-
In queste ore drammatiche, assistiamo, dolenti ed impotenti, agli sviluppi ultimi e agli esiziali contorni che sta assumendo la vicenda del piccolo Charlie Gard, il neonato inglese di 10 mesi affetto da Sindrome dell’encefalomiopatia mitocondriale ad esordio infantile, il quale, sulla base di distinte statuizioni giudiziarie emesse da tre differenti Corti inglesi, di diverso grado, e da ultimo dalla stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dovrebbe essere accompagnato alla morte per mezzo del distacco dalla macchina che ne assicura la ventilazione meccanica e della contestuale interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiali, non prima di avergli procurato uno stato di sedazione profonda.
Nei differenti gradi di giudizio, le Corti inglesi hanno ribadito che il processo di decadimento generale delle condizioni cliniche di Charlie e, con esso, il deterioramento progressivo ed inarrestabile della funzionalità degli organi che presiedono alle funzioni vitali, primi tra tutti quelli respiratori, inducono a credere che qualsiasi decisione relativa ad ulteriori azioni che prolungassero simili condizioni di vita, sarebbe da giudicare illegittima, dacché non assunta nell’effettivo, migliore interesse del piccolo, ma piuttosto volta ad aumentare, nel tempo e nell’intensità, il dolore e le sofferenze dello stesso. Quello che più sorprende è che la stessa idea di sottoporre Charlie ad un protocollo sperimentale di terapie nucleosidiche che si sta mettendo a punto negli Stati Uniti, proposta a più riprese avanzata dai genitori, è stata considerata inattuabile, meglio ancora “futile”, dai consulenti medici interpellati dai giudici, a fronte dell’esigenza, questa sì impellente, di voler dare un’esecuzione immediata e definitiva ai dispositivi unanimi delle sentenze fin qui pronunciate.
Sembra che tutto abbia concorso, negli ultimi sei mesi, a realizzare una sorta di “accanimento tanatologico” nei confronti del piccolo Charlie, una gara, da parte di giudici e medici, volta ad assicurare la soluzione più rapida possibile al suo caso, mettendo a tacere ogni rigurgito di speranza dei genitori, così come ogni spiraglio di luce sulla possibilità di successo di una terapia che, benché sperimentata solamente sui topi e per un ceppo di malattie diverse da quella sofferta dal neonato inglese, a detta dello stesso Professore responsabile della sperimentazione in corso negli USA, interpellato ad hoc dai genitori di Charlie, avrebbe potuto, almeno teoricamente, apportare benefici alle sue condizioni generali di salute. Vero è che dopo che veniva richiesta l’autorizzazione per procedere alla sperimentazione della terapia su Charlie, nel gennaio scorso, l’encefalopatia epilettica di cui soffre creava, attraverso reiterate crisi, ulteriori e gravi danni celebrali; tuttavia quello che qui si vuole discutere attiene piuttosto, e sempre, alla possibilità di decidere quando e come mettere fine alla vita di un essere umano indifeso. All’uopo, pare opportuno considerare alcuni punti critici che emergono dalla considerazione complessiva di questa vicenda, per molti aspetti paradigmatica.
1. L’inguaribilità non può mai essere confusa con l’incurabilità: una persona affetta da una male ritenuto, allo stato attuale della medicina, inguaribile, è paradossalmente il soggetto che più di ogni altro ha diritto di chiedere ed ottenere assistenza e cura, attenzione e dedizione continue: si tratta di un fondamento cardine dell’etica della cura, che ha come principali destinatari proprio coloro che versano in uno stato di vulnerabilità, di minorità, di debolezza maggiore. E Charles rappresenta paradigmaticamente l’esempio di chi ha diritto di essere assistito in ogni fase della sua malattia, in ragione dello stato di necessità, legato all’età e alla malattia, che vive. Il volto umano della medicina si manifesta proprio nella pratica clinica del “prendersi cura” della vita del sofferente e del malato.
2. Il diritto ad essere continuativamente oggetto, o meglio ancora, soggetto delle attenzioni e delle cure da parte di familiari e non, risiede nella dignità di cui una persona umana, anche se neonata, malata e sofferente, mai cessa di essere titolare. È l’essere sostanziale dell’uomo e le sue potenze che fondano questa dignità, non solo le sue concrete ed accidentali attualizzazioni. Questo è quello che si intende per “dignità puramente ontologica della persona”, uno status che prescinde completamente dalla facoltà di utilizzare attivamente le facoltà squisitamente proprie di un essere razionale, bastando che le stesse esistano come potenzialità attuali ed eventualmente attuabili dell’essere razionale medesimo.
3. L’alimentazione-idratazione artificiali mediante sondino naso-gastrico, in nessun caso potrà considerarsi come terapia. Non è tale per l’artificialità del mezzo usato per somministrarla, dato che non si considera terapia dare il latte al neonato con l’ausilio di un biberon. Non è tale per i processi per mezzo dei quali vengono prodotti questi alimenti, dacché non si considera terapia il latte in polvere, per esempio, la cui produzione ugualmente risente di un procedimento industriale lungo e completamente meccanizzato. Non lo è per il fatto che la sacca parenterale viene prescritta da uno specialista medico, visto che lo stesso acquisto del latte artificiale è subordinato a prescrizione medica del pediatra. Acqua e cibo non diventano presidi medici per il solo fatto che vengono somministrati artificialmente, quindi interromperli non è come sospendere una terapia, ma è un lasciar morire di fame e di sete chi semplicemente non è in grado di alimentarsi autonomamente
4. L’idea cardine che fonda il consenso informato ha a che fare con il principio per cui il paziente non è mai un individuo anonimo cui vengono applicate determinate conoscenze tecniche, ma un soggetto cosciente e responsabile che deve essere chiamato a condividere la messa a punto di quanto necessario ad occasionare un miglioramento della propria salute ed eventualmente il raggiungimento di un obiettivo di guarigione e di cura. Questo implica la necessità che sia coinvolto nei processi decisionali che lo riguardano, in una relazione dialogica che eviti che si venga a trovare nella condizione di dover subire passivamente decisione e scelte altrui. La vicenda del piccolo Charlie, prova al contrario come si sia determinata nel corso del tempo una dinamica di sostanziale scollamento tra le decisioni dell’equipe medica e la volontà dei suoi genitori, come si evince emblematicamente dall’ultimo divieto loro imposto, quello cioè di poter trasportare, per veder morire, in casa loro, il proprio figlio.
5. Il divieto di sottoporre Charlie al trattamento sperimentale in nessun caso può essere giustificato facendo appello allo stato di sofferenza che lo stesso si trova attualmente a vivere. È ben possibile che la terapia sperimentale non avrebbe dato i risultati medici attesi, ma è altrettanto vero che le sofferenze di Charlie domandano un approccio palliativo integrale e sistematico che ipoteticamente avrebbe potuto accompagnarsi alla sperimentazione stessa. La preclusione dell’accesso a tali terapie, è stata motivata sia nel nome dell’inutilità prognostica delle stesse -aspetto la cui alea rientra nei parametri di incertezza assolutamente e ordinariamente propri di ogni terapia sperimentale-, sia in quello della necessità di risparmiargli quelle sofferenze ulteriori che il prolungare la vita in tali condizione avrebbe potuto generare: dunque la prospettiva anche solo remota di lasciare in vita Charlie, o addirittura di prolungare il tempo della sua vita per mezzo della terapia sperimentale, è stata aprioristicamente ritenuta una prospettiva non praticabile, nel nome della necessità di evitargli sofferenze ulteriori, e questo non per mezzo di adeguate soluzione palliative, ma per mezzo della morte indotta.
6. Il principio del migliore interesse del minore, che le Carte internazionali pongono al centro dei meccanismi di tutela degli stessi e che le stesse Corti inglesi hanno assunto a giustificazione cardine delle loro decisioni, crediamo difficilmente implichi, o meglio, legittimi una forma di eutanasia passiva come quella che si è deciso di praticare sul piccolo Charlie. Crediamo che il suo migliore interesse vada nella direzione di assicurargli un’esistenza il più possibile degna, mediante una opportuna strategia antalgica che permetta di tenere sotto controllo il dolore, se davvero dovesse risultare non possibile percorrere la strada di accedere al protocollo sperimentale già in corso negli USA. Che è poi esattamente quanto hanno ininterrottamente richiesto i genitori di Charlie fino ad oggi.
7. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha incredibilmente glissato su tutti gli aspetti contenutistici elencati fin qui ed anzi sembrerebbe essere andata oltre, assumendo una postura puramente proceduralista, nel nome del principio del margine di apprezzamento. Se da un lato ha fatto osservare, nella sentenza che reca la data del 28 giugno scorso, che le decisioni delle Corti nazionali inglesi in nessun modo integravano una violazione degli articoli 2, 6, e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, confermando dunque la correttezza formale del loro operato, dall’altro ha ritenuto di non dover entrare nel merito della vicenda della sospensione dell’alimentazione-idratazione-respirazione artificiale nel nome di quell’autonomia sovrana degli Stati membri che li autorizzerebbe a disciplinare a piacimento i temi dai risvolti eticamente più complicati, come è il caso della praticabilità o meno dell’eutanasia passiva su un neonato. E questo ad onta del fatto che il combinato disposto degli articoli 2 e 8 della Convenzione statuisca chiarissimamente il divieto di privare deliberatamente chicchessia del bene fondamentale della vita.
8. Non è chi non veda come dietro ogni aspetto di questa vicenda, si celi, quantunque mai menzionata, un’idea di efficienza nella gestione delle risorse sanitarie che induce a disporre delle stesse in un modo che non può non generare una strisciante cultura dello scarto. In una società che annovera un fenomeno crescente di medicalizzazione delle malattie e insieme ad numero sempre in aumento di persone anziane, con il seguito di malattie degenerative che essi portano con sé, la risorse sempre più scarse destinate al sistema sanitario dai governi nazionali, alimenta una cultura aziendalistica che fa dell’efficientismo ad ogni costo il suo primario, vitale, esclusivo obiettivo, ingigantendo di conseguenza il numero di quelli che, marginalizzati a ragione delle loro aspettative di vita, sono identificati come scarti da eliminare, se possibile.
9. Di più ancora inquieta la leggerezza con cui si accetta il paradigma della qualità della vita, ovvero quel modello culturale che inclina a riconoscere la non dignità di alcune esistenze umane, completamente identificate e confuse con la patologia di cui sono portatrici o con le sofferenze che ad essa si accompagnano. Giammai un malato può essere ridotto alla sua patologia, giacché ogni essere umano non cessa, un solo istante e ad onta della sua condizione di malattia e/o di sofferenza, di essere un universo incommensurabile di senso che merita in ogni istante l’attenzione china di chi vuole incondizionatamente il suo bene e non si rassegna a considerare la sua come un’esistenza di serie B per il solo fatto di versare nel bisogno, nella necessità, nella sofferenza. Un’esistenza alla quale si farebbe un favore cancellandola definitivamente. E questo vale tanto più nel caso di quanti non possono, o non possono più, esprimere quelle che sono e quello che sentono, come nel caso del piccolo Charlie.
10. Nella trasparenza delle posture schizofreniche implicate da questi nuovi paradigmi culturali, si può cogliere l’ambivalenza di chi, nel rivendicare la libertà di accesso totale ed indiscriminata all’eutanasia, basandola sull’esclusivo predominio dell’autonomia individuale, nega allo stesso tempo quell’autonomia decisionale in altri casi, come quello in esame, dove si ritiene che siano legittimati a decidere i soli medici, senza coinvolgimento alcuno dei genitori. L’ambivalenza di chi pensa sia giusto che i medici versino nella condizione di poter elargire ancora un margine di tempo ai genitori per consentire loro di elaborare il distacco dal figlio, permettendogli così di permanere in sua compagnia, e non pensa invece a quanto lo necessiterebbero le madri surrogate che vengono deprivate dei loro feti, subito dopo la nascita, per assecondare i desideri dei relativi “locatori di ventre”. L’ambivalenza di chi pensa a tutelare la dignità della vita di un soggetto, negandogli la vita stessa, che è il fondamento principe non solo della dignità dell’uomo, ma di ogni altro riconoscimento che possa essere fatto a suo favore. L’ambivalenza di chi si batte per la difesa giudiziaria, istituzionale, internazionale dei diritti dei più deboli, nella cornice di ordinamenti democratici, e poi accetta di buon grado di veder legalizzata o giuridicizzata l’eutanasia, praticata finanche sui più piccoli, sui più deboli, sui più bisognosi.
+ Elio Sgreccia
2 luglio 2017, da:
[www.ildonodellavita.it]
-
Sto notando, tra i credenti, il diffondersi di un fenomeno nuovo. O, meglio, di una nuova figura. Lo chiamerei il «cattolico errante».
Si tratta di un bravo cattolico, un po’ di tutte le età e le condizioni sociali, che vaga di chiesa in chiesa, di parrocchia in parrocchia. Perché lo fa?
Perché, stanco di liturgie sciatte e di chiese brutte, di preti iperattivi o apatici, di parrocchiani sovreccitati o depressi, cerca una chiesa che sia semplicemente normale, con un prete che sia semplicemente prete, una liturgia semplicemente dignitosa, un edificio semplicemente rispettoso del sacro, fedeli semplicemente beneducati.
Il cattolico errante non ha molte pretese. In genere non è un tradizionalista. Anzi, cresciuto nella Chiesa del post Concilio, ne ha assimilato tutto il buono che c’è. Però è stanco, molto stanco.
Non sopporta più le degenerazioni nate da una lettura distorta del Concilio, non gli va più di convivere con ignoranza e superficialità.
Non ne può più di musica per nulla sacra, cori stonati, altoparlanti da discoteca, licenze assurde nella celebrazione.
Non sopporta più fedeli chiassosi e sbracati.
Non ne può più di chiese orrende, preti che celebrano con le scarpe da ginnastica, tazebao appesi tra una Madonna e un San Giuseppe.
Non accetta più di subire omelie irrimediabilmente scontate o troppo immaginifiche.
Non gli va più di fare i conti con parroci che sbrigano la messa come fosse una pratica amministrativa o che la trasformano in spettacolo.
Ed è anche stanco di essere guardato come un provocatore ogni volta che osa dire come la pensa.
Così si mette in viaggio e diventa un cattolico errante.
Il suo obiettivo è naturalmente quello di tornare a essere un cattolico stanziale, e c’è da dire che spesso ci riesce. Per quanto grami, infatti, questi nostri tempi non sono disperati. Ci sono ancora tanti preti semplici e assennati, alla guida di parrocchie normali nel senso migliore del termine. Ci sono ancora tanti bravi predicatori. C’è ancora attenzione per la coerenza liturgica, per il bel canto, per la musica davvero sacra. Però sono tesori che vanno cercati. E il metodo più utilizzato dal cattolico errante è il passaparola. Come nel seguente esempio di dialogo tra un ex cattolico errante tornato stanziale, che chiameremo Tizio, e un cattolico stanziale che sta per diventare errante, e chiameremo Caio.
Tizio: Ciao Caio!
Caio: Ciao Tizio!
Tizio: Lo sai che ho trovato una bella parrocchia? La Chiesa non è né troppo piccola né troppo grande e l’acustica è perfetta, tanto che non c’è bisogno di altoparlanti. I canti sono stupendi, qualcuno perfino in latino. Niente chitarre, niente tamburi. Pensa che i fedeli, quando entrano ed escono, si inginocchiano! E nessuno si mette a chiacchierare come se si trovasse nella piazza del mercato.
Caio: Ma no? Non ci posso credere!
Tizio: Te l’assicuro, è tutto vero! E il parroco non è un attivista. Niente lotterie, niente viaggi, niente iniziative strane. Non è neanche logorroico. Solo preghiera, adorazione eucaristica e catechismo. E tanta cura per la liturgia. E tante ore trascorse nel confessionale.
Caio: Ma guarda! Sembra impossibile!
Tizio: Anche a me sembrava impossibile. Poi ho trovato questa parrocchia e mi è tornata la voglia di andare in chiesa. E ancora non ti ho detto delle prediche: bellissime! Il parroco non è malato di protagonismo, né monomaniacale. Si limita a commentare il Vangelo del giorno e ogni volta lo fa con semplicità, ma senza diventare banale. E sa farsi ascoltare da tutti, bambini e vecchi, colti e meno colti!
Caio: Dimmi subito dove si trova questa parrocchia!
Ecco, le cose più o meno vanno così. Certo, il traffico un po’ ne risente, perché tutti questi cattolici erranti sono costretti a spostarsi percorrendo molti chilometri. Ma ne vale la pena.
Anche se il cattolico errante spesso non lo sa (perché è una persona semplice, mossa solo dalla sua fede e dal desiderio del bello e del sacro), il «Codice di diritto canonico» sta dalla sua parte. Il Codice infatti riconosce non solo il diritto di ricevere dai pastori l’aiuto derivante dai beni spirituali della Chiesa, specie attraverso la Parola di Dio e i sacramenti, ma anche «il diritto di rendere culto a Dio secondo le disposizioni del proprio rito approvato dai legittimi pastori della Chiesa e di seguire un proprio metodo di vita spirituale, che sia però conforme alla dottrina della Chiesa». Quindi c’è un diritto a evitare le storture, le stranezze e le ambiguità, per non parlare delle vere e proprie profanazioni.
In realtà il Codice dice che le aberrazioni liturgiche vanno anche segnalate e denunciate, e che anzi, per il cattolico, questo è un preciso dovere. Ma il cattolico errante, mosso da pietà, spesso preferisce stendere un velo pietoso e, anziché scrivere al vescovo ed esporre le sue lagnanze, si mette in viaggio.
Il cattolico errante, insomma, non fa che cercare ciò che gli spetta. Lo spiega molto bene anche il liturgista don Nicola Bux in quel prezioso libro che è «Come andare a messa e non perdere la fede», dove ricorda che in tutti i casi in cui la comunità, anziché lodare Dio, celebra se stessa (per dirla con Joseph Ratzinger, trasforma la liturgia in «una danza vuota intorno al vitello d’oro che siamo noi stessi»), occorre reagire.
Pochi lo sanno, e don Bux giustamente lo sottolinea: nell’istruzione «Redemptionis sacramentum» del 2004, approntata dalla Congregazione per il culto divino d’intesa con quella per la dottrina della fede, si legge che tutti i fedeli «godono del diritto di avere una liturgia vera e in particolar modo una celebrazione della santa messa che sia così come la Chiesa ha voluto e stabilito, come prescritto nei libri liturgici e dalle altre leggi e norme». Dunque niente fantasie, niente aggiunte, niente travisamenti, perché «il popolo cattolico ha il diritto che si celebri per esso in modo integro il sacrificio della santa messa, in piena conformità con la dottrina del magistero della Chiesa».
Oggi, 7 luglio 2017, sono passati dieci anni esatti dalla lettera apostolica in forma di motu proprio «Summorum pontificum» di Benedetto XVI, che, insieme all’istruzione «Universae Ecclesiae», ha permesso il moltiplicarsi delle messe in rito antico, secondo un’esigenza sempre più diffusa. La data è dunque propizia per ricordare che per secoli la Chiesa, specie attraverso l’arte, la musica, l’architettura, ha orientato tutto alla gloria di Dio, alla preghiera, alla salvaguardia della dottrina. Poi, improvvisamente, un’idea distorta di aggiornamento ha dato inizio agli orrori.
Farne l’elenco non è necessario. Delle chiese bruttissime e dei tabernacoli spariti, o messi in un angolo, ci siamo già occupati in un’altra occasione. Qui vorrei solo sottolineare la verbosità che ha fatto irruzione nella celebrazione della messa. Verbosità vuol dire che si chiacchiera troppo, si prega poco e si adora ancor meno. Don Bux scrive che la messa «non è una conferenza dove devi capire tutto», quindi è inutile che il celebrante si affanni a spiegare ogni cosa, in modo didascalico, quasi desacralizzando la liturgia. «Il linguaggio liturgico non può essere quello quotidiano» e «comprendere la realtà della liturgia è diverso dal comprendere le parole». Occorre lasciare spazio al mistero e lasciarsi prendere dal mistero. San Bonaventura arriva a dire che durante la liturgia bisogna sospendere l’attività intellettuale. La liturgia è essenzialmente adorazione di Dio.
Un’annotazione va fatta sul ruolo della comunità, del popolo di Dio. Che partecipa alla messa, ma, attenzione, non è il soggetto della messa. Tanto è vero che il celebrante può benissimo essere da solo e la messa è pienamente valida. Quindi, se va evitato il protagonismo del celebrante, va evitato anche quello dell’assemblea, altrimenti c’è davvero il rischio che l’azione liturgica diventi spettacolo rispetto al quale tutti sono desiderosi di dare un contributo. Partecipare non vuol dire gareggiare nel protagonismo, ma stare al proprio posto, con discrezione. Un malinteso senso della partecipazione porta a coinvolgere il popolo in modo improprio. «Partecipare attivamente significa cooperare intimamente con la grazia di Dio; non è attività esteriore».
Bellissime poi le pagine nelle quali don Bux spiega la necessità e il significato dell’inginocchiarsi. Vangelo e Atti degli apostoli ci dicono che Gesù, Pietro, Paolo e Stefano hanno pregato in ginocchio. «Tutta la creazione piega le ginocchia nel nome di Gesù (cfr Filippesi 2,10), segno della signoria di Dio sul mondo. In tale gesto di verità si inserisce la Chiesa nel glorificare Gesù Cristo». L’inginocchiarsi, il genuflettersi e l’inchinarsi sono atti di culto esterno, certamente, ma anche di fede. Ci aiutano nella preghiera e nell’adorazione. Come scrisse Romano Guardini: «Quando entri in chiesa o ne esci, piega il tuo ginocchio profondamente, lentamente; ché questo ha da significare: “Mio grande Iddio!…”. Ciò infatti è umiltà ed è verità ed ogni volta farà bene all’anima tua».
Sì, ci farà bene. Come il silenzio, il «sacro silenzio», che è esso stesso preghiera e manifestazione di fede e adorazione. Quel silenzio che oggi è così negletto nelle celebrazioni piene di clamore, nelle quali si arriva perfino all’applauso. Come se l’azione liturgica, al pari di uno spettacolo, dovesse procurare emozioni e non aiutarci a entrare nel mistero permanente di Cristo sulla croce.
Insomma, il cattolico errante ha tutto il diritto di mettersi alla ricerca di liturgie pulite, sobrie, essenziali, belle, efficaci. Ed è comprensibile che, una volta trovato un tesoro così grande, lo voglia condividere.
Aldo Maria Valli
da:
[www.aldomariavalli.it]
-
Londra, 21 giugno 1717: in occasione della celebrazione del Solstizio d’estate, viene fondata la prima Loggia Massonica. E’ l’inizio di una storia che compie oggi tre secoli, e che sarà ampiamente ricordata, e in modi molto diversi. Magari anche con strani silenzi, come quello della Chiesa, che pure della Massoneria è stata la prima e principale antagonista, il primo e principale obiettivo dei disegni strategici delle Logge. Basti pensare all’Italia, e al ruolo giocata dall’organizzazione segreta per tutto l’800 per realizzare la più importante aspirazione della Massoneria, l’utopia più coltivata: quella di distruggere il Cristianesimo e sostituirlo con un culto neo-gnostico, con aspetti esoterici per gli iniziati e con una dimensione essoterica, pubblica, per il popolo. Il grande scontro che ebbe luogo nell’Italia dell’800 non era solo per dar vita ad una nuova entità statale, un paese dalla media importanza strategica proteso nel Mare Mediterraneo, ma era una battaglia preparata da lungo tempo per sconfiggere la Roma cristiana, la sede del Vicario di Cristo.
La Massoneria nacque dunque ufficialmente nel 1717 a Londra, e da lì a poco tempo l’Inghilterra e la Francia si riempirono di logge – i circoli dove si riunivano i seguaci dell’organizzazione- che presto figliarono in tutta Europa. Esse agivano attraverso iniziati, secondo un progetto che prevedeva, dapprima, l’organizzazione di moti patriottico-cospirativi contro i governi chiamati “reazionari e oscurantisti”, finalizzati alla loro distruzione, per poi mettere mano alla costruzione di un edificio legislativo che – nei disegni dell’organizzazione- avrebbe dovuto garantire l’abbondanza per tutti, l’eguaglianza per tutti, la libertà per tutti, e il cui fine ultimo avrebbe dovuto essere l’erigere la Casa di tutti i popoli, il Tempio dell’umanità.
Questa l’utopia massonica, un sogno della ragione dal quale sono nati gli incubi della Rivoluzione francese, dei nazionalismi, dei socialismi realizzati, dei regimi antireligiosi dell’America Latina – primo fra tutti il Messico massacratore di cristiani – ed in ultimo del Governo Unico Mondiale, e che incontrò subito un nemico irriducibile: la Chiesa cattolica. Fin dal 1738, a soli vent’anni dalla sua costituzione, la Massoneria incorse nei fulmini di Roma.
Qui vogliamo ricordare che il merito di questa decisione va ascritto ad un pontefice, Clemente XII, e ad un sovrano scozzese in esilio, Giacomo VIII Stuart, noto come The Old Pretender, padre del protagonista dell’ultima sfortunata epopea scozzese, il Bonnie Prince Charlie. Tra i partigiani inglesi della causa degli Stuart si era infiltrata la Massoneria, e ciò a motivo dell’antichissimo lignaggio di questa nobile casata e il potere regale ad essa legato ( si riteneva che gli Stuart possedessero le prerogative degli antichi re taumaturghi, compreso il tocco di guarigione) che affascinavano gli ambienti iniziatici ed esoterici. Giacomo Stuart, uomo di profondissima fede che aveva scelto Roma come sede del proprio esilio, respinse le seducenti offerte dei circoli massonici, e compresane la pericolosità, segnalò al Papa i progetti e le trame della setta.
L’anziano pontefice, Clemente XII al secolo Lorenzo Corsini, ottuagenario e quasi cieco, ascoltò gli avvertimenti dello Stuart e il 28 aprile 1738 emanò una costituzione con la quale si scomunicavano tutti i membri della Massoneria. I vescovi furono chiamati a vigilare attentamente. Il 14 gennaio 1739 fu pubblicato un nuovo decreto che colpiva duramente la setta. Era l’inizio di un lungo scontro destinato a durare sino ad oggi. Tra i primi a subire le vendette massoniche furono gli Stuart: nessun aiuto venne loro nel tentativo di riconquista della Scozia da parte di possibili alleati, come i sovrani di Spagna o Francia, che tuttavia avrebbero, di lì a non molto, pagato a caro prezzo la connivenza con le nuove idee.
La conquista di Roma e la sconfitta della Chiesa divennero dunque l’ossessiva aspirazione della setta. Per realizzare questo obiettivo, tuttavia, era necessario che l’organizzazione prendesse saldamente piede negli Stati della penisola. Il 20 giugno 1805 venne così costituito il primo Grande Oriente d’Italia.
Il secolo XIX vede in Italia una formicolante attività di società segrete collegate in vario modo ai princìpi massonici. Vi aderivano soprattutto militari, avvocati, notai, giudici, medici, farmacisti, imprenditori: una irrequieta borghesia provinciale con caratteristiche che variavano a seconda della geografia e della filosofia politica: un gradualismo monarchico e moderato nel Meridione, istanze socialmente più avanzate e repubblicanesimo nel Nord. Appartenevano ad organizzazioni chiamate Società degli Adelfi (che in greco significa fratelli) oppure Sublimi Maestri Perfetti fino alla più celebre Carboneria.
Nell’immagina allegorica del carbonaio è evidente la derivazione massonica: col fuoco del carbone si ottiene la purificazione, mediante un’operazione di tipo alchemico attuata in tre fasi: l’opera al nero, l’opera al rosso, l’opera al bianco. Lo scopo dell’organizzazione politico-iniziatica era – secondo i suoi statuti- di “liberare la foresta dai lupi”, ovvero liberare l’umanità dai tiranni, e ciò educando gli uomini alle virtù del perfetto cittadino. In questo ambito spiritualista viene concepita l’idea di “risorgimento”: “Il simbolo iniziatici della “Rinascita” (o “carbonizzazione”) veniva assimilato dalla Carboneria allo schema cristiano della salvezza, il dramma-catarsi del Calvario: passione-morte-risurrezione. Un simbolo che, nel particolare contesto storico, si caricava anche di motivazioni sociali; sì che la rigenerazione morale riguardava non solo l’individuo ma pure l’intero popolo, sino a diventare istanza di cambiamento politico: la rinascita del popolo diveniva il programma del suo risorgere spirituale e politico, ovvero il suo Risorgimento, il nome che poi assunse l’intero evento storico, un nome nato dal patrimonio semantico massonico e carbonaro.”
In una lettera al cardinale Fornari scritta il 19 giugno 1852, il grande filosofo spagnolo Donoso Cortés scriveva che la Rivoluzione è, essenzialmente, un fenomeno teologico. Le rivoluzioni degli ultimi due secoli hanno pienamente confermato questa affermazione: dai giacobini francesi ai comunisti sovietici, transitando per nazionalismi vari fino al nazionalsocialismo, non c’è stata ideologia che non abbia avuto un substrato teologico, una visione impazzita del sacro e del divino.
La caduta delle cosiddette monarchie assolutiste portò alla creazione degli Stati nazionali, i quali – a dispetto dei propositi progressisti e umanitari dei rivoluzionari – erano ancora più accentratori e burocratici dei precedenti, a tutto danno delle comunità locali e dei corpi intermedi, preparando così gli scenari per i colossali scontri di popoli che nel ‘900 avrebbero coinvolto l’intera umanità. L’abbattimento delle autonomie locali e la conseguente cancellazione delle antichissime comunioni agrarie che costituivano la vera base economica delle società tradizionali e fornivano mezzi di sostentamento anche ai meno agiati, chiuse i popoli in una letale tenaglia costituita da una parte dallo statalismo vampirizzatore e dall’altra dall’individualismo che esaltava ed esasperava, nel nome del liberismo, il principio della proprietà individuale, fino a sconvolgere la vita sociale di gran parte dell’Europa.
Un ulteriore contributo al dissolvimento delle antiche strutture civiche venne, nell’800, al processo di forzata e massiccia urbanizzazione che spopolò le campagne e riempì le città di persone ritornate alla condizione servile, come scrive il grande studioso anglo-francese Hilaire Belloc, nel suo saggio Lo Stato servile ( Liberilibri, Macerata 1993): “Definiamo Stato servile l’ordinamento di una società nella quale il numero di famiglie e di individui costretti dalla legge a lavorare a beneficio di altre famiglie e individui è tanto grande da far sì che questo lavoro si imprima sull’intera comunità come un marchio”. Mentre le utopie rivoluzionarie teorizzavano l’abbattimento dei tiranni e la liberazione degli individui dalle catene dell’ignoranza e della superstizione, la realtà fu che gli uomini vennero ridotti ad anonimi fattori di produzione, destinati ad essere materiale umano a basso prezzo sul mercato del lavoro, buono per essere sfruttato senza scrupoli nel quadro della rivoluzione industriale, la quale doveva sostenere i sogni scientisti e prometeici di inebrianti avventure tecnologiche, col risultato di sradicare milioni di persone dalla loro terra, dai loro usi e costumi e dalle loro tradizioni, specialmente religiose, stipandoli in condizioni subumane in degradanti periferie. Quelle che la Chiesa ora giustamente mette al centro della propria azione pastorale, ma di cui farebbe bene anche a rivelare origini e cause.
Anche questo è un modo per ricordare i trecento anni della Setta.
Paolo Gulisano
DA
[www.domus-europa.eu]
-
... SENZA OBIEZIONE DI COSCIENZA
Il 20 aprile è stato approvato dalla Camera dei deputati il disegno di legge recante “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, ora in attesa della decisione del Senato.
Per una valutazione non è privo di significato che il disegno di legge sia stato presentato all’opinione pubblica sotto il nome di biotestamento per evidenziare (sul punto si è battuto molto) la necessità di una legge che garantisca il diritto di tutti, anche di chi abbia perduto in tutto o in parte (o mai posseduto) la capacità di intendere e valore, all’autodeterminazione in materia sanitaria, in particolare con riguardo al momento finale dell’esistenza. Il presupposto dell’intera costruzione è, quindi, costituito dal consenso informato, in realtà da tempo presente nel nostro ordinamento giuridico, ma ora ridisciplinato dall’articolo 1. Pur nella piena consapevolezza della importanza degli articoli 3 (Minori e incapaci) e 4 (Disposizioni anticipate di trattamento) essenziali per capire lo scopo “politico” perseguito dal legislatore, è l’esame dell’art. 1 (al quale ora ci si limita anche per ragioni di spazio) a porre le questioni essenziali per una valutazione “giuridica” del provvedimento: 1) si tratta di una via italiana all’eutanasia?, 2) sono state previste forme di obiezione di coscienza e, se no, era (ed è) necessario prevederle?
In realtà molte delle disposizioni di cui all’art. 1 sono più che altro integrative o riepilogative dell’esistente. Non bastasse l’art. 32 della Costituzione, l’Italia ha aderito da tempo alla Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedica varata ad Oviedo il 4 aprile 1997, che all’art. 5 stabilisce che ogni “intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato”, liberamente revocabile in qualunque momento, e che per i minori e le persone impossibilitate ad esprimersi va dato da un loro rappresentante. L’art. 1 da questo punto di vista non aggiunge nulla di sostanzialmente nuovo. Di nuovo e decisivo c’è però il dettato del 5° comma: “Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici”. Questa la disposizione decisiva ai fini del giudizio. E’, difatti evidente che il paziente afflitto da un male che di per sé non avrebbe un immediato e nemmeno prossimo esito fatale, ma lo rende incapace di nutrirsi e dissetarsi o di essere nutrito e dissetato per via naturale, rifiutando la nutrizione e l’idratazione artificiali, come lo autorizza a fare una legge che qualifica queste pratiche quali trattamenti sanitari, è destinato a morire nel giro di una decina di giorni nella speranza che il palliativo della “sedazione profonda” (richiamata dall’art. 2/2° comma) gli eviti spasmi dolorosi. Si tratta di disposizioni di palese natura eutanasica, confermata (ingigantita) dalla loro assoluta vincolatività per il medico, come ha osservato in un’intervista una dei non molti deputati schieratisi contro, Eugenia Roccella, che ha anche ricordato l’opinione espressa da Maria Antonietta Coscioni, secondo la quale non era necessario portare il Dj Fabo a morire in Svizzera, perché bastava la mancanza di idratazione e alimentazione.
All’indiretta, ma significativa conferma “giurisprudenziale” della natura eutanasica del disegno di legge (quanto meno nella sua applicazione pratica, che è poi come dire l’effettivo contenuto e significato di ogni norma) ha prontamente provveduto la Procura di Milano con la richiesta di archiviazione dell’autodenuncia del radicale Marco Cappato per istigazione al suicidio. La vicenda è quella del Dj Fabo, al secolo Fabiano Antoniani, che ha scelto la strada della “buona morte” presso una clinica svizzera, dove è stato accompagnato appunto dal Cappato, che appena rientrato in Italia si era affrettato ad autodenunciarsi. Ritiene la Procura che il Cappato non abbia commesso il reato di aiuto al suicidio di cui all’art. 580 del codice penale, perché le ”pratiche di suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale e gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile e/o indegna dal malato stesso” difatti “non pare peregrino affermare che la giurisprudenza anche di rango costituzionale e sovranazionale ha inteso affiancare al principio del diritto alla vita tout court il diritto alla dignità della vita intesa come sinonimo dell’umana dignità”.
In realtà di tutto questo non si trova traccia nella disposizione di cui alla’rt. 580 del codice penale, che punisce l’istigazione o l’aiuto al suicidio, una fattispecie che per espresso disposto di legge ricorre ogniqualvolta si verifichi il fatto oggettivo dell’agevolazione all’auto-soppressione di un essere umano quali che ne siano le cause, le motivazioni e le giustificazioni, che anzi, nel caso del Dj Fabo, potrebbero, in ipotesi, comportare anche l’applicazione delle aggravanti di cui al secondo comma n.2 dell’art. 579: cioè l’avere prestato aiuto ad una persona “in condizioni di deficienza psichica per un’altra infermità”. E’ evidente che i criteri interpretativi adottati dalla Procura milanese, indubbiamente “innovativi” per quanto riguarda nell’attualità il reato di aiuto al suicidio, risulteranno molto più agevoli e plausibili applicati ad una legge che non solo richiama più volte un concetto come quello di “dignità” dai contenuti imprecisi, ma che, come risulta dagli insistenti richiami nei lavori parlamentari, ha il suo presupposto logico e la sua giustificazione appunto nella distinzione fra “vita”, indiscutibile evento fisico del mondo naturale, e “vita degna di essere vissuta”, valutazione soggettiva, suscettibile anche di variare nel tempo, sia dello stesso titolare del diritto all’esistenza, sia, nei casi previsti dagli articoli 3 e 4, di soggetti terzi: familiari, tutori, amministratori di sostegno, fiduciari, medici, équipes sanitarie, giudici.
E’ questa natura eutanasica del provvedimento ad attribuire valore determinante alla questione del riconoscimento del diritto del medico all’obiezione di coscienza. Quasi tutti i mass-media hanno riferito che tale diritto sarebbe stato riconosciuto grazie ad un emendamento proposto dal PD. Si tratta di una fake news, perché tutte le proposte di espresso riconoscimento dell’obiezione sono state bocciate dall’inedita alleanza PD-M5S. In compenso il 6° comma dell’art. 1 così dispone: “Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale. Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali”. In realtà nessun compenso e nessun riconoscimento. La disposizione, non per nulla formulata in modo involuto (per questo suscettibile anche d’interpretazioni più rigorose a danno dei medici potenziali obiettori), ribadisce l’obbligo assoluto del medico di attenersi alla volontà del paziente, quale espressa direttamente a lui o risultante dalle Dat, salvo il caso che il paziente richieda “trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali”. Nella voluta indeterminatezza della disposizione è comunque certo che il medico non può obiettare, in quanto espressamente consentito e quindi dichiarato ex lege conforme alla buona pratica medica e alla deontologia professionale, al rifiuto della nutrizione e idratazione artificiale.
Nello stesso senso di diniego di ogni forma di obiezione di coscienza la disposizione di cui al comma 9: ”Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei princìpi di cui alla presente legge, assicurando l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale”. Un precetto assoluto, valido anche per le strutture sanitarie create da enti, gruppi, associazioni ispirati a fedi e convinzioni che condannano qualunque forma di eutanasia (in Italia, principalmente, ma non soltanto, le cliniche, le case di cura e gli ospedali cattolici).
Va detto che nella fase di preparazione e approvazione del disegno di legge l’opposizione del mondo politico cattolico è sembrata a molti non troppo determinata e, comunque, di chiunque sia la responsabilità, non ha avuto successo. Si può sperare che l’esempio di quei parroci molisani, che hanno suonato le campane a morto, insegni qualcosa, e che, quale che sia l’esito finale, le cose vadano diversamente in Senato. Del resto non mancano gli argomenti di puro diritto.
Nella parte conclusiva dello scritto “Obiezione di coscienza. Una nuova sfida del diritto moderno” di Valter Brunetti, sost. Proc. Rep. presso il Tribunale di Napoli (Il Diritto vivente, rivista on line di Magistratura indipendente) si legge: ”La Costituzione nelle norme ex artt. 2 , 13, 19, 21 riconosce un diritto generale di obiezione di coscienza. Il diritto inviolabile è generale perché va riconosciuto ad ogni persona, senza esclusione di sorta. La soluzione interpretativa costituzionalmente orientata è perfettamente coerente con le norme internazionali e sopranazionali (…). Nella norma ex art. 18 CEDU si rinviene la solenne affermazione “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione”. La disposizione ex art. 9 CEDU riconosce ad “ogni persona” il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. (…) Se dunque il diritto spetta a ogni uomo in quanto dotato di ragione e di coscienza, nessuna eccezione alla libertà di coscienza può essere posta dal legislatore ordinario. La giurisprudenza della Corte Costituzionale offre ulteriore conferme. La Corte Costituzionale nella parte motiva della sentenza n. 467 del 1991 pone un principio di sostanziale obbligatorietà per lo Stato democratico di riconoscere l’obiezione di coscienza. Il diritto sussiste prima del riconoscimento da parte del legislatore, tuttavia sempre auspicabile. La non eccezionalità delle norme di disciplina dell’obiezione di coscienza nei casi già previsti, consente all’interprete l’applicazione analogica delle dette norme ai casi non ancora espressamente disciplinati. Il riconoscimento in sede interpretativa di un diritto costituzionale inviolabile spettante ad ogni persona, di cui l’obiezione di coscienza è sicura espressione, senza eccezioni e indipendentemente da interventi del legislatore, è una corretta risposta all’esigenza della società civile di giustizia e di tutela di valori condivisi che nella Carta costituzionale trovano il loro fondamento”.
Di conseguenza, pur se sarebbe auspicabile un espresso riconoscimento ad hoc, anche nel caso che il Senato si ostini nel rifiuto, vi sono le basi, confermate da autorevolissimi precedenti giurisprudenziali, perché quanto meno i medici (ma anche le strutture sanitarie) possano proporre la questione con ottime probabilità di successo in sede giudiziaria.
Non basta. Il 27 aprile l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha adottato una Risoluzione che, in presenza della crescente diversità delle appartenenze religiose in Europa, sollecita gli Stati ad “affermare” e “proteggere il diritto di tutti di non essere costretti a compiere azioni che vanno contro le loro profonde credenze morali e religiose”. Non v’è dubbio che l’obbligo di collaborare alle procedure eutanasiche determina un radicale contrasto con la fede degli operatori sanitari cristiani.
Da questo punto di vista i deputati possono scusare il loro voto con la mancata conoscenza della Risoluzione europea, approvata una settimana dopo la loro delibera (nonché della ricordata richiesta di archiviazione della Procura di Milano). I senatori no.
Francesco Mario Agnoli
-
Che l’approvazione dello ius soli stia a cuore a settori importanti della Chiesa italiana è cosa, ormai, abbastanza nota. Lo prova un numero notevole di dichiarazioni, tra cui quella del presidente della Cei, cardinal Gualtiero Bassetti, che ha apertamente parlato di «provvedimento da sostenere e favorire».
Certo, forse prima di schierarsi così apertamente alla Cei avrebbero dovuto pensarci bene, dal momento che non manca chi – sulla base di argomentazioni tutt’altro che polemiche – mette in luce come il disegno di legge (DDL S. 17) in discussione in queste settimane in Senato, volto a modificare la vigente Legge 91/1992, introducendo in Italia una forma temperata dello ius soli, sia iniziativa, in realtà, non rispettosa della Dottrina sociale della Chiesa.
Tuttavia, dato che la Cei, attraverso i suoi più autorevoli esponenti, ha preso una determinata posizione al riguardo, non resta che prenderne atto.
Una simile constatazione non può però portare ad accettare che si arrivi, a Santa Messa, addirittura a pregare per lo Ius soli. Perché è esattamente questo che è successo, come racconta il quotidiano La Verità oggi in edicola. E’ accaduto alla chiesa di Bellaria Centro, parrocchia S. Cuore di Gesù, dove i fedeli, ieri mattina, si sono imbattuti in una preghiera dei fedeli che li ha lasciati di stucco. In particolare, il mio amico Francesco Giacopuzzi, da quelle parti in vacanza, non voleva infatti credere ai propri occhi ed è arrivato a fotografare il foglietto che, incredulo, si è trovato tra le mani, con una preghiera dei fedeli col seguente passaggio:
«Per coloro che ricoprono incarichi di governo e di responsabilità civili, perché si adoperino in tempi rapidi a far approvare la riforma sullo “ius soli”, consentendo ai giovani di origine straniera, nati o cresciuti nel nostro paese, di diventare cittadini italiani non solo di fatto, come già sono, ma anche per la legge. Preghiamo».
Ora, che la preghiera dei fedeli risulti talvolta il momento meno ispirato della Santa Messa – riducendosi a concentrato di aria (quasi) fritta in luogo delle sentite intenzioni di orazione dei parrocchiani – non costituisce purtroppo una novità. Tuttavia, da qui a trasformare questo passaggio in un’invocazione affinché si approvi una determinata legge, francamente, ne passa. Anche perché, a ben vedere, non si ricordano precedenti.
O forse qualcuno rammenta una preghiera dei fedeli per l’approvazione di un disegno di legge X a favore delle famiglie numerose? O contro il divorzio breve, le unioni civili e il testamento biologico apripista dell’eutanasia?
Niente di tutto questo, dato che – si dice – la Chiesa non fa politica. Benissimo. Ma perché allora, quando c’è di mezzo lo ius soli tanto caro al Pd, si scomoda persino la Santa Messa? Non sarà un po’ troppo? Non si starà perdendo completamente la bussola?
Ha senso chiederselo tenendo presente che qui, evidentemente, il punto non è l’unità pastorale di Bellaria, bensì la piega presa da parti importanti del mondo cattolico, le quali oggi sembrano scambiare il Vangelo come vademecum dell’accoglienza dell’immigrato e Gesù come poverello migrante.
La realtà invece è ben diversa, a partire dal Presepe che – se si escludono i Magi – non rappresenta affatto l’incontro fra “culture diverse”, essendo popolato esclusivamente da ebrei.
La stessa condizione di Gesù, analizzata storicamente, non pare quella di una persona socialmente svantaggiata dal momento che, ad un esame attento, «conoscenza delle lingue, abilità professionale, formazione intellettuale offrono un quadro personale sufficientemente delineato per considerare Gesù un imprenditore» (StoriaLibera, 2015; Vol.1:45-100).
Questo significa che accogliere il forestiero o aiutare il povero non siano doveri cristiani? Certo che no, lo sono eccome.
Ma l’approvazione dello ius soli, con tutto ciò, c’entra ben poco, anzi non c’entra nulla. E pare il caso, almeno durante la Messa, di evitare trovate a dir poco fuori luogo.
Il Cristianesimo è infatti qualcosa di troppo importante per essere ridotto a concentrato di buoni sentimenti, cosa che tantissimi fedeli hanno ancora ben chiaro ma che – incredibile ma vero – oggi sfugge ad un numero crescente di pastori.
Anche la Cei, mi permetto di osservare, dovrebbe riflettere su questo, nella consapevolezza che se un cittadino – legittimamente, sia chiaro – è favorevole allo ius soli, all’accoglienza illimitata dei migranti, alla costruzione dello moschee e quant’altro, ha già un’opzione chiarissima e del tutto coerente dinnanzi a sé: farsi la tessera del Pd sostenendone il programma, candidandosi, organizzando convegni, cortei, manifestazioni. Tutte cose, lo si ribadisce, che in un regime democratico sono del tutto lecite.
Ma il Vangelo e la Messa – fino a prova contraria – sono e restano una cosa diversa. Completamente diversa.
Giuliano Guzzo
26 lunedì Giu 2017 Posted by giulianoguzzo in Chiesa |
[https:]
-
Si stenta a credere ai propri occhi esaminando la proposta di legge regionale dal titolo: “Disposizioni contro le discriminazioni generate dall’identità di genere e dall’orientamento sessuale”, n. 251/2017 presentata dall’on. Giuseppe Giudiceandrea presso il Consiglio Regionale della Calabria il 22 giugno 2017.
Se dovesse essere approvata tale proposta di legge, la Calabria sarebbe la prima regione in Italia che si doterebbe di un piano programmatico per la diffusione e l’imposizione, in ogni ambito del proprio territorio, dell’ideologia gender, ideologia che ha lo scopo di togliere importanza al dato biologico sessuale, a favore del dato culturale e così favorire un’indifferenziazione sessuale.
Sono numerose le disposizioni previste dal disegno di legge che destano serie preoccupazioni.
Esaminiamone alcune:
La proposta di legge usa più volte il costrutto ideologico “identità di genere” senza specificarne il significato e i limiti interpretativi; cosicché tale locuzione, potrà essere riempita di qualsivoglia contenuto da chi vorrà avvalersi del dispositivo legislativo regionale;
La Regione – in ossequio all’art. 1 della proposta di legge regionale – assieme ai Comuni e a ogni altra istituzione avrà modo di favorire la penetrazione nel corpo sociale calabrese dell’ideologia di genere e tutto ciò avverrà con la scusa di contrastare presunte discriminazioni e violenze di genere che, invero, non sono affatto un’emergenza e un’urgenza sociale nella realtà calabrese; una prova di ciò è data dal fatto che il progetto di legge non è stato in grado di fornire alcun dato, che sia scientificamente attendibile, circa le violenze di genere perpetrate nel territorio calabrese, tale da giustificare un simile provvedimento che impegna risorse pubbliche.
Con il disposto di cui all’art. 2 della proposta di legge, che prevede che “la Regione promuova ogni azione necessaria all’integrazione sociale e lavorativa che tenga conto dell’orientamento sessuale e di genere”, si pongono le basi per una reale discriminazione sociale e lavorativa di coloro che a parità di condizioni non sono omosessuali. Tale legge sembra voler conferire un titolo di preferenza alle persone omosessuali rispetto agli altri cittadini.
L’art. 3 del progetto di legge prevede, invece, a cura della Regione, una rieducazione dei docenti, del personale non docente e dei genitori degli studenti per contrastare i ruoli di genere. Lo scopo che, invero, si vuole attuare con questa norma è il superamento dei cosiddetti stereotipi di genere, cioè si vuole insinuare che sia una falsa credenza quella che afferma che vi siano due sessi e che vi siano alcune differenze naturali di ruolo. L’ideologia gender pretende, invece, l’indifferenziazione sessuale, favorendo piuttosto una molteplicità di orientamenti sessuali (si pensi che Facebook ne prevede 58) tra cui scegliere in base alla propria percezione.
L’art. 4 è l’abstract inquietante e allarmante dell’intera proposta di legge. Entrano in gioco, infatti, i veri destinatari e protagonisti di tale proposta di legge: le associazioni LGBTIQA (Lesbiche, Gay, Bisex, Transgender, Intersex, Queer, Asexual). Tali associazioni avranno il compito di “misurare gli standard di responsabilità sociale delle imprese circa le eventuali discriminazioni basate sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”. Queste associazioni potranno, pertanto, propiziare la chiusura o la comminazione di sanzioni a imprese che non si conformeranno alla dittatura del pensiero gender. Con tale legge, difatti, sarà istituita una sorta di potere di controllo sulle imprese che in modo arbitrario e anche con eventuali ricatti sarà fonte di privilegi per una sola categoria di persone che avrà titolo di preferenza esclusivamente in base all’orientamento sessuale.
La proposta di legge all’art. 5 dà, inoltre, alle associazioni LGBTIQA la possibilità di collaborare con le Aziende sanitarie locali e con i servizi socio assistenziali per “aiutare le persone ad accettare il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere”. Una tale collaborazione rientra nel piano di rieducazione della popolazione alla cultura gender. Gli adolescenti si troveranno, così, a dover subire lezioni di educazione sessuale nei consultori e a scuola da associazioni che promuovono la fluidità sessuale con la scusa di combattere le discriminazioni.
La proposta di legge prevede tra l’altro di modificare la modulistica nei vari uffici per contrastare le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale. Le modifiche saranno rappresentate dalla sostituzione dei termini tipo padre e madre a favore di genitore 1 e genitore 2.
È inquietante anche l’art. 6 che prevede che la Regione promuova iniziative di formazione – leggasi indottrinamento – per prevenire la violenza basata dall’orientamento sessuale o l’identità di genere, partendo guarda caso proprio dall’ambito familiare e scolastico.
Se qualcuno pensasse che tutto ciò sia fatto senza l’esborso di soldi pubblici si sbaglia. La proposta di legge prevede, infatti, una spesa di 50 mila euro dei nostri soldi per dare forza a organizzazioni che hanno di mira un’azione militante volta a imporre una dittatura del pensiero unico che renda sempre più fluida la nostra identità sessuale.
La Regione Calabria è da auspicare che, piuttosto, impegni le proprie risorse e le proprie energie verso ciò che possa far crescere realmente il popolo calabrese, che soffre la piaga della disoccupazione, di collegamenti insufficienti, di un turismo che non decolla, di sacche di vera e propria povertà, di una cultura assistenzialista e malavitosa che non favorisce un vero sviluppo morale ed economico del territorio.
La Regione Calabria non segua le sirene di un falso progresso, mascherato da civiltà; si impegni, piuttosto, a favorire il recupero delle proprie radici culturali morali e religiose e non finanzi una cultura di morte, come quella gender, che con la scusa di superare le discriminazioni è volta a cancellare la nostra millenaria civiltà.
Giancarlo Cerrelli
30 giugno 2017
Fonte:Lamezialive.it
-
... e la rivolta degli inserzionisti di Google
E' nella pericolosissima terra di mezzo di internet che la "chiamata" alla Jihad, la Guerra Santa, viene alimentata da anni e con successo dal terrorismo islamico. Il collegamento tra la piattaforma video YouTube e il terrore jihadista è quanto mai radicato. I terroristi islamici hanno capito che la piattaforma video più famosa al mondo può essere essere letale come i coltelli che usano per sgozzare gli "infedeli". I jihadisti utilizzano proprio i video per diffondere il loro messaggio, reclutare nuova manovalanza, indottrinarla e organizzare attentati. All'inizio di giugno il Telegraph raccontava che l'antiterrorismo inglese era riuscito a monitorare i movimenti di una cellula jihadista nella zona del London Bridge - prima dell'attentato - proprio attraverso YouTube, eppure la piattaforma proprietà di Google non è servita a impedire la carneficina. YouTube è diventato un covo virtuale per imam ed esperti reclutatori di "martiri", ogni video pubblicato è stato, ed è, parte della missione contro l'Occidente.
Eppure YouTube tende a rimuovere raramente questo tipo di contenuti criminali. Dei 100 video di Osama bin Laden e della glorificazione dell'attacco alle Torri Gemelle 58 sono rimasti on line fino ad oggi. Sono passati anni dall'11 Settembre, ma quei video sono ancora lì. Dei 127 video contrassegnati come pericolosi di Anwar al-Awlaki - imam statunitense naturalizzato yemenita - 111 non sono stati toccati. Dei 125 ritenuti più sensibili del leader di Al Qaeda, Ayman Al-Zawahiri, 57 sono ancora reperibili. E si potrebbe continuare a lungo. Recuperare filmati che suonano più o meno con un "ecco come muore un soldato di Allah", oppure "i martiri dell'islam muoiono con il sorriso" è alla portata di tutti.
YouTube a riguardo offre una vetrina ben fornita, e nella stragrande maggioranza dei casi, al massimo, la piattaforma video vi avviserà che si tratta di "age-restricted content", contenuti inadatti ai minori, e vi chiederà un mero click per procedere, così che in totale libertà potrete godere dello spettacolo: le immagini di cadaveri sorridenti sono online e sono fonte d'ispirazione per le giovani leve islamiste. Qualche settimana fa, l'Istituto di ricerca del Medio Oriente (MEMRI) ha pubblicato un rapporto che rivela la totale incapacità di Google nel rimuovere i contenuti inneggianti all'odio (hate speech) che promuovono e organizzano il terrorismo islamico. E' più o meno dal 2010 che viene chiesto ai padroni di internet di intervenire sui contenuti islamicamente sensibili e in più occasioni anche Google ha promesso che sarebbero stati più attenti, eppure in questi anni non è cambiato praticamente nulla.
Anche perché i jihadisti sfruttano gli strumenti digitali per la loro 'missione' non solo per tutte quelle operazioni che vanno dal reclutamento al proselitismo, ma anche per la raccolta di fondi necessari al finanziamento della loro guerra santa. Già un'inchiesta del Times aveva evidenziato l'utilizzo da parte dello Stato islamico & Co delle pubblicità di celebri marchi per ottenere denaro dai click sui loro video. E poco male se si tratta di marchi e prodotti che sono l'esemplificazione di quello stile di vita tutto occidentale che i jihadisti odiano tanto, tutto può servire alla causa: dai suv delle più prestigiose aziende automobilistiche ai supermercati snob, persino istituti di ricerca e ong per i malati terminali.
E' stato calcolato che i terroristi incassano decine di migliaia di sterline ogni mese: considerato il numero di visualizzazioni dei video e che ogni migliaio di click gli permette di incassare circa 7 euro, le casse della jihad informatica non sono mai vuote. Non è un caso che a marzo importanti marchi come At &T, Verizon, Johnson & Johnson, Enterprise Holding e GSK hanno iniziato a ritirare l'autorizzazione della pubblicità a Google Inc. - proprietario di You Tube - per non correre più il rischio di finire sponsor della propaganda islamica. Eppure quelli di YouTube garantiscono che il loro "staff visiona video segnalati 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana per determinare se violano la nostra Comunità", ma a quanto pare c'è qualcosa che non funziona. Secondo la società di analisi Nomura Instinet, You Tube potrebbe perdere fino a 750 milioni di dollari in introiti pubblicitari a causa di quei contenuti sponsorizzatri che vanno a finanziare il terrorismo e chi promuove l'omicidio su vasta scala. Una cifra che non rischia di mettere nei guai le casse di Google, ma che testimonia che gli inserzionisti siano sempre più preoccupati.
In un editoriale del Financial Times, uno dei consulenti di Google ha ammesso l'esistenza di contenuti terroristici e promesso l'impegno a renderne più complicata la pubblicazione con un non meglio specificato "metodo di reindirizzamento per disperdere i messaggi di reclutamento dei jihadisti". Eppure in Italia il Codacons ha denunciato come inadatti e inefficaci i sistemi di controllo, come pure i "gravi ritardi nell'attività di intervento di Google". Non si riesce a capire come sia possibile che nessuno sia capace di bloccare la diffusione di certi contenuti, non si riesce a spiegare perché risulti tanto difficile per l'antiterrorismo prevenire le stragi con gli stessi sistemi con cui questi soggetti le organizzano, resta misteriosa la scelta dei padroni di internet di affidare la gran parte del lavoro a meri algoritmi che intelligenti quanto vuoi restano pur sempre una macchina che può essere aggirata dai malintenzionati.
E comunque il problema non è solo l'estrema inerzia con cui Google si sta muovendo per trovare un rimedio, ma che cosa, in questo momento, è censurato dai signori di Internet e cosa no. Appena si osa uscire dagli schemi del politicamente corretto, interviene una sorta di "polizia del pensiero", che si mette a 'perseguitare', penalizzandoli, vlogger con centinaia di migliaia di fan ma allergici al pensiero dominante, e che di certo non mostrano immagini di teste decapitate. Lo stesso impegno però a quanto pare non viene profuso con i video del terrorismo islamico. Se il paragone poi è quello tra gli sforzi, le forze impiegate e gli investimenti profusi da Google per contrastare la islamofobia, e quelli fatti invece per prevenire indottrinamento e reclutamento jihadista, la bilancia pende dalla prima parte. E' evidente che questo stato di cose proseguirà almeno fino a quando i padroni del web non smetteranno di trattare i musulmani come una specie di "gruppo protetto", non curandosi dei pericoli del terrorismo in Rete.
Siamo in un clima culturale (o multiculturale) che ha compromesso il significato di parole ed espressioni come "incitamento all'odio", "terrorismo", "estremismo", "religione di pace", lasciando che questi concetti assumessero dei contorni vaghi e indeterminati, fornendo a Google e YouTube i giusti paraocchi. Per esempio non si ammette mai che quello del terrorismo islamico sia incitamento all'omicidio di massa: in questi termini ogni prospettiva sarebbe davvero ridimensionata. Due pesi e due misure? Così sembra. C'è una strana atmosfera sul web e nel mondo occidentale, in cui una perversa malizia sventola sul concetto di libertà di parola. E in questo silenzio imbarazzato e imbarazzante, gli unici a rallegrarsi sono i terroristi islamici.
di Lorenza Formicola | 28 Giugno 2017 |
[https:]
-
Nel tardo pomeriggio di sabato 1° luglio 2017, è calato il sipario sul pride nella città che ha dato i natali al movimento LGBT in Italia. Ma quest’anno qualcosa non ha funzionato.
Nessuno tra i 55 comuni della provincia ha dato il Patrocinio all’iniziativa, costringendo così gli organizzatori a fare una raccolta fondi che ha fruttato solo 5.500€. L’evento ha dovuto accontentarsi dell’adesione dei giovani del Partito Democratico, dell’Associazione Nazionale Partigiani, della galassia di associazioni gay friendly che ruotano attorno al PD e degli altri pride.
La scarsità dei donatori (319 i dichiarati, che diventano circa 100 se si depennano i parlamentari e i nominativi ripetuti) fa luce sul reale peso elettorale di questa lobby. Insomma, se a sfilare sono migliaia è solo perché gli stessi attivisti si spostano da una città all’altra.
Questo “flop” – parziale ma significativo – potrebbe esser dovuto all’azione di una “contro-lobby” (il locale Comitato Difendiamo i Nostri Figli – Family Day) che è intervenuta sia sui Sindaci sia coinvolgendo consiglieri comunali del Centro-Destra (in primis Forza Italia e Fratelli d’Italia) e di liste civiche.
Questi i principali argomenti proposti e condivisi da partiti e amministrazioni: in ogni gay pride si offende sempre la sensibilità religiosa; l’evento è “divisivo” in quanto irrita o non trova riscontro nel comune sentire dei cittadini di ogni convinzione; privilegia le unioni affettive di ogni genere rispetto al matrimonio naturale; sostiene il primato dello Stato nell’educazione sul diritto naturale primario dei genitori; prevarica il diritto dei bambini ad avere una mamma e un papà.
Di più: finita la sfilata, mentre iniziavano i consueti baccanali notturni, un’importante presenza di cattolici pregava nella Basilica di San Domenico «in riparazione dei peccati contro la vita e la famiglia».
Così, del gay pride bolognese resta soltanto un «Documento Politico» -consegnato ovviamente all’amministrazione PD del capoluogo emiliano romagnolo -, che addirittura riecheggia contenuti del socialismo chiliastico e merita molta attenzione.
In esso ci si propone di occupare lo spazio pubblico perché vengano «scritte nuove leggi per riconoscere anche ciò che ancora non esiste» e si rivendicano come proprie le battaglie del femminismo; dell’identità di gender omosessuale e transessuale; delle unioni gay; dell’ageismo (discriminazione per età: pedofilia?); delle adozioni da parte di coppie omosessuali; dell’utero in affitto (Gestazione Per Altri); della fecondazione artificiale.
In senso opposto, vengono agitati in modo ossessivo gli spauracchi del fascismo, del «sistema patriarcale eteronormativo capitalistico», dei cattolici, del bullismo, del razzismo, dell’obiezione di coscienza in tema di aborto e di pillola “del giorno dopo”.
Di particolare interesse è il sostegno all’immigrazione che comprende una dura presa di posizione contro il pur blando Decreto Minniti-Orlando.
Infine, per ciascun tassello del mosaico che porta alla deriva etica del Paese si richiedono nuove leggi, azione nella scuola, utilizzo del welfare, sportelli di prevenzione medica e – sull’esempio di Toscana, Piemonte e Umbria -, una legge regionale che introduca lo “psico-reato” di «omo-lesbo-bi-transfobia».
Chi pensa che il gay pride sia soltanto un momento di rivendicazione sessuale è servito: siamo di fronte a una vera e propria avanguardia rivoluzionaria, che riassume in sé tutta l’eredità corrosiva e disgregatrice del Sessantotto.
Pertanto, anche se la consistenza e il peso politico del mondo gay friendly è relativo, non bisogna dimenticare che «il fallimento degli estremisti è, dunque, soltanto apparente. Essi danno il loro contributo indirettamente, ma potentemente, alla Rivoluzione, attirando lentamente verso la realizzazione dei loro colpevoli ed esasperati vaneggiamenti la moltitudine innumerevole dei “prudenti”, dei “moderati” e dei mediocri».
La battaglia in difesa della vita e della famiglia dovrà dunque continuare; e per i bolognesi prosegue con una petizione intesa a chiedere un’inversione di marcia a favore della famiglia.
David Botti, per
[https:]
-
Carissimi Fratelli e Sorelle!
Inizia oggi il mese de Luglio, che la tradizione popolare dedica alla contemplazione del Preziosissimo Sangue di Cristo, mistero insondabile di amore e di misericordia. [...]
Il Sangue di Cristo è la prova inconfutabile dell'amore del Padre celeste per ogni uomo, nessuno escluso.
Tutto questo è stato ben sottolineato dal Beato Giovanni XXIII, devoto al Sangue del Signore fin dallíinfanzia, quando in famiglia ne sentiva recitare le speciali Litanie. Eletto Papa, scrisse una Lettera apostolica per promuoverne il culto (Inde a primis, 30 giugno 1959) invitando i fedeli a meditare sul valore infinito di quel Sangue, del quale "una sola goccia può salvare tutto il mondo da ogni colpa" (Inno Adoro Te devote).
(San Giovanni Paolo II, 1 Luglio 2001 da:
[www.floscarmeli.net] )
__________
Giovanni XXIII
Inde a primis
Lettera apostolica
Venerabili Fratelli, Salute e Apostolica Benedizione!
Più volte ci è accaduto fin dai primi mesi del Nostro servizio pontificale, e la parola fu sovente precorritrice ansiosa ed innocente del Nostro stesso sentimento, di invitare i fedeli in materia di devozione viva e quotidiana a volgersi con ardente fervore verso l'espressione divina della misericordia del Signore sulle singole anime, sulla sua Chiesa e sul mondo intero, di cui Gesù resta il redentore ed il Salvatore. Vogliamo dire la devozione al Preziosissimo Sangue.
Questa devozione ci fu istillata nello stesso ambiente domestico in cui fiorì la nostra fanciullezza, e tuttora ricordiamo con viva emozione la recita delle Litanie del Preziosissimo Sangue che i nostri vecchi facevano nel mese di luglio.
Memori della salutare esortazione dell'Apostolo: "Badate a voi; badate al gregge in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituito vescovi per pascere la Chiesa di Dio, acquistata da lui col proprio sangue", crediamo, o Venerabili Fratelli, che tra le sollecitudini del Nostro universale ministero pastorale, dopo la vigilanza sulla sana dottrina, debba avere un posto di privilegio quella che riguarda il retto svolgimento e l 'incremento della pietà religiosa, nelle manifestazioni del culto liturgico e privato. Ci sembra pertanto particolarmente opportuno richiamare l'attenzione dei nostri diletti figli sul nesso indissolubile che deve unire le due devozioni, già tanto diffuse in seno al popolo cristiano, cioè al Nome Santissimo di Gesù e al suo Cuore Sacratissimo, quella che intende onorare il Sangue preziosissimo del Verbo incarnato, "sparso per molti in remissione dei peccati".
Se, infatti, è di somma importanza che tra il Credo cattolico e l'azione liturgica della Chiesa regni una salutare armonia, poiché "Lex credendi legem statuat supplicandi", e non siano mai consentite forme di culto che non scaturiscano dalle sorgenti purissime della vera fede, è giusto altresì che fiorisca una simile armonia tra le varie devozioni, in modo che non vi sia contrasto o dissociazione tra quelle che sono stimate come fondamentali e più santificanti, ed in pari tempo sulle devozioni personali e secondarie abbiano il primato nella stima e nella pratica quelle che meglio attuano l'economia dell'universale salvezza operata dal "solo Mediatore tra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, colui che diede se stesso prezzo di riscatto per tutti". Movendosi in questa atmosfera di retta fede e di sana pietà, i credenti sono sicuri di "sentire cum Ecclesia", ossia di vivere in comunione di preghiera e di carità con Gesù Cristo, fondatore e Sommo Sacerdote di quella sublime religione, che da lui trae, col nome, ogni sua dignità e valore. Se diamo ora un rapido sguardo ai mirabili progressi che la Chiesa Cattolica ha operato nel campo della pietà liturgica, in salutare consonanza con lo sviluppo della sua fede nella penetrazione delle verità divine, è indubbiamente consolante il costatare che nei secoli a noi più vicini non sono mancati da parte di questa Apostolica Sede chiari e ripetuti attestati di consenso e di incoraggiamento, per tutte e tre le devozioni sopra menzionate: devozioni che furono praticate fin dal medioevo da molte anime pie e furono poi diffuse in varie Diocesi, Ordini e Congregazioni religiose, ma che attendevano dalla Cattedra di Pietro il suggello dell'ortodossia e dell'approvazione per la Chiesa universale.
Ci basti ricordare che i Nostri Predecessori fin dal secolo XVI hanno arricchito di spirituali favori la devozione al Nome Santissimo di Gesù, di cui si era fatto nel secolo precedente apostolo infaticabile, in Italia, San Bernardino da Siena. In onore di questo Santissimo Nome furono anzitutto approvati l'Ufficio, la Messa, ed in seguito le Litanie. Né meno insigni furono i privilegi concessi dai Romani Pontefici al culto verso il Cuore Sacratissimo di Gesù, nella cui ammirabile propagazione tanta parte hanno avuto le rivelazioni fatte dal Sacro Cuore a Santa Margherita Maria Alacoque.
E così alta e unanime è stata la stima dei Sommi Pontefici verso questa devozione, che essi si compiacquero di illustrarne la natura, difenderne la legittimità, inculcarne la pratica con molti atti ufficiali, cui hanno posto coronamento tre importanti Encicliche su questo argomento.
Ma anche la devozione al Sangue Preziosissimo, di cui è stato propagatore ammirabile nel secolo scorso il sacerdote romano San Gaspare del Bufalo, ebbe il meritato consenso e il favore di questa Sede Apostolica. Giova infatti ricordare che per ordine di Benedetto XlV furono composti la Messa e l'Ufficio in onore del Sangue adorabile del Salvatore divino; e che Pio IX, a soddisfazione di un voto fatto a Gaeta, ne volle estesa la festa liturgica alla Chiesa universale. Fu infine Pio Xl, di felice memoria, che a ricordo del XlX Centenario della Redenzione, elevò la suddetta festa a rito doppio di prima classe, affinché dalla accresciuta solennità liturgica più intensa si facesse la devozione stessa e più copiosi si riversassero sugli uomini i frutti del Sangue redentivo.
Seguendo pertanto l'esempio dei Nostri Predecessori, allo scopo di favorire ulteriormente il culto verso il Sangue prezioso dell'Agnello immacolato Cristo Gesù, ne abbiamo approvate le Litanie, secondo l'ordine compilato dalla Sacra Congregazione dei Riti, incoraggiandone altresì la recita in tutto il mondo cattolico; sia in privato che in pubblico, con l'elargizione di speciali indulgenze.
Possa questo nuovo atto della "cura di tutte le Chiese", propria del Supremo Pontificato, in tempi di più gravi ed urgenti bisogni spirituali, risvegliare nell'animo dei credenti la convinzione del valore perenne, universale, sommamente pratico delle tre devozioni sopra elogiate.
Nell'approssimarsi perciò della festa e del mese dedicati al culto del Sangue di Cristo, prezzo del nostro riscatto, pegno di salvezza e di vita eterna, ne facciano i fedeli l 'oggetto di più devote meditazioni e di più frequenti comunioni sacramentali. Riflettano essi, illuminati dai salutari insegnamenti che promanano dai Libri Sacri e dalla dottrina dei Padri e Dottori della Chiesa, al valore sovrabbondante, infinito, di questo Sangue veramente preziosissimo, "cuius una stilla salvum facere totum mundum quit ab omni scelere", come canta la Chiesa con l'Angelico Dottore, e come ha sapientemente confermato il Nostro Predecessore Clemente Vl. Ché, se infinito è il valore del Sangue dell'Uomo-Dio ed infinita è stata la carità che lo spinse ad effonderlo fin dal giorno ottavo della sua nascita e poi con sovrabbondanza nell'agonia dell'orto, nella flagellazione e coronazione di spine, nella salita al Calvario e nella Crocifissione, e infine dalla ampia ferita del costato, a simbolo di quello stesso Sangue divino che scorre in tutti i Sacramenti della Chiesa, è non solo conveniente ma sommamente doveroso che ad esso siano tributati omaggi di adorazione e di amorosa riconoscenza da parte di tutti i rigenerati nelle sue onde salutari.
E al culto di latria, da rendersi al Calice del Sangue del Nuovo Testamento, soprattutto nel momento della sua elevazione nel sacrificio della Messa, è quanto mai decoroso e salutare che tenga dietro la Comunione con quel medesimo Sangue, indissolubilmente unito al Corpo del Salvatore nostro nel sacramento dell'Eucaristia. In unione allora col Sacerdote celebrante, i fedeli potranno con piena verità ripetere mentalmente le parole che egli pronuncia nel momento della Comunione: "Calicem salutaris accipiam et nomen Domini invocabo... Sanguis Domini Nostri Jesu Christi custodiat animam meam in vitam aeternam. Amen" In tal modo i fedeli, che vi si accosteranno degnamente, percepiranno più abbondanti i frutti di redenzione, di risurrezione e di vita eterna, che il Sangue sparso da Cristo "per impulso dello Spirito Santo" ha meritato al mondo intero. E nutriti del Corpo e del Sangue di Cristo, resi partecipi della sua vita divina che ha fatto sorgere legioni di martiri, essi andranno incontro alle lotte quotidiane, ai sacrifici, sino al martirio, se occorre, in difesa della virtù e del regno di Dio, sentendo in se medesimi quell'ardore di carità, che faceva esclamare a san Giovanni Crisostomo: "Partiamo da quella Mensa come leoni spiranti fiamme, divenuti terribili al demonio, pensando chi sia il nostro Capo, e quanto amore abbia avuto per noi... Questo Sangue, se degnamente ricevuto, allontana i demoni, chiama presso di noi gli angeli, e lo stesso Signore degli angeli... Questo Sangue, versato, purifica tutto il mondo. . . Questo è il prezzo dell'universo, con questo Cristo redime la Chiesa. .. Tale pensiero deve frenare le nostre passioni. Fino a quando, infatti, rimarremo attaccati al mondo presente? Fino a quando rimarremo inerti? Fino a quando trascureremo di pensare alla nostra salvezza? Riflettiamo sui beni che il Signore si è degnato di concederci, siamone grati, glorifichiamolo non solo con la fede, ma anche con le opere ". Oh! se i cristiani riflettessero più sovente al paterno monito del primo papa: "Vivete con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio; ben sapendo che non a mezzo di cose corruttibili, quali l'oro e l 'argento, siete stati riscattati. .. ma col prezioso Sangue di Cristo, dell'Agnello immacolato e incontaminato!"; se porgessero essi più sollecito ascolto all'esortazione dell'Apostolo delle genti: "Siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Iddio, e portatelo nel vostro corpo!". Quanto più degni, più edificanti sarebbero i loro costumi; quanto più salutare per l 'umanità intera la presenza nel mondo della Chiesa di Cristo! E se tutti gli uomini assecondassero gli inviti della grazia di Dio, che li vuole tutti salvi, perché ha voluto che tutti fossero redenti dal Sangue del suo Unigenito e tutti chiama a essere membri di un solo mistico Corpo, di cui Cristo è il Capo, quanto più fraterni diverrebbero i rapporti tra gli individui, i popoli, le nazioni; quanto più pacifica, più degna di Dio e dell'umana natura, creata a immagine e somiglianza dell'Altissimo, risulterebbe la sociale convivenza. È alla contemplazione di questa sublime vocazione che san Paolo invitava i fedeli provenienti dal popolo eletto, tentati di pensare con nostalgia e un passato che era stato soltanto una pallida figura e il preludio della Nuova Alleanza: "Voi vi siete accostati al monte Sion e alla città di Dio vivente, alla Gerusalemme celeste, e alle miriadi di angeli, adunata assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, a Dio giudice, e agli spiriti dei giusti arrivati alla perfezione, e a Gesù mediatore del Nuovo Patto, e al Sangue della aspersione, che parla meglio di quello di Abele ". Pienamente fiduciosi, o Venerabili Fratelli, che queste Nostra paterne esortazioni, rese note da voi nel modo che crederete più opportuno al Clero e ai fedeli a voi affidati, non solo volentieri saranno salutarmente attuate, ma altresì con fervido zelo, in auspicio delle grazie celesti e in pegno della Nostra particolare benevolenza, con effusione di cuore impartiamo la Benedizione Apostolica a ciascuno di voi e a tutti i vostri greggi, e in modo particolare a coloro che risponderanno generosamente e piamente al Nostro invito.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 30 giugno 1960, vigilia della Festa del Preziosissimo Sangue di N.S.G.C., anno secondo del Nostro Pontificato.
-
di Rino Cammilleri
Perfino papa Francesco ha ammonito il popolo, quando si è accorto che certi cani e gatti hanno più cure e coccole dei bambini. Anzi, ormai i pets hanno sostituito i babies nel cuore di troppi. E Bergoglio non è certo uno che ami andare contro il trend politicamente corretto. Ma una volta tanto, nelle sue uscite a braccio, aveva centrato il punto.
Quanno ce vo’ ce vo’. Ormai siamo così incancreniti nell’edonismo dell’«attimo fuggente» (cioè, godi oggi, domani si vedrà…) che ci commuoviamo fino alle lacrime per la sorte di un cagnetto mentre non ci importa niente, anzi sbuffiamo infastiditi, per quella di un bambino malatissimo.
Parliamo di Charlie Gard, il bambino inglese affetto da una rara malattia genetica che i genitori, Chris e Connie, vorrebbero sottoporre a una cura sperimentale negli Usa ma a cui l’ospedale inglese dove è ricoverato vuole staccare la spina.
I sette giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo, cui i due genitori si erano rivolti contro l’ospedale (il Great Ormond Street Hospital), hanno dato loro torto e adesso il piccolo può essere tranquillamente terminato. In questo caso, a gridare «siamo tutti Charlie» sono stati solo i credenti, soprattutto i cattolici, che hanno inanellato una catena internettiana di preghiere e stilato una supplica al Santo Padre, affinché ci metta una buona parola.
Si erano rivolti anche al presidente della repubblica italiana, perché concedesse al bambino la cittadinanza, così da avere almeno un appiglio in qualche articolo della nostra Costituzione che parla del diritto alla salute. Ma c’è Charlie e Charlie, come profeticamente il pontefice aveva paventato.
L’altro Charlie è, ovviamente, un cane, per l’esattezza un dogo argentino, che il cuoco italiano Giuseppe Perna aveva inavvedutamente portato con sé a Copenhagen, dove lavora. Qui le autorità danesi gli avevano sequestrato la bestia, appartenente a una delle razze pericolose che è vietato introdurre in Danimarca. A parte il fatto che non è chiaro come l’uomo sia riuscito a fare entrare il suo cane nel Paese (gli agenti di frontiera non sapevano che a quella razza era proibito l’ingresso?), la legge è legge anche in Danimarca e per detta legge il cane vietato andava soppresso. Apriti cielo.
Le organizzazioni animaliste hanno inscenato un tam-tam internazionale che, solo in Italia, in pochi giorni ha raccolto trecentoquarantamila firme, l’ambasciata danese è stata subissata, la solita Maria Vittoria Brambilla si è messa le mani nei rossi capelli e si è subito mobilitata, la cantante Noemi ha lanciato uno spot supplice per la vita di Iceberg (questo il nome del cane, che i tiggì ci hanno mostrato a lungo mentre affettuoso gioca col suo padrone).
Anche il nostro ministro degli esteri, a quel punto, ha dovuto darsi una mossa et voilà: finalmente l’ambasciatore danese Erik Lorenzen ha mostrato il pollice dritto. Il governo danese ha deciso di soprassedere all’esecuzione del cane italiano e tutti stappano bottiglioni di champagne. In effetti, non c’è del marcio in Danimarca: se il dogo italoargentino non si fosse trovato protagonista di una furibonda zuffa con altra bestia, le autorità non se ne sarebbero nemmeno accorte (come le guardie di frontiera).
Comunque, tutto è bene quel che finisce bene. Anche se non si sa come andrà a finire ‘sta storia: il cane dovrà essere rimpatriato? il padrone potrà continuare a tenerlo praeter legem? ci sarà alla frontiera danese un affollamento di cani vietati? Boh. E non ci interessa.
Quel che ci interessa è l’ammonimento-profezia del papa, qui avverato in pieno: la cosiddetta opinione pubblica si agita più volentieri per la vita di un cane che per quella di un bambino malato. Siamo ormai alla frutta. Che dico? All’ammazzacaffè. Dopo di che, però, viene il conto…
Rino Cammilleri, 30-06-2017 -
[www.lanuovabq.it]
-
“Sharia controlled zone”
Nel 2014, quando il “Califfo dei musulmani”, dal pulpito della moschea irachena di al Nuri, vagheggiava un ipotetico quanto sconfinato Califfato universale, destinato ad estendersi al di là delle porte d’Europa, nessuno lo prese troppo sul serio. Ma, in realtà, la colonizzazione era in atto da un pezzo.
Il Vecchio Continente brulicava già di piccole roccaforti sharitiche. Quartieri-ghetto, cittadine-enclaves dove, nel corso degli anni, un numero sempre crescente di musulmani si è radicato e radicalizzato preparando così il terreno europeo ad accogliere il seme dell’intolleranza. Francia e Gran Bretagna ma anche Belgio, Olanda, Germania, Svezia e Danimarca. Queste sono alcune delle capitali europee dove paura, e Sharia, fanno novanta. Insomma, non solo il quartiere Molenbeek di Bruxelles, che lo scorso anno offrì protezione all’ex primula rossa del Bataclan, ma un vero e proprio network di satelliti del Califfato all’ombra dell’Unione. “Le società semi-autonome”, di cui parlava Douglas Murray, esperto inglese di immigrazione e direttore della Henry Jackson Society, l’indomani dell’arresto di Salah Abdeslam.
A partire proprio dalla Francia, teatro dell’assalto pionieristico alla redazione di Charlie Hedbo che, nel 2015, ha inaugurato una lunga stagione di sangue. Oltralpe vengono chiamate “Zus” (Zone urbane sensibili) e, secondo le autorità di Parigi, sono 751 in tutto il Paese ed ospitano almeno 5milioni di musulmani. Una di queste è Sevran, banlieue di 50mila anime, nel dipartimento della Senna-Saint-Denis, dove il 90 per cento degli abitanti sono di origine straniera.
Nel Regno Unito, invece, c’è il “Londonistan”. Un’area apparentemente unita che, a dispetto del nome, interessa tanto la metropoli inglese quanto altre zone. Una specie di confederazione nera che finisce col racchiudere quasi tutte le città del Regno Unito: da Liverpool e Manchester e Leeds, da Birmingham a Derby, e Bradford, oltre a Derby, Dewsbury, Leicester, Luton, Sheffield, per finire con Waltham Forest a nord di Londra e Tower Hamlets nella parte orientale della Capitale. Difficile non rendersi conto di dove comincia questo stato nello stato perché persino i manifesti sono lì a ricordare che “stai entrando in una zona controllata dalla Sharia”.
In Belgio, ormai, tutti conoscono Molenbeek. L’esempio più lampante della “segregazione autoimposta in grandi città” a cui fa riferimento Murray nell’intervista rilasciata a Il Foglio. Qui nessuno, anche se non islamico, è autorizzato a bere o mangiare in pubblico durante il Ramadan. Le donne sono rigorosamente velate ed è bandita ogni attività ritenuta “haram” dalla legge coranica che, progressivamente, si è andata a sostituire a quella dello Stato. Bere alcool ed ascoltare musica sono attività non gradite. Come, altrettanto sgradito, fu il blitz con cui l’antiterrorismo parigina mise finalmente le manette ai polsi di Salah Abdeslam. Ma che il quartiere offrisse protezione ai terroristi non lo si è certo scoperto in quell’occasione. In altri anni, Molenbeek, si era già distinta per aver ospitato il gotha del jihadismo internazionale. Stiamo parlando di personaggi del calibro di Abdessatar Dahmane, uno degli assassini di Ahmad Shah Massoud, ma anche Youssef e Mimoun Belhadj e Hassan el-Haski, le menti degli attentati di Madrid dell’11 marzo 2004.
In Olanda esistono 40 aree urbane off-limits, a partire dal distretto di Kolenkit, ad Amsterdam. Ma anche alcuni quartieri di Rotterdam come Pendrecht, Het Oude Noorden e Bloemhof. Utrecht deve fare i conti con la zona di Ondiep. Nella capitale, l’Aia, c’è il distretto di Schilderswijk, ex quartier generale del gruppo “Hofstadt”, che nel pianifico l’assassinio del regista Theo van Gogh.
Anche la Danimarca, così come gli altri Paesi scandinavi, deve fare i conti con il jihadismo diffuso. E, secondo le forze dell’ordine, il numero di persone vicine ad ambienti radicali ha subito un’impennata. Anche grazie a sobborghi enclavizzati come Tingbjerg, Nørrebro e Mjølnerparken, dove l’80 per cento dei residenti non ha origine danese bensì africana o mediorientale.
In Svezia, ancora convalescente dalla strage dello scorso aprile, la città più islamizzata è Malmo, dove il 30 per cento della popolazione è di fede musulmana. Lì si trova il Rosengaard, quartiere nato negli anni ‘60 ed abitato da soli migranti provenienti da Iraq, Afghanistan, Somalia e Balcani. In passato salì agli onori della cronaca, destando notevole scalpore, per via dell’apparizione di alcuni manifesti che minacciavano: “Nel 2030 prendiamo il controllo”.
La Germania ospita un gran numero di migranti e, nella Capitale, esiste Neukolln, uno dei più grande quartieri musulmani del Paese che, non a caso, è stato ribattezzato “la provincia ottomana”. In proposito, Franz Solms-Laubach, giornalista parlamentare del quotidiano Bild, ha scritto: “Anche se ci rifiutiamo ancora di crederlo, intere zone della Germania sono governate dalla legge islamica. Poligamia, matrimoni di minori, giudici della sharia. Da troppo tempo non si fa rispettare lo Stato di diritto. Ci credereste che a Berlino un terzo degli uomini musulmani che vivono nel quartiere di Neukölln abbia due o più mogli?”
In Spagna, invece, c’è una regione intera chiamata “Xarq al Andalus” (Il Levante Spagnolo). Si tratta della porzione di Penisola Iberica affacciata sulla costa mediterranea che, storicamente ottomanizzata, è rivendicata oggi come parte integrante del Califfato islamico. Ma, per i soggetti più radicalizzati, il richiamo non è solo storico ed ideale. Secondo Soeren Kern, analista europea per l’Istituto Gatestone a New York, infatti, le recenti misure antiterrorismo varate da Parigi avrebbero causato una specie di piccola diaspora islamica verso in Spagna.
Ultima, non certo per importanza, è l’Italia. La cui intelligence è recentemente finita al centro delle polemiche per non aver saputo neutralizzare Youssef Zaghba, il terrorista italo-marocchino che, assieme a due complici, ha fatto strage di pedoni sul London Bridge. La Capitale vanta un quartiere, quello di Torpignattara, che – in fatto di densità demografica dei credenti musulmani – non ha nulla da invidiare a Molenbeek. Ma il vero “rischio banlieue”, secondo uno studio uno studio della Fondazione Leone Moressa, riguarderebbe di più altre città italiane come, ad esempio, Bologna. Nella Capitale, infatti, le periferie non sono ancora dei ghetti e la componente multietnica dei quartieri sembra aver scongiurato, per ora, l’avanzata della radicalizzazione.
Pubblicato 9 giugno 2017 |di Elena Barlozzari.
[www.libertaepersona.org]
-
Lo scandalo della Pontificia Accademia per la Vita
Lo scandalo internazionale suscitato dalla nomina a membro ordinario della Pontificia Accademia per la Vita (PAV) del professor Nigel Biggar (clicca qui e qui), ha costretto il presidente della PAV, monsignor Vincenzo Paglia, a rilasciare un’intervista chiarificatrice a Vatican Insider, a un mitissimo Andrea Tornielli. C’era una remota speranza di potere cogliere almeno un barlume di ravvedimento e autocritica, ma purtroppo bisogna concludere che la toppa è peggio del buco.
È incoraggiante apprendere che la posizione del professor Biggar espressa nel dialogo con Peter Singer e denunciata dal Catholic Herald (liceità dell’aborto fino alla 18esima settimana) non sia la posizione del presidente della PAV e dell’Accademia per la Vita, ma si tratta del minimo sindacale.
Il sollievo però finisce qui. Monsignor Paglia dice di avere ricevuto rassicurazione dal teologo anglicano che questi non ha mai pubblicato nulla sul tema dell'aborto.
Bugia. Nel marzo 2015 sulla rivista Journal of Medical Ethics compare un articolo dal titolo "Perché la religione merita un posto nella medicina secolare". In quell'articolo, dove l'autore, il professor Biggar, difende il ruolo della religione nel dibattito bioetico, un paragrafo è intitolato "Religione persuasiva e la controversia dell'aborto".
Giunti ad un certo punto egli scrive: «Come monoteista biblico cristiano sono sensibile alla difficile situazione dei "poveri", cioè dei deboli e vulnerabili. Storicamente, ovviamente, questa categoria include le donne e in molte parti del mondo continua a includerle. Ma comprende anche gli esseri umani immaturi, certamente i bambini e in maniera discutibile i feti, almeno al di là di un certo punto del loro sviluppo».
Dunque Biggar ha scritto, ed ha detto che mentre il diritto alla vita dei bambini è certo, lo stesso diritto è discutibile per gli esseri umani non nati. E che la 18ª settimana di gestazione sia il punto di sviluppo prima del quale l'aborto sia secondo il professor Biggar moralmente lecito, emerge non solo dal dialogo a cui hanno fatto riferimento il Catholic Herald e monsignor Paglia, ma anche dalla voce diretta dell'interessato in un'intervista rilasciata al giornalista David Edmunds per la BBC riportata integralmente dal Journal of Medical Ethics (clicca qui).
Monsignor Paglia pensa di tranquillizzare gli animi dicendo che il professor Biggar gli ha «assicurato che non intende entrare in futuro nel dibattito su questo tema». Sarebbe interessante capire se il presidente intende dire che quando alla PAV si parlerà di aborto, si seguirà la stessa procedura per i conflitti d'interesse nel consiglio dei ministri: uscire dalla stanza.
Monsignor Paglia afferma che però sul fine vita il professor Biggar «ha una posizione assolutamente coincidente con quella cattolica». Tuttavia neanche qui è possibile convenire. In effetti Biggar è contrario alla legalizzazione dell'eutanasia, ma tale opposizione non è legata, come nella dottrina cattolica, alla dignità e al diritto alla vita di ogni essere umano.
Nel 2004 il professor Biggar ha pubblicato il libro "Aiming to kill. The ethics of suicide and euthanasia". Come osservato dal professor Richard Harries, medico, per 19 anni vescovo anglicano di Oxford e professore emerito di teologia al King's College di Londra, non certo sospettabile di simpatie pro-life, in quel testo Biggar «accetta la distinzione tra vita biologica e biografica e pensa che vi sia prima facie (a prima vista n.d.r.) la possibilità morale di effettuare l'eutanasia non volontaria alle persone che abbiano una vita biologica, ma non biografica, magari come risultato di un grave ictus.
Tuttavia egli aggiunge l'importante restrizione che ciò dovrebbe essere consentito «soltanto se al contempo non minasse il senso di preziosità di ogni vita umana da parte della società».
Nessuna sorpresa; se è moralmente lecito uccidere con l'aborto un essere umano non ancora cosciente, come sostenuto più volte da Biggar, perché per il professore inglese non dovrebbe essere moralmente lecito porre fine ai giorni di un essere umano irrimediabilmente incosciente?
Biggar dunque in quel libro è contrario all'eutanasia non perché la ritenga ingiusta in sé in ogni caso, ma perché teme che essa avvierebbe una china scivolosa e possibili abusi. È lecito dunque domandarsi se per monsignor Paglia questa sia la posizione della Chiesa Cattolica.
È comprensibile l'ansia di abbracci ecumenici e accettabile che i membri della PAV possano in teoria appartenere ad altre religioni, o essere persino atei; in fin dei conti la difesa della vita umana innocente e la prospettiva antropologica fino ad ora sostenuta dal magistero sono comprensibili attraverso il diritto naturale (anche se in via prudenziale per incarichi di tale delicatezza sarebbe sempre bene preferire persone competenti la cui ragione fosse illuminata e sorretta dalla fede).
Però monsignor Paglia dice di avere accolto il professor Biggar dietro indicazione del primate anglicano Justin Welby. E al consigliere spirituale della Comunità di Sant'Egidio dovrebbe essere noto che gli anglicani hanno posizioni etiche piuttosto distanti dal magistero cattolico, soprattutto in materia di sessualità e vita.
Non osiamo quindi immaginare chi abbia segnalato a monsignor Paglia la professoressa Katarina Le Blanc, docente al Karolinska Institut dove conduce le proprie ricerche non disdegnando l'impiego di cellule staminali umane derivanti da soppressione di embrioni sovranumerari ottenuti durante fecondazione in vitro.
Purtroppo Andrea Tornielli non domanda niente sulla nuova accademica svedese.
Così come nessuna domanda il giornalista della Stampa ha per un altro neoincaricato, il professor don Maurizio Chiodi.
A pagina 158 del suo testo "Etica della vita. Le sfide della pratica e le questioni teoretiche", il professor Chiodi parla della generazione naturale e della fecondazione in vitro: «È proprio l'analogia tra le due situazioni che autorizza eticamente la procreazione medicalmente assistita. Non per nulla il 'medicalmente assistita' lo si dice della procreazione [...] Nella procreazione assistita, pur essendo essa realizzata senza rapporto sessuale, è sempre di procreazione che si tratta: è problematico quindi ogni allontanamento rispetto a tale senso 'intenzionato' nelle forme effettive della generazione [...] Nell'intenzione generante della coppia, normalmente legata alla relazione sessuale, si ritrova il paradigma costitutivo della stessa procreazione assistita che, proprio da questa intenzione generante, viene autorizzata come 'atto umano'».
Al di là dello sfumato e del velato, il quadro è perfettamente intellegibile. Se l'intenzione della fecondazione in vitro è generante, allora sarà un atto umano eticamente autorizzato che essa venga realizzata in maniera mediata dal biologo che sceglie i gameti e gli embrioni e dal ginecologo che li depone nell'utero materno? Sarà eticamente autorizzato congelare gli embrioni in vista di un'ulteriore futura intenzione generante? Sarà eticamente autorizzato lo scarto degli embrioni portatori di patologie trasmissibili, se a muoverlo è un'intenzione generante salutista? Tale prospettiva è forse coerente col magistero di Donum vitae, Dignitas personae, Evangelium vitae, Veritatis splendor e col numero 2377 del Catechismo della Chiesa Cattolica? O forse tutto ciò appartiene al ciarpame di un passato superato dalle aperture evocate da monsignor Paglia a Tornielli?
Questi sono fatti, non fumisterie, ed un presidente minimamente rispettoso del proprio ruolo saprebbe dare risposte pertinenti; oppure, se incapace a farlo, saprebbe dimostrare almeno il proprio amore alla causa della vita liberando la carica per chi è in grado di ricoprire in modo degno il ruolo che fu del professor Jerome Lejeune e del cardinale Elio Sgreccia, fondatore del primo centro di bioetica in Italia.
di Renzo Puccetti
19-06-2017
per
[www.lanuovabq.it]
-
Cinque milioni di buone ragioni
«Non siamo un partito ma vogliamo stringere un’alleanza sui grandi temi antropologici».
Lettera aperta del leader del Family Day
La strategia nazionale contro l’umano e la famiglia prosegue con il varo delle sue lugubri leggi.
È certamente un’onda lunga, iniziata negli anni Settanta con il divorzio e l’aborto e che giunge ai nostri giorni con il divorzio express, le unioni civili – che legittimano di fatto l’adozione dei bimbi da parte di coppie gay e lesbiche – le disposizioni anticipate di trattamento (o interruzioni programmate di vita), la legalizzazione della cannabis e l’educazione all’affettività nelle scuole italiane, ritagliata sulle linee guida delle plurime identità di genere.
In quest’elenco – ahimè, peraltro non completo – ci sono battaglie perse e battaglie ancora da combattere ma, soprattutto, c’è nascosto il grande rischio della delusione e della rassegnazione.
Soprattutto dentro il nostro mondo di credenti, si respira sempre una brutta aria, che va dall’uniformarsi al nuovo corso cultural-politico, magari ricercando mediazioni al ribasso, quasi il “male minore” rappresentasse l’apice dello sforzo etico, fino al cedere del tutto le armi e “tutti a casa”, a curare i propri affari.
Suona quanto mai attuale l’appello di san Paolo ai Romani: «Non conformatevi alla mentalità di questo mondo (di tenebra) in mezzo al quale dovete splendere come astri nel cielo», drammatico monito che nasce dalla parola stessa del Maestro: «Se il sale perde il sapore, con che cosa potrà essere salato; a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini».
Personalmente ritengo che fra le molte ragioni di tanta evidente “insignificanza” della cultura cristiana nel mondo politico italiano c’è certamente lo scarso impegno alla coerenza, personale e sociale, rispetto a valori non emendabili.
Eppure, anche questa “bandiera bianca” potrebbe essere figlia di un veleno che sta ancora più a monte: la corruzione delle coscienze, soprattutto di chi – avendo un ruolo di guida culturale, politica, sociale ed anche religiosa (come non ricordare l’accorato grido di allarme del Beato Paolo VI negli anni Settanta) – il compromesso ha iniziato a farlo dentro la propria anima, molto prima di essere “costretto” a farlo nell’agone civile.
Quando s’inquina la sorgente a monte, il fiume a valle non può certo essere puro e limpido.
Nient’altro che “pula al vento”
Fra i molti significati che i due straordinari eventi degli ultimi Family day hanno avuto, vorrei ricordarne almeno due, di particolare portata “politica”.
Primo: esiste un popolo numeroso, numerosissimo, che crede nella vita, nella famiglia naturale, nel patto educativo scuola/famiglia, nella pari dignità di ogni essere umano, senza distinzioni per condizioni personali o sociali, senza inventarsi ideologiche identità di genere.
Secondo: questo popolo esiste, è preoccupato ma non rassegnato, ma si sente abbandonato, “orfano” di una vera, chiara, leale rappresentanza politica.
Il 30 gennaio 2016, al Circo Massimo, chiunque avesse avuto la forza ed il coraggio di fermare quell’iniqua legge, di far cadere un governo ideologizzato ed arrogante che a colpi di fiducia chiudeva la porta ad ogni doveroso dialogo, avrebbe avuto la straordinaria opportunità di intestarsi la gratitudine e la riconoscenza di quel popolo che – come ha dimostrato al referendum istituzionale – ha la memoria lunga! E sa distinguere molto bene chi davvero lo rappresenta nei fatti e chi ha fatto delle promesse verbali nient’altro che “pula al vento”.
Questo tema dell’orfananza politica è ancora tutto aperto.
Una volta di più, il popolo del Family day lancia un appello alle forze politiche, chiedendo chi ci sta ad assumere nel proprio programma elettorale un patto di alleanza sui grandi temi antropologici della vita, della famiglia, della libertà educativa.
Così come non abbiamo mai creduto nell’opportunità di dar vita ad un nuovo partito, fondato su temi etici, altrettanto fermamente crediamo di poter giocare un ruolo di stimolo, di pressing, di virtuosa spinta sulle forze politiche esistenti perché prendano in seria considerazione il problema che oggi milioni di cittadini italiani – il “popolo del Family day” – non sa a chi assegnare il proprio voto.
Sondaggisti e statistici dicono che il 4 dicembre scorso quel popolo è valso dai quattro ai cinque milioni di voti.
Vero o falso che sia, una cosa è certa: quel popolo vale milioni di voti. Ed ha dimostrato in modo inequivocabile il profondo vallo esistente fra l’establishment politico e la società civile: l’arroganza del potere rende miopi, e il popolo, appena ne ha occasione, lo denuncia a colpi di voti, e fa cadere un governo che non ha avuto neppure quel minimo di saggezza che l’apertura di un dialogo richiede.
Nelle agende partitiche, nei programmi di governo, devono entrare scelte politiche di carattere antropologico cui il Family day non è disposto a rinunciare, che vedano nel rispetto della vita – dal concepimento alla morte naturale – della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio (art. 29 della Costituzione), della libertà educativa dei genitori (art. 30), della promozione delle famiglie numerose (art. 31) – la denatalità nel nostro paese è un problema spaventoso! – lo scheletro di ogni programma economico, finanziario, sanitario, assistenziale, scolastico e culturale.
Sono temi che richiedono onestà politica, culturale ed economica.
Onestà politica e culturale: si scelga la vita, contro eutanasia, suicidio assistito, legalizzazione della droga; si scelga la famiglia, disegnando chiari confini fra questa e le unioni civili, con il diritto di ogni bimbo di crescere con mamma e papà, contro l’abominevole ed incivile pratica dell’utero in affitto e l’insensatezza dell’omogenitorialità, con un’educazione scolastica che rifugga dal gender in ogni sua manifestazione.
Onestà economica: perché introdurre la fecondazione artificiale nei Lea e aumentare il ticket sanitario, o ridurre i fondi per la disabilità? Non ci sono i fondi o piuttosto non c’è la volontà di ridurre capitoli di spesa cui non si vuole mettere mano? In Italia l’evasione fiscale delle società che gestiscono il gioco d’azzardo vale circa 90 miliardi di euro: non si può proprio far nulla? Le pensioni d’oro (288.000 cittadini italiani) valgono 13 miliardi di euro: non si può proprio far nulla?
Per non parlare delle famiglie numerose: salvo i proclami demagogici, nella realtà abbandonate a se stesse.
Basta quaquaraquà
C’è bisogno di un nuovo patto politico per la vita e la famiglia: questa è la benzina per far ripartire l’Italia.
C’è, quindi, bisogno di una grande alleanza fra partiti che si riconoscano in questo patto, al fine che diventi un “patto di governo”, anche esprimendo nelle loro liste elettorali candidati che rappresentino e sostengano quei valori.
Con il 6 o il 15 per cento non si fa nulla. Ma con il 30 si può fare molto. Una volta di più l’unione fa la forza. E il popolo della vita e della famiglia ringrazia ed apprezzerà chi ha deciso di farsi suo onesto portavoce, non mancando di tenere sotto marcatura stretta chi si è candidato come garante delle sue istanze.
Perché non se ne può proprio più di politici “quaquaraquà”, inclini al facile tradimento pur di salvarsi la poltrona.
Massimo Gandolfini, 26 giugno 2017 per
[www.tempi.it]
Massimo Gandolfini è portavoce del Comitato Difendiamo i nostri figli, promotore del Family Day
Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) –
-
Qual è l’intento del Sig. Andrea Tornielli nell’attaccare gli Araldi del Vangelo?
Creare uno scisma nella Chiesa?
(comunicato stampa ufficiale)
Chiunque legga gli articoli e i libri del notevole vaticanista, il sig. Andrea Tornielli, può sorridere rievocando la figura pittoresca del camaleonte.
Infatti, le sue pubblicazioni registrano un’acuta capacità di adattarsi all’ambiente in cui si trova per svolgere la sua attività: ha saputo sorridere a Giovanni Paolo II, vezzeggiare il pontificato di Benedetto XVI e, allo stesso tempo, glissarlo discretamente quando ormai andava a braccetto con Francesco…
Recentemente, il Sig. Tornielli ha pubblicato un articolo polemico nel blog Vatican Insider, del quotidiano La Stampa: “Araldi, la dottrina segreta: ‘Correa incentiva la morte del Papa’”.
Considerando la nota caratteristica camaleontica dell’articolista, due quesiti emergono dalla pubblicazione: quali sono le sue intenzioni? Per quale ambiente egli anticipa un adeguamento?
È interessante osservare che l’autore solleva, attraverso tale articolo, le antiche, antichissime denunce contro il Professor Plinio Corrêa de Oliveira riguardanti la venerazione che molti gli prestavano in vita così come la devozione privata a sua madre, Donna Lucilia.
Ora, Mons. João Scognamiglio Clá Dias, fondatore degli Araldi del Vangelo, è bersaglio degli stessi attacchi. Queste sono accuse obsolete, tutte hanno avuto una risposta e sono state adeguatamente confutate secondo i dettami della più stretta dottrina cattolica.
Timeo hominem unius libri. È bene quello che i lettori della stampa cattolica sono inclini a concludere in questi momenti sulla conoscenza del Sig.Tornielli riguardo il tema del suo articolo: lo studioso di un solo libro provoca timore. Il che non figura tanto bene per un articolista di questa levatura… Vediamo perché.
In primo luogo, potremmo suggerire al Sig. Tornielli di guardare un po’ al passato dell’istituzione, da lui con tanta veemenza attaccata, e gettare uno sguardo su un’opera pubblicata nel 1985 – Servitudo ex Caritate – con il parere dell’eminente teologo P. Victorino Rodríguez y Rodriguez, OP. In questo studio, cui nessuno ha mai replicato, il tema della Sacra Schiavitù a Gesù, per mezzo di Maria, così come i legami spirituali tra il Prof. Plinio e i suoi discepoli, che egli cita nel suo articolo, sono stati completamente chiariti per il passato, per il presente e per il futuro.
E perché non consultare, anche, il libro Donna Lucilia, del 1995, con prefazione elogiativa di P. Antonio Royo Marin, OP, ristampato in collaborazione con la Libreria Editrice Vaticana nel 2013, anche in italiano? La sua lettura sarebbe stata sufficiente per rendersi conto che i fondamenti della devozione a questa grande donna brasiliana si basano sulla sua vita di illibata virtù e sono nel bimillenario costume della Santa Chiesa.
Ci permetta di dirle, Sig. Tornielli, che forse è conveniente che riveda le sue annotazioni del tempo del catechismo, perché anche prima che qualcuno sia canonizzato, la Santa Madre Chiesa chiede che sia riconosciuta la sua fama di santità.
E quanto alla devozione al Dr. Plinio? Qualora gli interessassero dati più attuali, invitiamo il Sig. Tornielli a fare uno studio approfondito di un’opera recentissima, del 2016, pubblicata in cinque volumi sempre dalla Libreria Editrice Vaticana, con più di 100mila collezioni stampate, sotto il titolo di Il dono di sapienza nella mente, vita e opera di Plinio Corrêa de Oliveira.
In questo lavoro si trovano in dettaglio le origini storiche e le basi teologiche di questo tema, trattato in modo così tendenzioso nel suo articolo.
È vero che è sorta, nel frattempo, a disposizione del Sig. Tornielli, una grande e insolita novità: un video privato, divulgato fuori dal contesto e superato col tempo, poiché è vecchio di un anno e mezzo. Essendo di uso ristretto dell’istituzione, è stato, comunque, ottenuto in modo illegale da un uomo appassionatamente disaffezionato nei confronti della TFP e degli Araldi – egli stesso ex-membro della TFP –, sposato con una signora, ex-membro dell’Opus Dei. Entrambi occupano parte del loro tempo ad attaccare le organizzazioni cui appartenevano.
È presso questa fonte che l’influente Sig. Tornielli è andato a prendere la sua informazione imparziale…Si tratta del resoconto di una riunione tra religiosi, riservata, che non ha implicato alcun cambiamento di direzione negli Araldi del Vangelo, sia nel loro rapporto con la Sacra Gerarchia e la società civile, sia nell’azione che svolgono con l’immensa quantità di aderenti del movimento. Lo scopo dell’incontro registrato era, semplicemente, scambiare impressioni su determinati fenomeni preternaturali, in un ambiente di amena e distesa intimità. Mani criminali, ancora sconosciute, hanno deciso di divulgare il suo contenuto in modo malevolo e irresponsabile per un pubblico che non ha, per la maggior parte, conoscenze teologiche sufficienti per dare un giudizio approfondito sul suo contenuto. Non era difficile, così, creare confusione nelle menti dei lettori. D’altra parte, queste stesse mani non si sono interessate, naturalmente, di divulgare le conclusioni di queste analisi.
Ora, perché il Sig. Tornielli non si è messo in contatto con gli Araldi per ottenere un chiarimento? A ragione potremmo dire: timeo hominem unius factionis, temiamo gli uomini della mezza verità, gli uomini parziali, quelli che non vogliono sentire ambo le parti.
Starà il Sig. Andrea Tornielli agendo da solo? Non lo sappiamo…
Ma possiamo affermare, analizzato l’articolo del rinomato vaticanista e le menzionate circostanze, che egli sta offrendo un cieco contributo nel senso di distruggere quell’unità a lungo sognata, che i Padri del Concilio Vaticano II hanno voluto portare avanti e che tre grandi uomini hanno concretizzato: San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Mons. João Clá.
Ecco un modo per rovinare la dottrina di un Concilio Ecumenico, e la dedita azione di due papi – di cui uno ancora vivo e in mezzo a noi – e di un Fondatore, di cui un Prefetto della Congregazione per i Religiosi, il Cardinale Franc Rodé, ha detto che la Chiesa è debitrice!
Cui prodest? A chi giova quest’atteggiamento?
Il mondo cattolico è sicuramente perplesso: questa volta il camaleonte presenta toni così surreali che, fatte le opportune riflessioni, continua ancora a sollevare domande riguardo le sue varie nuove colorazioni:
– Chi rappresenta il Sig. Andrea Tornielli?
– Vuole provocare uno scisma nella Chiesa?
– Con quali intenzioni?
Infine, chiarite le falsità e le distorsioni, gli rivolgiamo un invito a tornare sulla strada di un giornalismo colto, serio ed etico. Gli Araldi del Vangelo consacrano a San Giuseppe, patrono della Chiesa, la propria difesa, nella certezza di non essere abbandonati dal padre verginale di Gesù e castissimo sposo di Maria. Fatti salvi i propri diritti, sono essi disposti ad accogliere con benevolenza la ritrattazione dei calunniatori e a perdonarli sinceramente, in quanto non serbano alcun risentimento.
Araldi del Vangelo
fonte:
[araldimissioni.it]
-
Dignare me laudare te, Virgo sacrata!
Da EO virtutem contra hostes tuos!
Ci sono ancora cavalieri
Prima della emozionante testimonianza di Simone Pillon, due parole per chi ci legge da fuori Italia o non segue le vicende del Family Day.
- Simone Pillon è un cattolico, bresciano, marito, padre, avvocato.
- Simone Pillon è un membro del Cammino Neocatecumenale e - come vedrete più sotto - ha più palle di tanti falsi tradizionalisti che per la famiglia, la fede e l'Italia non fanno e non rischiano MAI nulla.
- Simone Pillon è un militante pro family da almeno 30 anni.
- Simone Pillon è un dirigente del CDNF-Family Day che si espone quando un referente locale è minacciato.
- Simone Pillon ha difeso gratuitamente militanti prolife e profamily ottenendo anche risultati storici.
---
- Simone Pillon è sotto processo per aver "offeso la reputazione dell'associazione Omphalos Arcigay e Arcilesbica" e giovedì 22 giugno si è svolta la prima udienza.
Oggi questo cavaliere di Maria ha bisogno di preghiere e di solidarietà, perché in momenti come quelli che sta passando sentirsi solo può togliere la forza di combattere... e siccome l'Italia e i cattolici non possono permettersi di avere un Simone Pillon che non sia al 100%,
SI CHIEDE A OGNI LETTORE DI
RECITARE UN SANTO ROSARIO
PERCHE’ SIMONE PILLON
CONSERVI LA FORZA DI COMBATTERE
FINO ALL’ULTIMO RESPIRO
__________
San Mariano, Umbria, 24/6/2017
Riesco solo oggi a scrivere con calma due parole sul processo che è cominciato giovedì 22 giugno e che mi ha visto sul banco degli imputati.
Il primo pensiero è di gratitudine alla storia che mi permette di soffrire per la verità. So infatti che la ricompensa sarà grande, e in una misura già ne sto gustando la caparra sia per la pace che provo nonostante tutto sia per le tantissime manifestazioni di solidarietà che mi giungono da ogni dove (anche insospettabili e da mondi lontani anni luce dal nostro punto di vista).
Il secondo pensiero è che nel mio cuore ho avuto la grazia di vincere in anticipo il processo perché mi è stato dato di non odiare. Non provo infatti né odio né risentimento verso i miei accusatori tanto che li ricordo ogni giorno nelle mie povere preghiere, e questa per un temperamento come il mio è la più grande delle vittorie.
Sto affrontando il processo con la consapevolezza che sono in gioco sia il mio futuro (in caso di condanna rischio ripercussioni sulla mia professione) che quello della mia famiglia , visto che il risarcimento richiesto dalle parti civili (circa 350-400 mila euro) va molto oltre le mie capacità economiche, ma soprattutto con la certezza che è mio preciso dovere affrontarlo, per dare a tutti i genitori nel mio piccolo la consapevolezza che non possiamo arrenderci davanti alle ideologie genderiste che vogliono ingoiare i nostri figli.
Alzarsi in piedi e soffrire personalmente per dichiarare la nostra libertà e difendere i nostri figli comporta il rischio di essere colpiti personalmente, e cominciamo ad essere in tanti a farne le spese. Il mio pensiero va a chi come me (medici, insegnanti, psicologi, giornalisti) sta affrontando tribunali e consigli di disciplina con l'accusa di aver detto la verità.
La strategia delle ideologie è chiara e non tollera voci di dissenso.
E tuttavia queste ideologie dimostrano la loro pochezza e inconsistenza ricorrendo allo strumento penale e disciplinare visto che se avessero argomentazioni logiche e convincenti non avrebbero problemi ad affrontare il dibattito pubblico. L'intolleranza verso il dissenso è la miglior prova della loro debolezza.
Consentitemi infine una nota personale. Sto sperimentando quanto sia bella e nobile la professione che esercito. Credo che ogni avvocato dovrebbe provare almeno una volta cosa significhi essere messo alla sbarra, essere in piedi davanti a un tribunale, rischiando la propria libertà la propria stabilità economica e la propria dignità.
Nelle società arcaiche quando uno veniva accusato, veniva posto in mezzo all'assemblea e lasciato solo per essere lapidato.
Bastava però che anche solo uno dei cittadini esenti da accuse si alzasse e si ponesse accanto all'accusato, significando così di credere alla sua innocenza al punto da esser disposto a morire con lui, per fermare la mano degli altri e costringere gli accusatori all'assoluzione.
Questi era detto PARACLITOS, in latino ADVOCATUS.
Ecco. In mezzo alla piazza non ero solo. C'erano i miei avvocati ma soprattutto c'era ognuno di voi. E a ben guardare, per chi ha occhi esperti, forse si poteva intravedere anche un altro Paraclitos.
Il processo sarà lungo e difficile. Vi chiedo di restare accanto a me.
Grazie di cuore perciò a ciascuno di voi, a chi mi ha scritto, a chi ha pregato per me e a chi mi ha rivolto anche solo un pensiero.
Andiamo avanti con coraggio e con forza, fondati nella verità.
Simone
-
Giugno: mese del Sacro Cuore di Gesù
di Plinio Corrêa de Oliveira
Oggi è la vigilia di una grande festa: il Sacro Cuore di Gesù. Vi consiglio calorosamente di leggere e di meditare le Litanie del Sacro Cuore. È una vera meraviglia! Vorrei commentarne alcune con voi oggi.
In primo luogo, questa bella invocazione: Cor Iesu, in sinu Vírginis Matris a Spíritu Sancto formátum, Cuore di Gesù, formato dallo Spirito Santo nel seno della Vergine Madre.
Il Cuore di Gesù è, nella sua realtà materiale e carnale, l’oggetto del nostro culto, come simbolo della volontà di Nostro Signore e, quindi, del Suo amore per noi. È il cuore più santo che possa esistere poiché è unito ipostaticamente alla divinità. Eppure, questo Cuore è stato formato nel grembo della Madonna Immacolata, esclusivamente con la materia che la madre dà per formare il corpo del bambino. Questo Cuore è carne di Maria. Il Preziosissimo Sangue che per Esso fluisce è sangue di Maria. Parlare del Sacro Cuore di Gesù è parlare del Cuore Immacolato di Maria.
Meditiamo su questo mirabile processo di generazione per il quale la madre dà se stessa per formare il corpo del figlio. Gesù fu generato per intero dal e nel corpo di Maria, in un rapporto così intimo che Ella si consumava in un incendio di amore e di adorazione verso questo Figlio che si andava formando nel suo grembo. Possiamo perciò capire come il Cuore di Gesù sia sostanzialmente unito al Cuore Immacolato di Maria. Questo ci porta a valutare la fiducia senza riserve che dobbiamo avere nell’efficacia dell’intercessione della Madonna, tenendo presente che Nostro Signore non può rifiutare niente a una Madre santissima e perfetta. Nei confronti della Sua Madre, Gesù ha il riguardo più superlativo (se mi permettete il pleonasmo) che il Creatore possa avere riguardo alla Sua più perfetta creatura. Tanto più che Egli sa che la Sua carne, ipostaticamente unita alla Seconda Persona della Santissima Trinità, è interamente carne della Sua Madre. Per noi che abbiamo una grande devozione alla Madonna, questa meditazione ha un grande significato.
Un’altra bella invocazione: Cor Iesu, maiestatis infinitae, Cuore di Gesù, di maestà infinita.
Sant’Agostino dice: “Ubi humilitas, ibi maiestas. Dove c’è l’umiltà, c’è la maestà”. Le due cose sono inseparabili. Possiamo quindi concludere che il Sacro Cuore di Gesù, che è un abisso di umiltà, è anche un universo di maestà. Come vorrei essere un artista per dipingere una figura di Nostro Signore che esprima non solo la maestosità, e nemmeno solo l’umiltà, ma la loro sintesi. Ogni immagine pia del Sacro Cuore di Gesù esprime, in un certo modo, ciò che la maestà ha in comune con l’umiltà, e ciò che l’umiltà ha in comune con la maestà. Nostro Signore è la più alta sintesi della santità, in cui entrambe le virtù si incrociano e si fondono.
Il Beau Dieu d’Amiens
Ricordo la figura detta il Beau Dieu d’Amiens, nel portale della cattedrale di Amiens, in Francia. Gesù non ha il Sacro Cuore sul petto, anche perché all’epoca tale devozione non esisteva ancora. Ma io lo trovo altamente espressivo in questo senso. È un Re il più meritevole, il più nobile, ma allo stesso tempo così sereno, così mansueto, così padrone di sé. Egli sembrerebbe capace di subire la peggiore ingiuria e di rimanere totalmente impassibile, tranquillo, sereno, senza la benché minima reazione del proprio amore ferito. Sempre che questo fosse l’atteggiamento più virtuoso in tale contingenza. Secondo me, l’immagine del Beau Dieu d’Amiens è quella che meglio rappresenta l’altissima sintesi fra la somma maestà e la perfetta umiltà.
Come figli della Contro-Rivoluzione, tenendo conto che la Rivoluzione fa una caricatura dell’umiltà e tace sulla maestà, dobbiamo chiedere al Cuore di Gesù che ci dia quella forma elevata e nobile di maestà, quel senso di regalità che è caratteristica essenziale dello spirito contro-rivoluzionario. Ciò implica un senso dell’ordine, dell’onore, della gerarchia che è maestoso, anche quando si tratta del più umile degli uomini.
Non posso non invocare a tale riguardo la straordinaria figura della beata Anna Maria Taigi (1769-1837). Era una semplice cuoca a Roma, non voleva spacciarsi per regina. Aveva, però, una tale maestà che era impossibile passarle a fianco senza esserne intimidito. Oppure santa Teresina di Gesù Bambino (1873-1897), così maestosa nella sua modestia e nella sua affabilità, che suo padre la chiamava “ma petite Reine”.
Un’altra invocazione: Cor Iesu, fornax ardens caritatis, Cuore di Gesù, fornace ardente di carità.
Il Cuore di Gesù è una fornace ardente dell’amore di Dio, perché la carità è propriamente l’amore di Dio. E il fatto che Egli ne sia una fornace ardente — cioè non solo un forno, che già darebbe l’idea di fuoco, ma una fornace ardente — rende chiaramente l’idea che Egli è al centro di tutto l’amore di Dio. La devozione al Sacro Cuore di Gesù, per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, è fatta appositamente per coloro che, afflitti da tiepidezza spirituale, trascinano faticosamente la propria vita spirituale. Questa devozione comunica loro il fuoco della fornace ardente della carità. Se vogliamo, per noi e per gli altri, il vero amore di Dio; è questa una delle devozioni più adatte e più eccellenti.
Il valore della sofferenza
Un’altra invocazione molto importante per il nostro tempo: Cor Iesu, pátiens et multae misericórdiae, Cuore di Gesù, paziente e misericordioso.
Che cosa vuol dire, esattamente, essere paziente? Paziente è chi soffre. Possiamo quindi dire: Cuore di Gesù sofferente e misericordioso. Sofferente anche per i mali che noi Gli procuriamo. Il Cuore di Gesù disposto a soffrire fino in fondo, che ama la sofferenza perché ne comprende il valore, ci insegna che la sofferenza è la grande legge della vita. Una vita senza sofferenza non vale assolutamente nulla. Da un certo punto di vista, la vita dell’uomo vale nella misura in cui soffre e ama la sofferenza. Ciò è quanto ci insegna il Cuore di Gesù paziente.
Una delle espressioni più tipiche della capacità di soffrire è lo spirito di iniziativa, per cui l’uomo supera la pigrizia, vince la sonnolenza, affronta con successo la noia, calpesta l’egoismo e si butta nel lavoro, si lancia nella lotta, nel punto più arduo se necessario, pronto ad abbandonarla senza indugio nel caso gli interessi della Chiesa puntino nella direzione opposta. La forma più elevata di pazienza è lo spirito di combattività, per cui l’uomo rinuncia al proprio comfort per servire gli interessi della Chiesa. Ecco ciò che dobbiamo chiedere al Cuore di Gesù, paziente e misericordioso.
Essere misericordioso vuol dire avere pietà. Ecco un altro aspetto del Sacro Cuore di Gesù, che credo non sia sempre ben capito dalle generazioni più giovani: la misericordia divina perdona non una volta, né due, né duemila. La misericordia divina perdona sempre perché non vuol essere superata nel perdonare. Questo ci porta ad avere una fiducia illimitata nel Sacro Cuore di Gesù, per l’intercessione del Cuore Immacolato di Maria. Cuore di Gesù, paziente e misericordioso. Paziente con i miei difetti e con i miei peccati, misericordioso con le mie mancanze, per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, abbiate pietà di me! È un’ottima invocazione da recitare molte volte al giorno, per non perdere la fiducia in Nostro Signore Gesù Cristo.
Ringraziamento dopo la Comunione
Ancora un’invocazione: Cor Iesu, propitiátio pro peccatis nostris, Cuore di Gesù, propiziazione per i nostri peccati.
A volte capita che ci sentiamo fondamentalmente indegni. Anche le anime più pure e più virtuose si sentono indegne. Capiscono che di fronte all’infinita giustizia di Dio noi non siamo nulla. Questa invocazione dà pace all’anima: il Sacro Cuore di Gesù è una propiziazione per i nostri peccati.
Che cosa vuol dire propiziazione? Io sono inutile. I sacrifici che faccio non valgono nulla perché vengono da me, che non valgo niente. Ma c’è una Vittima che vale tutto perché è senza macchia, senza difetti, è una Vittima unita ipostaticamente alla divinità stessa. Questa Vittima è Nostro Signore Gesù Cristo, che offre Se stesso per me. Tutto ciò che io non riesco a ottenere, questa Vittima ottiene per me.
Questa Vittima si è addossata i miei peccati, e li ha espiati per me. Perciò, se da una parte considero i miei peccati con enorme vergogna e contrizione, dall’altra li considero con un’immensa fiducia perché Qualcuno è morto per me, Qualcuno ha versato fino all’ultima goccia di sangue per me. Io non ho alcuna fiducia in me, ma questo Sangue infinitamente prezioso è stato versato per me.
Un’ultima invocazione: Cor Iesu, fons totíus consolationis, Cuore di Gesù, fonte di ogni consolazione.
La parola consolazione ha due sensi: rafforzare, o rinvigorire, e comunicare gioia. È la gioia, la soavità, l’unzione dello Spirito Santo. In entrambi i sensi, il Sacro Cuore di Gesù è la fonte di ogni consolazione. La nostra forza viene da Lui. È Lui che ci dà la forza quando ci sentiamo deboli, tiepidi, disorientati. Quando ci troviamo di fronte a qualche grande atto di generosità a cui siamo chiamati, senza il coraggio di realizzarlo, non facciamo “olimpismo”, non immaginiamo che bastino le nostre forze. No! Il Sacro Cuore di Gesù è la fonte di ogni forza. Attraverso il Cuore Immacolato di Maria, che è l’unico canale per arrivare al Cuore di Gesù, dobbiamo andare da Lui e chiedergli la forza, con la certezza che non ne usciremo frustrati. Con l’aiuto del Sacro Cuore avrò la forza che serve per fare anche le cose più ardue e più difficili nella vita spirituale.
Ecco alcune considerazioni che possiamo utilizzare quando facciamo il ringraziamento dopo la Comunione.
Quanto sarebbe utile, per esempio, meditare ogni giorno su un’invocazione del Sacro Cuore di Gesù durante il ringraziamento, tenendo conto che abbiamo appena ricevuto la Comunione, cioè la presenza reale di Nostro Signore. Possiamo meditare, per esempio, sul Sacro Cuore come fonte di ogni forza:
Signore, Voi siete la fonte di ogni forza. Io vorrei avere mille volte più forza di quanto ne ho, per servirvi meglio. So che questa fonte di ogni forza è adesso presente dentro di me; so che la fonte della forza siete Voi. Datemi forza contro i Vostri nemici esterni e contro le mie cattive tendenze, che sono pure nemiche Vostre. Abbiate pietà di me, Ve lo chiedo per mezzo del Cuore Immacolato di Maria.
Questo dovrebbe essere fatto seguendo liberamente i movimenti della nostra anima. Da parte mia, resta un suggerimento: quando, nel ringraziamento dopo la Comunione, sentite aridità, cioè quando non avete niente da dire a Nostro Signore, recitate una di queste invocazioni e meditate. Avrete fatto un eccellente Comunione, fonte di vere grazie.
-
Cobas comunisti:
evitare ingerenze associazioni genitori
Martedì 20 giugno, nella città più gay friendly d’Italia, i Cobas (comitati di base della scuola), assieme ad altre 17 associazioni della galassia del Partito Democratico, hanno svolto un presidio davanti all’Ufficio Scolastico Regionale (USR).
Cosa ha chiesto la «rete di associazioni, collettivi, spazi sociali, sindacati» di sinistra? Aprite bene le orecchie, perché la cosa ha dell’incredibile: «una nota ufficiale dell’USR che si esprimesse chiaramente contro le indebite ingerenze nel funzionamento delle scuole da parte di sedicenti associazioni di genitori, che hanno l’obiettivo di provocare ingiustificati allarmi e di condizionare le attività delle scuole, inficiando la libertà di insegnamento e subordinando la stessa al cosiddetto “consenso informato”».
La richiesta trae origine dalla forte reazione di famiglie, associazioni e partiti allo spettacolo teatrale genderista “Afa’ Fafine”, rappresentato nel mese di gennaio a Castello d’Argile (BO). In tale occasione, oltre alla reazione spontanea delle famiglie e di alcune piccole associazioni scolastiche, il locale Comitato Difendiamo i Nostri Figli aveva messo in guardia tutti i dirigenti scolastici della Provincia, coinvolgendo anche i due maggiori partiti dell’opposizione alle Giunte PD. Forza Italia, principalmente grazie all’azione dell’avv. Bignami, aveva portato per circa 20 giorni la protesta delle famiglie sulla stampa locale, in Consiglio Regionale e persino in Parlamento. Il consigliere comunale Polazzi di S. Pietro in Casale, vicino alla Lega Nord, aveva coordinato una importante serie di volantinaggi nei più importanti paesi del circondario. Oltre a queste tre iniziative, molte altre – come ad esempio gesti di forte impatto mediatico di Forza Nuova – avevano provocato un inatteso sconquasso nelle varie riunioni dei dirigenti scolastici di tutta Bologna.
Altre reazioni, benché minori e meno organizzate, sono seguite nei mesi successivi, esasperando i Cobas al punto di parlare di una «azione organizzata di diversi gruppi integralisti cattolici e neofascisti, che attraverso l’attacco alla presunta e inesistente teoria del gender, mirano a colpire la scuola pubblica, laica e pluralista. Le azioni di intimidazione, infatti, hanno già condizionato in alcuni casi le scelte delle istituzioni scolastiche, e non accennano a diminuire». Un presidio e relativa manifestazione delle sinistre è previsto il prossimo 29 giugno, in Piazza Maggiore di Bologna.
L’episodio di Bologna conferma, se ce ne fosse bisogno, il fine delle politiche educative socialiste, dall’Unità d’Italia ad oggi: “fare gli italiani” plasmandoli come vuole lo Stato, anche attraverso la diffusione dell’ideologia del gender. Ma i figli non li fa lo Stato e perciò la «libertà di educazione ai genitori per i propri figli è un diritto inalienabile» (CdF, 24/11/2002): anteporre a questo diritto primario la “libertà di insegnamento” è contro natura.
Un ultimo aspetto non va trascurato, quello di chi cerca il “dialogo” con la scuola di Stato e invita ad “immischiarvisi”: tale dialogo non è mai servito né mai servirà. Lo conferma la risposta dell’USR di Bologna: «atti formali dell’amministrazione […] sono stati già messi in atto in diverse sedi istituzionali […] i dirigenti possiederebbero già gli strumenti per affrontare situazioni analoghe […] l’USR è già impegnato nel patrocinio di progetti di educazione all’affettività, alla sessualità e al rispetto delle differenze, come “W l’amore!”».
Gli italiani sono avvisati: qui non si parla solo di scuola ma del futuro del paese. E il presidio davanti all’USR di Bologna è una parte importante della strategia socialista che si svela.
David Botti, 22/6/2017 per
[https:]
-
Il grande arcivescovo di Bologna torna a supplicare il Santo Padre di essere ricevuto assieme ad altri membri del sacro collegio cardinalizio.
Il Card. Caffarra - assieme ad altri tre grandi cardinali - rivolge al Pontefice parole filiali e rispettose. Si può presumere che la loro intenzione sia di cercare di “discernere” meglio e fare chiarezza su alcuni sue opinioni malintese (in particolare per Amoris laetitae, ma non solo), poichè la confusione si allarga nella Chiesa.
I lettori di totustuus.it sono invitati a pregare perchè questa udienza venga concessa e la confusione abbia fine: i sacerdoti offrendo il Santo Sacrificio eucaristico, le religiose e i religiosi con la recita dell'Ufficio Divino, i laici con il Santo Rosario e la loro azione della società.
Di seguito la lettera al papa del Cardinale Carlo Caffarra.
************************************************************************************
Beatissimo Padre,
è con una certa trepidazione che mi rivolgo alla Santità Vostra, durante questi giorni del tempo pasquale. Lo faccio a nome degli Em.mi Cardinali: Walter Brandmüller, Raymond L. Burke, Joachim Meisner, e mio personale.
Desideriamo innanzi tutto rinnovare la nostra assoluta dedizione ed il nostro amore incondizionato alla Cattedra di Pietro e per la Vostra augusta persona, nella quale riconosciamo il Successore di Pietro ed il Vicario di Gesù: il “dolce Cristo in terra”, come amava dire S. Caterina da Siena. Non ci appartiene minimamente la posizione di chi considera vacante la Sede di Pietro, né di chi vuole attribuire anche ad altri l’indivisibile responsabilità del “munus” petrino. Siamo mossi solamente dalla coscienza della responsabilità grave proveniente dal “munus” cardinalizio: essere consiglieri del Successore di Pietro nel suo sovrano ministero. E del Sacramento dell’Episcopato, che “ci ha posti come vescovi a pascere la Chiesa, che Egli si è acquistata col suo sangue” (At 20, 28).
Il 19 settembre 2016 abbiamo consegnato alla Santità Vostra e alla Congregazione della Dottrina della Fede cinque “dubia”, chiedendoLe di dirimere incertezze e fare chiarezza su alcuni punti dell’Esortazione Apostolica post-sinodale “Amoris Laetitia”.
Non avendo ricevuto alcuna risposta da Vostra Santità, siamo giunti alla decisione di chiederLe, rispettosamente ed umilmente, Udienza, assieme se così piacerà alla Santità Vostra. Alleghiamo, come è prassi, un Foglio di Udienza in cui esponiamo i due punti sui quali desideriamo intrattenerci con Lei.
Beatissimo Padre,
è trascorso ormai un anno dalla pubblicazione di “Amoris Laetitia”. In questo periodo sono state pubblicamente date interpretazioni di alcuni passi obiettivamente ambigui dell’Esortazione post-sinodale, non divergenti dal, ma contrarie al permanente Magistero della Chiesa. Nonostante che il Prefetto della Dottrina della Fede abbia più volte dichiarato che la dottrina della Chiesa non è cambiata, sono apparse numerose dichiarazioni di singoli Vescovi, di Cardinali, e perfino di Conferenze Episcopali, che approvano ciò che il Magistero della Chiesa non ha mai approvato. Non solo l’accesso alla Santa Eucarestia di coloro che oggettivamente e pubblicamente vivono in una situazione di peccato grave, ed intendono rimanervi, ma anche una concezione della coscienza morale contraria alla Tradizione della Chiesa. E così sta accadendo – oh quanto è doloroso constatarlo! – che ciò che è peccato in Polonia è bene in Germania, ciò che è proibito nell’Arcidiocesi di Filadelfia è lecito a Malta. E così via. Viene alla mente l’amara constatazione di B. Pascal: “Giustizia al di qua dei Pirenei, ingiustizia al di là; giustizia sulla riva sinistra del fiume, ingiustizia sulla riva destra”.
Numerosi laici competenti, profondamente amanti della Chiesa e solidamente leali verso la Sede Apostolica, si sono rivolti ai loro Pastori e alla Santità Vostra, per essere confermati nella Santa Dottrina riguardante i tre sacramenti del Matrimonio, della Confessione e dell’Eucarestia. E proprio in questi giorni, a Roma, sei laici provenienti da ogni Continente hanno proposto un Seminario di studio assai frequentato, dal significativo titolo: “Fare chiarezza”.
Di fronte a questa grave situazione, nella quale molte comunità cristiane si stanno dividendo, sentiamo il peso della nostra responsabilità, e la nostra coscienza ci spinge a chiedere umilmente e rispettosamente Udienza.
Voglia la Santità Vostra ricordarsi di noi nelle Sue preghiere, come noi La assicuriamo che faremo nelle nostre. E chiediamo il dono della Sua Benedizione Apostolica.
Carlo Card. Caffarra
Roma, 25 aprile 2017
Festa di San Marco Evangelista
-
... per promuovere il Perugia Gay Pride
La Madonna nelle vesti di una provocante “Drag Queen”, questa la, a dir poco, offensiva, “trovata” pubblicitaria scelta dal Perugia Pride Village che si svolgerà nel capoluogo umbro da venerdì a domenica 25 giugno.
Il manifesto pubblicitario realizzato dagli organizzatori dell’evento raffigura infatti una donna velata e vistosamente truccata che richiama inequivocabilmente la Madonna in atteggiamento da drag queen, con un cuore circondato di raggi in mano, a scimmiottare il Cuore Immacolato di Maria.
Come prevedibile, il manifesto ha immediatamente scatenato polemiche.
Su Facebook Marco Squarta, consigliere regionale di Fratelli d’Italia in Umbria ha così commentato:
“Non si può invocare il rispetto dei propri diritti, battagliare contro le discriminazioni e gli insulti e poi diffondere immagini come queste sulla Madonna che offendono chi crede. (…)Pessimo gusto..anzi disgustoso”.
Dichiarazioni alle quali hanno prontamente replicato gli organizzatori del Perugia Pride Village attraverso Stefano Bucaioni, presidente di Omphalos Lgbt e vicepresidente Arcigay che, negando l’evidenza, ha così cercato di mischiare le carte:
“Mi preoccupa che il consigliere Squarta non sappia riconoscere una Drag Queen da una Madonna, ma visto che è così confuso sulla laicità delle istituzioni lo invitiamo caldamente a partecipare al Perugia Pride Village 2017”.
Gli organizzatori del Pride hanno poi deciso di diramare una nota congiunta per chiarire la loro posizione a riguardo in cui si legge:
“I nostri pride scandalizzano, irritano, destabilizzano. E lo fanno di proposito. Ci si scandalizza alla percezione di qualcosa di sacro accostato a qualcosa che si ritiene sbagliato non degno di rispetto. Dimostrando nei fatti che ciò che di sbagliato si vede sono semplicemente le nostre drag queen, le nostre persone transessuali, i gay, le lesbiche o le persone intersex”.
La polemica ha investito anche l’amministrazione del Comune di Perugia, guidata dalla giunta di centrodestra del sindaco Andrea Romizi, che dopo aver concesso il patrocinio al Pride, si è (ingenuamente) detto sorpreso di tale locandina, affermando: “la locandina non rientra nel materiale di comunicazione oggetto del patrocinio“.
La vicenda mette chiaramente in luce la “tolleranza” della comunità LGBT+, sempre in prima linea a parlare di rispetto e non discriminazione, ma priva di scrupoli nell’offendere gratuitamente in maniera vergognosa ed inaccettabile i simboli sacri dei loro “avversari” culturali.
Luca Romani, 16/06/2017 per
[https:]
-
Da Il timone giugno 2017:
La versione di Barra
Scrive un lettore del Timone:
«[…] vorrei condividere una esperienza che mi affligge da un po’ di tempo. Sono veramente in uno stato di confusione totale, perché vedo nella Chiesa tante posizioni diverse una dall’altra su argomenti importanti per la mia vita spirituale e quindi per la fede. Da cattolico, cerco punti fermi nelle parole di Francesco, ma faccio fatica a trovarli. Alcune volta mi pare che il papa dia indicazioni di un certo tipo, altre che dia indicazioni diverse o anche opposte. Possibile, mi chiedo che ci sia questa confusione? […] Grazie [...]
P.G.Z. – e-mail »
_____
Caro amico,
lei disegna una posizione che conosco. Le scrivo dunque di me, convinto che qualcosa di simile alla “tempesta” ormai quotidiana nel mare agitato dell’anima mia sia sperimentato da molti altri. Tutto origina dallo scontro di “due forze” che appaiono diametralmente opposte.
La prima avanza titoli di assoluto valore e poggia sulla certissima verità di fede che il S. Padre è il Vicario di Cristo e Successore di Pietro. Ogni Papa legittimamente eletto lo è stato, e lo è – non ne dubito – anche Francesco. Così, al sorgere persino della più piccola perplessità sul suo operato, esplode nell’anima un turbinio di domande che non si acquieta: «Dubiti del papa? Lo stai contestando? Ti rendi conto del pericolo per la salvezza della tua anima? Non temi di scandalizzare E di offendere Dio?».
La seconda origina dai fatti, dalla cruda realtà. Qui, non dico “io penso”, ma piuttosto “vedo” e “leggo” (e conservo, onde assicurarmi di non avere allucinazioni) affermazioni del Santo Padre che mi appaiono inaudite proprio grazie a quella stessa fede che più sopra mi metteva in guardia: «È vero che ognuno ha una propria idea di bene e che la Chiesa deve aiutarlo a realizzarla? È vero che se una moglie luterana chiede perdono direttamente a Dio dei suoi peccati “fa lo stesso” del marito cattolico che si accosta al confessionale? È vero che Gesù si è fatto diavolo e qualche volta ha fatto il “finto scemo”? È vero che tra cattolici, ebrei, musulmani e buddisti “la sola cosa certa che abbiamo è che siamo tutti figli di Dio?».
Quando queste forze s’affrontano, contendendosi l’anima, è tempesta! Guai a me farmi giudice del Papa, con serio pericolo di deragliare nella fede, da un lato; incontestabile evidenza della bizzarria “dottrinale” di certe affermazioni, dall’altro. In me, confesso, non si conciliano.
Osservo come se la cavano alcuni amici, di fede sincera e per i quali va (meglio: deve andare!) tutto bene: testa sotto la sabbia, non “vedere”, non “sentire”, non “leggere” e, dunque, non “parlare” di certe cose.
Così non mi ci vedo, non è roba per me.
Tutto finito, dunque?
Ma neanche per sogno!
Mentre continuo ad invocare un intervento del Cielo, nell’attesa fiduciosa che la matassa si sciolga, cerco di fare al meglio il mio compito.
Consapevole – per fede – che Dio mi chiederà conto solo dei talenti che mi ha dato.
Di quelli donati ad altri – anche ai pastori della Chiesa – chiederà conto a loro, non a me.