La vera riforma cattolica e la pseudo-riforma di Lutero
Nel quinto anniversario della Rivoluzione luterana, rimbombano falsi appelli ad una riforma strutturale della Chiesa.
La storia del XVI secolo ci insegna come i veri riformatori siano i Santi, che non hanno preteso di cambiare la costituzione della Chiesa, ma si sono sforzati di cambiare sé stessi e, col loro esempio, di cambiare gli altri.
Anche oggi la nostra risposta, dunque, non può che consistere nel loro esempio.
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Cinquecento anni dopo la pseudo-riforma di Lutero, è necessario ricordare la vera riforma della Chiesa, che nel secolo precedette e seguì la pseudo-riforma dell’eresiarca tedesco.
Sullo sfondo della decadenza intellettuale e morale del XVI secolo, nella Chiesa nacquero gruppi di ardente pietà chiamati Compagnie del Divino Amore. Il movimento si sviluppò a Genova attorno a santa Caterina Adorno de’ Fieschi ed ebbe come iniziatore un laico, Ettore Vernazza. Alla Compagnia del Divino Amore appartenevano il vicentino Gaetano di Thiene e il napoletano Gian Pietro Carafa che fondarono l’ordine dei Teatini, così chiamato perché Carafa, che poi sarà Papa con il nome di Paolo IV, era allora vescovo di Chieti (Theatum). Per combattere la cupidigia, i Teatini abbracciavano la povertà apostolica e si abbandonavano completamente alla Divina Provvidenza. Con essi si inaugura una nuova vita religiosa, quella dei chierici regolari, che praticano i consigli evangelici, professano voti pubblici e conducono vita in comune secondo una regola.
La figura di Ignazio di Loyola si staglia come quella di un gigante sul XVI secolo. Gli Esercizi spirituali sono un libro ispirato, che secondo san Francesco di Sales ha prodotto più santi delle lettere dell’alfabeto in essi contenuti. Mentre Ignazio fondava la Compagnia di Gesù che muoveva contro il protestantesimo alla riconquista dell’Europa, a Roma dominava la figura di san Filippo Neri, un santo molto diverso da sant’Ignazio, ma a lui strettamente legato. A poco a poco si costituì intorno a lui un piccolo gruppo di fedeli, chiamato l’Oratorio.
In Spagna san Giovanni di Dio aveva fondato una congregazione chiamata da noi Fatebenefratelli perché, questuando per i malati, san Giovanni era solito dire per le strade: «Fate bene fratelli, per voi e per l’amor di Dio». Nell’anno in cui san Giovanni di Dio muore, il 1550, nasce in Abruzzo Camillo de Lellis, dapprima soldato e anche avventuriero e giocatore, poi convertitosi nel 1575, e fondatore di un istituto religioso, i Camilliani, in cui ai tre voti ordinari si aggiunge il voto di assistere i malati anche nel tempo della peste. I suoi religiosi portavano sul petto quella croce rossa, che sarebbe divenuta simbolo dei servizi ospedalieri.
In quegli stessi anni sant’Antonio Maria Zaccaria fonda i Barnabiti, discepoli di san Paolo, ai quali viene attribuita la pratica dell’adorazione al Santissimo Sacramento, mentre san Girolamo Emiliani fonda i Somaschi. Il tenore di vita dei nuovi ordini religiosi era molto simile: vita rigorosamente mortificata, rifiuto di ogni mondanità, abbandono alla Provvidenza, zelo per le anime.
Il Concilio di Trento fu al centro di questa grande opera riformatrice. L’assise si svolse per 18 anni, dal 13 dicembre 1545 al 16 dicembre 1563, «a lode e gloria di Dio, ad accrescimento della fede e religione cristiana, a estirpamento delle eresie, alla pace e unione della Chiesa, alla riformazione del clero e del popolo cristiano, a confusione dei nemici del nome cristiano».
Grazie al Concilio di Trento, tra la seconda metà del ‘500 e la prima metà del ‘600 la Chiesa conobbe un’epoca di restaurazione dottrinale e di profondo rinnovamento dei costumi. Due grandi santi vanno ancora ricordati: san Carlo Borromeo e san Pio V. San Carlo Borromeo visse dal 1538 al 1584 e applicò rigorosamente, come arcivescovo di Milano, lo spirito e la lettera dei decreti del Concilio di Trento. La diocesi di Milano era immensa, perché si estendeva oltre la Lombardia, su una parte delle Venezie, della Svizzera, dello Stato genovese. Carlo Borromeo non solo vi risiedette per 18 anni, ma visitò tutte le parrocchie, anche quelle più remote e sperdute, dando l’esempio di una vita di zelo, penitenza e preghiera.
San Pio V, Michele Ghislieri, rappresenta un modello di Papa, per la fermezza e la santità del suo governo. «Elevato alla cattedra di san Pietro, – ricorda Dom Guéranger – seppe infondere nei novatori un terrore salutare, risollevò il coraggio dei sovrani dell’Italia e, con moderato rigore, riuscì a rigettare al di là delle Alpi il flagello che avrebbe trascinato l’Europa alla distruzione del Cristianesimo, se gli Stati del Mezzogiorno non vi avessero opposto una barriera invincibile. L’eresia si arrestò. Da allora il protestantesimo, ridotto a logorar sé stesso, dette spettacolo di quella anarchia di dottrine che avrebbe portato alla desolazione il mondo intero, senza la vigilanza del Pastore che, sostenendo con indomabile zelo i difensori della verità in tutti gli Stati ove essa regnava ancora, si oppose, come una parete di bronzo, al dilagarsi dell’errore nelle contrade ove comandava da padrone. L’opera di san Pio V per la rigenerazione del costume cristiano, per fissare la disciplina del concilio di Trento, per la pubblicazione del Breviario e del Messale sottoposti a riforma, ha fatto del suo pontificato, durato sei anni, una delle epoche maggiormente feconde della storia della Chiesa». Il nome di san Pio V è anche indissolubilmente legato alla straordinaria vittoria di Lepanto contro i Turchi e la sua memoria è per questo a tanti cara.
La storia del XVI secolo ci insegna che i veri riformatori sono i santi, che non hanno attribuito alla Chiesa le colpe degli uomini, ma hanno assunto su sé stessi quelle colpe, a immagine di Nostro Signore. Non hanno preteso di cambiare la costituzione della Chiesa, ma si sono sforzati di cambiare sé stessi e attraverso il proprio esempio di cambiare gli altri. La Chiesa è sempre santa, gli uomini di Chiesa spesso non lo sono.
I falsi riformatori sono coloro che sostengono che la causa del male non sta negli uomini di Chiesa, ma nella Chiesa in sé e che quindi vogliono modificarne il governo, i Sacramenti, l’insegnamento, adattandoli alle opinioni proprie o del mondo. Essi dicono di farlo per ritornare al messaggio evangelico e perciò rifiutano la tradizione della Chiesa e si richiamano alla Sacra Scrittura o meglio alla propria ragione, al proprio sentimento, che interpreta i passi della Sacra Scrittura senza una regula fidei a cui riferirsi.
Nel quinto anniversario della Rivoluzione luterana rimbombano falsi appelli ad una riforma strutturale della Chiesa. La nostra risposta non può che essere l’esempio dei santi, che hanno unito l’integrità morale della loro vita alla fedeltà integrale alla Tradizione della Chiesa, che non è altro che il messaggio di Nostro Signore Gesù Cristo, sempre vivo e sempre attuale, carico di tutte le memorie del passato e di tutte le speranze del futuro.
Roberto de Mattei, RC n.118 - ottobre 2016 da:
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