapienza, quel dono che ci fa giudicare secondo una certa connaturalità dell’anima nostra elevata a Dio, immersa in Dio, inabissata nell’essenza stessa di Dio.
Abbiamo visto quegli stupendi esempi, quei simboli, quei segni della Sacra Chiesa. Ora a questi si aggiunge oggi un altro simbolo, quello che abbiamo tratto appunto dalla seconda lettura, dalla prima lettera di S. Pietro. Qui S. Pietro esorta i cristiani a stringersi attorno alla pietra viva, alla roccia, alla roccia spirituale che ci accompagna nel cammino pasquale lungo il deserto di questa vita. Questa roccia spirituale, che accompagna il popolo, quella roccia dalla quale l’onnipotenza di Dio fa scaturire l’acqua che disseta ogni buon cristiano, quell’acqua della quale il Salvatore disse che zampillerà per la vita eterna, ebbene questa roccia spirituale sorgente di acqua viva, di acqua che rigenera per la vita nuova, questa sorgente, quella roccia che diventa sorgente per il popolo è Cristo Gesù.
Cari fratelli, Cristo stesso! Come è bella questa lettera di S. Pietro, ma anche difficile da comprendere. Questa lettura di S. Pietro ci convince proprio che la Chiesa è identica a Cristo. S. Pietro dice nella prima lettera: "Stringendovi a Lui", voi che siete Chiesa, voi che siete cristiani, che appartenete a Cristo, ma non solo per denominazione esterna, bensì anche per appropriazione interna, perché vi siete trasformati in Cristo, voi che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Noi che apparteniamo, non solo esteriormente, bensì interiormente, vitalmente a Cristo, solo in quanto gli apparteniamo, formiamo la Chiesa. La Chiesa ha il suo stesso fondamento nella roccia spirituale, la Chiesa è Cristo.
Cari fratelli, bisogna convincerci sempre di questo, la Chiesa nasce là dove nasce Cristo: quando ancora non c’era nessun cristiano, nessuno che appartenesse a Cristo, quando c’era solo il fondamento, solo la roccia, solo la scaturigine delle acque di Cristo, quando lo Spirito Santo, per arcano disegno del Padre, misteriosamente plasmava il Corpo umano del Salvatore nel grembo della Vergine Madre, unendolo ipostaticamente alla persona del Verbo, ebbene in quel momento nacque la Chiesa.
Ecco il mistero della Chiesa! La Chiesa sposa di Cristo, la Chiesa Cristo stesso, Cristo nel mistero, la Chiesa, Gerusalemme celeste, discende dal Cielo come dono di Dio, come la sposa adornata per il suo sposo. E’ grande, è immenso il mistero della fede, non bisogna avere idee confuse a questo riguardo, permettetemi un poco della mia pazzia, come diceva S. Paolo ai suoi fedeli, tollerate un pochino la mia pazzia e le mie insistenze, vi dico questo perché sono convinto che uno dei pericoli peggiori dei nostri tempi è quello di un superficiale ottimismo. Si dice: la Chiesa è il popolo di Dio in cammino! E’ verissimo questo, come no. E’ sacrosanta quella verità, la Chiesa è il popolo di Dio in cammino, è bellissimo. Ma non un popolo qualsiasi, cari fratelli! "Voi che un tempo eravate un non popolo", prendiamo sul serio quelle parole, se noi non apprezziamo a pieno quello che Dio ha fatto per noi, quando ci ha trasferito dalle nostre miserie, dalle nostre tenebre, dalle nostre piaghe alla meravigliosa luce della fede nel Figlio suo.
Cari fratelli, noi quando eravamo abbandonati a noi stessi, quando ciascuno di noi seguiva le sue strade, quando eravamo come le pecore disperse di un gregge senza pastore e senza vita, allora in quella condizione noi non eravamo ancora un popolo e tanto meno un popolo in cammino verso la patria celeste. Quando siamo divenuti popolo? Lo siamo divenuti forse per quella specie di plebiscito? Per quella specie di contratto roussoniano? Lo siamo diventati perché noi, bontà nostra, abbiamo deciso di aderire alla Chiesa di Cristo? No certo, cari fratelli. La Chiesa non è un popolo che nasce nelle elezioni universali, ma il mistero della Chiesa è molto, infinitamente più profondo. La Chiesa nasce quando lo Spirito di Dio soffia, cari fratelli, quando lo Spirito di Dio santifica, afferra e affascina le anime ed è allora che nasce la Chiesa, radunata dal Figlio di Dio, nella Trinità, radunata nell’amore di Dio, che è Dio stesso, e nello Spirito Santo consolatore e datore di vita.
Bisogna essere convinti di questo, la Chiesa è anzitutto il popolo del Signore, ma non un popolo qualsiasi, bensì il popolo plasmato da Dio stesso. Gli antichi ebrei nella Scrittura avevano una duplice parola per significare popolo: c’è una parola che significa semplicemente una massa popolare, poi c’è un’altra parola, che significa ancora popolo, ma non è più una massa di gente, una moltitudo hominum, è una moltitudo fidelium, che non è la stessa cosa. Noi siamo sì una moltitudine radunata da tutte le parti della terra, ma non una moltitudine informe, bensì una moltitudine gerarchicamente plasmata ed ordinata. Siamo tutti in qualche modo afferrati dalla verità e dalla santità di Cristo, l’unico vero fondamento, al di là del quale nessun può proporre un altro fondamento.
Quindi, miei cari, anzi tutto è necessario contemplare la Chiesa come il Cristo nel mistero, il tempio santo del Signore, un edificio, ma un edificio che è creato da Dio. Dio non vuole degli artefatti. Questo è il mistero, noi uomini non siamo creatori, checché ne dicono i vari progressisti e modernisti. Essi pensano che l’uomo un giorno arriverà a creare la vita, si discute sulla questione delle così dette "macchine pensanti", ed io sinceramente mi preoccupo del pensiero dell’uomo che riesce a parlare di "macchine pensanti", perché è una contraddizione, una macchina non può pensare, una macchina non vive, una macchina non c’è, non esiste come entità sostanziale. L’uomo che si crede un gran ché, che si crede demiurgo, che si crede creatore, non può fare altro che degli artefatti e secondo la filosofia aristotelica, molto attendibile, gli artefatti sono delle entità accidentali. Le unità vitali, le unità pensanti, le unità esistenti, sostanziali, solo Dio può crearle.
E’ meravigliosa questa idea della Chiesa come edificio del Signore, che è sì edificio, ma non edificio qualsiasi di pietre inerti, non un artefatto. Il Divino Artefice quando crea, quando costruisce non fa degli artefatti, ma fa delle realtà viventi. La Chiesa è un edificio vivo, nessuno ha mai visto un edificio del genere, stentiamo ad immaginarlo con il nostro pensiero.
In primo luogo la chiesa è anche una costruzione, l’edificio del Signore, ma non un edificio artificiale, non un edificio inerte, bensì un edificio vivo, pervaso dalla vita di Cristo, dalla vita del Risorto, della vita che è vita eterna, che è vita partecipata in Dio stesso.
In secondo luogo la Chiesa siamo anche noi stessi. "Oh voi non sapete"dice S. Paolo: "che voi siete veramente tempio del Signore?" San Paolo insiste proprio su questo concetto per dare al cristiano una giusta idea, un giusto concetto della sua grande, straordinaria dignità. Di nuovo, cari fratelli, sopportate ancora la mia pazzia! Torno ancora a polemizzare su alcuni pensieri, (se di pensieri si può parlare), sulla concezione che l’uomo sia solo un gradino più evoluto della vita animalesca. Ma vi pare, cari fratelli? E no, l’uomo è completamente, assolutamente diverso dagli esseri che la terra conobbe prima che l’uomo fosse plasmato da Dio e dotato del suo Santo Spirito. Iddio soffia sull’uomo, comunicandogli la sua somiglianza, quella che S. Tommaso chiama "somiglianza formale", la somiglianza di immagine, Iddio in quel momento ha creato una realtà assolutamente nuova.
In questo, cari fratelli, c’è la responsabilità massima. Gesù Cristo nell’opera della redenzione ha versato il Sangue per noi, "voi siete stati riscattati a caro prezzo" dice S. Paolo "al prezzo del Sangue di Cristo". Dice S. Pietro nella prima lettera: voi siete divenuti sacerdoti di Cristo, "sacerdozio Santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio" (2-5). Ciascuno di noi porta in se la dignità sacerdotale, il potere di offrire tutti noi stessi a Dio, di consacrarci a Dio, stringendoci alla roccia, a Cristo, che è la fonte di acqua viva.
Infine, dopo aver visto la Chiesa in noi stessi, in quel tempio che siamo noi, nel cui cuore è stato effuso lo Spirito Santo con il dono della Trinità divina, ebbene la Chiesa è anche questo edificio, umile, semplice edificio fatto di pietre, ma di pietre che esprimono il nostro amore per il Signore, la nostra devozione. Queste pietre, cari fratelli, non sono una casa fra tante case, questa casa è un luogo santo.
Oh poveri noi! Dico anche di me, quanto poco ci pensiamo! "Vere sanctus locus iste et ego nescibat!", davvero santo è questo luogo e io non ne sapevo nulla!" Dice Giacobbe quando faceva quel gesto, che il nostro venerato arcivescovo fece quando consacrò questo altare, spalmando su di esso l’olio dell’unzione, il sacro Crisma (che significa appunto il Messia, l’Unto per eccellenza, Signore e Salvatore nostro), perché esso si forgiasse in Cristo e nella sua Croce, perché fosse veramente portatore della Vittima divina.
Vedete, miei cari, l’Altare rappresenta il Cristo, l’Altare è il portatore della divina Vittima e il portatore del Dio nostro che discende dal cielo, come il momento in cui il fuoco di Dio offriva i primi olocausti prescritti dal Signore. Non dall’uomo, ma dal cielo scese il fuoco, per consumare la vittima, così dal cielo, tramite le parole pronunciate dal sacerdote, scende Iddio stesso, il Verbo Incarnato di Dio scende per rendersi presente, realmente, fisicamente, sostanzialmente in mezzo a noi. Così misteriosamente, ma realmente, obbiettivamente il Verbo abita in questa Ostia nel Santo Tabernacolo.
Cari fratelli, dobbiamo avere la coscienza del santo, guai all’uomo che profanasse le cose sante del Signore. Vi prego cercate anche con gesti esterni, anche con le genuflessioni, con l’inchino al santo Altare del Signore, alla Croce del Salvatore, con tutto questo, (non sono solo cose esterne, oggi si ha quella incresciosa tendenza di snobbare i gesti esterni). Invece i gesti esterni significano qualche cosa di interiore. E’ povero quell’uomo che ha una vita così arida dentro di sé da non saperla esprimere anche esteriormente. Quindi cerchiamo di avere la consapevolezza di Giacobbe, quando diceva: "ecco, questo luogo è santo! Qui c’è la scala del cielo e la porta del Paradiso, santo è questo luogo e io non lo sapevo!". Quell’anima santa in questo momento non si rendeva conto, non sapeva, si sveglia dal sonno e come vede gli Angeli camminare su e giù da quella scala, che nel suo vertice toccava il cielo, esclama: "vere Sanctus est locus iste!", davvero santo è questo luogo!
Ricordiamoci di questa santità anche quando visitiamo questo luogo santo in cui abita il Signore. Ricordiamoci anche del nostro Santo Patrono, al quale è stata consacrata questa chiesa. Nell’antichità, quando i cristiani erano perseguitatati, si radunavano in quello che si chiamava "locus ecclesiae" e c’era sempre una persona santa che dava un titolo giuridico a quella casa, perché altrimenti sarebbe risultata una casa, diciamo così, non registrata, non pubblicamente iscritta. Allora c’era un buon cristiano che si assumeva questo compito, di dare il suo nome a questo "locus ecclesiae". Ora quando alla Chiesa per opera di quel santo uomo che era l’imperatore Costantino di beata memoria, fu concessa la sua libertà, nell’editto di Milano, (che al giorno di oggi è messo in discussione), i cristiani, che non erano più perseguitati in quella forma orrenda ed immediata, poterono costruire le case del Signore. Ma continuarono ad avere questa usanza buona, di affidare quella casa costruita per il Signore, non già ad una persona ancora in vita, che desse un tipus a quella domus ecclesiae, ma bensì ad una persona che ci attende regno dei cieli, in Paradiso, nelle dimore di Cristo, che intercede per noi. Così è nata questa usanza, diffusasi in tutto l’orbe cattolico, di affidare le chiese al patrocinio di qualche Santo particolare.
Come è grande il nostro Santo! Vedete, miei cari, bisogna che impariamo da S. Giacomo. Questo Santo ha molte virtù, ma il tempo è poco, e bisogna che dica paucis verbis, in poche parole, solo questo. Impariamo da S. Giacomo anzitutto quella carità squisitamente apostolica che si fa fortezza per il regno. Tutti gli apostoli erano così, erano colonne della Chiesa, lo dice S. Paolo: S. Pietro e S. Giacomo sono le colonne della Chiesa. La parola colonna simboleggia la fortezza apostolica. Un Vescovo, un Sacerdote, anche un laico battezzato e cresimato è un milite di Cristo. Cari fratelli non c’è nessuna vergogna, anzi una grande gloria, un grande onore nel considerarci quello che veramente siamo, militi di Cristo.
La proprietà di ogni pastore, di ogni sacerdote sollecito del suo gregge, ma anche di ogni laico che ama la Chiesa di Cristo, che come pietra viva si stringe alla roccia viva che è il Cristo, è anzitutto il coraggio e la fortezza. Il mercenario, dice il Signore, quando arriva il lupo, che cosa fa? Non glie ne importa niente del gregge, quindi subito fugge. Invece il pastore, che cosa fa? Forse non ha paura? Forse ha un po’ di paura anche quello, però il pastore persevera in mezzo al suo gregge, perché ama il suo gregge. Al giorno di oggi si ha l’incresciosa tendenza di opporre la virtù della carità alla virtù della fortezza. S. Giacomo ci insegna questo, che non c’è vera carità senza la fortezza apostolica. Un Vescovo, un Sacerdote un laico coraggioso deve dire pane al pane e vino al vino, deve parlare chiaro. Deve annunciare il Cristo e deve farlo con coraggio, con gioia, con ogni palpito del cuore.
Come dice S. Paolo: "Io in null’altro mi vanto se non in Cristo e questo Crocifisso!". Non possiamo chiamarci cristiani, né discepoli di S. Giacomo se non abbiamo in noi il coraggio della colonna della Chiesa, che fu appunto il nostro Santo patrono e protettore, colui che meritò la gloria di essere il primo milite di Cristo, nella schiera apostolica, a versare il suo sangue in testimonianza della fede. Il mondo non cambia, il mondo anche allora pensava i pensieri del maligno, pensieri contro l’unità, mentre la Chiesa pensa i pensieri di Dio. Così diceva Erode Agrippa: "mettiamo in prigione anche Giacomo, mettiamo in prigione anche Pietro, così facciamo un piacere ai giudei" Ecco la mentalità mondana: fare un piacere agli uomini. La mentalità di Cristo, quale è? La mentalità di Cristo è quella di S. Giacomo, offrire la sua vita per il gregge. "Sanguis martirum, semen Christianorum!" il Sangue dei Martiri è il seme dei cristiani.
Anche nei nostri difficili tempi proviamo ad essere apostoli coraggiosi. Pensate al Santo Padre, quanto coraggio ha! Quanto esempio di fortezza apostolica ci dà! Vedete in questi ultimi tempi la perversione dei valori anche nelle vicende dell’Azione Cattolica, quella stupenda associazione di laici apostoli, di militi cresimati di Cristo, che dovevano essere di aiuto ai sacri pastori, per portare la parola di Dio là dove il Sacerdote non può arrivare, che cosa sono divenuti? Non fanno nulla di male, ma non basta quello che fanno, non basta chiudersi in cameretta a pregare il Signore, parlando di scelta religiosa. Così il Sommo Pontefice con coraggio apostolico, da vero fratello di San Giacomo, ricorda a loro: "voi in Italia, insidiata dai nemici della Chiesa, avete il compito di essere militi cresimati di Cristo, di essere sacerdoti, non certo in senso gerarchico, nel senso comune ma veramente sacerdoti battezzati e cresimati di Cristo Signore".
Cari fratelli, chissà se saranno ascoltate dal popolo di Dio le parole di S. Pietro, di S. Giacomo e quelle degli altri apostoli, che ci parlano per bocca del Sommo Pontefice! Noi cerchiamo di ascoltare il richiamo degli apostoli, così pure di ascoltare le parole del Santo Padre e siamogli fedeli, perché essere fedeli al Vicario di Cristo significa essere fedeli a quella roccia che è l’unico fondamento della Chiesa e così sia.