Nel tardo pomeriggio di sabato 1° luglio 2017, è calato il sipario sul pride nella città che ha dato i natali al movimento LGBT in Italia. Ma quest’anno qualcosa non ha funzionato.
Nessuno tra i 55 comuni della provincia ha dato il Patrocinio all’iniziativa, costringendo così gli organizzatori a fare una raccolta fondi che ha fruttato solo 5.500€. L’evento ha dovuto accontentarsi dell’adesione dei giovani del Partito Democratico, dell’Associazione Nazionale Partigiani, della galassia di associazioni gay friendly che ruotano attorno al PD e degli altri pride.
La scarsità dei donatori (319 i dichiarati, che diventano circa 100 se si depennano i parlamentari e i nominativi ripetuti) fa luce sul reale peso elettorale di questa lobby. Insomma, se a sfilare sono migliaia è solo perché gli stessi attivisti si spostano da una città all’altra.
Questo “flop” – parziale ma significativo – potrebbe esser dovuto all’azione di una “contro-lobby” (il locale Comitato Difendiamo i Nostri Figli – Family Day) che è intervenuta sia sui Sindaci sia coinvolgendo consiglieri comunali del Centro-Destra (in primis Forza Italia e Fratelli d’Italia) e di liste civiche.
Questi i principali argomenti proposti e condivisi da partiti e amministrazioni: in ogni gay pride si offende sempre la sensibilità religiosa; l’evento è “divisivo” in quanto irrita o non trova riscontro nel comune sentire dei cittadini di ogni convinzione; privilegia le unioni affettive di ogni genere rispetto al matrimonio naturale; sostiene il primato dello Stato nell’educazione sul diritto naturale primario dei genitori; prevarica il diritto dei bambini ad avere una mamma e un papà.
Di più: finita la sfilata, mentre iniziavano i consueti baccanali notturni, un’importante presenza di cattolici pregava nella Basilica di San Domenico «in riparazione dei peccati contro la vita e la famiglia».
Così, del gay pride bolognese resta soltanto un «Documento Politico» -consegnato ovviamente all’amministrazione PD del capoluogo emiliano romagnolo -, che addirittura riecheggia contenuti del socialismo chiliastico e merita molta attenzione.
In esso ci si propone di occupare lo spazio pubblico perché vengano «scritte nuove leggi per riconoscere anche ciò che ancora non esiste» e si rivendicano come proprie le battaglie del femminismo; dell’identità di gender omosessuale e transessuale; delle unioni gay; dell’ageismo (discriminazione per età: pedofilia?); delle adozioni da parte di coppie omosessuali; dell’utero in affitto (Gestazione Per Altri); della fecondazione artificiale.
In senso opposto, vengono agitati in modo ossessivo gli spauracchi del fascismo, del «sistema patriarcale eteronormativo capitalistico», dei cattolici, del bullismo, del razzismo, dell’obiezione di coscienza in tema di aborto e di pillola “del giorno dopo”.
Di particolare interesse è il sostegno all’immigrazione che comprende una dura presa di posizione contro il pur blando Decreto Minniti-Orlando.
Infine, per ciascun tassello del mosaico che porta alla deriva etica del Paese si richiedono nuove leggi, azione nella scuola, utilizzo del welfare, sportelli di prevenzione medica e – sull’esempio di Toscana, Piemonte e Umbria -, una legge regionale che introduca lo “psico-reato” di «omo-lesbo-bi-transfobia».
Chi pensa che il gay pride sia soltanto un momento di rivendicazione sessuale è servito: siamo di fronte a una vera e propria avanguardia rivoluzionaria, che riassume in sé tutta l’eredità corrosiva e disgregatrice del Sessantotto.
Pertanto, anche se la consistenza e il peso politico del mondo gay friendly è relativo, non bisogna dimenticare che «il fallimento degli estremisti è, dunque, soltanto apparente. Essi danno il loro contributo indirettamente, ma potentemente, alla Rivoluzione, attirando lentamente verso la realizzazione dei loro colpevoli ed esasperati vaneggiamenti la moltitudine innumerevole dei “prudenti”, dei “moderati” e dei mediocri».
La battaglia in difesa della vita e della famiglia dovrà dunque continuare; e per i bolognesi prosegue con una petizione intesa a chiedere un’inversione di marcia a favore della famiglia.
David Botti, per
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