-
Francia, Bergé: «Abolire due feste cristiane? Io sono per sopprimerle tutte»
Settembre 27, 2013 Leone Grotti L’imprenditore Pierre Bergé, strenuo sostenitore dei diritti gay, ha dichiarato che
«bisogna andare fino in fondo con la laicità»
-
Avvenire 27-9-2013
Alzata di scudi contro il re della pasta che aveva dichiarato: «Non ho nulla contro queste
persone e sono favorevole al matrimonio gay, non all' adozione. Ma non farei mai uno spot con
una coppia omosessuale»
Barilla: no famiglie gay Lobby omosex scatenata
Rivolte e minacce: «Boicottiamo i suoi prodotti»
-
Otto storie di nuovi convertiti
Dall'ateismo, dall'ebraismo, dall'islam. Approdati alla fede cristiana da sponde anche lontane ed ostili. L'ultimo della serie: un musulmano turco divenuto dottore in teologia cattolica
di Sandro Magister
-
Fides
ASIA/LAOS - Cristiani espulsi da un distretto a causa della loro fede
Vientiane (Agenzia Fides) – Le autorità civili del distretto di Atsaphangthong, nella provincia di Savannakhet, hanno stabilito che i cittadini laotiani cristiani, presenti nei diversi villaggi del distretto, devono rinunciare alla loro fede, pena l'espulsione dal territorio distrettuale. Come appreso da Fides, il provvedimento è stato emanato visto il numero crescente di conversioni al cristianesimo in diversi villaggi. La decisione è stata resa nota il 21 settembre, nel corso di una riunione ufficiale di membri delle autorità civili con la popolazione del villaggio di Huay. All’incontro partecipavano abitanti di tutte le religioni. Diramata la notizia, i cristiani hanno respinto la decisione, sostenendo che il loro diritto alla libertà religiosa è garantito dalla Costituzione laotiana e dicendosi pronti a subire l’espulsione, pur di non abiurare alla fede cristiana.
-
Perugia. Omofobia all’ora di Religione? Il preside e gli alunni contro l’Arcigay che ha creato un caso «sul nulla»
settembre 23, 2013 Redazione
Emblematico caso montato dall’associazione lgbt per rimettere in discussione la legge Scalfarotto. Ma la realtà è ben diversa, come raccontato da alunni e preside
-
La Chiesa, l'uomo, le sue ferite: l'intervista a papa Francesco
Per gentile concessione di "Civiltà Cattolica" pubblichiamo il testo integrale dell'intervista del direttore padre Antonio Spadaro a papa Francesco.
Santa Marta, lunedì 19 agosto ore 9,50
È lunedì 19 agosto. Papa Francesco mi ha dato appuntamento alle 10,00 in Santa Marta. Io però eredito da mio padre la necessità di arrivare sempre in anticipo. Le persone che mi accolgono mi fanno accomodare in una saletta. L’attesa dura poco, e dopo un paio di minuti vengo accompagnato a prendere l’ascensore. Nei due minuti ho avuto il tempo di ricordare quando a Lisbona, in una riunione di direttori di alcune riviste della Compagnia di Gesù, era emersa la proposta di pubblicare tutti insieme un’intervista al Papa. Avevo discusso con gli altri direttori, ipotizzando alcune domande che esprimessero gli interessi di tutti. Esco dall’ascensore e vedo il Papa già sulla porta ad attendermi. Anzi, in realtà, ho avuto la piacevole impressione di non aver varcato porte.
-
CorSera 22-9-2013
È STATO ORDINATO DAL CARDINALE CARLO CAFFARRA
Bologna, il professore universitario che si fa prete a 63 anni
Riccardo Vattuone: me l'ha chiesto l'arcivescovo, ho detto sì
-
Carlo Card. Caffarra - Arcivescovo di Bologna
Lectio Magistralis Verità e bontà della coniugalità nell'ambito dell'incontro La Famiglia grembo dell'io
al Teatro Auditorium Manzoni - 12 settembre 2013
Vorrei intrattenermi con voi su una questione che spero il corso della riflessione dimostrerà essere una questione importante.
Sullo sfondo del nostro discorso dimora una domanda alla quale non risponderò direttamente, ma che ci accompagnerà. La domanda è la seguente: il matrimonio è una realtà a totale disposizione degli uomini oppure ha in sé uno "zoccolo duro" indisponibile? Poiché sappiamo, senza essere studiosi di logica, che la definizione e.g. di A è la risposta alla domanda "che cosa è A?", potremmo riformulare la domanda di fondo nel modo seguente: la definizione del matrimonio - ciò che il matrimonio è - è esclusivamente dipendente dal consenso sociale? E' il consenso sociale che decide che cosa è il matrimonio?
Se io ora comincio a parlarvi della verità della coniugalità, lo posso fare in quanto penso che la definizione del matrimonio, la sua intima natura, non è esclusivamente frutto del consenso sociale. Non avrebbe altrimenti senso tutta la riflessione che stiamo facendo. Alla domanda "che cosa è la coniugalità?" tutto si risolverebbe, alla fine, nel rispondere: ciò che il consenso sociale decide che sia.
1. La verità della coniugalità
Partiamo pure dal fatto attuale: è stata introdotta in molti ordinamenti statuali il riconoscimento di una "coniugalità omosessuale". Cioè: la differenziazione sessuale è irrilevante in ordine alla definizione della coniugalità. I coniugi che stabiliscono il patto coniugale possono essere anche dello stesso sesso.
Nello stesso tempo, tuttavia, l'amicizia coniugale è pur sempre un'affezione che ha una dimensione sessuale. E' questo che distingue l'amicizia coniugale da ogni altra forma di amicizia.
Oggettivamente – cioè: lo si pensi o non lo si pensi; lo si voglia o non lo si voglia – la definizione di coniugalità, implicata nel riconoscimento della coppia omosessuale, sconnette totalmente la medesima coniugalità dall'origine della persona umana. La coniugalità omosessuale è incapace di porre le condizioni del sorgere di una nuova vita umana. Pertanto delle due l'una: o non possiamo pensare la coniugalità nelle forma omosessuale o l'origine di nuove persone umane non ha nulla a che fare colla coniugalità.
Proviamo a riflettere su questa sconnessione. Essa sembra contraddetta dal fatto che gli stessi ordinamenti giuridici che hanno riconosciuto la coniugalità omosessuale, hanno riconosciuto alla medesima il diritto all'adozione o al ricorso alla procreazione artificiale. Pertanto delle due l'una. O questo diritto riconosciuto fa sì che ciò che è stato cacciato dalla porta, entri dalla finestra. Cioè: esiste una percezione indistruttibile, un'evidenza del legame procreazione-coniugalità. Oppure è ritenuto eticamente neutrale il modo con cui la nuova persona umana viene introdotta nella vita. E' cioè indifferente che essa sia generata o prodotta.
Fermiamoci un momento, per riflettere sul cammino fatto. La nostra riflessione ha fatto il seguente percorso. Mentre fino a pochi anni orsono, il termine "coniugalità" era univoco, aveva solo un significato, e veicolava la rappresentazione di una sola realtà, l'affezione sessuale fra uomo e donna, oggi il termine è diventato ambiguo, perché può significare anche una coniugalità omosessuale. Da questa ambiguità deriva una totale ed oggettiva sconnessione dell'inizio di una nuova vita umana dalla coniugalità. Questo è il percorso fatto dunque finora: (a) il termine coniugalità è stato reso ambiguo; (b) l'origine di una nuova persona umana è stata sconnessa dalla coniugalità. Riflettiamo ora un momento su questa sconnessione.
Essa è un vero e proprio sisma nelle categorie della genealogia della persona. E' una cosa molto seria. Sono costretto dal tempo ad essere breve.
Scompare la categoria della paternità-maternità, sostituita dalla generica categoria della genitorialità. Scompare la dimensione biologica come elemento [non unico!] costitutivo della genealogia, mentre la genealogia della persona è inscritta nella biologia della persona. Il concepimento – l'evento che ti costituisce in relazione ontologica con padre e madre – può essere un fatto puramente artificiale. La categoria della generazione diventa opzionale nel "racconto della genealogia".
Che ne è allora della persona umana che entra nel mondo? E' una persona intimamente sola, perché privata delle relazioni che la fanno essere.
L'avere percorso il cammino che molte società occidentali stanno percorrendo, ci conduce ad una conclusione. La seguente: ritenere che la coniugalità sia un termine vuoto di senso, al quale il consenso sociale può dare il significato che decide, è la devastazione del tessuto fondamentale del sociale umano: la genealogia della persona.
E' in questo contesto culturale che dobbiamo interrogarci sulla vera natura della coniugalità; scoprire la verità della coniugalità.
La mascolinità e la femminilità sono diversificazioni espressive della persona umana. Non è che esista una persona umana che ha un sesso maschile o femminile, ma esiste una persona umana che è uomo o donna.
Non possiamo dimenticare neppure per un momento che il corpo non è semplicemente qualcosa di posseduto, un possesso della persona. La persona umana è il suo corpo: è una persona-corpo. Ed il corpo è la persona: è un corpo-persona.
La femminilità/mascolinità non sono meri dati biologici. Esse configurano il volto della persona; ne sono la "forma". La persona è "formata", edificata femminilmente o mascolinamente.
Perché esistono due "forme" di umanità, la forma maschile e la forma femminile? La S. Scrittura, che trova per altro conferma nella nostra esperienza più profonda, risponde nel modo seguente: perché ciascuno dei due possa uscire dalla sua "solitudine originaria", e realizzarsi nella comunione con l'altro [cfr. Gen 2].
Essendo radicati nella stessa umanità, uomo e donna sono capaci al contempo di costituire una comunione di persone e di trovare in questa comunione la pienezza di sé stessi in quanto persone umane.
Questa capacità, caratteristica dell'uomo in quanto persona, la capacità del dono di sé, ha una dimensione spirituale e corporea assieme. E' anche attraverso il corpo che l'uomo e la donna sono predisposti a formare quella comunione di persone, nella quale consiste la coniugalità. E' il corpo maschile/femminile il linguaggio non solo espressivo, ma anche performativo della coniugalità.
Nella coniugalità così intesa è radicata, inscritta la paternità e la maternità. E' solo nel contesto della coniugalità che la nuova persona umana può essere introdotta nell'universo dell'essere in modo adeguato alla sua dignità. Non è prodotta, ma generata. E' attesa come dono, non esigita come un diritto.
Prima di terminare la nostra riflessione sulla verità della coniugalità, vorrei sottoporre alla vostra attenzione tre conclusioni. Esse meriterebbero di essere lungamente riflettute. Le enuncio solamente.
La prima. Solo una tale visione della coniugalità rispetta tutta la realtà della nostra umanità; essa cioè ci introduce in una vera antropologia adeguata. Non riduce il corpo ad una realtà priva senso, che non sia quello liberamente attribuitogli dal singolo. Ma vede la persona umana come persona-corpo ed il corpo come corpo-persona, e quindi come persona-uomo e come persona-donna.
La seconda. Una tale visione della coniugalità afferma al contempo la più alta autonomia dell'Io nel dono di sé, e l'intrinseca relazione al "diverso", nel senso più profondo del termine. La "coniugalità" [si fa per dire] omosessuale in fondo trasmette oggettivamente questo messaggio: "di metà dell'umanità non so che farne; in ordine alla più intima realizzazione di me stesso è superflua".
La terza. Una tale visione della coniugalità radica la socialità umana nella natura stessa della persona umana: prima societas in coniugo. Prima, non in senso cronologico, ma ontologico ed assiologico. Ed impedisce la riduzione del sociale umano al contratto.
-
Il principio della difesa della vita umana e l’impegno pubblico della fede cattolica
Mons. Gianpaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste
Convegno scientifico-medico - Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
Roma, 11 maggio 2013
1. Dedico questo mio intervento ad una riflessione sulla centralità del tema della difesa della vita umana fin dal concepimento per la Dottrina sociale della Chiesa e, in generale, per continuare a permettere che la religione cattolica abbia un ruolo pubblico, come deve necessariamente avere (1).
Ritengo importante situare la riflessione sulla difesa della vita, anche quella condotta dal punto di vista scientifico-medico come viene fatto in questo convegno, dentro la Dottrina sociale della Chiesa, ossia dentro il rapporto della Chiesa con il mondo. Perché in questo consiste il ruolo pubblico della fede cattolica, che non parla solo all’interiorità delle persone, ma esprime la regalità di Cristo anche sull’ordine temporale e attende la ricapitolazione di tutte le cose in Lui, Alfa e Omega. La regalità di Cristo ha un significato spirituale (2), certamente, ma ne ha anche uno cosmico e sociale. Senza questa dimensione pubblica, la fede cattolica diventa una gnosi individuale, un culto non del Dio Vero ed Unico ma degli dèi, una setta che persegue obiettivi di rassicurazione psicologica rispetto alla paura di essere “gettati” nell’esistenza.
2. Innanzitutto il tema della difesa della vita porta con sé il messaggio della natura. Ci dice che esiste una natura e, in particolare, una natura umana. Non ci sono altre motivazioni valide per chiedere il rispetto del diritto alla vita e, per contro, chi non lo rispetta è perché nega l’esistenza di una natura umana o la riduce ad una serie di fenomeni governati dalla necessità. La vita, invece, ci riconduce alla natura orientata finalisticamente, come lingua, come codice (3). La nostra cultura ha perso l’idea di fine (4). Ha cominciato a perderla quando Cartesio ha interpretato il mondo come una macchina e Dio come colui che ha dato un calcio al mondo, o forse anche prima. Oggi viviamo in una cultura post-naturale, come dimostra ampiamente il perversare dell’ideologia del gender (5), da vedersi come una cultura post-finalstica. Il principio di causalità, che nella filosofia classica, era connesso con quello di finalità, se ne è staccato. La realtà non esprime più un disegno ma solo una sequenza di cause materiali. Rilanciare una cultura della difesa della vita significa allora anche recuperare la cultura della natura e la cultura dei fini.
-
Il principio della difesa della vita umana e l’impegno pubblico della fede cattolica
Mons. Gianpaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste
Convegno scientifico-medico - Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
Roma, 11 maggio 2013
1. Dedico questo mio intervento ad una riflessione sulla centralità del tema della difesa della vita umana fin dal concepimento per la Dottrina sociale della Chiesa e, in generale, per continuare a permettere che la religione cattolica abbia un ruolo pubblico, come deve necessariamente avere (1).
Ritengo importante situare la riflessione sulla difesa della vita, anche quella condotta dal punto di vista scientifico-medico come viene fatto in questo convegno, dentro la Dottrina sociale della Chiesa, ossia dentro il rapporto della Chiesa con il mondo. Perché in questo consiste il ruolo pubblico della fede cattolica, che non parla solo all’interiorità delle persone, ma esprime la regalità di Cristo anche sull’ordine temporale e attende la ricapitolazione di tutte le cose in Lui, Alfa e Omega. La regalità di Cristo ha un significato spirituale (2), certamente, ma ne ha anche uno cosmico e sociale. Senza questa dimensione pubblica, la fede cattolica diventa una gnosi individuale, un culto non del Dio Vero ed Unico ma degli dèi, una setta che persegue obiettivi di rassicurazione psicologica rispetto alla paura di essere “gettati” nell’esistenza.
2. Innanzitutto il tema della difesa della vita porta con sé il messaggio della natura. Ci dice che esiste una natura e, in particolare, una natura umana. Non ci sono altre motivazioni valide per chiedere il rispetto del diritto alla vita e, per contro, chi non lo rispetta è perché nega l’esistenza di una natura umana o la riduce ad una serie di fenomeni governati dalla necessità. La vita, invece, ci riconduce alla natura orientata finalisticamente, come lingua, come codice (3). La nostra cultura ha perso l’idea di fine (4). Ha cominciato a perderla quando Cartesio ha interpretato il mondo come una macchina e Dio come colui che ha dato un calcio al mondo, o forse anche prima. Oggi viviamo in una cultura post-naturale, come dimostra ampiamente il perversare dell’ideologia del gender (5), da vedersi come una cultura post-finalstica. Il principio di causalità, che nella filosofia classica, era connesso con quello di finalità, se ne è staccato. La realtà non esprime più un disegno ma solo una sequenza di cause materiali. Rilanciare una cultura della difesa della vita significa allora anche recuperare la cultura della natura e la cultura dei fini.
-
L’inseminazione artificiale genera mostri?
Corrispondenza romana - 4 settembre 2013
(di Lupo Glori) Il 29 agosto 2013 è arrivata nelle sale italiane la commedia canadese diretta da Ken Scott, Starbuck ‒ 533 figli e…non saperlo!, dove un giovane di nome David, che per mantenersi donava il proprio seme ad un clinica di fertilità, all’età di 42 anni scopre di essere padre di ben 533 figli, 142 dei quali vogliono scoprire l’identità del padre e sono sulle sue tracce.
-
Avvenire 2-9-2013
«Mai più guerra!»
L'angelus del 1-9-2013
Cari fratelli e sorelle,
buongiorno!
Quest’oggi, cari fratelli e sorelle, vorrei farmi interprete del grido che sale da ogni parte della terra, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall’unica grande famiglia che è l’umanità, con angoscia crescente: è il grido della pace! E’ il grido che dice con forza: vogliamo un mondo di pace, vogliamo essere uomini e donne di pace, vogliamo che in questa nostra società, dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace; mai più la guerra! Mai più la guerra! La pace è un dono troppo prezioso, che deve essere promosso e tutelato.
-
il Foglio - 29 agosto 2013 - ore 06:59
L’abracadabra del politicamente corretto
Nelle scuole francesi arriva la carta del pensiero unico, all’asilo si dichiara “guerra al sessismo”. Sembra il Comitato di salute pubblica, ma è la rivoluzione morbida della “gauche divine”