La Gnosi luterana e la Dottrina del potere politico
Il mondo cattolico sta affrontando questo 500mo anniversario della Riforma luterana (1517-2017) privilegiando due punti di vista. Ciò è evidente dal posizionamento di molti esponenti della gerarchia ecclesiastica e di molti teologi.
Il primo di questi punti di vista consiste nel concentrarsi sulle “intenzioni” di Lutero, su cosa egli soggettivamente volesse fare. In genere si sostiene che egli non voleva una rivoluzione nella Chiesa ma una riforma. Da questo punto di vista si tende quindi a capovolgere la linea tenuta finora dalla teologia e dalla cultura cattolica in genere, che sempre si è impegnata a mostrare come non si fosse trattato di una “riforma” ma di una rivoluzione. Interpretando oggi le intenzioni di Martin Lutero, si tende invece a dire che è stata una riforma e non una rivoluzione.
Un’altra conseguenza di questa impostazione consiste nello spiegare gli eventi di cinquecento anni fa come una serie di inconvenienti storici, soprattutto di tipo comunicativo, dovuti alla situazione del tempo e per i quali la stessa Chiesa cattolica non è esente da responsabilità[1]. Le intenzioni di Lutero erano quindi buone, ma la situazione storica si incaricò di intralciarle e complicarle. Basterebbe togliere di mezzo questi intralci storicamente sedimentati e ricongiungersi alle intenzioni originarie di Lutero per ritrovare l’unità.
La tesi secondo cui Lutero non voleva una rivoluzione ma una riforma non è illegittima ed è stata autorevolmente sostenuta. Per esempio, Jean Guitton scriveva che “Né Erasmo, né Lutero, né Calvino hanno immaginato la metamorfosi che stavano per provocare”[2]. Il cardinale Kasper l’ha da tempo fatta propria e di recente, tornando sull’argomento, ne ha fatto il punto di forza per una rivalutazione aperta e completa di Lutero, la cui volontà sarebbe stata solo quella di ribadire la centralità della grazia divina nella salvezza[3]. Secondo il cardinale «Lutero era un uomo desideroso di rinnovamento, non un Riformatore. Con questa istanza evangelica Lutero si poneva nella lunga tradizione dei rinnovatori cattolici che lo avevano preceduto. Si pensi soprattutto a Francesco d’Assisi»[4].
L’accostamento tra Lutero e San Francesco ci dice tutta la pericolosità della tendenza a concentrarsi sulle intenzioni di Lutero, questo infatti non può essere né l’unico né il principale aspetto della questione. L’aspetto centrale è quello dogmatico e da questo punto di vista la Riforma è stata una rivoluzione e non solo una riforma, nonostante le intenzioni soggettive di Lutero.
Non voglio negare il rapporto esistente tra la riforma e la soggettività di Lutero. Questo rapporto è stato giustamente messo in evidenza da molti, come per esempio da Jacques Maritain[5] o, più recentemente, dal Padre Roberto Coggi[6]. Angela Pellicciari pure insiste sul temperamento di Martin Lutero ponendolo in relazione con la rivoluzione – e non con la riforma – da lui attuata[7]. Tutto questo serve per capire.
Però l’insistenza sulle intenzioni soggettive di Lutero distoglie l’attenzione dai contenuti dottrinali della Riforma, che passano in secondo piano, mentre quando si valuta una eresia meritano il primo piano. Del resto, se Lutero viene assunto come un “testimone”, bisogna precisare che l’autorevolezza del testimone è data non solo dalla sua buona fede soggettiva – appunto le sue intenzioni – ma anche dal contenuto oggettivo delle presunte verità che egli ci comunica[8]. La fede è sia fides qua che fides quae. Un aspetto è l’atto di fede e altro aspetto è il contenuto dell’atto di fede. Da un punto di vista cattolico i due elementi devono esserci entrambi, ma dal punto di vista luterano è sufficiente l’atto di fede perché Lutero propone una «fede senza dogmi»[9]. Incentrarsi quindi solo su questo punto è già una importante concessione all’impostazione protestante.
Il secondo punto di vista assunto da parte cattolica è di “fare un tratto di strada insieme”, come si sente ripetere. Anche questa prospettiva ha lo stesso esito della precedente: mette in secondo piano i contenuti dottrinali. Essa presuppone che si possano fare delle cose insieme prima di esserci chiariti chi si è. Come se le questioni cosiddette “pratiche” nel senso delle questioni di etica filosofica o di etica naturale fossero indipendenti dalle convinzioni dottrinali e dogmatiche. La cosa è particolarmente difficile da sostenere nel caso del Luteranesimo che nega l’esistenza di una filosofia pratica come pure di un’etica naturale.
Le diverse visioni dottrinali[10] dei Cattolici e dei Protestanti motivano diverse scelte pratiche e non si può passare alle seconde senza tener conto anche delle prime. Altrimenti sarebbe come dire che è possibile vivere indifferentemente alla propria fede religiosa o in modo da essa indipendente. Oppure mettendola da parte. Si percepisce qui una visione della dottrina intesa solo come teoria astratta. Non è difficile riscontrare, nel dialogo ecumenico una notevole difficoltà a trovare accordi pratici per esempio sulle questioni di bioetica e biopolitica e sui cosiddetti “nuovi diritti”, il che dimostra come sia impossibile “camminare insieme” senza i dovuti chiarimenti dottrinali. E’ la vecchia illusione di Maritain a proposito della convergenza pratica sui diritti umani indipendentemente dalle visioni del mondo che continua in altro contesto.
La centralità delle intenzioni è un tema tipicamente luterano. La Riforma, come si sa, pone al centro la coscienza soggettiva. La Riforma, secondo Maritain, «ha sbrigliato l’io umano nell’ordine spirituale e religioso»[11]. Il primato della prassi sulla dottrina è pure un tema tipicamente luterano: «L’istanza luterana è eminentemente pratica»[12]. Se il problema è “sentirsi” (in coscienza) in stato di grazia allora per riuscirci balzano in primo piano le nostre azioni; se poi le nostre azioni sono ritenute incapaci e insufficienti di provocare questo sentimento e si pensa che quindi non abbiano nessun rapporto con la grazia, ugualmente la prassi balza in primo piano come un ordine autonomo e indipendente dalla fede.
E’ mia convinzione che, privilegiando questi due punti di vista, i cattolici accolgano già in partenza importanti posizioni luterane.
Il Luteranesimo come Gnosi
Tra le varie letture della Riforma luterana ritengo che la più adatta a cogliere adeguatamente l’oggetto sia di vederla come una forma di Gnosi, ossia di una riconsiderazione della realtà a partire dal soggetto.
Un motivo classico della Gnosi è di distinguere tra due divinità, una positiva e una negativa. Ciò è stato evidente nel Manicheismo e nel Catarismo, ma anche nell’eresia gnostico-cristiana di Marcione il quale identificava il Dio cattivo con il Dio creatore e legislatore del Vecchio Testamento e il Dio Buono con il Dio misericordioso e salvatore del Nuovo Testamento. Anche Lutero distingue il Dio della Legge dal Dio della Misericordia. Il primo ci dà degli ordini impossibili da adempiere, il secondo ci giustifica nonostante i nostri peccati.
Un secondo motivo gnostico presente nel Luteranesimo è che la natura è completamente separata dalla grazia, come per gli Gnostici la materia dallo spirito. Tutto ciò che l’uomo fa seguendo le sue inclinazioni è solo sozzura, solo la fede salva. Da qui la separazione tra natura e soprannatura e tra ragione e fede come tra il male e il bene, la perdizione e la salvezza. La creazione, dopo il peccato delle origini, è radicalmente inquinata dal male. La salvezza, come nella Gnosi, è riservata a degli eletti, presenti da sempre nei disegni imperscrutabili di Dio e a ciò predestinati. Dello stesso parere erano gli Gnostici, secondo i quali solo ad una cerchia ristretta di “illuminati” Dio avrebbe concesso la salvezza.
Un terzo elemento gnostico del luteranesimo è la compresenza nell’uomo di sozzura e spiritualità. La salvezza per sola fede non cambia la nostra natura, che rimane peccatrice, ma Cristo la copre col suo mantello, fa propri i nostri peccati, ce ne libera assumendoli su di Sé. Sul tema della giustificazione la dottrina cattolica e quella protestante sono molto lontane: per la prima Cristo risana ontologicamente tramite la grazia la natura ferita, per la seconda la natura rimane ontologicamente ferita e Cristo condona i peccati come dall’esterno: «crede, infatti, che il suo peccato non è più suo, perché, quando c’è la fede in Cristo, è necessario che ogni peccato scompaia in Lui»[13]. Per il cattolicesimo il peccato e la grazia non possono convivere, mentre per il luteranesimo sì: pecca fortiter sed crede fortius; simul iustus et peccator. Noi siamo salvati, quindi, ma peccatori nello stesso tempo. Gli Gnostici ritenevano che anche nella lordura delle passioni più sfrenate l’individuo gnostico potesse mantenersi puro, perché quella lordura riguardava il corpo ma non il suo spirito, predestinato alla salvezza. Lutero pensa che la lordura riguardi la nostra natura corrotta ma non la nostra anima salvata già da Cristo. Si può essere peccatori e santi nello stesso tempo.
Può essere utile ricordare, a questo punto, che il Luteranesimo condivide il proprio carattere gnostico con tutta la modernità, o quantomeno con gli elementi fondanti il pensiero moderno[14]. Il punto decisivo è la sostituzione della prospettiva soggettiva alla prospettiva oggettiva: la dottrina della salvezza per sola Scriptura sostituisce la Tradizione con la risonanza soggettiva della Scrittura nel cosiddetto “libero esame”; la dottrina della salvezza per sola Fide intesa come atto soggettivo di affidamento, ossia come “fiducia”, sostituisce il contenuto dogmatico della fede con la “esperienza” della fede o, come dirà Shleiermacher, con il “sentimento della fede”[15]; la dottrina della salvezza per sola Gratia fa della natura qualcosa di non normativo per l’uomo e, quindi, a sua completa disposizione.
La dottrina luterana del potere politico
Questo ultimo punto della salvezza per sola Gratia è denso di molteplici implicazioni sociali e politiche. Esso stabilisce una incompatibilità tra natura e grazia. Nella visione cattolica la grazia non elimina la natura ma la perfeziona e così accade tra la ragione e la fede[16]. La separazione tra le due comporta che l’ambito naturale perda ogni collegamento con la fede, che si fa solo interiore, in modo che l’uomo è, in quanto credente in Cristo, libero, e in quanto cittadino, servo: «Il cristiano è completamente libero … il cristiano è il più sollecito verso tutti, sottoposto a tutti»[17].
Poiché la natura umana è irrimediabilmente malvagia e la stessa vita di Grazia non serve per purificarla, nella sfera naturale c’è bisogno del potere per tenere a freno gli istinti malvagi dei cittadini. Tale potere non è legato ad una norma morale naturale, dato che dalla natura vista in senso esclusivamente negativo non può derivare una legge morale, né è subordinato ad un potere spirituale che è, per Lutero, solo interiore, e quindi si tratta di un potere assoluto, che non deve rendere conto di sé stesso a nessuno.
E’ evidente l’influenza di questa concezione del potere sui grandi teorici del pensiero politico dell’età moderna. Su Jean Bodin, per esempio, secondo il quale “sovrano è colui che non dipende che dalla sua spada”, oppure su Thomas Hobbes, secondo il quale il potere è il Leviatano a cui i sudditi cedono ogni loro libertà, ma anche sul complesso della filosofia politica moderna di tipo contrattualistico – compresi quindi John Locke o Jean-Jacques Rousseau – secondo cui il potere politico non dipende da una comunità politica naturale che lo precede e che lo limita, ma è esso stesso il fondamento della comunità politica. Da Lutero si arriva così fino ad Hegel e alle varie forme di totalitarismo moderno e contemporaneo.
Secondo il grande teologo riformato Karl Barth, lo Stato è «in sé e per sé malvagio … una orrenda deformazione della guida diretta della storia da parte della giustizia divina … esso governa il male per mezzo del male e ogni politica, in quanto lotta per il potere … in quanto arte diabolica per ottenere la maggioranza, è essenzialmente suicida»[18]. Qual è l’atteggiamento del cristiano, allora, di fronte all’autorità politica e al potere così intesi? Barth dice: «Sottomettetevi! Lasciate cioè che lo Stato vada per la sua strada e voi, come cristiani, andate per la vostra»[19]. Qui la laicità della politica è radicale separazione dalla fede, essa non ha niente a che fare con il Regno di Dio: «La causa del rinnovamento divino non può essere mescolata, confusa con la causa del progresso umano”[20]. Tra impegno politico nella storia da un lato e vita cristiana dall’altro non c’è alcun rapporto, il Cristianesimo non è interessato al progresso umano[21].
Questa concezione del potere politico ha alimentato non solo le forme di Stato assoluto e totalitario, ma anche le democrazie contrattualistiche e procedurali, ossia le democrazie vuote di senso che oggi danno luogo a forme di democrazia totalitaria[22]. Il nesso di Lutero con Rousseau è a questo proposito evidente. Se la vita politica è sottratta a delle norme sia naturali che soprannaturali, essa è campo del volontarismo e l’unico criterio da seguire diventa la coscienza individuale. L’idea d Rousseau – “è sufficiente ascoltare se stessi per fare il bene”[23] – si incontra così con la centralità della coscienza nel sistema di pensiero luterano. Bisogna osservare che le due istanze, ossia la sottomissione cieca al potere da un lato e l’esercizio di una libertà di coscienza priva di contenuti e regole dall’altro, non sono in contrasto tra loro. La loro miscela spiega infatti la completa adesione delle sette protestanti all’attuale pensiero unico post-naturale delle democrazie evolute. Tutte le sette protestanti, infatti, hanno già completamente accettato l’aborto, il matrimonio gay, la fecondazione artificiale, la distruzione per legge della famiglia.
Aspetti filosofici della Riforma
Quella luterana è una nuova religione, ma oltre a ciò è anche una nuova visione della vita sociale e politica, dell’autorità e del potere, della morale e del diritto. Questo accade perché quella luterana è anche una filosofia. Ed infatti per i suoi contenuti filosofici la religione luterana ha influenzato enormemente la filosofia moderna e ha comportato la fine della filosofia cristiana[24]. A sua volta la teologia luterana e protestante ha influenzato notevolmente la teologia cattolica[25]. Su questo processo vale la pena di spendere due parole.
La filosofia luterana ha senz’altro un contenuto nominalista. Il mondo non presenta delle strutture ontologiche ma solo delle situazioni uniche e particolari, assolutamente non confrontabili l’una con l’altra. Il creato non è più un “discorso” che riveli una Sapienza, ma è frutto della pura Volontà di Dio. L’essere non si presta alla conoscenza e non esiste rapporto “analogico” tra il mondo e Dio, che è il Totalmente Altro. Affidarsi a Dio non ha nessun presupposto di ragione, è un puro “fidarsi”, un puro mettersi nelle sue mani. La fede non ha dei perché, essa non presenta condizioni di ragionevolezza come invece ha sempre pensato la filosofia cristiana. Il problema razionale se Dio esista, se e come possa essere conosciuto e cosa egli sia – ossia le primissime questioni della Summa Theologica di San Tommaso – non si pone. Si pone invece il problema dell’esperienza della sua salvezza. Il problema di Dio viene soggettivizzato, la rivelazione avviene nell’esperienza della coscienza. Nasce così la dissociazione tra ragione e fede che troviamo in Kant o la loro identificazione che troviamo in Hegel ma anche in tanti altri filosofi moderni. Si spiega così anche la dissociazione tra la fede e la morale, con la negazione di una filosofia morale naturale. Se oggi assistiamo al venire meno della credenza in “principi non negoziabili” la cosa va fatta risalire anche a Lutero.
Se la fede non si rapporta più con la ragione, cade tutta l’impalcatura della Dottrina sociale della Chiesa che ha due fonti: la rivelazione e la legge morale naturale. Finisce anche il ruolo pubblico della religione cattolica perché la Chiesa, se non esprime verità anche di ordine naturale, non ha titolo per pronunciarsi sulle questioni di etica pubblica. Ed infatti, nelle società molto caratterizzate dal protestantesimo, la fede inevitabilmente si privatizza.
Lutero distingue, come ha ben messo in evidenza Padre Coggi, il Cristo in sé dal Cristo per me[26], spostando l’attenzione dall’oggetto al soggetto, dalla ragione alla fede intesa come “fiducia”, dal Cristo della storia al Cristo della fede, dalla verità alla volontà, dalla libertà per alla libertà da e quindi è all’origine di tutti i tentativi di de-ellenizzare il cristianesimo e di demitizzarlo. Se la ragione è una meretrice, l’incontro tra cristianesimo e filosofia greca è stato un grave incidente che va superato. Se ciò che conta è il Cristo della fede, allora tutti gli elementi del Cristo della storia – incarnazione, miracoli, resurrezione, verginità di Maria – vanno eliminati per tenere solo il Cristo della fede[27]. Questa doppia prospettiva della de-ellenizzazione e della demitizzazione hanno notevolmente influenzato e spesso determinato la teologia cattolica specialmente postconciliare, a cominciare da Karl Rahner.
Se oggi anche i teologi cattolici ritengono centrale la coscienza, inesistente la metafisica, irrealistica la legge morale naturale, impossibili i principi non negoziabili e gli assoluti morali negativi, storici e mutevoli i dogmi, costruita dal basso, ossia dal “popolo di Dio”, la Chiesa ciò è dovuto alla grande influenza della filosofia e della teologia protestante su quella cattolica e, per molti versi indicano una protestantizzazione della fede cattolica oggi ampiamente in atto. Non intendo con ciò riferirmi solo alle questioni dogmatiche e dottrinali, che sono certamente di primaria importanza, ma anche a quelle sociali e politiche. I cattolici stanno ampiamente imparando dai protestanti e il loro modo di guardare a quell’impegno sta velocemente mutando in profondità. Poiché la visione protestante della polis è maggiormente in sintonia con l’orizzonte moderno è probabile che ai cattolici questo cambiamento riservi molti applausi, ma la coerenza con la fede e la tradizione sono un’altra cosa. La fedeltà alla democrazia vista come procedura prima che come contenuto, l’accettazione dell’agenda radicale a proposito di molte questioni etiche, la celebrazione del pluralismo dei valori come discendente dalla libertà di coscienza, una visione della libertà senza legge e senza contenuto e, quindi, la sostituzione della autenticità (o coerenza con se stessi) alla veridicità (o coerenza con la verità) sono solo alcuni esempi dell’assimilazione dentro i comportamenti cattolici di modi di vedere di origine protestante. No mi soffermo qui su come questo sia penetrato anche nel modo di intendere la Chiesa, la liturgia, i sacramenti … perché non rientra nel tema del presente articolo.
I 500 anni dalla Riforma
L’eresia non è solo una opinione sbagliata, espressione della libertà di opinione, una critica costruttiva nell’attuale dibattito pluralista e democratico. Oggi spesso essa viene derubricata così, almeno da quando, con Hegel, filosofo protestante, l’errore e il male sono stati visti come positivi per la dialettica storica[28]. L’eresia oggi viene intesa come una sana provocazione alla Chiesa cattolica anziché tutti insieme possiamo procedere verso un cristianesimo più maturo e completo, maggiormente conforme alla volontà del Signore. Ma l’eresia è ben altro. Essa è una ferita in profondità fatta alla realtà e alla verità di cui Dio è garante e, quindi, l’origine di una serie di grandi sofferenze per l’umanità.
Stefano Fontana,
per
[www.vanthuanobservatory.org]