4 giugno
Le Fondazioni Religiose. La Santità Giovanile e la Grazia.
Fratelli carissimi, oggi sabato 4 giugno la sacra liturgia secondo il rito di san Pio V prevede la festa di san Francesco Caracciolo, la cui vita si colloca nella seconda metà del XVI secolo. Nacque infatti a Chieti nel 1563 e morì relativamente giovane, all’età di 45 anni, nel 1608 ad Agnone, alla vigilia del Corpus Domini. Era un sacerdote di Dio, tanto è vero che coloro che avevano sperimentato i beneficî del suo ministero solevano chiamarlo con un titolo stupendo: "Il predicatore dell’amore divino".
Ogni sacerdote dovrebbe essere l’annunciatore, il testimone, il mediatore, il ministro dell’amore di Dio, che è un amore infinito, tenero e tenace. Con l’intenzione di condurre le anime a Dio, Francesco Caracciolo fondò una nuova famiglia religiosa, i Chierici Regolari Minori, detti anche caracciolini, dal loro fondatore. La regola del nuovo ordine, che univa la vita attiva nella carità a quella contemplativa nell’adorazione, fu sottoposta all’approvazione del papa. Rispetto alla vita religiosa, la Chiesa sa non fare altro che questo: approvarne gli statuti. La Chiesa non pensa di essere lei a istituire un ordine religioso. No, chi istituisce gli ordini religiosi è il Signore stesso.
L’eresia luterana sosteneva che la vita monastica, la vita religiosa, basata sulla professione dei tre consigli evangelici, fosse un’invenzione umana. Per Lutero, questo tipo di vita era un’invenzione del clero. Invece la Chiesa sostiene che la vita religiosa è stata fondata e vissuta dallo stesso Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo. Cristo fu povero, casto e obbediente alla volontà del Padre fino alla morte di croce. Egli scelse questa vita non solo per sé, ma anche per la sua madre santissima. Maria, quando chiede all’arcangelo Gabriele: " Come può avvenire questo? Come posso io diventare madre e rimanere sempre vergine? ", fa capire di aver votato la sua verginità a Dio. Quindi Maria era una vergine consacrata, una religiosa a pieno titolo. In virtù di una carità perfetta, di un’adesione a Dio con cuore indiviso, la Vergine santissima e Gesù Cristo vivevano distaccati da questo mondo.
La Chiesa c’insegna che la vita religiosa è un’istituzione divina (in termini giuridici si direbbe che è un’istituzione "di diritto divino"). Tuttavia alla Chiesa spetta una funzione molto importante, vitale direi: quella dell’istituzionalizzazione, ovvero dell’approvazione degli statuti.
Il Concilio Vaticano II, sia nella costituzione Lumen gentium, sia nel decreto Perfectae caritatis, ha affermato che è lo Spirito santo che suscita nell’àmbito della Chiesa le diverse famiglie di vita consacrata, cioè le diverse forme di vita religiosa. È lo Spirito santo che ispira i fondatori. È bene che i religiosi siano incrollabilmente fedeli al carisma del loro fondatore. Purtroppo c’è adesso un’ondata di innovazioni. Tutti pensano di dover riformare, di dover rifare tutto dagl’inizi. Ma, così facendo, si deforma la natura di questi istituti che non vengono da mente umana, bensì direttamente da Dio.
I fondatori degli ordini religiosi sono uomini ispirati da Dio, anzi afferrati da Dio, sono uomini accesi dalla fiamma della carità soprannaturale per Dio e per le anime; sono spinti dall’amore per la Chiesa, perché nella Chiesa Dio è adorato, nella Chiesa le anime si salvano. Quindi gli istituti religiosi nascono per il bene della Chiesa e la Chiesa ringrazia il suo Signore per aver ricevuto questi doni così insigni della sua divina benevolenza. La Chiesa da un lato riconosce che non è stata lei a fondare il tale o il tale altro istituto, ma dall’altro ad essa spetta approvare gli statuti, le regole, le costituzioni, impegnando in ciò la propria infallibilità.
Pensate alla grandezza del carisma che lo Spirito santo si compiace di dare ai fondatori degli ordini: proprio lo Spirito Santo suggerisce loro un’idea perfetta, un’idea tale che un’anima, se la segue alla perfezione, immancabilmente si salva. Le regole religiose sono vie sicure di salvezza. È cosa tutt’altro che facile dettare una regola che sicuramente conduca alla salvezza. Se ciò è difficile per il nostro cammino personale, tanto più lo è farlo per gli altri, con la prospettiva e la possibilità che queste istituzioni durino nei secoli. Un pontefice ebbe a dire: "Datemi un religioso che osserva alla perfezione la sua regola e io lo canonizzo". Ovviamente non si canonizzano coloro che sono ancora in vita. Lo sappiamo bene: solo post mortem si può elevare qualcuno all’onore degli altari. Ma quel papa diceva così perché la regola di un istituto religioso, in quanto approvata dall’infallibile autorità della Chiesa, è una via sicura di perfezione spirituale e quindi di salvezza. La Chiesa è riconoscente a tanti fondatori, in particolare anche al nostro festeggiato di oggi, per averle dato una nuova famiglia spirituale e religiosa.
La devozione di san Francesco Caracciolo (del nostro caro "Predicatore dell’amore divino") per il Santissimo Sacramento è un tratto commovente e stupendo della sua spiritualità. Non è possibile essere dei buoni cristiani se non apparteniamo a Cristo, se Cristo non diventa la linfa vitale della nostra anima, se Cristo non è il nostro cibo, l’aspirazione del nostro spirito e del nostro cuore. È importante nutrirsi del pane di vita che è disceso dal cielo per la salvezza degli uomini. È importante avere fede nella reale presenza del Salvatore. È importante adorare quindi il Santissimo Sacramento.
Quanto mi fa soffrire, cari fratelli, il fatto che la Chiesa abbandoni tanto spesso l’adorazione del Santissimo Sacramento! Oggi sembra quasi che non si riesca a pregare il Signore se non tramite la Messa, che certo è una cosa stupenda (è il sacrificio di Gesù). Però c’è anche la presenza reale, l’adorazione, la benedizione eucaristica. Questo andrebbe sottolineato. Le sacre specie non cessano di essere il Christus totus dopo la celebrazione della messa. Purtroppo in alcune parti è invalso l’uso di non riporre ostie nel tabernacolo o di ritenere il tabernacolo, ove vive in mezzo a noi il Verbo fattosi uomo, come qualcosa di secondaria importanza. Una volta il tabernacolo era in mezzo all’altare. Adesso è relegato in disparte, quasi ci vergognassimo che Gesù viva nelle nostre chiese.
Che il Signore ci perdoni e che ci faccia rinsavire, cari fratelli! Il Santissimo Sacramento, anche se ancora non è al centro delle nostre chiese, almeno mettiamolo al centro dei nostri cuori.
Domani celebreremo la festa del Corpus Domini. Festeggiamolo ringraziando il Signore per l’immenso dono del suo Figlio, che è nutrimento nostro. Panem angelorum manducavit homo, l’uomo mangiò il pane degli angeli (Ps 78 [77], 25). Grande cosa questa! Anche noi possiamo gustare il cibo degli angeli, i quali si nutrono della visione del Verbo, che s’è fatto carne ed è divenuto pane di vita per noi. San Francesco Caracciolo c’insegna la centralità del divino sacramento dell’Eucaristia.
Era di origine abruzzese, ma svolgeva il suo apostolato soprattutto nella città di Napoli, che già allora era un grande agglomerato urbano con enormi differenze sociali. C’erano pochi ricchi e c’erano purtroppo molti poveri. Con semplicità di cuore, egli si dedicava all’assistenza dei derelitti (oggi si direbbe, in termini sociologici, "degli emarginati", cioè di coloro che si trovavano ai margini della società). Si occupava anche dei carcerati e dei condannati, non per motivi semplicemente umani, ma con spirito soprannaturale, vedendo Cristo nel povero, nel sofferente e nel derelitto
Oggi corriamo il rischio di ricaduta nel paganesimo, di fare cioè un’assistenza filantropica, indiscreta e di cattivo gusto. Cari fratelli, non vi dico lo sgomento che provo quando sento parlare di poveri, di derelitti, di carcerati, di drogati. Sempre in ogni assemblea del clero (se ne fanno fin troppe), viene messa al primo posto l’opzione dei poveri. Mi viene in mente quello che disse il Signore: "Quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gl’ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini" (Mt 6, 2). Anche oggi molti "farisei" danno l’elemosina, ma prima sfilano in processione con frastuono di trombe annunciando l’"opzione dei poveri, la scelta dei derelitti". Il vangelo invece c’insegna ben altro stile. È questione anche di buon gusto spirituale. Gesù dice: "Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà " (Mt 6, 3-4). Abbiate questa delicatezza, quando fate del bene. Meditiamo su queste belle parole del vangelo. Quando facciamo del bene, non permettiamoci nemmeno che attraversi l’anticamera del nostro cervello un pensiero di autocompiacimento come questo: "Figliolo, hai fatto bene, sei bravo, hai scelto i poveri, quindi sei benedetto da Dio". Questo è fariseismo.
Bisogna servire i poveri, perché essi sono Cristo. Non bisogna però servirli per conseguire i nostri scopi, per metterci in mostra o — peggio ancora — per aumentare le tensioni sociali e sovvertire le istituzioni. Che orrore, cari fratelli, quando un sacerdote, ministro di Dio, si fa ministro dell’odio sociale!
I santi della vera carità soprannaturale, della carità di Cristo, come san Francesco Caracciolo, c’insegnano lo spirito dell’amore divino. Come dice l’Aquinate, un cristiano, quando dà l’elemosina al povero, si propone non solo di sollevarlo dalle sue difficoltà, ma anche di realizzare una finalità più alta, infinitamente più alta: cerca cioè di aiutarlo nel corpo per sollevare il suo spirito. È questa la differenza tra la carità vera e la filantropia. Certo, anche la filantropia è un bel sentimento, ma non porta in paradiso. Anche i pagani erano filantropi, cosa bella, ma non sufficiente. Bisogna amare i poveri, bisogna essere — come si dice oggi — solidali con i poveri, essere in "[...]", come sostenevano gli antichi greci, con le loro necessità, vedere in loro il Cristo sofferente e aiutarli non semplicemente perché abbiano da mangiare, da vestire, dove alloggiare ecc., ma perché, avendo tutto questo, possano lodare e benedire il Signore. La lode di Dio è il fine di ogni atto di carità. Quindi impariamo da san Francesco Caracciolo la carità soprannaturale, la carità vera, la carità delicata, la carità discreta, cosicché la mano sinistra non sappia quello che fa la destra.
San Francesco Caracciolo morì relativamente giovane: aveva 45 anni. Il quarto capitolo del libro della Sapienza dice che, se uno muore giovane, non è una sciagura, anzi. Il Signore tanto ha amato la sua anima, da prenderla presto con sé. "Il giusto, divenuto caro a Dio, fu amato da lui e, poiché viveva tra i peccatori, fu trasferito. Fu rapito, perché la malizia non ne mutasse i sentimenti o l’inganno non ne traviasse l’animo, poiché il fascino del vizio deturpa anche il bene e il turbine della passione travolge una mente semplice" (Sap 4, 10-12). Com’è ben descritta la vita dell’uomo che vuole servire il Signore! Il testo dice anche: " Vecchiaia veneranda non è la longevità, né si calcola dal numero degli anni; ma la canizie per gli uomini sta nella sapienza; e un’età senile è una vita senza macchia [et aetas senectutis vita immaculata] (Sap 4, 8-9). Com’è saggio questo! Per dirlo, l’autore del libro della Sapienza ha dovuto lottare parecchio contro la mentalità degli antichi. A differenza della moderna mentalità "cronolatrica", come diceva il Maritain [= mentalità in adorazione dei giovani], la mentalità degli antichi era "gerontolatrica", cioè in adorazione degli anziani. Il sapiente era il vecchio. In presenza degli anziani i giovani non si permettevano di aprire bocca, perché spettava al sene dire la parola di saggezza. Era lui che aveva l’esperienza e la prudenza. Questa mentalità, in fondo buona, fu condivisa anche da Platone, il quale disse che l’età migliore per fare filosofia era dopo i 60 anni. Quindi ogni età ha i suoi pregi. Purtroppo oggi l’anziano spesso si lamenta: " Ho tanti acciacchi! " e non pensa alla sua anima, che diventa sempre più piena di valori spirituali e quindi di saggezza. Si tratta di invecchiare bene: nella sapienza, non solo negli anni. Allora si accumula prudenza e ci si prepara all’eternità.
Il libro della Sapienza dice che la saggezza dell’uomo non si basa sul numero degli anni, ma su una vita immacolata, cioè su una vita eticamente corretta. Poi prosegue: Placens Deo factus est dilectus et vivens inter peccatores translatus est [= Divenuto caro a Dio, fu amato da lui e, poiché viveva fra peccatori, fu trasferito (Sap 4, 10)]. Ecco il favore che il Signore fa alle anime sante! Permette che il giusto viva inter peccatores, in mezzo alle insidie e alle difficoltà del mondo presente, ma poi translatus est, è trasferito dal Signore, che lo vuole con sé. Secondo questo passo della Scrittura, c’è una crescita dell’amore di Dio verso i suoi prediletti (cosa molto misteriosa, non facile da spiegare). Il giusto, piacendo al Signore, gli diviene sempre più caro. È come se il Signore si innamorasse sempre più di quell’anima santa. Voi sapete, cari fratelli, che Dio non suppone il bene che ama, anzi con il suo amore produce quello stesso bene amando. Mentre il nostro amore umano dipende dal bene amato, l’amore del Signore non dipende dal bene che ama, ma anzi crea il bene che ama. Quindi ci potrebbe lasciare allibiti l’espressione: Placens Deo factus est dilectus [= (Il giusto), divenuto caro a Dio, fu amato da lui]. Però io penso che lì si celi il grande mistero della nostra libertà. La nostra libertà — sarei un domenicano da poco se vi dicessi qualche cosa di diverso — è tutta avvolta dalla grazia di Dio. Però nel contempo, in un modo che noi stentiamo a capire fino in fondo, il Signore, non perché dipenda dal nostro libero arbitrio, ma perché vuole per sua iniziativa rendersi dipendente da esso, aspetta la nostra risposta. Qui c’è l’iniziativa nostra. Certo, metafisicamente parlando, essa è sempre sostenuta dalla grazia preveniente (devo dir questo per non apparire gesuita, ma domenicano), ma non ostante ciò, le nostre scelte sono sempre libere. Mi commuove pensare al fatto che Dio si rende tanto debole davanti all’uomo da non fargli mai violenza e da aspettare la sua risposta.
Cari fratelli, come è grande Dio nel suo amore! Egli permette il peccato, perché, avendo creato l’uomo libero, ovviamente gli lascia anche la possibilità di scegliere il male. I buoni, quando scelgono il bene illuminati dalla grazia di Dio, diventano sempre più buoni (nonché sempre più cari a Dio).
Chiediamo al festeggiato di oggi, san Francesco Caracciolo, che ci impetri dal Signore non solo l’amore soprannaturale di Dio, ma anche la sua crescita, consapevoli — come attesta il libro dei Proverbi — che tale amore assomiglia alla luce dell’alba, "che aumenta lo splendore fino al meriggio" (Pr 4, 18) e così sia.