Ci sono episodi che fanno pensare che la Chiesa, o almeno qualcuno in essa, soffra di pulsioni autolesionistiche. Combinate però a impulsi di potere centralizzante.
di Marco Tosatti per La Stampa
E’ di questi giorni la notizia che la Chiesa di Bruxelles, guidata dal neo arcivescovo Jozef De Kesel, creatura di quel card. Danneels gran consigliere del Pontefice, e coinvolto pesantemente in casi di protezione di abusi su minori, ha deciso di non dare più ospitalità alla Fraternità dei Santi Apostoli.
La Fraternità, operante da tre anni, era stata creata il 7 aprile del 2013 da monsignor André-Joseph Léonard, e in tre anni ha attirato 27 membri, sei sacerdoti e 21 seminaristi.
Tutto questo in un Belgio, e in un’Europa, in cui il cristianesimo, per non parlare delle vocazioni, stanno scomparendo.
La Fraternità è nata avendo come modello una sacerdote francese, padre Michel-Marie Zanotti-Sorkine, della cui vita avventurosa potete leggere qui.
Alla Fraternità sono state affidate due parrocchie, e il nuovo arcivescovo riconosce che funzionano: del nuovo arcivescovo: “La Fraternità riesce a sensibilizzare i giovani alla bellezza della vocazione e al ministero del sacerdozio diocesano”.
La Fraternità punta molto sulla vita comunitaria e “bisogna sottolineare quanto questa opzione fondamentale sia preziosa per la vita di un prete”.
Ma il nuovo arcivescovo, forse in opposizione all’opera del suo predecessore, ha deciso che la Fraternità dovrà abbandonare la diocesi e il Paese, perché molti suoi sacerdoti sono francesi. Per i dettagli leggete la storia completa su Tempi .
Ma sembra quasi che le troppe, tante vocazioni diano fastidio.
Non si può non pensare al caso dei Francescani dell’Immacolata, fiorentissimo, che – secondo alcuni – si vorrebbero distruggere nella loro identità, per convogliarli in ordini storici in sofferenza di vocazioni.
Una congregazione commissariata senza motivazioni chiare, e bersagliata (soprattutto il suo fondatore) da una campagna mediatica di denigrazione e accuse non provate, forse manovrate da qualcuno all’interno della congregazione stessa.
Così come era pieno di seminaristi e vocazioni il seminario della diocesi di Ciudad del Este, al confine con l’Argentina, il cui vescovo, Rogelio Ricardo Livieres Plano, fu dimesso, senza chiare motivazioni, e senza aver potuto parlare con il Papa, e morì un anno più tardi, nell’agosto del 2015.
Ed era ricca di seminaristi – a differenza del resto della Spagna – la diocesi di Saragozza, il cui vescovo, Manuel Ureña Pastor, era appunto accusato di essere troppo largo nell’accogliere vocazioni. “Ma se uno bussa alla mia porta, e non c’è motivo per mandarlo via, perché non devo accoglierlo?” diceva.
Il suo vero problema, a quel che pare, era di non essere “allineato” con i vescovi progressisti, che indicano al Pontefice scelte e strategie in Spagna.
Decisioni che, se accompagnate da documenti come quello della Congregazione per i Religiosi sui nuovi istituti diocesani e il potere dei vescovi , fanno pensare a un desiderio oscuro di tarpare le ali allo Spirito.