Commento al Vangelo – XVII Domenica del Tempo Ordinario
Le parabole sul Regno
Tre parabole sul Regno – quella del tesoro nascosto, della perla e della rete -, preziosi insegnamenti per la nostra vita spirituale e per ottenere la salvezza. Quando i "pescatori" separeranno i "pesci", alla fine del mondo, noi staremo tra i buoni, o tra i cattivi?
Don João Scognamiglio Clá Dias, EP,
fondatore degli Evangeli Praecones
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[www.salvamiregina.it]
Vangelo
l regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete capito tutte queste cose?". Gli risposero: "Sì". Ed egli disse loro: "Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche" (Mt 13, 44-52).
I – Il Regno rivelato dal Maestro
Alcuni soldati, inviati dalle autorità religiose del Tempio a catturare Gesù, erano ritornati senza portare a termine la missione. Eseguire gli ordini era stato loro impossibile, per il semplice fatto che nessuno mai aveva parlato come Lui. Traspare in questo episodio, il grande potere di espressione della verità insegnata dal Signore. Nessuno mai arrivò ad essere Maestro, o verrà ad esserlo, nel senso più profondo del termine, come lo è stato Gesù Cristo. Chi, infatti, potrà oltrepassarLo in pedagogia?
Consideriamo anche il fatto di quanto l’uomo sia moralmente incapace di conoscere da solo e pienamente le verità religiose, avendo bisogno per questo scopo del concorso della Rivelazione. Anche a questo riguardo possiamo chiederci: chi meglio dello stesso Gesù per offrire questa Rivelazione? Egli portava dall’alto una ricca varietà di temi per istruirci, tra i quali quello del Regno di Dio.
Obiettivo degli insegnamenti di Gesù
Il suo grande desiderio era farci conoscere direttamente le meraviglie che il Padre ci aveva preparato, poiché non è facile esprimerle nel linguaggio umano, come lo stesso San Paolo avrebbe detto: "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano" (I Cor 2, 9). Se Egli ci avesse mostrato il Regno dei Cieli, invece di rivelarcelo, avremmo perduto i meriti. Per questo, diventava indispensabile servirsi di immagini approssimative, molto compenetrate di logica e verosimiglianza, e facilmente accessibili alla nostra intelligenza. Un’oratoria magniloquente non era necessaria al Maestro, per la sua stessa essenza e perché ci comunicava una dottrina eterna, grandiosa, nella propria sostanza.
Dopo Gesù, i Santi e i Dottori molto ci hanno illuminato su questo punto particolare, come Sant’Agostino quando ha scritto: "Chi rivendica per se stesso quello che Voi offrite per uso di tutti, volendo come proprio ciò che è di tutti, è ridotto da ciò che è di tutti a ciò che è suo, cioè, dalla verità alla menzogna" (1). Sì, da questo punto di vista, Gesù ci ha dato il più alto esempio di modestia, proprio come dice San Paolo: "Essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo, e divenendo simile agli uomini" (Fil 2, 6-7). Per questo, invariabilmente, Egli Si richiama al Padre.
Supremazia del Magistero Divino
Ecco alcuni elementi che ci portano a meglio intendere il perché Gesù è il Maestro. Così, afferma il Dottor Angelico: "Cristo è il principale dottore della dottrina spirituale e della fede, conforme alla Lettera agli Ebrei: "Questa infatti, dopo essere stata promulgata all’inizio dal Signore, è stata confermata in mezzo a noi da quelli che l’avevano udita, mentre Dio testimoniava nello stesso tempo con segni e prodigi’, ecc. (Eb 2, 3-4)" (2).
Infatti con tutta sicurezza si può parlare di una eccellenza del Magistero di Cristo, poiché "il potere di Cristo nell’insegnare si vede, sia grazie ai miracoli con cui confermava la sua dottrina, sia per l’efficacia con cui persuadeva, sia per l’autorità con cui parlava, poiché lo faceva come chi aveva dominio sulla legge, affermando: ‘Ma io vi dico’ (Mt 5, 34), sia infine per la rettitudine del suo procedere, vivendo senza peccato" (3).
Anche San Tommaso ci mostra come la scienza sacra superi tutte le altre, sia per il suo oggetto, poiché si occupa di temi elevati inaccessibili alla pura ragione umana, mentre le altre abbracciano soltanto ciò che si trova entro i loro limiti; sia per la certezza, poiché la scienza sacra si basa sulla Luce divina che è infallibile, e le altre sulla luce della ragione, che è passibile di errore. Per cui conclude: "Dunque, è evidente che, sotto tutti questi aspetti, la scienza sacra è più nobile delle altre" (4).
Di fronte a questa supremazia del Magistero Divino di Gesù, riesaminiamo per quale ragione Egli si serviva di parabole nel Suo insegnamento.
Metodo che intreccia semplicità ed eternità
Le parabole erano molto comuni nell’Antico Testamento. Fra queste possiamo menzionare quella del cantico della vigna di Isaia (cfr. 5, 1-7), o quella utilizzata da Natan per la sua invettiva contro Davide per i suoi peccati (cfr. 2 Sam 12, 1-4). Tutto porta a credere che, ai tempi della vita pubblica di Gesù, esse fossero divenute ancor più abituali, soprattutto tra i rabbini. Erano di vario tipo ed includevano un paragone che aveva lo scopo di rendere accessibile un insegnamento arduo da capire. Come strumento pedagogico, malgrado la loro semplicità – e forse proprio per questa ragione – risultavano attraenti, poiché, in virtù di una certa aura di ambiguità, che sempre le accompagnava, risultavano enigmatiche. Così, coloro che non riuscivano a cogliere il loro intero significato ne rimanevano curiosamente interessati e coloro che captavano il loro contenuto provavano un sentimento di letizia. Per questo il Signore si rivolgeva così ai Suoi ascoltatori: "Chi ha orecchie per intendere, intenda" (Mc 4, 9).
Gli autori hanno differenti opinioni a questo proposito. Alcuni, attraverso l’ottica della giustizia, analizzano le parabole come un procedimento usato dal Messia con l’obiettivo di castigare quelli che si rifiutavano di credere nella Rivelazione, nonostante i Suoi miracoli. Tra questi spicca Maldonado, come pure Knabenbauer e Fonk. Altri, al contrario, a partire dalla misericordia, spiegano che il soave velo delle parabole mirava a stimolare l’interesse degli astanti, inducendoli a fare domande, per questo afferma San Gerolamo: "Mescola il chiaro con l’oscuro affinché, per mezzo del comprensibile, afferrino quello che non intendono" (5).
Era anche indispensabile che Gesù formasse i Suoi discepoli passo passo – e non in maniera brusca – dentro i nuovi orizzonti. Sotto questo punto di vista, il metodo da Lui adottato non potrebbe essere stato migliore. In sé, la parabola dovrebbe essere semplice, sprovvista di qualsiasi carattere ricercato e, trattando una materia legata all’eternità, risultare sempre attuale. Semplicità ed eternità erano termini che si intrecciavano nel fulcro della Rivelazione portata da Gesù riguardo il Regno.
Due visioni opposte del Regno
I Giudei avevano una concezione sbagliata su questo punto in particolare. Credevano che la venuta del Messia fosse un’opportunità unica per la realizzazione del sogno nazionalista del popolo eletto: un intervento divino per instaurare un’era storica nella quale la supremazia politica, sociale e finanziaria sopra tutti i popoli sarebbe stata raggiunta con gloria e trionfo.
Proprio in senso opposto era il contenuto della Rivelazione sul vero Regno. In questo, tutto è semplicità, lentezza e superamento di ostacoli. Di qui il riferimento alle immagini del grano di senape, del loglio e del frumento, parabole contrapposte agli errori di visualizzazione del popolo giudeo.
Gesù predica alla moltitudine
Questa è la tematica trattata nell’intero capitolo 13, da San Matteo. In questo passo, seguiamo la predicazione di Gesù in Galilea. Uscito di casa, Gesù si siede sulle rive del mare di Tiberiade. Lo circonda una moltitudine tale che Egli si trova nella circostanza di dover salire su una barca, per riuscire a parlare a tutti. Discorre nuovamente utilizzando parabole: il seminatore, la zizzania, il grano di senape, il lievito. Dopo di che, saluta i presenti e ritorna verso casa. Una volta solo con i suoi discepoli, Gli viene chiesto di spiegare la metafora della zizzania. Se continuiamo ad ascoltarLo, penetreremo nel passo del Vangelo della Liturgia di oggi.
Sebbene San Matteo presenti questi insegnamenti come proferiti in casa, solamente ai discepoli, e non alla moltitudine, Maldonado la pensa in modo contrario: "Io credo che sia più probabile che li abbia detti a tutti prima, insieme con le altre parabole" (6).