Collegialità e comunione. La democrazia con la chiesa non c’entra. Cardinal Betori spiega al Foglio che la chiesa non si compromette con le mode1
27 ottobre 2012
IL FOGLIO
Giuseppe Betori, folignate, 65 anni, cardinale arcivescovo di Firenze, biblista ed esegeta molto attento nel contrastare le letture esegetiche che separano il Gesù della storia dal Cristo della fede, presidente per la Commissione che redige il messaggio finale al Sinodo dei vescovi, deve molto nel suo percorso formativo a due cardinali di peso degli ultimi decenni italiani, Camillo Ruini e Carlo Maria Martini. Fu Martini, infatti, che nel 1981, già rettore del Pontificio Istituto Biblico e da appena due anni arcivescovo di Milano, diede addio alla carriera universitaria segnandosi come correlatore (relatore fu Díonisio Mínguez, che poi lasciò l’abito) al dottorato in scienze bibliche di Betori, interessato a una tesi il cui titolo non era prettamente nelle corde del prestigioso gesuita: “Perseguitati a causa del Nome. Struttura dei racconti di persecuzione in Atti 1,12-8,4”. Fu Ruini, invece, che scelse Betori come suo fidato collaboratore negli anni di conduzione della Conferenza episcopale italiana, gli anni del Vangelo inteso come forza culturale della società.