Sulle coste, soprattutto tirreniche e poi, nel centro-sud, il paesaggio italiano presenta tuttora alcune caratteristiche alle quali in genere non si fa caso ma che invece costituiscono un’indelebile testimonianza di un lungo e sanguinoso passato del quale si è persa la memoria. Si tratta delle torri a mare che costellano il litorale e dei numerosi paesi arroccati, in modo apparentemente incomprensibile, su ripidi pendii, ai quali si accede spesso solo attraverso una, ed una sola strada, incassata tra pareti altrettanto scoscese.
Non è però difficile, riflettendo un momento, ricordare che tutto questo, al pari, ad esempio, dei cognomi e delle varie alture che portano ancora il nome Saraceno, deriva dai quasi mille anni a partire dall’800, in cui l’Italia centro-meridionale e le isole furono oggetto delle razzie dei pirati musulmani ed, in qualche caso, come la Sicilia e certe zone della Puglia, caddero addirittura sotto la dominazione islamica.
Se, fino ad alcuni decenni orsono, ricordare tali vicende storiche poteva anche aver perso interesse stante il declino della civiltà musulmana, oggi, che il prepotente risveglio dell’islam suggerirebbe magari una loro rivisitazione, è il political correct che provvede a mantenere l’oblio tacciando di islamofobia ogni ingombrante ricordo di certi fatti.
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Rinaldo Panetta – I SARACENI IN ITALIA – Ugo Mursia Editore – Milano – 2016 - pag. 302 - €.17,00.
È dunque non poco merito di Rinaldo Panetta, già ufficiale durante la 2° guerra mondiale poi, dedito a studi di storia militare, l’essersi dato cura di reperire in archivi, storie locali e testi antichi, tutti pressoché introvabili, le tracce di un vistosissimo fenomeno che ha terrorizzato per secoli le popolazioni rivierasche – e non solo- della nostra nazione. Un fenomeno che le ha costrette ad erigere strumenti di avvistamento e difesa (le torri a mare) e spesso, ad abbandonare le coste per ricostruire gli abitati in luoghi alti ed inaccessibili, più facili però a difendersi.
Partendo dalle coste delle attuali Algeria e Tunisia e, fintantoché fu loro soggetta, anche dalla Sicilia, le navi saracene si spinsero per secoli, con metodica continuità, lungo la penisola attratte dalle ricchezze del paese e dalla possibilità di far razzia di schiavi destinati ad una sorte ancor più terribile di quella di coloro che invece, per essere vecchi o malati o infanti, erano di regola uccisi.
Nelle sue fitte pagine – peraltro ben leggibili- il libro di Panetta presenta così una serie pressoché infinita di episodi che sono poi solo una minima parte di quelli realmente accaduti; tutti, sempre apparentemente uguali: assedi, eccidi, razzie di beni e persone destinate ai mercati nord-africani per soddisfare (le donne ed i giovinetti) anche le voglie più libidinose dei ricchi ‘credenti’.
Mentre dunque si costruivano cattedrali o scrivevano Dante e Petrarca, un po’ tutta l’Italia peninsulare e costiera visse invece nel terrore degli sbarchi improvvisi, sempre pronta a chiudersi in lunghi assedi nella speranza di aiuti che spesso non arrivavano o arrivavano tardi o in modo insufficiente.
Non è neanche un caso, ad esempio, che in larghe zone del sud manchino abitazioni in campagna; le famiglie preferivano infatti, compiere ogni giorno lunghi tratti a piedi per recarsi alle terre (a costo di evidenti diseconomie) pur di non rischiare di divenire preda delle temutissime incursioni notturne dei saraceni che si spingevano anche nell’entroterra.
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Ma i meriti dell’autore del libro non si fermano qui. Da buon militare che, ogni tanto, non disdegna qualche avvincente descrizione di battaglie, Panetta non omette neanche, in pur veloci passaggi, di ricordare i motivi di fondo che ispiravano i comportamenti degli aggressori riuscendo così anche a dare un contributo di non poco conto per smontare molti luoghi comuni.
Eccone alcuni.
Primo e principale, non si trattò solo di imprese banditesche. Infatti, i proventi delle razzie costituivano regolari fonti di entrata degli emiri cioè – diremmo oggi- degli stati musulmani che facevano da copertura alle imprese piratesche, riservandosi regolarmente una parte del bottino.
Ma, il movente fondamentale forse non era neanche questo bensì la volontà di colpire gli infedeli (cioè i cristiani) e, non a caso, proprio nella penisola sede di Roma e dunque della città del Pontefice.
Non si deve dimenticare che lo stesso Profeta diede inizio all’espansione della nuova religione con razzie di carovane e successiva sottomissione delle vittime pena la loro eliminazione fisica.
Non meno interessante è poi il confronto che emerge tra le popolazioni cristiane: laboriose, capaci di coltivare le terre e di operare artigianalmente insomma, di produrre ricchezza e le genti dell’islam invece, prevalentemente dedite a vivere delle ricchezze prodotte da altri (la storia dei nostri giorni non mostra, in fin dei conti, nulla di diverso).
Fu del resto nei secoli della dominazione musulmana che il nord-africa passò dal costituire il granaio e il fiore all’occhiello dell’impero romano allo stato attuale.
Spicca quindi il ben diverso trattamento che era riservato al nemico. ai cristiani catturati era riservata una vita da schiavi dediti ai lavori forzati o, se si trattava di giovani donne, a riempire gli harem per essere poi lasciati, se vecchi o malati, a marcire nei cosiddetti “bagni di Barberia”: stanzoni fetidi pieni di ogni sporcizia con totale e voluto disprezzo di ogni pur minimo diritto umanitario.
Infine nell’ultima parte finale del libro, dedicata agli eventi dei secoli dopo il 1000, risplende la schiera dei religiosi (Trinitari e Mercedari) dediti in Europa alla raccolta di elemosine per il riscatto degli schiavi, spesso a rischio della vita; pronti anche, all’occorrenza, ad offrire se stessi come ostaggi per ottenere la liberazione di questi poveretti.
È dunque tutto un mondo dimenticato quello che emerge dalla lettura del libro; un mondo che fu pieno di enormi sofferenze ma anche di radiosi esempi di virtù e che ben ricorda come le persecuzioni non finirono con l’Editto di Milano dell’imperatore Costantino per riprendere nel XX secolo con la strage degli Armeni ed i milioni di vittime dell’ideologia comunista ma hanno accompagnato l’intera storia del cristianesimo anche in secoli e luoghi ai quali poco, in genere, si pone mente.
Andrea Gasperini