28 maggio 2012 :: Corriere della Sera
La storia della Chiesa lo insegna: mai confondere l'involucro con la perla
di Vittorio Messori
E’ il riflesso condizionato della professione. Comprensibile, forse doveroso, ma che talvolta pare un po’ abusivo. Parlo del setaccio cui i giornali sottopongono i testi papali per trovarvi qualche allusione agli eventi dell’attualità ecclesiale. Al proposito, ho letto con attenzione il testo completo dell’omelia pronunciata ieri da Benedetto XVI alla messa di Pentecoste. Dicono che l’abbia scritta tutta di suo pugno, a differenza di molte altre cose in cui si limita a rivedere quanto preparatogli secondo le sue istruzioni, orali o scritte. Vi ho trovato una pagina di alta spiritualità, un pressante appello non solo ai fedeli ma all’umanità intera a ritrovare comprensione e comunione, abbandonando tanti contrasti, risolti magari con la violenza. Anche il confronto tra Pentecoste, segno di unione, e Babele, segno di disunione, è un classico dell’arte omiletica. Vi fece ricorso pure il maestro inarrivabile del genere, il mitico Bossuet , predicatore alla corte del Re Sole. Ma – e se sarò smentito non me ne lagnerò – non mi è parso di trovarvi qualche aggancio all’attuale cronaca nera ecclesiale. E dico nera in modo intenzionale, perché mi sembra di ricordare che sia una delle pochissime volte, dalla fine del potere temporale, che si parla di qualcuno, per giunta un laico, rinchiuso dai “preti” in un loro carcere. Non sono le Segrete del palazzo del Sant’Uffizio, dove il cardinal Ratzinger ha lavorato per un quarto di secolo, ma, insomma, la cosa ha fatto impressione.