AZIONE CATTOLICA/
CERCANSI CATTOLICI ‘INQUIETI’… MA CHE NON DISTURBINO
Presentato giovedì 26 maggio a Roma, all’Istituto Sturzo, “Credenti inquieti” di Matteo Truffelli, presidente dell’Azione Cattolica Italiana. Tra i relatori padre Spadaro, che ha evidenziato come il laicato cattolico sia chiamato a avere gli stessi tratti caratteristici del Pontificato (ne ha indicati in particolare sei). Per Domenico Delle Foglie, direttore del Sir, l’Azione Cattolica nella squadra della Chiesa deve coprire il centrocampo per recuperare palloni a beneficio di un centrattacco “favoloso, che fa gol a grappolo”, oggi però non ancora sufficienti per vincere la partita.
Un appuntamento certo interessante quello di giovedì pomeriggio 26 maggio presso l’Istituto Sturzo di Roma, testimone di una lunga e intensa storia di ‘cattolicesimo democratico’: vi è stato presentato “Credenti inquieti – Laici associati nella Chiesa dell’ Evangelii gaudium” (Editrice Ave), un’ampia riflessione di Matteo Truffelli (da due anni presidente dell’Azione Cattolica Italiana) sul contributo che i cattolici impegnati in gruppi ecclesiali possono dare alla concretizzazione di una Chiesa rinnovata secondo gli intendimenti di papa Francesco. Davanti a un folto pubblico, moderati da Fabio Zavattaro (Tg1 Rai), hanno espresso le loro considerazioni sul tema padre Antonio Spadaro (direttore di La Civiltà Cattolica) e Domenico Delle Foglie (direttore del Sir, agenzia-stampa della Conferenza episcopale italiana).
Nel saluto introduttivo Nicola Antonetti, presidente dell’Istituto Sturzo, ha voluto subito evidenziare l’accordo con l’autore sulla necessità per i tempi odierni di cattolici “inquieti”, “non tiepidi, né timorosi”. E’ passata l’era di chi voleva “battezzare il Paese”. Bisogna imboccare sentieri nuovi, “ancora abbastanza ignoti” per assecondare l’esigenza di una testimonianza concreta e gioiosa in una società secolarizzata, seguendo lo stimolo di un Papa che parla “un linguaggio essenziale per istruire un nuovo laicato” cui sono chiesti compiti pure nuovi.
L’INTERVENTO DI PADRE ANTONIO SPADARO:
UN PAROLAME ECCLESIALESE CHE VUOL DIRE DIRE TUTTO E NULLA
NEL QUALE LA FEDE NON HA PIU' NEMICI
Padre Spadaro nel suo intervento ha tra l’altro elencato sei caratteristiche dell’attuale Pontificato che il laicato dovrebbe far proprie e che si ritrovano anche nel libro di Truffelli. La prima: il laicato dovrebbe essere “profetico” così da riuscire ad “animare il territorio”. La seconda: il laicato dovrebbe essere “di incontro”, sotto il segno di un dialogo concreto, del “fare qualcosa insieme”. La terza: il laicato dev’essere “drammatico”, consapevole dei drammi che si svolgono nel mondo. La quarta: il laicato dev’essere “di discernimento” nella “dimensione della sinodalità”. La quinta: il laicato dev’essere “incompleto” nel pensiero, non deve attendersi parole definitive dal Magistero su tutti i problemi. La sesta: il laicato dev’essere “di frontiera”, cammina con una Chiesa che “non è solo un faro che sta fermo, ma soprattutto una fiaccola che si muove e raggiunge tutti, in particolare i lontani”.
Il direttore de La Civiltà Cattolica ha evidenziato come per Jorge Mario Bergoglio la Chiesa non sia “un mosaico fatto di tessere”, ma “un corpo vivente”. Cristiano è colui “che è chiamato a stare con il Signore”. E “i cristiani – diceva ad esempio ai catechisti nel 1995 – sono innanzitutto cristiani”. Non è una constatazione “banale” questa, dato che uno dei problemi più gravi della Chiesa “deriva dal fatto che gli agenti pastorali dimenticano di essere buoni cristiani”, cioè caratterizzati da una “semplicità evangelica”. Per Francesco – ha proseguito padre Spadaro – il sacramento del Battesimo ha fatto sì che fossimo un’unica famiglia. “Una delle tentazioni più subdole del Maligno” è invece la tentazione di costruire delle élites spirituali, di “sezionare” il popolo di Dio in categorie. Ma “nessuno è stato battezzato prete o vescovo” e la Chiesa “non è una setta di illuminati e di fedeli, è popolo di Dio in cammino”. Perciò Francesco parla poco di “preti, vescovi”, molto invece di “pastori” che aiutano e stimolano: “Non usa un linguaggio protestante, ma missionario”. E il “pastore” non può dare “direttive” per organizzare il laico nella vita pubblica. In tal senso non è vero – sostiene sempre padre Spadaro – che Francesco “crea confusione”, come gli viene spesso rimproverato da “molti” commentatori: “Stimola invece la libertà di discernimento”. La Chiesa deve perciò “aiutare a crescere nella libertà, non ossessionare il popolo di Dio”. E’ questa una “visione anticostantiniana”. I cristiani “non sono chiamati a costituire una parte, un partito, che necessariamente ha un nemico”, ma a “immergersi nelle inquietudini della società”. Cristiani inquieti essi stessi e questa è per l’Azione Cattolica “una responsabilità enorme”.
L’INTERVENTO DI DOMENICO DELLE FOGLIE: NESSUN CENNO A VALORI NON NEGOZIABILI, SI IMPONE INVECE IL DOGMA DEL CAMBIAMENTO
Domenico Delle Foglie ha da parte sua rilevato che l’Azione Cattolica deve fare i conti con le sfide della modernità, ma non per questo “intende tradire il passato e il presente”. Nemmeno “ha voglia di ipotecare il futuro”. L’associazione, ormai centocinquantenne, “ha contribuito a fare gli italiani”. Continuerà a esprimere questa sua vocazione? Solo “con una forte conversione interiore, che pretende di non fare come si è sempre fatto”. E qui “parlare di discontinuità è anche poco”. L’Azione Cattolica è in grado di reggere la sfida, rispondendo alle esigenze espresse da un papa come Francesco? Ce la farà a “stare al passo con lui, che ha un modo di fare completamente diverso e costruisce ponti dappertutto?”. Ha osservato il direttore dell’agenzia Sir che “se la Chiesa italiana riuscirà a diventare ‘ospedale da campo’, molto, moltissimo dipenderà dall’Azione Cattolica”. Lungo il cammino si capirà comunque chi procede con spirito missionario, “chi si attarda, chi fa resistenza”.
L’Azione Cattolica ha un vantaggio rispetto ad altri, nota Delle Foglie: ha una “natura popolare” nel suo dna. E questo le permette di “non spaventarsi” per le richieste di Francesco, che vuole “vescovo e popolo in cammino”. Un obiettivo non da poco, considerato come il cattolicesimo italiano fin qui sia stato caratterizzato dalla presenza di un “enorme” numero di associazioni. Oggi questo mondo di “intermediazioni” appare “in grande affanno”, anche perché Francesco “ha accorciato tutte le distanze, va all’essenziale della vita ecclesiale, fondata sul rapporto diretto tra il vescovo e il popolo”. La conseguenza più importante? “E’ in atto un enorme dimagrimento” di strutture intermedie, così che per la cura pastorale la Chiesa italiana proceda “verso la sobrietà e l’essenzialità”. Insomma: “Più relazione ecclesiale, meno burocrazia ecclesiale”. Certo il cammino non è facile nemmeno per l’Azione cattolica, che però “sarà della partita anche a costo di scelte dolorose come quella di staccare la spina da tanti automatismi della tradizione”. Delle Foglie, riferendosi infine a una metafora calcistica utilizzata da Truffelli (la squadra della Chiesa deve passare dal 3-5-2 difensivo al 4-3-3 offensivo) ha evidenziato che in realtà oggi la Chiesa ha un centrattacco “favoloso”, “che fa gol a grappolo”. Questo però non è ancora sufficiente per vincere. Compito dell’Azione Cattolica è quello di correre molto, recuperare palloni a centrocampo e lanciare così con regolarità il centravanti tanto dotato (del resto è di nazionalità argentina).
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Vediamo ora di citare qualche passo secondo noi particolarmente significativo del libro di Truffelli, da cui traspare bene che cosa si intenda per ‘credenti inquieti’.
QUALCHE CITAZIONE DA “CREDENTI INQUIETI” DI MATTEO TRUFFELLI
La prima parte del libro “L’Azione Cattolica nella Chiesa dell’Evangelii gaudium” si apre e si chiude con due citazioni - verosimilmente non casuali – di due ‘modelli’ di ‘credenti inquieti’.
Dapprima si legge che il magistero di papa Francesco è caratterizzato da una “quotidiana enciclica dei gesti”: la citazione è di mons. Nunzio Galantino, noto segretario generale della Cei, che “così ha definito con grande efficacia” l’opera del Pontefice.
Nella chiusura della prima parte spunta invece un secondo ‘modello’ di ‘credente inquieto’.
Leggiamo le righe finali: “Per questo (NdR: noi, Azione Cattolica) vogliamo stare dentro il Paese tenendo come punto di riferimento l’appello lanciato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella il giorno del suo insediamento, quando ha sottolineato con forza che per ridare al Paese un orizzonte di speranza occorre innanzitutto ricostruire quei legami che tengono insieme la società”.
Aggiungiamo noi: un modo di ‘ricostruire quei legami’? Firmare sollecitamente, alla chetichella e disinvoltamente (ignorando le tante eccezioni di incostituzionalità) la legge sciagurata sulle ‘unioni civili’… una legge certo che, come è noto, è un indubbio attore di unità del Paese… Galantino e Mattarella: numi tutelari dei ‘cristiani inquieti’. E tutto è chiaro.
Quanti problemi… ma non ne manca qualcuno? (pagg. 16-17) “Ci sentiamo fortunati a vivere questo periodo così particolare del cammino della Chiesa nella storia (…) Questo non significa, naturalmente, non accorgersi delle fatiche e delle difficoltà che segnano il passo della nostra Chiesa, delle nostre diocesi, delle nostre parrocchie, del laicato, dell’Azione Cattolica. Così come non significa non vedere i tanti drammatici problemi che avvolgono e scuotono il mondo, i tanti focolai di violenza, gli spazi di ingiustizia, le difficili condizioni di vita in cui si trovano tante persone, famiglie e comunità, tanti popoli. Sappiamo quante famiglie nella vita di tutti i giorni devono fare i conti con una crisi economica che non allenta a sufficienza il suo morso, siamo consapevoli che la vita della nostra società è spesso rallentata da un tracollo della credibilità della politica e delle istituzioni che non sembra trovare via d’uscita, non ci stanchiamo di denunciare lo scandalo della piccola e grande criminalità, della piccola e grande corruzione che infetta la nostra convivenza civile, seguiamo con sgomento gli eventi mondiali, con le tante tragiche situazioni di guerra, di ingiustizia e di povertà, ci sentiamo chiamati in causa dal dramma delle migrazioni, un’inaccettabile ferita dell’umanità, e allo stesso modo ci turba profondamente la persecuzione dei cristiani in tante zone del mondo”.
Un elenco di problemi (anche ridondante come è facile constatare), quello del presidente dell’Azione Cattolica Italiana, in cui emergono dimenticanze singolari, che verosimilmente sono connaturali ai ‘credenti inquieti’. Non sono problemi gravi lo sfascio della famiglia (cui, a dire il vero, hanno contribuito e contribuiscono noti legislatori, ‘credenti inquieti’), lo stravolgimento dell’identità umana con le teorie del gender, la piaga dell’aborto, il flagello della droga, l’avanzare dell’eutanasia? Si vede che non sono così gravi per il ‘credente inquieto’ di Truffelli.
Famiglia? Niente bandiere… solo quella bianca (pagg. 60-62). “E’ tempo di essere irrequieti, non tiepidi, né timorosi”, si legge a pagina 21. Ecco alle pagine 60-62 come interpreta gli aggettivi, riferiti al comportamento da tenere in materia di famiglia, il presidente galanto-mattarellico dell’Azione Cattolica Italiana.
“Sappiamo che il tema della famiglia è coinvolto in una serie di dibattiti pubblici legati a questioni complesse, che toccano nel profondo la vita delle persone e che proprio per questo riguardano direttamente l’idea di bene di cui vogliamo farci promotori. Siamo consapevoli che questi temi ci interpellano, sfidandoci a un modo di dialogare e di ‘fare opinione’ che deve rifuggire dal ridurre questioni di una delicatezza estrema a bandiere ideologiche (NdR: e ti pareva!) da piantare nel campo avversario per ragioni a volte strumentali (NdR: e ti pareva!), perché esse coinvolgono direttamente gli aspetti più fondanti e decisivi dell’umano, le sue aspirazioni più profonde: il bisogno di amare e di essere amati, il desiderio di vedere riconosciuta la propria identità e la propria capacità di intessere relazioni profonde, l’aspirazione ad avere dei figli. Dimensioni dell’umano che chiedono, innanzitutto, di essere trattate con cura, prudenza, rispetto, non solo nelle cose che si dicono, ma anche nei toni, nelle parole e nei gesti con cui ci si esprime (NdR: e ti pareva!).
Il presidente dell’Azione Cattolica Italiana prosegue, stavolta aggiungendo all’incenso sparso a piene mani la solennità di un pronunciamento ex-cathedra:
“E’ questo l’atteggiamento che vogliamo concorrere a costruire nel Paese, senza pere questo rinunciare a dire con precisione (NdR: bum bum bum!) quale pensiamo che sia il bene delle persone, cercando i toni giusti per portare un contributo costruttivo, libero e sereno alla riflessione su quale sia l’autentica via di realizzazione dell’umano (NdR: bum bum bum bis!).
Con il desiderio sincero di costruire un dialogo vero e costruttivo (Ndr: ma quanto è ridondante il presidente dell’Azione Cattolica!) con chi la pensa diversamente. Non è facendo di questi temi una trincea oltre cui sta il nemico che potremo sperare di progettare insieme il futuro della nostra società (Ndr: tiè, così voi guerrafondai – solo a dir la verità alcune centinaia di migliaia di cattolici del Family Day, non certo le decine di milioni che affollano le manifestazioni dell’Azione Cattolica - siete serviti di barba e capelli). (…)
Non vogliamo affrontare questi temi sul piano del confronto tra slogan e pregiudizi (NdR: non si era ancora capito). Sentiamo forte la responsabilità di fare il possibile per favorire e accompagnare processi di confronto autentico tra modi di vivere differenti, sotto il segno della comune passione per l’umano”.
Qui ci fermiamo.
‘Credenti inquieti’? E come no…basta non disturbino gli italici manovratori e i loro equilibri consolidati! Tutto cambia… ma tutto resta.
La “Chiesa povera” dal Vaticano II a papa Francesco
di Roberto de Mattei
I documenti di Papa Francesco, secondo il giudizio prevalente dei teologi, costituiscono delle generiche indicazioni di carattere pastorale e morale, prive di significativa qualità magisteriale. È questa una delle ragioni per cui tali documenti vengono discussi in maniera più libera di quanto sia mai accaduto con i testi pontifici.
Tra le analisi più penetranti di questi testi, va segnalato lo studio di un filosofo dell’università di Perugia, Flavio Cuniberto, dal titolo Madonna Povertà. Papa Francesco e la rifondazione del cristianesimo (Neri Pozza, Vicenza 2016), dedicato in particolare alle encicliche Evangeli Gaudium (2013) e Laudato sì (2015). L’esame a cui il prof. Cuniberto sottopone i testi è quella dello studioso che cerca di comprenderne le tesi di fondo, spesso celate da un linguaggio volutamente ambiguo ed ellittico. Sul tema della povertà, Cuniberto porta alla luce due contraddizioni: la prima di natura teologico-dottrinale, la seconda di carattere pratico.
Per quanto riguarda il primo punto egli osserva che papa Francesco, in contrasto con quanto si desume dal Vangelo, fa della povertà una condizione più materiale che spirituale, per trasformarla quindi in una categoria sociologica. Questa esegesi traspare, ad esempio, dalla scelta di citare, per il discorso sulle Beatitudini, Luca 6, 20 e non il più preciso Matteo 5, 3 (che usa il termine di «pauperes spiritu», ossia coloro che vivono umilmente dinanzi a Dio).
Ma la povertà sembra essere allo stesso tempo un male e un bene. Infatti, osserva Cuniberto, «se la povertà come miseria materiale, esclusione, abbandono, è indicata fin dall’inizio come un male da combattere, per non dire il male dei mali, ed è perciò l’obiettivo primario dell’azione missionaria», il nuovo significato cristologico che gli attribuisce Francesco «ne fa contemporaneamente un valore e anzi il valore supremo ed esemplare». Si tratta, sottolinea il filosofo perugino, di un complicato groviglio. «Perché combattere la povertà e sradicarla quando è al contrario un “tesoro prezioso”, e addirittura la via verso il regno? Nemico da combattere o tesoro prezioso?» (pp. 25-26).
Il secondo nodo riguarda le “cause strutturali” della povertà. Supponendo che essa sia un male radicale, papa Bergoglio sembra individuarne la causa essenziale nella “disuguaglianza”. La soluzione indicata per estirpare questo male sarebbe quella marxista e terzo-mondista della redistribuzione delle ricchezze: togliere ai ricchi e dare ai poveri. Una redistribuzione ugualitaria che passerebbe attraverso una maggiore globalizzazione delle risorse, non più riservata alle minoranze occidentali, ma estesa a tutto il mondo. Ma alla base della globalizzazione sta la logica del profitto, che da una parte viene criticata e dall’altra viene proposta come via per vincere la povertà. Il supercapitalismo, infatti, per alimentarsi, ha bisogno di una platea di consumatori sempre più estesa, ma l’estensione su larga scala del benessere, finisce per alimentare le disuguaglianze che si vorrebbero eliminare.
Il libro del prof. Cuniberto merita di essere letto accanto a quello di uno studioso napoletano don Beniamino Di Martino, su Povertà e ricchezza. Esegesi dei testi evangelici (Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2013). Il libro è molto tecnico e don Di Martino smonta, attraverso una rigorosa analisi dei testi, le tesi di una certa teologia pauperista.
L’espressione «contro l’avidità non contro la ricchezza» riassume, secondo l’autore, l’insegnamento dei Vangeli che egli analizza. Ma da dove nasce la confusione teologica, esegetica e morale tra povertà spirituale e povertà materiale? Non si può ignorare il cosiddetto “Patto delle Catacombe”, sottoscritto il 16 novembre del 1965 nelle Catacombe di Domitilla a Roma, da una quarantina di Padri conciliari che si impegnavano a vivere e lottare per una Chiesa povera e ugualitaria.
Il gruppo aveva tra i suoi fondatori il sacerdote Paul Gauthier (1914-2002), che aveva partecipato all’esperienza dei “Preti operai” del cardinale Suhard, condannata dalla Santa Sede nel 1953, e poi, con l’appoggio del vescovo di cui fu teologo in Concilio, mons. Georges Hakim, aveva fondato in Palestina la famiglia religiosa de I compagni e le compagne di Gesù carpentiere. Gauthier era accompagnato dalla sua compagna di lotta Marie-Thérèse Lacaze, che divenne la sua convivente quando lasciò il sacerdozio.
Tra coloro che appoggiarono il movimento furono mons. Charles M. Himmer, vescovo di Tournai (Belgio), che ospitava le riunioni nel Collegio belga di Roma, dom Helder Camara che era ancora vescovo ausiliare di Rio e poi divenne vescovo di Recife, e il card. Pierre M. Gerlier, arcivescovo di Lione, in stretti contatti con il card. Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, che si faceva rappresentare dal suo consigliere Giuseppe Dossetti e dal suo vescovo ausiliare mons. Luigi Bettazzi (cfr. Il patto delle Catacombe. La missione dei poveri nella Chiesa, a cura di Xabier Pizaka e José Antunes da Silva, Edizioni Missionarie Italiane 2015).
Mons. Bettazzi, l’unico vescovo italiano oggi vivente presente al Vaticano II, fu anche l’unico italiano ad aderire al “Patto della Catacombe”. Bettazzi, oggi 93enne, partecipò a tre sessioni del Vaticano II e fu vescovo di Ivrea dal 1966 al 1999, quando si dimise per limiti di età.
Se Dom Helder Camara fu il “vescovo rosso” brasiliano, mons. Bettazzi entrò nella storia come il “vescovo rosso” italiano. Nel luglio del 1976, quando sembrava che il comunismo potesse prendere il potere in Italia, Bettazzi scrisse una lettera all’allora segretario del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer, al quale riconosceva la tendenza a realizzare: «un’esperienza originaria di comunismo, diversa dai comunismi di altre nazioni», e chiedeva di «non osteggiare» la Chiesa, ma di «stimolarne», piuttosto «l’evoluzione secondo l’esigenza dei tempi e le attese degli uomini, soprattutto dei più poveri, che forse voi potete o sapete più tempestivamente interpretare». Il leader del PCI rispose al vescovo di Ivrea con la lettera Comunisti e cattolici: chiarezza di princìpi e basi di intesa pubblicata su Rinascita del 14 ottobre 1977.
In questa lettera Berlinguer negava che il PCI professasse esplicitamente l’ideologia marxista, come filosofia materialistica ateistica, e confermava la possibilità di un incontro tra cristiani e comunisti sul piano della “de-ideologizzazione”. Non si tratta di pensare allo stesso modo, ma di fare insieme la stessa strada – affermava in sostanza Berlinguer – nella convinzione che marxisti non si è nel pensiero, ma si diviene nella prassi.
Il primato marxista della prassi è penetrato oggi nella Chiesa come assorbimento della dottrina nella pastorale. E la Chiesa rischia di divenire marxista nella prassi anche falsando il concetto teologico di povertà.
La vera povertà è il distacco dai beni di questa terra, in modo che essi servano alla salvezza dell’anima e non alla sua perdizione. Tutti i cristiani devono essere distaccati dai beni, perché il Regno dei Cieli è riservato ai “poveri in spirito”, ed alcuni di essi sono chiamati a vivere una povertà effettiva, rinunciando al possesso e all’uso dei beni materiali. Ma questa scelta ha valore perché è libera e non viene imposta da nessuno.
Le sette eretiche, fin dai primi secoli, hanno preteso invece di imporre la comunione dei beni, al fine di realizzare in questa terra una utopia ugualitaria. Su questa linea si pone oggi chi vuole sostituire alla categoria religiosa dei poveri in spirito quella sociologica dei materialmente poveri. Mons. Luigi Bettazzi, autore del volumetto La chiesa dei poveri dal concilio a Papa Francesco (Pazzini 2014) ha ricevuto, il 4 aprile 2016, la cittadinanza onoraria di Bologna e potrebbe ricevere la porpora da papa Francesco, sotto il cui pontificato secondo lo stesso ex-vescovo di Ivrea, si è sviluppato il Patto delle Catacombe, «come un seme di frumento messo sotto la terra e cresciuto pian piano fino a dare i suoi frutti».