Commento al Vangelo – XXVI domenica del Tempo Comune
I due figli della Parabola
e gli altri due
Comportandosi in modo di gran lunga peggiore di quello dei due figli della parabola, i sacerdoti e gli anziani del popolo non solo si sono rifiutati di lavorare nella vigna del Signore, ma di fatto, non ci sono nemmeno andati. Questa sarebbe l’attitudine di un terzo figlio, manifestazione estrema del cattivo comportamento nei confronti del Padre! Ma c’è anche un quarto figlio: quello che ha udito con entusiasmo l’invito del Padre e dà la propria vita per Lui!
di Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP
fondatore degli Evangeli Praecones
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La Parabola dei Due Figli
28 "Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna. 29 Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. 30 Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. 31 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?". Dicono: "L’ultimo". E Gesù disse loro: "In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32 È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli" (Mt 21, 28-32).
I – Introduzione: Innocenza e inerranza
Come sembra bella la vita onesta, in tutte le sue manifestazioni, quando si è capaci di analizzarla con occhi limpidi, disinteressati e innocenti! Nella vecchiaia essa si presenta permeata di fragilità, ma robusta e arricchita di esperienza. Si mostra forte, decisa e audace in gioventù, a mano a mano che però, entrando per le porte della maturità, si va arricchendo in riflessione, chiarificazioni e saggezza. Niente attira tanto l’attenzione del nostro sguardo, nel corso dell’esistenza umana, quanto lo sviluppo degli istinti primordiali in un bambino, dai suoi primi vagiti fino al raggiungimento dell’età della ragione. Si comprende come l’animo infantile, nel mettere in pratica a poco a poco gli atti dell’intelligenza o della volontà entri in possesso di un ricco tesoro di esperienze che si basano sui primi principi innati.
L’anima umana è alla ricerca della verità
Ci incanta il vedere con quale sicurezza gli animali – e persino gli stessi insetti – vadano in cerca degli alimenti di cui hanno bisogno. Non è difficile discernere la mano di Dio dietro a tutte queste attività, pur sapendo che Lui, evidentemente, non le sta orchestrando in forma diretta in ogni momento. Dio crea gli esseri viventi con istinti propri che sono conformi alle necessità e alle convenienze di ognuno. Anche l’uomo, essere razionale, nasce con stimoli iniziali e spontanei che gli daranno sicurezza nella ricerca degli obbiettivi per i quali è stato destinato. A questo proposito, la Tomistica ci spiega, con estrema chiarezza, che l’anima, creata e infusa nell’essere al momento del concepimento, è già arricchita dal senso dell’essere.
Approssimiamoci alla culla di un bambino e mostriamogli delle belle palle di differenti colori. Le sue reazioni dimostrano la meraviglia di questi istinti umani, i quali agiscono molto prima dell’uso della ragione. Egli sceglierà una palla del colore che più gli piace, dopo un po’ di tempo passerà a giocare con un’altra e così di seguito. Si tratta della ricerca istintiva del bene, del bello e del vero che finirà per condurre alla scelta di una delle palle rispetto le altre. Questi sono riflessi che precedono la costituzione della capacità di giudicare in forma razionale, in conformità a dei principi chiaramente stabiliti.
Il peccato fa perdere la capacità di giudicare correttamente
Eccellente a questo proposito è l’affermazione di un grande domenicano del secolo scorso, Frate Santiago Ramírez O.P., secondo cui l’anima umana è essenzialmente aristocratica, in quanto è sempre alla ricerca del meglio.
Se gli uomini hanno questi istinti, come si spiega allora l’esistenza dell’errore, della cattiveria e della bruttezza? Speriamo in un prossimo articolo di approfondire questa questione tanto essenziale. Per oggi basti dire che l’inerranza di questi istinti si mantiene solamente se si conserva l’innocenza, in altre parole è il peccato la causa della perdita della capacità di giudicare bene. Lo stesso San Tommaso d’Aquino ci insegna che il senso della verità, del bello e della bontà è un istinto aristocratico, perché soltanto gli innocenti lo possiedono in modo tanto solido. Ora – conclude il Dottore Angelico – pochi sono gli innocenti nel mondo, pertanto pochi sono coloro che ne godono in modo integrale.
È intorno a questa meravigliosa problematica che si svolge il Vangelo di oggi.