Commento al Vangelo – VII Domenica del Tempo Comune
Può l’uomo perdonare i peccati?
Cos’è più difficile: perdonare i peccati o curare un paralitico? Questa interessante questione sollevata da Gesù nel Vangelo che oggi commentiamo, ci mostra la grandezza e l’efficacia del Sacramento della Riconciliazione.
di Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP
fondatore degli Evangeli Praecones
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1 Dopo alcuni giorni, Gesù entrò di nuovo a Cafarnao, e si seppe che Egli era in casa 2 Si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola. 3 Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. 4 Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. 5 Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati". 6 Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: 7 "Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?". 8 Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: "Perché pensate così nei vostri cuori? 9 Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? 10 Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, 11 ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va a casa tua". 12 Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: "Non abbiamo mai visto nulla di simile!" (Mc 2, 1-12).
I – Introduzione
"Assueta vilescunt", si dice in latino, il che vuol dire: l’uso frequente di qualcosa, quasi sempre, finisce per usurarla, non importa quale sia la grandezza dell’oggetto usato e neppure la sua sostanza. Per esempio, non c’è niente di più banale, per noi, della quotidianità del corso solare ciò che invece Sant’Agostino considera come uno dei miracoli naturali di Dio.
Neanche i miracoli sovrannaturali sfuggono a questa regola. Da circa duemila anni, il Sacramento della Confessione è a disposizione di qualunque penitente, nondimeno, perdiamo con facilità la nozione della misteriosa grandezza del perdono che riceviamo attraverso questo sacramento. La stessa nozione della gravità del peccato, facilmente, si dissolve in noi quando la nostra vigilanza e la nostra vita di devozione non sono sufficientemente determinate. E può succedere che siamo chiamati ad aderire con fede integra a panorami sovrannaturali inediti, subito dopo aver elaborato sofismi per giustificare la nostra permanenza nel vizio. In questo caso, è di fatto difficile per noi reagire con piena rettitudine.
Questi presupposti spiegano in un certo qual modo il comportamento degli scribi, additato nel Vangelo di oggi.
Formati in scuole serie, conoscevano i segnali che precedevano ed indicavano l’avvento del Messia e persino la sua stessa nascita (). Ma non si era soltanto infiacchita la fede in questi dottori della Legge, – peggio ancora – essi avevano modellato alle loro convenienze egoistiche tutti i concetti appresi. Avevano elaborato un sistema dottrinario ed etico a margine della vera ortodossia.
Ora, poiché desiderava la salvezza di tutti, inclusi gli scribi, Gesù, penetrando divinamente nel loro pensiero, dimostrava loro che è Lui il Cristo e che può perdonare i peccati come Dio e come uomo, e confermando il suo potere con uno sprepitoso miracolo.
Qual è la reazione della moltitudine lì presente? Quale quella degli stessi scribi? La Liturgia di oggi ci risponderà.
San Matteo (9, 2-8) e San Luca (5, 18-26) raccontano l’episodio in questione. A parte differenze di cronologia – Luca e Marco collocano l’avvenimento all’epoca in cui le autorità giudaiche cominciano a lanciare invettive contro Gesù -, i tre si mostrano impegnati a trasmettere il grande obiettivo del Signore, ossia, la prova del suo potere di perdonare i peccati.Dei tre narratori del fatto, San Marco, come accade sempre con lui, è quello che renderà più vivi i colori della sua presentazione.
II – Commento al Vangelo
1 Dopo alcuni giorni, Gesù entrò di nuovo a Cafarnao, e si seppe che Egli era in casa.
Maldonato () ipotizza che Gesù debba essere entrato in città di notte ed in modo molto discreto, facendolo sapere soltanto ai discepoli e a nessun altro, così da poter riposare. Il suo intento non fu raggiunto, poiché l’annuncio del suo arrivo corse velocemente per la città.
Probabilmente si trattava della casa di Pietro, e non si può scartare l’ipotesi che la notizia sia stata diffusa da qualche amico, o addirittura da un suo parente. Non è facile far passare inosservata la presenza di Gesù, visto che la stessa virtù partecipata – quella dei santi -, nessuno riesce a nasconderla.
Il periodo di assenza da Cafarnao non deve essere stato solo di "qualche giorno", ma di settimane, perché si deduce che Egli predicò nei giorni di sabato in varie Sinagoghe, prima di far ritorno alla casa di Pietro.
2 Si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la Parola.
Era talmente tanta la quantità di persone, che queste ostruivano il passaggio a chinque. È comune, in tutti i tempi, il verificarsi della curiosità, compenetrata di egoismo, da parte della moltitudine che si accalca e si spinge a gomitate. Oltretutto, non doveva essere esiguo il numero dei rappresentanti di tutte le località. Lí ci dovevano essere anche dei farisei della Giudea e della stessa Gerusalemme, ansiosi di fare di Gesù uno dei loro o altrimenti, di condurlo al Calvario.
Insomma, traspaiono in questo versetto, in una sintesi elegante, la fretta e l’impegno un po’ agitati nell’approssimarsi a Lui, da parte di tutti.
Il Paralitico, simbolo delle anime deboli
3 Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone.
Alcuni autori – come nel caso di Maldonado () - sono sostenitori dell’ipotesi che si trattasse di un paralitico di un certo potere e per questo probabilmente si faceva accompagnare dai suoi familiari e persino da amici.
Quanto al numero "quattro", puntualizzato da San Marco, c’è una controversia tra i commentatori. Alcuni, come San Beda, attribuiscono una certa allegoria al fatto, approssimandolo ai quattro Evangelisti o alle quattro virtù che ci conducono a Cristo. Altri, - tra i quali ritroviamo Maldonado – lo interpretano come risultato della preoccupazione di San Marco di mettere in risalto il carattere drammatico della paralisi dell’infermo. La sua capacità di locomozione era così ridotta che doveva essere caricato da quattro persone. Questa peculiarità darà al miracolo maggiore grandiosità.
C’è anche chi fa un parallelismo tra la paralisi fisica e la debolezza spirituale, perché la tendenza del debole è di raffreddarsi nella pratica della virtù, stancarsi nel suo progresso. Per non aver preso sul serio il peccato veniale, la sua volontà si debilita, conducendolo ad un lento e progressivo abbandono della preghiera e, infine, alla caduta nel peccato grave. Questo male è recriminato dal Signore: "Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca" (Ap 3, 15-16).
Nel considerare come valida quest’interpretazione, il Vangelo di oggi ci addita una soluzione per la paralisi spirituale: cercare Gesù, anche se attraverso l’aiuto di altri. Dove potrà meglio trovarLo un’anima debole? Nella confessione frequente, fatta con amore e serietà; in essa, oltre al beneficio del nostro pentimento, opererà in noi la stessa forza di Nostro Signore Gesù Cristo. Chi applica in tal modo questo metodo non sarà mai colpito da una terribile infermità spirituale.