FAMILY DAY: la fuorviante dichiarazione dei vescovi del Piemonte
(di Tommaso Scandroglio)
Dopo il placet del Cardinal Bagnasco al Family Day del prossimo 30 gennaio, molti vescovi hanno preso coraggio ed hanno benedetto tale iniziativa nata dalla base laicale. Ad esprimere appoggio è scesa in campo anche la Conferenza episcopale piemontese con un suo comunicato.
In esso c’è un passaggio assai critico. «Ribadiamo che tutte le unioni di coppie – si legge nel comunicato – comprese quelle omosessuali, non possono essere equiparate al matrimonio e alla famiglia. Tenuto fermo questo principio, anche le unioni omosessuali, come tutte le unioni affettive di fatto, richiedono una regolamentazione chiara di diritti e di doveri, espressa con saggezza». In breve: “matrimonio” gay no, ma unioni civili omosessuali sì. Peccato che il Magistero sia di avviso opposto in merito alla regolamentazione delle unioni omosessuali.
Il documento del 2003, Considerazione circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, emanato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e approvato esplicitamente da Giovanni Paolo II infatti vieta che lo Stato possa legittimare qualsiasi convivenza omossessuale, conferendo ad essa forma legale e quindi elevandola ad istituto giuridico.
Il documento – concepito ad indirizzo di vescovi e politici cattolici – indica innanzitutto quali potrebbero essere gli atteggiamenti doverosi di costoro verso uno Stato che – attenzione – meramente tollera l’esistenza della convivenza omosessuale, ma non arriva a legittimarla: «smascherare l’uso strumentale o ideologico che si può fare di questa tolleranza; affermare chiaramente il carattere immorale di questo tipo di unione; richiamare lo Stato alla necessità di contenere il fenomeno entro limiti che non mettano in pericolo il tessuto della moralità pubblica e, soprattutto, che non espongano le giovani generazioni ad una concezione erronea della sessualità e del matrimonio, che le priverebbe delle necessarie difese e contribuirebbe, inoltre, al dilagare del fenomeno stesso» (5).
Quando invece siamo di fronte ad uno Stato che dalla pura tolleranza passa al riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali «è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva». Altro che auspicare come fanno i vescovi piemontesi «una regolamentazione chiara di diritti e doveri».
Il male non ha diritti, ma ha l’unico dovere di trasformarsi in bene. E dunque il dovere primo dei conviventi omosessuali è quello di sciogliere questo iniquo legame. Poi il documento spiega i motivi per cui è doveroso opporsi ad ogni forma di riconoscimento di unioni omosessuali: «le legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali sono contrarie alla retta ragione perché conferiscono garanzie giuridiche, analoghe a quelle dell’istituzione matrimoniale, all’unione tra due persone dello stesso sesso».
Riconoscerle «finirebbe per comportare modificazioni dell’intera organizzazione sociale che risulterebbero contrarie al bene comune» (6). Inoltre «esse non sono in condizione di assicurare adeguatamente la procreazione e la sopravvivenza della specie umana», né hanno in sé la caratteristica dell’amore complementare coniugale (7). Oltre a ciò «l’assenza della bipolarità sessuale crea ostacoli allo sviluppo normale dei bambini eventualmente inseriti all’interno di queste unioni» (7). E dunque «tali unioni sono nocive per il retto sviluppo della società umana, soprattutto se aumentasse la loro incidenza effettiva sul tessuto sociale» (8). Da ciò consegue che «le unioni omosessuali (…) non esigono una specifica attenzione da parte dell’ordinamento giuridico, perché non rivestono il suddetto ruolo per il bene comune» (9) e perciò «tutti i fedeli sono tenuti ad opporsi al riconoscimento legale delle unioni omosessuali» (109).
Da qui la conclusione del documento: «la Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali. (…) Riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità» (11). Quindi la nota della Conferenza episcopale piemontese è assolutamente in contrasto con le indicazioni dottrinali del Magistero.