-
Il principio della difesa della vita umana e l’impegno pubblico della fede cattolica
Mons. Gianpaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste
Convegno scientifico-medico - Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
Roma, 11 maggio 2013
1. Dedico questo mio intervento ad una riflessione sulla centralità del tema della difesa della vita umana fin dal concepimento per la Dottrina sociale della Chiesa e, in generale, per continuare a permettere che la religione cattolica abbia un ruolo pubblico, come deve necessariamente avere (1).
Ritengo importante situare la riflessione sulla difesa della vita, anche quella condotta dal punto di vista scientifico-medico come viene fatto in questo convegno, dentro la Dottrina sociale della Chiesa, ossia dentro il rapporto della Chiesa con il mondo. Perché in questo consiste il ruolo pubblico della fede cattolica, che non parla solo all’interiorità delle persone, ma esprime la regalità di Cristo anche sull’ordine temporale e attende la ricapitolazione di tutte le cose in Lui, Alfa e Omega. La regalità di Cristo ha un significato spirituale (2), certamente, ma ne ha anche uno cosmico e sociale. Senza questa dimensione pubblica, la fede cattolica diventa una gnosi individuale, un culto non del Dio Vero ed Unico ma degli dèi, una setta che persegue obiettivi di rassicurazione psicologica rispetto alla paura di essere “gettati” nell’esistenza.
2. Innanzitutto il tema della difesa della vita porta con sé il messaggio della natura. Ci dice che esiste una natura e, in particolare, una natura umana. Non ci sono altre motivazioni valide per chiedere il rispetto del diritto alla vita e, per contro, chi non lo rispetta è perché nega l’esistenza di una natura umana o la riduce ad una serie di fenomeni governati dalla necessità. La vita, invece, ci riconduce alla natura orientata finalisticamente, come lingua, come codice (3). La nostra cultura ha perso l’idea di fine (4). Ha cominciato a perderla quando Cartesio ha interpretato il mondo come una macchina e Dio come colui che ha dato un calcio al mondo, o forse anche prima. Oggi viviamo in una cultura post-naturale, come dimostra ampiamente il perversare dell’ideologia del gender (5), da vedersi come una cultura post-finalstica. Il principio di causalità, che nella filosofia classica, era connesso con quello di finalità, se ne è staccato. La realtà non esprime più un disegno ma solo una sequenza di cause materiali. Rilanciare una cultura della difesa della vita significa allora anche recuperare la cultura della natura e la cultura dei fini.
-
Il principio della difesa della vita umana e l’impegno pubblico della fede cattolica
Mons. Gianpaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste
Convegno scientifico-medico - Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
Roma, 11 maggio 2013
1. Dedico questo mio intervento ad una riflessione sulla centralità del tema della difesa della vita umana fin dal concepimento per la Dottrina sociale della Chiesa e, in generale, per continuare a permettere che la religione cattolica abbia un ruolo pubblico, come deve necessariamente avere (1).
Ritengo importante situare la riflessione sulla difesa della vita, anche quella condotta dal punto di vista scientifico-medico come viene fatto in questo convegno, dentro la Dottrina sociale della Chiesa, ossia dentro il rapporto della Chiesa con il mondo. Perché in questo consiste il ruolo pubblico della fede cattolica, che non parla solo all’interiorità delle persone, ma esprime la regalità di Cristo anche sull’ordine temporale e attende la ricapitolazione di tutte le cose in Lui, Alfa e Omega. La regalità di Cristo ha un significato spirituale (2), certamente, ma ne ha anche uno cosmico e sociale. Senza questa dimensione pubblica, la fede cattolica diventa una gnosi individuale, un culto non del Dio Vero ed Unico ma degli dèi, una setta che persegue obiettivi di rassicurazione psicologica rispetto alla paura di essere “gettati” nell’esistenza.
2. Innanzitutto il tema della difesa della vita porta con sé il messaggio della natura. Ci dice che esiste una natura e, in particolare, una natura umana. Non ci sono altre motivazioni valide per chiedere il rispetto del diritto alla vita e, per contro, chi non lo rispetta è perché nega l’esistenza di una natura umana o la riduce ad una serie di fenomeni governati dalla necessità. La vita, invece, ci riconduce alla natura orientata finalisticamente, come lingua, come codice (3). La nostra cultura ha perso l’idea di fine (4). Ha cominciato a perderla quando Cartesio ha interpretato il mondo come una macchina e Dio come colui che ha dato un calcio al mondo, o forse anche prima. Oggi viviamo in una cultura post-naturale, come dimostra ampiamente il perversare dell’ideologia del gender (5), da vedersi come una cultura post-finalstica. Il principio di causalità, che nella filosofia classica, era connesso con quello di finalità, se ne è staccato. La realtà non esprime più un disegno ma solo una sequenza di cause materiali. Rilanciare una cultura della difesa della vita significa allora anche recuperare la cultura della natura e la cultura dei fini.