Aldo Vendemiati
– IL DIRITTO NATURALE – DALLA SCOLASTICA FRANCESCANA ALLA RIFORMA PROTESTANTE –
Urbaniana University press - Via Urbano VIII n. 16 – 00165 Roma – 2016 - pag. 128 - €.14,00
L’autore, docente presso la Pontificia università Urbaniana, si occupa di temi etici con solida impostazione tomista (legata cioè al pensiero di san Tommaso d’Aquino), in continuità con quella tradizione che anche in un recente passato, ha annoverato, negli atenei pontifici romani, eccellenti figure come i domenicani Raimondo Spiazzi e Reginaldo Pizzorni ed il salesiano don Dario Composta.
Dopo avere affrontato in due precedenti opere, il tema della Legge naturale (1995) in generale e quindi il rapporto tra San Tommaso e la legge naturale (2011), nel suo ultimo libro, Vendemiati tratteggia il complesso itinerario che verso la fine del Medioevo, ha portato all’abbandono della prospettiva tomista.
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Due parole almeno, prima di continuare, per ricordare che, con l’espressione ‘diritto naturale’ si fa riferimento all’esistenza di un insieme di regole di giustizia (diritto alla vita, alla proprietà ecc.) che preesistono agli ordinamenti giuridici dei singoli Stati. Questi pertanto non potrebbero né abrogarle né violarle e le leggi che, eventualmente, fossero emanate in contrasto con esse, dovrebbero ritenersi ingiuste e prive di efficacia anche se sostenute dalla forza coattiva dello Stato.
Si tratta di una concezione (cui si da il nome di gius-naturalismo cioè diritto di natura) che è oggi generalmente rifiutata nel mondo occidentale in cui –tutt’al più- si riconosce al diritto naturale il valore di una vaga aspirazione alla giustizia, in quanto tale però, priva di valore giuridico. Esso è poi del tutto disconosciuto nella pratica degli Stati moderni che non ammettono limiti al proprio legiferare se non quelli che essi stessi si sono imposti e che, ovviamente, sempre possono cambiare anche se nelle costituzioni (come ad esempio, nell’art. 29 di quella italiana laddove si tratta della famiglia) talvolta, si trova l’aggettivo ‘naturale’.
Vano pertanto è sempre rimasto, in Italia ed altrove, il richiamo al diritto naturale da parte di chi si opponeva ad innovazioni legislative che, come divorzio, aborto e, più di recente, matrimoni ed adozioni gay, andavano a toccare strutture essenziali della persona e della società.
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Trascurando la ‘volontà di potenza’ dello stato moderno per rimanere invece su di un terreno più propriamente culturale, bisogna riconoscere che, almeno in un punto, le critiche al diritto naturale trovano un certa giustificazione. Ė vero infatti che i più famosi teorici del ‘moderno’ diritto naturale –il nome di alcuni dei quali è ben noto: Ugo Grozio, Thomas Hobbes, John Locke, Jean Jacques Rousseau, Immanuel Kant- finiscono per fondarlo su basi teoriche assai fragili e così ‘riempirlo’ di contenuti diversi l’uno dall’altro esponendolo alla facile critica di chi lo considera poco più che un vuoto contenitore buono per tutti gli usi. Ė questa ad esempio una delle critiche se non forse, la più pungente che, al concetto di diritto naturale, ha rivolto il noto filosofo del diritto e politologo Norberto Bobbio nel suo saggio più volte ristampato ‘Giusnaturalismo e positivismo giuridico’ (Laterza, 2011).
In realtà, dove l’idea di diritto naturale è nata e si è diffusa, ad Atene grazie soprattutto ad Aristotele ed a Roma con Marco Tullio Cicerone e, più in genere, con un po’ tutti i grandi giuristi dell’epoca (Ulpiano e Gaio in testa), l’idea che se ne aveva era assai meno vaga. Tale diversa concezione, quantomeno nelle sue linee portanti, è rimasta inalterata per oltre un millennio, fino cioè a san Tommaso d’Aquino (1225-1274). Il doctor angelicus –come egli era chiamato nelle scuole medievali- l’ha infatti ripresa inserendola nel suo sistema filosofico fornendole così fondamento e contenuti non esposti a soggettive e sempre mutevoli interpretazioni.
Sintetizzando e pur con il rischio di banalizzare, si può ricordare che la costruzione del diritto naturale per san Tommaso deriva dal riconoscimento del fatto che Dio non ha solo creato il mondo ma l’ha anche, per così dire, ordinato verso un fine. Tutto il reale che ci circonda costituisce cioè un cosmo razionale dotato di proprie leggi. La legge naturale altro dunque non è che l’insieme delle inclinazioni di quella natura umana che vive ed opera all’interno del creato e che, in quanto dotata di ragione, è capace -sia pure entro i limiti del suo essere creatura- di scoprire il fine assegnatogli da Dio e ad esso adeguare i propri comportamenti. Il diritto naturale, non è pertanto rimesso all’arbitrio dei filosofi ma scaturisce/è scritto nella stessa costituzione del reale e può essere appreso dal suo esame. Un po’ allo stesso modo -ci si consenta- mesi orsono, Antonio Socci, quando fu data notizia della verifica sperimentale dell’esistenza delle cosiddette ‘onde gravitazionali’, notava che, se un secolo prima, il noto fisico Albert Einstein, le aveva già ‘scoperte’ a tavolino, ciò dipendeva dal fatto che esse dovevano esserci necessariamente proprio, anche in questo caso, a causa della natura ‘ordinata’ del cosmo.
Dopo san Tommaso, il diritto naturale è stato invece a poco a poco, estratto dal contesto culturale in cui era nato nell’antica Grecia ed al quale il doctor angelicus aveva solo dato solido fondamento, per percorrere un itinerario che Vendemiati descrive con chiarezza. Nel libro si succedono così figure note (come Duns Scoto, Guglielmo d’Ockham, Martin Lutero e Giovanni Calvino) insieme ad altre che lo sono meno fino ad arrivare al filosofo calvinista Giovanni Althusius (1557-1638). In questa figura, Vendemiati individua il punto di arrivo del suo ‘viaggio’, dal momento che il diritto naturale è oramai ridotto a fatto di coscienza: ‘in forza di una conoscenza impressa da Dio che viene chiamata coscienza […]
l’uomo è spinto da un misterioso istinto della natura a fare ciò che ha compreso essere giusto o a non fare ciò che ha compreso essere iniquo’ (cit. a pag. 103). Non è dunque difficile vedere come questa riduzione della legge naturale a poco più di un istinto necessariamente soggettivo, apre la porta a giustificarne tutti i contenuti possibili ed immaginabili e quindi, in pratica, a renderlo un concetto evanescente e privo di valore.
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Vendemiati, ovviamente, non è il primo a percorrere questo itinerario che, dalla frantumazione della sintesi tomistica, conduce il diritto naturale fino agli albori dell’età moderna. Già lo avevano delineato, anche solo per uscire dall’ambiente delle università pontificie romane, il belga Georges de Lagarde (di cui la Morcelliana ha tradotto nel 1961 i primi due volumi con il titolo ‘Alle origini dello spirito laico’) ed il francese Michel Villey, (‘La formazione del pensiero giuridico moderno’, ed. Jaka book, 1986). opere entrambe divenute classiche. Mentre però il primo si muoveva prevalentemente sul terreno della filosofia della politica ed il secondo in quello della filosofia del diritto, merito del nostro autore è di approfondire l’argomento in termini essenzialmente filosofico-teologici.
Certamente il suo libro presuppone un minimo di conoscenza della storia della filosofia: non più però di quanto se ne apprenda generalmente nel triennio dei licei. Lo stile è piano, i tecnicismi filosofici ridotti veramente al minimo e le citazioni degli autori sono sempre in lingua italiana. Tutto questo insieme alle dimensioni contenute del saggio, invoglia alla lettura.
Né si pensi che il tema sarebbe alquanto … esotico: è infatti soltanto un giusnaturalismo ancorato alla natura delle cose ed al loro ordine oggettivo secondo la prospettiva tomista, che potrà aiutare a costruire un terreno comune tra tutti ‘gli uomini di buona volontà’. Lo si è visto del resto quando, su scottanti temi di attualità (aborto, fecondazione artificiale, gender), non sono mancate personalità di rilievo di area laica che hanno difeso l’ordine naturale: non sono state molte, questo purtroppo, è vero però la loro presenza è stata significativa. E perché magari questo possa ripetersi occorre che, anche da parte cattolica l’argomentazione si fondi su solide basi.
Andrea Gasperini