(di Cristina Siccardi)
Il 1° giugno di 70 anni fa, vigilia del referendum istituzionale, Pio XII si rivolse al Sacro Collegio e, attraverso la radio, agli elettori italiani e francesi (anche in Francia, infatti, si votava, per le elezioni politiche), con queste allarmanti parole, che presagivano il nostro presente: «Domani stesso i cittadini di due grandi nazioni accorreranno in folle compatte alle urne elettorali.
Di che cosa in fondo si tratta? Si tratta di sapere se l’una e l’altra di queste due nazioni, di queste due sorelle latine, di ultramillenaria civiltà cristiana, continueranno ad appoggiarsi sulla salda rocca del cristianesimo, sul riconoscimento di un Dio personale, sulla credenza nella dignità spirituale e nell’eterno destino dell’uomo, o se invece vorranno rimettere le sorti del loro avvenire all’impassibile onnipotenza di uno Stato materialista, senza ideale ultraterreno, senza religione e senza Dio. Di questi due casi si avvererà l’uno o l’altro, secondo che dalle urne usciranno vittoriosi i nomi dei campioni ovvero dei distruttori della civiltà cristiana. La risposta è nelle mani degli elettori; essi ne portano l’augusta, ma pur quanto grave responsabilità!».
I distruttori della civiltà cristiana, attraverso il referendum istituzionale, vinsero, ma non il 2 giugno nelle urne, bensì diversi giorni dopo, con gli inganni. La notte fra il 12 e 13 giugno, nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, il presidente Alcide De Gasperi assunse le funzioni di Capo provvisorio dello Stato repubblicano.
Per Umberto II fu un vero e proprio colpo di Stato e lasciò volontariamente il Paese il 13 giugno, indirizzando agli italiani un proclama, senza attendere la definizione dei risultati e la pronuncia sui ricorsi, che saranno respinti dalla Corte di Cassazione il 18 giugno.
La monarchia in Italia era una minaccia per i rivoluzionari, così come lo era stata per i giacobini: occorreva tagliare la testa al Re. Se il cattolico Luigi XVI era stato ghigliottinato il 21 gennaio 1793, in Italia con il cattolico Re Umberto si decapitò la Monarchia per volontà dei Comunisti, dei Socialisti, di molti democristiani, fra cui lo stesso Alcide De Gasperi in comune accordo con le aspirazioni repubblicane degli Stati Uniti.
Interessante quanto riporta un documento redatto a Roma il 21 marzo 1946 dall’Ambasciatore argentino in Italia, Carlos Brebbia, e indirizzato al Ministro degli esteri dell’Argentina Juan J. Cooke: «Una repubblica turbolenta con maggioranza socialista e comunista, realizzandosi in Roma, costituirebbe una minaccia costante per la cristianità rappresentata dalla autorità spirituale del Papa. L’appoggio del Vaticano a favore della monarchia è ostensibile ed evidente affinché i cattolici sappiano a favore di chi dovranno votare. I vescovi hanno ordinato l’apertura dei conventi di clausura affinché le monache partecipino alle elezioni e durante l’ultimo Concistoro tutti i cardinali presenti a Roma accolsero l’invito del luogotenente (il Principe Umberto, che diverrà Re dal 9 maggio al 2 giugno 1946) per presenziare a un ricevimento dato in onore dei nuovi porporati nei salotti del Palazzo del Quirinale, al quale assistette il Corpo Diplomatico e l’alta società romana (…). Alcuni si chiedono se le elezioni si terranno veramente il 2 giugno. Si può rispondere affermativamente a meno che ciò non venga impedito da cause esclusivamente interne (…) È da osservare che anche quando la differenza tra monarchici e repubblicani fosse di poca importanza, il fatto che alcune centinaia di migliaia di italiani non abbiano potuto partecipare alla votazione, potrebbe indurre la parte perdente a reclamare l’invalidità dei risultati».
Parlare di Monarchia è ancora un tabù. Il Comunismo in Italia, come altrove, ha lavorato sulla diffamazione, sull’odio e sull’oblio, metodi efficacissimi per depennare le scomodità e le coscienze, così da poter creare rivoluzionari modelli e arrivare a mettere addirittura sul trono dell’opinione pubblica odierna un Marco Pannella, un’incoronazione che ha trovato la sua legittimazione persino nella Santa Sede.
Affermava Palmiro Togliatti nel 1944 a proposito del futuro della monarchia in Italia: «Accantoniamo questo problema, dichiariamo solennemente tutti uniti che questo problema lo risolveremo quando tutta l’Italia sarà stata liberata e il popolo potrà essere consultato, allora vi sarà un plebiscito, vi sarà un’Assemblea Costituente, decideremo allora del modo di liberarsi dall’istituto monarchico, se il popolo vuole liberarsi, di proclamare un regime repubblicano come era nelle nostre aspirazioni».
Le loro intenzioni si sono concretizzate e la mentalità italiana si è trasformata, secolarizzandosi a grandi falcate. Se anche gli italiani in maggioranza erano monarchici, che importava? Se anche le votazioni non si potevano svolgere in Alto Adige (sotto amministrazione alleata), in Venezia Giulia (sotto amministrazione alleata e jugoslava), che importava? Se mancavano all’appello gli abitanti delle province di Zara, Istria, Trieste, Gorizia, Bolzano, che importava? Se mancavano alle urne migliaia e migliaia di militari ancora prigionieri all’estero e gli internati civili, che importava? Era il Regime a decidere, secondo le sue aspirazioni, non il popolo.
Agli elettori furono consegnate sia la scheda del referendum per la scelta fra Monarchia e Repubblica, sia quella per l’elezione dei 556 deputati dell’Assemblea Costituente, cui sarebbe stato affidato il compito di redigere la nuova Carta costituzionale. I votanti furono 24.946.878, pari all’89,08% degli aventi diritto al voto. Questi i risultati ufficiali del referendum: Repubblica 12.718.641 voti, pari al 54,27%; Monarchia 10.718.502 voti, pari al 45,73%; le schede nulle furono 1.509.735 (Fonte: Ministero dell’Interno – Archivio storico delle elezioni). La Monarchia è un nervo scoperto perché fa paura poiché l’Italia era cattolica e monarchica, per essenza.
Tuttavia La Grande Storia di Rai3 oggi non può più negare, come è accaduto nella trasmissione andata in onda il 27 maggio u.s.: 2 giugno 1946 – 70 anni dalla Repubblica ( [www.lagrandestoria.rai.it] ). Così, mentre si snocciolano documenti che sottendono incongruenze, manomissioni, sottrazioni di voti, nonché grandi manovre orchestrate da Togliatti, da Alcide De Gasperi, dall’allora Ministro degli Interni Giuseppe Romita, allo stesso tempo Paolo Mieli getta acqua sul fuoco e si affretta a dire che non è il caso di guardare ai complotti… ma i toni antisabaudi oggi si sono chetati, perché la vera Storia può essere imbavagliata, ma non uccisa: ormai ci sono troppe documentazioni e testimonianze che attestano ciò che avvenne 70 anni fa.
I seggi si chiusero alle 14.00 del 3 giugno. Lo spoglio non iniziò con le schede della scelta istituzionale, bensì con quelle dei deputati all’Assemblea Costituente e 35% dei suffragi andò alla Democrazia Cristiana. Le operazioni referendarie furono gestite da tre ministri di sinistra del primo gabinetto De Gasperi: il ministro per la Costituente, il socialista Pietro Nenni, per l’Interno Romita e per la Grazia e Giustizia Togliatti. Presero a dipanarsi ore elettrizzanti. Dopo un accentuato ritardo nell’afflusso dei verbali da parte del Ministero della Giustizia, nelle prime ore del 4 giugno la percentuale repubblicana si collocava fra il 30 e il 40 %.
Dirà Romita: «… le cifre erano lì, col loro linguaggio inequivocabile! (…) Non era possibile eppure era vero, verissimo, paurosamente vero: la monarchia si presentava in netto vantaggio. Mi accasciai nella poltrona (…) Il telefono squillò più volte (…) La monarchia sta vincendo, mormorai… Che cosa avrei detto a Nenni, a Togliatti, a tutti gli altri che non volevano l’avventura del referendum?» (M. Caprara, L’ombra di Togliatti sulla nascita della repubblica. Le pressioni del Guardasigilli sulla Corte di Cassazione, in Nuova Storia Contemporanea, 6 (novembre-dicembre 2002), p. 135).
Il Sud era per la maggioranza monarchico, il Nord repubblicano. C’era stata fretta nell’indire il referendum per due ragioni: mancavano moltissimi all’appello, come si è detto, inoltre non si voleva dare l’opportunità a Umberto II, molto amato dal popolo, di dargli tempo per una campagna elettorale a proprio favore. Il Re, infatti, ebbe soltanto 40 giorni appena, ma non si risparmiò e riempì le piazze. Umberto II, che aveva un’immagine pubblica diversa e affabile rispetto a quella del padre, era incapace di finzioni a causa della sua profonda rettitudine morale, della sua signorilità ovunque e comunque, ma anche della sua profonda fede cattolica.
Sarebbe bastato un suo ordine per scatenare una nuova guerra civile, tutta l’Arma dei Carabinieri sarebbe stata al suo fianco, così come le truppe del generale polacco Władysław Anders. Ma rifiutò a priori di versare altro sangue sulla patria. La coscienza innanzi a tutto. Pio XII dimostrò la sua benevolenza: al Re, espropriato dallo Stato italiano di tutti i suoi beni, donò una somma di denaro per i primi duri tempi dell’esilio in Portogallo.
Papa Pacelli, quel 1° giugno, aveva ancora dichiarato: «Da una parte (…) è lo spirito di dominazione, l’assolutismo di Stato che pretende di tenere nelle sue mani tutte le “leve di comando” della macchina politica, sociale, economica, di cui gli uomini, queste creature viventi, fatte ad immagine di Dio e partecipi per adozione della vita stessa di Dio, non sarebbero che ruote inanimate. Da parte sua, invece, la Chiesa si erge serena e calma, ma risoluta e pronta a respingere ogni attacco. Essa, madre buona, tenera e caritatevole, non cerca, no! la lotta; ma appunto, perché madre, è più ferma, indomita, irremovibile, con le sole forze morali del suo amore, che non tutte le forze materiali, quando si tratta di difendere la dignità, l’integrità, la vita, la libertà, l’onore, la salute eterna dei suoi figli. (…) Noi proviamo, anche più sensibilmente che d’ordinario, un immenso dolore nel mirare la società umana più che mai allontanatasi da Cristo, e al tempo stesso una indicibile compassione allo spettacolo delle calamità senza precedenti, con cui essa è afflitta a cagione della sua apostasia. Perciò Ci sentiamo mossi ad elevare di nuovo la Nostra voce per ricordare ai Nostri figli e alle Nostre figlie del mondo cattolico l’ammonimento che il Salvatore divino non ha cessato di inculcare attraverso i secoli nelle sue rivelazioni ad anime privilegiate che si è degnato di scegliere per sue messaggiere: Disarmate la giustizia punitrice del Signore con una crociata di espiazione nel mondo intero; opponete alla schiera di coloro, che bestemmiano il nome di Dio e trasgrediscono la sua legge, una lega mondiale di tutti quelli che Gli rendono l’onore dovuto e offrono alla sua Maestà offesa il tributo di omaggio, di sacrificio e di riparazione, che tanti altri Gli negano».
Nello Statuto Albertino, in vigore fino al 1948, stava scritto all’Art. 1: «La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi». Mentre con l’Art. 1 della Costituzione venne stabilito che: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». L’«impassibile onnipotenza di uno Stato materialista», come aveva paventato il Sommo Pontefice, «senza ideale ultraterreno, senza religione e senza Dio», era stata ufficialmente sancita.
(Cristina Siccardi)
(di Cristina Siccardi)
Il 1° giugno di 70 anni fa, vigilia del referendum istituzionale, Pio XII si rivolse al Sacro Collegio e, attraverso la radio, agli elettori italiani e francesi (anche in Francia, infatti, si votava, per le elezioni politiche), con queste allarmanti parole, che presagivano il nostro presente: «Domani stesso i cittadini di due grandi nazioni accorreranno in folle compatte alle urne elettorali.
Di che cosa in fondo si tratta? Si tratta di sapere se l’una e l’altra di queste due nazioni, di queste due sorelle latine, di ultramillenaria civiltà cristiana, continueranno ad appoggiarsi sulla salda rocca del cristianesimo, sul riconoscimento di un Dio personale, sulla credenza nella dignità spirituale e nell’eterno destino dell’uomo, o se invece vorranno rimettere le sorti del loro avvenire all’impassibile onnipotenza di uno Stato materialista, senza ideale ultraterreno, senza religione e senza Dio. Di questi due casi si avvererà l’uno o l’altro, secondo che dalle urne usciranno vittoriosi i nomi dei campioni ovvero dei distruttori della civiltà cristiana. La risposta è nelle mani degli elettori; essi ne portano l’augusta, ma pur quanto grave responsabilità!».
I distruttori della civiltà cristiana, attraverso il referendum istituzionale, vinsero, ma non il 2 giugno nelle urne, bensì diversi giorni dopo, con gli inganni. La notte fra il 12 e 13 giugno, nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, il presidente Alcide De Gasperi assunse le funzioni di Capo provvisorio dello Stato repubblicano.
Per Umberto II fu un vero e proprio colpo di Stato e lasciò volontariamente il Paese il 13 giugno, indirizzando agli italiani un proclama, senza attendere la definizione dei risultati e la pronuncia sui ricorsi, che saranno respinti dalla Corte di Cassazione il 18 giugno.
La monarchia in Italia era una minaccia per i rivoluzionari, così come lo era stata per i giacobini: occorreva tagliare la testa al Re. Se il cattolico Luigi XVI era stato ghigliottinato il 21 gennaio 1793, in Italia con il cattolico Re Umberto si decapitò la Monarchia per volontà dei Comunisti, dei Socialisti, di molti democristiani, fra cui lo stesso Alcide De Gasperi in comune accordo con le aspirazioni repubblicane degli Stati Uniti.
Interessante quanto riporta un documento redatto a Roma il 21 marzo 1946 dall’Ambasciatore argentino in Italia, Carlos Brebbia, e indirizzato al Ministro degli esteri dell’Argentina Juan J. Cooke: «Una repubblica turbolenta con maggioranza socialista e comunista, realizzandosi in Roma, costituirebbe una minaccia costante per la cristianità rappresentata dalla autorità spirituale del Papa. L’appoggio del Vaticano a favore della monarchia è ostensibile ed evidente affinché i cattolici sappiano a favore di chi dovranno votare. I vescovi hanno ordinato l’apertura dei conventi di clausura affinché le monache partecipino alle elezioni e durante l’ultimo Concistoro tutti i cardinali presenti a Roma accolsero l’invito del luogotenente (il Principe Umberto, che diverrà Re dal 9 maggio al 2 giugno 1946) per presenziare a un ricevimento dato in onore dei nuovi porporati nei salotti del Palazzo del Quirinale, al quale assistette il Corpo Diplomatico e l’alta società romana (…). Alcuni si chiedono se le elezioni si terranno veramente il 2 giugno. Si può rispondere affermativamente a meno che ciò non venga impedito da cause esclusivamente interne (…) È da osservare che anche quando la differenza tra monarchici e repubblicani fosse di poca importanza, il fatto che alcune centinaia di migliaia di italiani non abbiano potuto partecipare alla votazione, potrebbe indurre la parte perdente a reclamare l’invalidità dei risultati».
Parlare di Monarchia è ancora un tabù. Il Comunismo in Italia, come altrove, ha lavorato sulla diffamazione, sull’odio e sull’oblio, metodi efficacissimi per depennare le scomodità e le coscienze, così da poter creare rivoluzionari modelli e arrivare a mettere addirittura sul trono dell’opinione pubblica odierna un Marco Pannella, un’incoronazione che ha trovato la sua legittimazione persino nella Santa Sede.
Affermava Palmiro Togliatti nel 1944 a proposito del futuro della monarchia in Italia: «Accantoniamo questo problema, dichiariamo solennemente tutti uniti che questo problema lo risolveremo quando tutta l’Italia sarà stata liberata e il popolo potrà essere consultato, allora vi sarà un plebiscito, vi sarà un’Assemblea Costituente, decideremo allora del modo di liberarsi dall’istituto monarchico, se il popolo vuole liberarsi, di proclamare un regime repubblicano come era nelle nostre aspirazioni».
Le loro intenzioni si sono concretizzate e la mentalità italiana si è trasformata, secolarizzandosi a grandi falcate. Se anche gli italiani in maggioranza erano monarchici, che importava? Se anche le votazioni non si potevano svolgere in Alto Adige (sotto amministrazione alleata), in Venezia Giulia (sotto amministrazione alleata e jugoslava), che importava? Se mancavano all’appello gli abitanti delle province di Zara, Istria, Trieste, Gorizia, Bolzano, che importava? Se mancavano alle urne migliaia e migliaia di militari ancora prigionieri all’estero e gli internati civili, che importava? Era il Regime a decidere, secondo le sue aspirazioni, non il popolo.
Agli elettori furono consegnate sia la scheda del referendum per la scelta fra Monarchia e Repubblica, sia quella per l’elezione dei 556 deputati dell’Assemblea Costituente, cui sarebbe stato affidato il compito di redigere la nuova Carta costituzionale. I votanti furono 24.946.878, pari all’89,08% degli aventi diritto al voto. Questi i risultati ufficiali del referendum: Repubblica 12.718.641 voti, pari al 54,27%; Monarchia 10.718.502 voti, pari al 45,73%; le schede nulle furono 1.509.735 (Fonte: Ministero dell’Interno – Archivio storico delle elezioni). La Monarchia è un nervo scoperto perché fa paura poiché l’Italia era cattolica e monarchica, per essenza.
Tuttavia La Grande Storia di Rai3 oggi non può più negare, come è accaduto nella trasmissione andata in onda il 27 maggio u.s.: 2 giugno 1946 – 70 anni dalla Repubblica ( [www.lagrandestoria.rai.it] ). Così, mentre si snocciolano documenti che sottendono incongruenze, manomissioni, sottrazioni di voti, nonché grandi manovre orchestrate da Togliatti, da Alcide De Gasperi, dall’allora Ministro degli Interni Giuseppe Romita, allo stesso tempo Paolo Mieli getta acqua sul fuoco e si affretta a dire che non è il caso di guardare ai complotti… ma i toni antisabaudi oggi si sono chetati, perché la vera Storia può essere imbavagliata, ma non uccisa: ormai ci sono troppe documentazioni e testimonianze che attestano ciò che avvenne 70 anni fa.
I seggi si chiusero alle 14.00 del 3 giugno. Lo spoglio non iniziò con le schede della scelta istituzionale, bensì con quelle dei deputati all’Assemblea Costituente e 35% dei suffragi andò alla Democrazia Cristiana. Le operazioni referendarie furono gestite da tre ministri di sinistra del primo gabinetto De Gasperi: il ministro per la Costituente, il socialista Pietro Nenni, per l’Interno Romita e per la Grazia e Giustizia Togliatti. Presero a dipanarsi ore elettrizzanti. Dopo un accentuato ritardo nell’afflusso dei verbali da parte del Ministero della Giustizia, nelle prime ore del 4 giugno la percentuale repubblicana si collocava fra il 30 e il 40 %.
Dirà Romita: «… le cifre erano lì, col loro linguaggio inequivocabile! (…) Non era possibile eppure era vero, verissimo, paurosamente vero: la monarchia si presentava in netto vantaggio. Mi accasciai nella poltrona (…) Il telefono squillò più volte (…) La monarchia sta vincendo, mormorai… Che cosa avrei detto a Nenni, a Togliatti, a tutti gli altri che non volevano l’avventura del referendum?» (M. Caprara, L’ombra di Togliatti sulla nascita della repubblica. Le pressioni del Guardasigilli sulla Corte di Cassazione, in Nuova Storia Contemporanea, 6 (novembre-dicembre 2002), p. 135).
Il Sud era per la maggioranza monarchico, il Nord repubblicano. C’era stata fretta nell’indire il referendum per due ragioni: mancavano moltissimi all’appello, come si è detto, inoltre non si voleva dare l’opportunità a Umberto II, molto amato dal popolo, di dargli tempo per una campagna elettorale a proprio favore. Il Re, infatti, ebbe soltanto 40 giorni appena, ma non si risparmiò e riempì le piazze. Umberto II, che aveva un’immagine pubblica diversa e affabile rispetto a quella del padre, era incapace di finzioni a causa della sua profonda rettitudine morale, della sua signorilità ovunque e comunque, ma anche della sua profonda fede cattolica.
Sarebbe bastato un suo ordine per scatenare una nuova guerra civile, tutta l’Arma dei Carabinieri sarebbe stata al suo fianco, così come le truppe del generale polacco Władysław Anders. Ma rifiutò a priori di versare altro sangue sulla patria. La coscienza innanzi a tutto. Pio XII dimostrò la sua benevolenza: al Re, espropriato dallo Stato italiano di tutti i suoi beni, donò una somma di denaro per i primi duri tempi dell’esilio in Portogallo.
Papa Pacelli, quel 1° giugno, aveva ancora dichiarato: «Da una parte (…) è lo spirito di dominazione, l’assolutismo di Stato che pretende di tenere nelle sue mani tutte le “leve di comando” della macchina politica, sociale, economica, di cui gli uomini, queste creature viventi, fatte ad immagine di Dio e partecipi per adozione della vita stessa di Dio, non sarebbero che ruote inanimate. Da parte sua, invece, la Chiesa si erge serena e calma, ma risoluta e pronta a respingere ogni attacco. Essa, madre buona, tenera e caritatevole, non cerca, no! la lotta; ma appunto, perché madre, è più ferma, indomita, irremovibile, con le sole forze morali del suo amore, che non tutte le forze materiali, quando si tratta di difendere la dignità, l’integrità, la vita, la libertà, l’onore, la salute eterna dei suoi figli. (…) Noi proviamo, anche più sensibilmente che d’ordinario, un immenso dolore nel mirare la società umana più che mai allontanatasi da Cristo, e al tempo stesso una indicibile compassione allo spettacolo delle calamità senza precedenti, con cui essa è afflitta a cagione della sua apostasia. Perciò Ci sentiamo mossi ad elevare di nuovo la Nostra voce per ricordare ai Nostri figli e alle Nostre figlie del mondo cattolico l’ammonimento che il Salvatore divino non ha cessato di inculcare attraverso i secoli nelle sue rivelazioni ad anime privilegiate che si è degnato di scegliere per sue messaggiere: Disarmate la giustizia punitrice del Signore con una crociata di espiazione nel mondo intero; opponete alla schiera di coloro, che bestemmiano il nome di Dio e trasgrediscono la sua legge, una lega mondiale di tutti quelli che Gli rendono l’onore dovuto e offrono alla sua Maestà offesa il tributo di omaggio, di sacrificio e di riparazione, che tanti altri Gli negano».
Nello Statuto Albertino, in vigore fino al 1948, stava scritto all’Art. 1: «La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi». Mentre con l’Art. 1 della Costituzione venne stabilito che: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». L’«impassibile onnipotenza di uno Stato materialista», come aveva paventato il Sommo Pontefice, «senza ideale ultraterreno, senza religione e senza Dio», era stata ufficialmente sancita.
(Cristina Siccardi)
di Gabriele Lippi | 19 Marzo 2015
Non chiamatelo Isis. Non se parlate con Edward Luttwak. «Si chiama Stato islamico, Isis è un eufemismo buonista». E lui, di certo, buonista non è.
Economista, politologo e saggista romeno è consulente strategico del governo americano e membro del National security study group del dipartimento della Difesa Usa.
Gran parte dei suoi studi, dunque, sono stati dedicati al terrorismo e all'islam, e niente di quello che sta accadendo adesso, nemmeno la strage del museo di Tunisi, può stupirlo. «Lo Stato islamico riesce ad attrarre volontari in tutto il mondo, non si può eliminarlo con un guerra». C'è solo una soluzione possibile: «Non combatterla».
DOMANDA. Dopo Iraq e Siria l'Isis si è spostato dal Medio Oriente al Nord Africa. Prima la Libia, ora la Tunisia.
RISPOSTA. Prima di tutto chiamiamolo col suo nome, lo Stato islamico: è il movimento islamico di maggior successo perché è il più autentico islam.
D. Non è un movimento estremista?
R. Presidenti e papi che dicono che non ha niente a che fare con l'islam mentono. È una bugia benevola, politicamente furba, ma è una bugia. È lo Stato islamico.
D. E questo cosa comporta?
R. Riesce ad attrarre volontari in tutto il mondo. Arrivano, combattono e si sacrificano. Contro di loro ci sono dei soldati salariati, spesso di governi che hanno poca legittimità, come ad esempio in Siria e Iraq.
D. L'attacco del 18 marzo in Tunisia è particolarmente significativo perché colpisce un Paese che sta facendo grossi sforzi di democratizzazione. O no?
R. Si sapeva da tempo che da quel Paese veniva un numero sproporzionato di volontari dello Stato islamico. La Tunisia è piccola, ma si parlava di 3 mila uomini, più di quelli del grande Egitto. C'era una radice fondamentalista in Tunisia che ha prodotto questo.
D. Come si può combattere lo Stato islamico?
R. Per prima cosa bisogna dire la verità: non è un'anomalia dell'islam, è l'islam. Bisogna smettere con queste commedie, come ha fatto Obama che ha invitato al vertice anti-terrorismo di Washington tutta questa gente per parlare di estremismo, dicendo che non aveva niente a che fare con l'islam. Però non ha invitato dei presbiteriani o dei metodisti. Ha invitato dei musulmani.
D. E poi?
R. Quando si combatte lo Stato islamico in Mesopotamia si paga un prezzo geopolitico altissimo, perché indebolendo lo Stato islamico si rinforza l'Iran, che ha già messo le mani su Baghdad, Damasco, Yemen e ha enorme influenza anche a Beirut.
D. E infatti Israele non vede la lotta allo Stato islamico come una priorità.
R. Lo Stato islamico è arrivato sul Golan da molto tempo, ma non ha fatto niente contro lo Stato di Israele. Così come al Qaeda non aveva fatto niente contro Israele.
D. Come mai?
R. Non è solo perché hanno paura degli israeliani, e sanno che la risposta sarebbe tremenda, ma anche perché combattono gli sciiti, che per Israele sono la minaccia numero 1 sia per l'Iran sia sulla frontiera col Libano, con Hezbollah che è armato da Teheran. Gli israeliani sarebbero dei cretinetti a impegnarsi contro lo Stato islamico come fanno altri irresponsabili.
D. Israele quindi non può essere un alleato dell'Occidente. E l'Arabia Saudita?
R. Prima di tutto la religione saudita è la stessa identica religione dello Stato islamico, l'affinità ideologica è totale. Basti pensare che in Arabia Saudita hanno distrutto la tomba di Maometto e dei suoi seguaci a La Mecca. Se l'avessero fatto i cristiani o gli ebrei ci sarebbe stato il mondo islamico in fiamme. Ma l'hanno fatto i sauditi e nessuno ha detto niente.
D. Nessuna possibilità che l'Arabia Saudita faccia qualcosa contro lo Stato islamico, dunque.
R. Di fronte all'avanzata dell'Iran sciita, i sauditi non vogliono fare niente contro lo Stato islamico. Hanno fatto finta di fare qualcosa all'inizio, ora non fanno neanche finta.
D. Non è che l'Occidente ha le sue colpe?
R. Sicuramente quella di aver inventato l'islam, che è una derivazione di cristianesimo ed ebraismo. Poi l'Occidente fa, gli altri non fanno. Quando succede qualcosa si può sempre dire che è colpa dell'Occidente.
D. Per esempio?
R. L'Occidente ha inventato tivù, stampa, mass media. Tutto ciò che permette allo Stato islamico di fare propaganda. In più loro vogliono restaurare il VII secolo ed è chiaro che noi occidentali abbiamo fatto moltissime cose per cambiare la situazione dal VII secolo.
D. Perché tutto questo odio l'Occidente?
R. Perché ha delle idee velenose per loro, come per esempio che le donne non sono animali domestici, che hanno il diritto di andare a fare la spesa invece di aspettare che gliela porti un figlio con più di 13 anni, o il marito o il padre.
D. E la guerra in Iraq?
R. Finché l'Occidente esiste esprime lo spirito europeo, che è lo spirito di creazione, guerra e conquista. E quando fai guerre e conquiste ne sbagli una su due. Rimuovere Saddam è stato sicuramente un errore, basato sull'idea che ci potesse essere democrazia nel mondo arabo. Errore ripetuto in Libia con Gheddafi e anche in Tunisia con Ben Ali.
D. Anche in Tunisia?
R. Certo. Oggi i tunisini sognano i giorni di Ben Ali, che rubava un po' e governava bene.
D. E perché sui giornali non si è detto questo?
R. I media hanno trasformato una rivolta islamica in una rivolta democratica. Stessa cosa fatta in Egitto e negli altri Paesi.
D. Gli Stati Uniti sono passati dall'interventismo di Bush a una strategia quasi opposta con Obama.
R. Sì, fanno molto meno, perché quando hai l'islam contro non puoi fare sviluppo economico e politico, né la guerra. Combattono, non si arrendono. Non puoi vincere, puoi solo sforzarti e perdere tempo. La Libia è stato l'ultimo grave errore.
D. Rinunciare ad agire è stato un errore o era l'unica possibilità?
R. No, tutti questi tentativi di portare la democrazia nel mondo musulmano sono falliti. L'islam non accetta la democrazia. Dicono che la Turchia è democratica, ma dimenticano che è stato il governo pre-islamico a portare la democrazia in Turchia, da quando ci sono gli islamici riducono la democrazia giorno per giorno.
D. È possibile vincere la guerra con lo Stato islamico?
R. No, è possibile non combatterla. Ed è un'ottima idea. Lasciare che loro trovino il loro equilibrio. Oggi è assurdo attaccare i nemici dell'Iran. Teheran è la minaccia strategica in Medio Oriente ora, non lo Stato islamico. E se l'Occidente attaccherà lo Stato islamico l'Arabia Saudita si schiererà sempre più al suo fianco. Magari non con truppe, ma coi soldi. È l'unica difesa che hanno sul territorio contro lo Stato islamico.
D. Lo Stato islamico può rappresentare un nuovo blocco di potenze in grando di prendere il posto dell'Unione sovietica?
R. Sarebbe un grande blocco di potenze al livello del VII secolo. Lo Stato islamico va bene contro gli eroi persiani, non contro un battaglione occidentale in grado di attraversare tutta la Mesopotamia da una parte all'altra. Basta vedere cos'è successo in Palestina: per ogni perdita israeliana ce n'erano sette per Hamas, solo limitandosi ai combattimenti di fanteria.
D. Non possono organizzarsi?
R. Se conquistano l'Egitto possono al massimo produrre armi leggere. Non creare potere. Il loro focus non è il potere globale, ma quello di impedire alle donne di fare cose disgustose come andare in giro senza marito e senza velo integrale. Ambiscono a questo.
D. E noi cosa possiamo fare per difenderci dagli attacchi terroristici?
R. Finirla con le cretinate. Quando il papa ha invitato in un gruppo interfede un rappresentante islamico ben selezionato, lui a un metro dal pontefice ha fatto una dichiarazione in arabo che è finita su YouTube, dove dice: «Allah, assicuraci la conquista e il governo di questo giardino».
D. E nessuno se n'è accorto?
R. Neanche uno dei cretini di Sant'Egidio e Vaticano, che hanno organizzato l'incontro, sapeva l'arabo. È finito su YouTube e ha fatto ridere 1 miliardo di musulmani. Il papa, cretinamente, invita un rappresentante musulmano che pensavano mansueto e che invece ha invocato la conquista di Roma.
D. Cosa possiamo imparare da questo?
R. L'ignoranza non fa bene, la bugia nemmeno. Bisogna riconoscere la verità: lo Stato islamico è un movimento religioso di stretta fede islamica. Quando facciamo atterrare Qatar Airways in Italia stai permettendo allo Stato islamico di atterrare in Italia. E dico specificamente Qatar, non Emirates o Etihad. Ma Qatar.
di Gabriele Lippi | 19 Marzo 2015
Non chiamatelo Isis. Non se parlate con Edward Luttwak. «Si chiama Stato islamico, Isis è un eufemismo buonista». E lui, di certo, buonista non è.
Economista, politologo e saggista romeno è consulente strategico del governo americano e membro del National security study group del dipartimento della Difesa Usa.
Gran parte dei suoi studi, dunque, sono stati dedicati al terrorismo e all'islam, e niente di quello che sta accadendo adesso, nemmeno la strage del museo di Tunisi, può stupirlo. «Lo Stato islamico riesce ad attrarre volontari in tutto il mondo, non si può eliminarlo con un guerra». C'è solo una soluzione possibile: «Non combatterla».
DOMANDA. Dopo Iraq e Siria l'Isis si è spostato dal Medio Oriente al Nord Africa. Prima la Libia, ora la Tunisia.
RISPOSTA. Prima di tutto chiamiamolo col suo nome, lo Stato islamico: è il movimento islamico di maggior successo perché è il più autentico islam.
D. Non è un movimento estremista?
R. Presidenti e papi che dicono che non ha niente a che fare con l'islam mentono. È una bugia benevola, politicamente furba, ma è una bugia. È lo Stato islamico.
D. E questo cosa comporta?
R. Riesce ad attrarre volontari in tutto il mondo. Arrivano, combattono e si sacrificano. Contro di loro ci sono dei soldati salariati, spesso di governi che hanno poca legittimità, come ad esempio in Siria e Iraq.
D. L'attacco del 18 marzo in Tunisia è particolarmente significativo perché colpisce un Paese che sta facendo grossi sforzi di democratizzazione. O no?
R. Si sapeva da tempo che da quel Paese veniva un numero sproporzionato di volontari dello Stato islamico. La Tunisia è piccola, ma si parlava di 3 mila uomini, più di quelli del grande Egitto. C'era una radice fondamentalista in Tunisia che ha prodotto questo.
D. Come si può combattere lo Stato islamico?
R. Per prima cosa bisogna dire la verità: non è un'anomalia dell'islam, è l'islam. Bisogna smettere con queste commedie, come ha fatto Obama che ha invitato al vertice anti-terrorismo di Washington tutta questa gente per parlare di estremismo, dicendo che non aveva niente a che fare con l'islam. Però non ha invitato dei presbiteriani o dei metodisti. Ha invitato dei musulmani.
D. E poi?
R. Quando si combatte lo Stato islamico in Mesopotamia si paga un prezzo geopolitico altissimo, perché indebolendo lo Stato islamico si rinforza l'Iran, che ha già messo le mani su Baghdad, Damasco, Yemen e ha enorme influenza anche a Beirut.
D. E infatti Israele non vede la lotta allo Stato islamico come una priorità.
R. Lo Stato islamico è arrivato sul Golan da molto tempo, ma non ha fatto niente contro lo Stato di Israele. Così come al Qaeda non aveva fatto niente contro Israele.
D. Come mai?
R. Non è solo perché hanno paura degli israeliani, e sanno che la risposta sarebbe tremenda, ma anche perché combattono gli sciiti, che per Israele sono la minaccia numero 1 sia per l'Iran sia sulla frontiera col Libano, con Hezbollah che è armato da Teheran. Gli israeliani sarebbero dei cretinetti a impegnarsi contro lo Stato islamico come fanno altri irresponsabili.
D. Israele quindi non può essere un alleato dell'Occidente. E l'Arabia Saudita?
R. Prima di tutto la religione saudita è la stessa identica religione dello Stato islamico, l'affinità ideologica è totale. Basti pensare che in Arabia Saudita hanno distrutto la tomba di Maometto e dei suoi seguaci a La Mecca. Se l'avessero fatto i cristiani o gli ebrei ci sarebbe stato il mondo islamico in fiamme. Ma l'hanno fatto i sauditi e nessuno ha detto niente.
D. Nessuna possibilità che l'Arabia Saudita faccia qualcosa contro lo Stato islamico, dunque.
R. Di fronte all'avanzata dell'Iran sciita, i sauditi non vogliono fare niente contro lo Stato islamico. Hanno fatto finta di fare qualcosa all'inizio, ora non fanno neanche finta.
D. Non è che l'Occidente ha le sue colpe?
R. Sicuramente quella di aver inventato l'islam, che è una derivazione di cristianesimo ed ebraismo. Poi l'Occidente fa, gli altri non fanno. Quando succede qualcosa si può sempre dire che è colpa dell'Occidente.
D. Per esempio?
R. L'Occidente ha inventato tivù, stampa, mass media. Tutto ciò che permette allo Stato islamico di fare propaganda. In più loro vogliono restaurare il VII secolo ed è chiaro che noi occidentali abbiamo fatto moltissime cose per cambiare la situazione dal VII secolo.
D. Perché tutto questo odio l'Occidente?
R. Perché ha delle idee velenose per loro, come per esempio che le donne non sono animali domestici, che hanno il diritto di andare a fare la spesa invece di aspettare che gliela porti un figlio con più di 13 anni, o il marito o il padre.
D. E la guerra in Iraq?
R. Finché l'Occidente esiste esprime lo spirito europeo, che è lo spirito di creazione, guerra e conquista. E quando fai guerre e conquiste ne sbagli una su due. Rimuovere Saddam è stato sicuramente un errore, basato sull'idea che ci potesse essere democrazia nel mondo arabo. Errore ripetuto in Libia con Gheddafi e anche in Tunisia con Ben Ali.
D. Anche in Tunisia?
R. Certo. Oggi i tunisini sognano i giorni di Ben Ali, che rubava un po' e governava bene.
D. E perché sui giornali non si è detto questo?
R. I media hanno trasformato una rivolta islamica in una rivolta democratica. Stessa cosa fatta in Egitto e negli altri Paesi.
D. Gli Stati Uniti sono passati dall'interventismo di Bush a una strategia quasi opposta con Obama.
R. Sì, fanno molto meno, perché quando hai l'islam contro non puoi fare sviluppo economico e politico, né la guerra. Combattono, non si arrendono. Non puoi vincere, puoi solo sforzarti e perdere tempo. La Libia è stato l'ultimo grave errore.
D. Rinunciare ad agire è stato un errore o era l'unica possibilità?
R. No, tutti questi tentativi di portare la democrazia nel mondo musulmano sono falliti. L'islam non accetta la democrazia. Dicono che la Turchia è democratica, ma dimenticano che è stato il governo pre-islamico a portare la democrazia in Turchia, da quando ci sono gli islamici riducono la democrazia giorno per giorno.
D. È possibile vincere la guerra con lo Stato islamico?
R. No, è possibile non combatterla. Ed è un'ottima idea. Lasciare che loro trovino il loro equilibrio. Oggi è assurdo attaccare i nemici dell'Iran. Teheran è la minaccia strategica in Medio Oriente ora, non lo Stato islamico. E se l'Occidente attaccherà lo Stato islamico l'Arabia Saudita si schiererà sempre più al suo fianco. Magari non con truppe, ma coi soldi. È l'unica difesa che hanno sul territorio contro lo Stato islamico.
D. Lo Stato islamico può rappresentare un nuovo blocco di potenze in grando di prendere il posto dell'Unione sovietica?
R. Sarebbe un grande blocco di potenze al livello del VII secolo. Lo Stato islamico va bene contro gli eroi persiani, non contro un battaglione occidentale in grado di attraversare tutta la Mesopotamia da una parte all'altra. Basta vedere cos'è successo in Palestina: per ogni perdita israeliana ce n'erano sette per Hamas, solo limitandosi ai combattimenti di fanteria.
D. Non possono organizzarsi?
R. Se conquistano l'Egitto possono al massimo produrre armi leggere. Non creare potere. Il loro focus non è il potere globale, ma quello di impedire alle donne di fare cose disgustose come andare in giro senza marito e senza velo integrale. Ambiscono a questo.
D. E noi cosa possiamo fare per difenderci dagli attacchi terroristici?
R. Finirla con le cretinate. Quando il papa ha invitato in un gruppo interfede un rappresentante islamico ben selezionato, lui a un metro dal pontefice ha fatto una dichiarazione in arabo che è finita su YouTube, dove dice: «Allah, assicuraci la conquista e il governo di questo giardino».
D. E nessuno se n'è accorto?
R. Neanche uno dei cretini di Sant'Egidio e Vaticano, che hanno organizzato l'incontro, sapeva l'arabo. È finito su YouTube e ha fatto ridere 1 miliardo di musulmani. Il papa, cretinamente, invita un rappresentante musulmano che pensavano mansueto e che invece ha invocato la conquista di Roma.
D. Cosa possiamo imparare da questo?
R. L'ignoranza non fa bene, la bugia nemmeno. Bisogna riconoscere la verità: lo Stato islamico è un movimento religioso di stretta fede islamica. Quando facciamo atterrare Qatar Airways in Italia stai permettendo allo Stato islamico di atterrare in Italia. E dico specificamente Qatar, non Emirates o Etihad. Ma Qatar.
“L’Occidente sta alimentando tutte queste tragedie catastrofiche che vediamo accadere sotto i nostri occhi. Abbiamo detto molte volte che, in Siria, incitare alla violenza non poteva che condurre al caos. E il caos sicuramente sfocia nella guerra civile o viceversa. Ma il caos è anche il più grande nemico delle minoranze, specialmente delle minoranze cristiane sia in Siria che in Iraq”. Parole forti quelle lanciate al mondo intero dal patriarca della Chiesa siro-cattolica Mar Ignace Youssif III Younan, e raccolte da Aleteia.
Verità proclamate con coraggio, il coraggio di chi ha sofferto e soffre ancora nel vedere la sua comunità, e il suo Paese distrutti di fronte alla indifferenza del mondo.
In questo incontro, il Patriarca accusa l’Occidente e lo mette di fronte a una realtà duramente accettata.
Come è la situazione in Siria in questo momento? Cosa sta vivendo la sua Chiesa in questa fase del conflitto?
Il conflitto continua incessantemente. Tutte le parti in campo hanno le loro armi e i loro sostenitori. Però c’è una grande differenza tra le forze del governo – non del “regime”, perché la Siria ha un governo riconosciuto ed è membro delle Nazioni Unite – che vogliono difendere il suo popolo e gli altri che – comunque vogliamo chiamarli oppositori, ribelli o rivoluzionari – purtroppo stanno distruggendo il Paese.
Pochi giorni fa sono stato giorni ad Al-Qaryatain e a Palmira e ho constatato con i miei occhi la distruzione in quelle due città. Sono andato lì poiché ci sono due comunità una siro-ortodossa e una siro-cattolica, entrambe con una chiesa parrocchiale, e noi avevamo il monastero di Mar Elian che adesso è completamente distrutto. Tutte e due le chiese – in particolare quella ortodossa – sono state quasi rase al suolo. Poi sono andato a Palmira, doveva abbiamo una piccola chiesa che è stata distrutta insieme con la rettoria. Adesso la comunità internazionale si preoccupa dei monumenti archeologici di Palmira, che sono molto conosciuti nel mondo, però per più di 5 anni non c’è stato grande interesse nei confronti delle vittime innocenti. Specialmente per ciò che sta avvenendo adesso ad Aleppo e questo ci rattrista davvero molto.
E’ una situazione difficile anche quella dell’esodo. La sua comunità vede la possibilità di rimanere oppure …?
Non solamente per la mia comunità, ma per tutti i siriani è stata una ingiustizia. Noi cristiani siamo sicuramente una minoranza, abbiamo sofferto le persecuzioni e gli abusi, le uccisioni come gli altri però siamo i più deboli e non abbiamo nessun nemico né nello Stato né tra i ribelli. Non siamo d’accordo con coloro che stanno distruggendo il Paese e uccidendo il suo popolo… allo stesso tempo consideriamo complici tutti coloro che hanno incitato queste bande terroristiche e questi cosiddetti ribelli, perché secondo la legge penale colui che incita un assassino, un criminale deve anche lui essere accusato; e deve subire una punizione anche colui che sa e rimane indifferente. Questo l’ho detto durante un incontro a Torino, parlando della complicità dei politici occidentali: perché è certo che sapessero che, incitando alla violenza con il denaro del petrolio e la vendita delle armi, avrebbero finito per distruggere il Paese. Presto andrò ad Homs poiché abbiamo l’ordinazione di un nostro nuovo vescovo. Lì, la situazione regge ancora e si può andare perché l’area è controllata dal governo, ma più si va verso Aleppo e più le cose diventano difficili. E non sappiamo cos’altro accadrà dopo questi giorni.
Di fronte a questo dramma, i nostri lettori si chiedono cosa si può fare?
Se i vostri cari lettori in Occidente considerano che i Paesi dove vivono sono dei Paesi democratici, allora devono alzare la voce e dire ai loro governanti: state partecipando a un genocidio delle minoranze e specialmente dei cristiani perché per genocidio non si intende solo l’uccisione di tutti i membri di una comunità ma anche il costringerli a fuggire in tutto il mondo, sradicarli dalla terra nativa dei loro antenati e la distruzione di una cultura e una civiltà e una tradizione religiosa ben conosciuta perché noi siamo Chiese “sui iuris”, cioè dotate di una nostra storia anche se non siamo molto grandi. Questa è una cosa orrenda.
Allora i vostri lettori e lettrici devono capire che non devono accettare ciò che dicono i mass media e coloro che usano i loro poteri tra i politici. Non è più accettabile né permesso chiudere gli occhi davanti a queste atrocità che non sono ammesse nel XXI secolo. Vedere questa indifferenza ci rattrista ancora di più e ci fa soffrire.
Quindi bisogna riconoscere l’intervento di Putin?
I russi sono stati molto più seri nell’aiutare questo Paese da tanto tempo diviso e martoriato. E’ vero, quando sono stato a Palmira, erano i russi a difendere i siti archeologici. Ciò che ha fatto la Russia solo nel mese di Settembre scorso vale molto di più di quanto ha fatto l’Occidente negli ultimi due anni.
Abbiamo un altro esempio nell’Iraq che, secondo gli americani e gli occidentali, è un Paese avviato verso la democrazia. Allora perché non lo aiutano seriamente a porre fine a questo Daesh, allo Stato islamico? Si parla da tanti anni di fermare o eliminare questo califfato del terrore. A dire il vero, è ormai chiaro l’opportunismo imperante. E stretti tra Daesh e l’opportunismo occidentale, rimaniamo solo noi cristiani indifesi. Viviamo una situazione allarmante.
Una domanda che ci pongono i nostri lettori, specialmente di lingua araba: molti non hanno capito il gesto di Papa Francesco che, di ritorno dal suo viaggio Grecia, ha portato con sé 12 musulmani. Molti dei nostri lettori ci hanno detto: “ma noi siamo cristiani e non ci aiuta nessuno”… Come possiamo rispondere a queste persone?
Io capisco queste persone e anche la loro angoscia e capisco che ci sono dei momenti in cui la carità cristiana evangelica non viene ben compresa. Per me Papa Francesco è il successore di Pietro, il capo della Chiesa universale, cattolica e spinto dalla carità evangelica ha voluto mostrare a tutto il mondo che il cristianesimo non discrimina nessuno in base a religione, razza o colore della pelle.
D’altro canto io posso perfettamente capire le persone che si chiedono come mai e se incontrerò il Papa glie lo dirò: Santo Padre, non è prendendo 12 siriani tra coloro che soffrono e stavano annegando che risolve il problema, piuttosto preferiamo che Sua Santità prenda una vera decisione.
Credo che il Papa abbia incontrato Joe Biden, il Vice presidente americano. Occorre che il Papa dica chiaramente che questa politica adottata dai politici occidentali non è assolutamente giusta ed è contro la carità e la giustizia. Potevano invece fare in modo di riformare gradualmente i sistemi del governo. Non si può mica esportare la democrazia cosiddetta occidentale in Paesi dove esiste ancora un’amalgama di religione e Stato. In tutti i Paesi del Medio Oriente, eccetto il Libano, c’è questa fusione e questo significa che non si potrà mai avere una vera democrazia se continua questa fusione tra religione e Stato perché noi sappiamo bene che nell’Islam il Corano viene letto e interpretato alla lettera.
Quindi c’è chi dice: “ecco questa è la nostra religione”, però non dimentichiamo che ci sono dei versetti intrisi di violenza e che incitano alla violenza. E quindi ogni gruppo comprenderà questi versetti come vuole perché non c’è un’alta istanza religiosa che li mette in guardia. Qui siamo davanti a un problema di esegesi e certe cose vanno invece comprese bene.
Ecco uno dei risultati è che siamo davanti a uno Stato islamico che continua a commettere tutti questi orrori nel nome dell’Islam. Interpretano la religione come vogliono. Non tutti i musulmani sono terroristi, ma purtroppo i terroristi del XXI secolo finora sono stati tutti musulmani. Questo lo dobbiamo dire chiaramente e dobbiamo chiedere ai nostri confratelli musulmani di essere vigili. Personalmente ho sempre ribadito che i discorsi nelle moschee devono essere inviti alla convivenza e alla pace e non atti di accusa di infedeltà rivolti alle altre religioni.
Qual è stata, personalmente, la ferita più grande in questi anni di conflitto e cos’è che l’ha fatta piangere maggiormente?
Il ho vissuto e sperimentato sulla mia pelle il conflitto siriano perché vengo dalla provincia di Al-Hasakah, nel nord-est della Siria. E qualche mese fa quando il Daesh ha invaso i villaggi pacifici della regione del Khabour ed ha costretto gli abitanti a fuggire, sono stati rapiti circa 300/400 persone. Alcuni sono stati liberati, di altri non sappiamo ancora nulla.
In Iraq invece penso alla tragedia dei nostri fedeli che sono stati sradicati dalla piana di Ninive. Questo ci strazia il cuore. Soffriamo tanto perché sono stato da loro meno di tre settimane fa. Sono stato in Iraq, in Kurdistan, a Erbil, ed ho visitato quasi la maggior parte del Kurdistan per andare incontro ai nostri fedeli. Lì, la situazione diventa sempre più tragica. In questi anni sono state espulse circa 140 mila persone. Non sappiamo il numero esatto perché tanti si sono rifugiati in luoghi diversi: alcuni a Baghdad, altri a Basra. Invece per la nostra comunità abbiamo tutto documentato, e almeno 11 mila famiglie sono state espulse dalla piana di Ninive e da Moussol, e di queste 11 mila famiglie, meno di 7 mila sono rimaste. Le altre sono andate sia in Libano che in Giordania o in Turchia ed hanno attraversato, tra mille sofferenze, mari e oceani.
Parlando del dramma dei rifugiati, tanti cristiani dicono: “Ma la Chiesa non ci sta aiutando”, forse perché si limitano a fissare semplicemente ciò che hanno davanti ai loro occhi. Ci può spiegare in che modo la Chiesa sta fornendo un aiuto?
Posso capire i bisogni di ordine umanitario di questi profughi cacciati e sradicati, d’altro canto non si può dimenticare oppure non si può negare il fatto che le Chiese stanno fornendo il loro aiuto. Le Chiese non sono nazioni o Stati; non siamo Paesi in grado di donare milioni. Stiamo semplicemente facendo tutto il possibile.
Ero in Iraq, ed ho visto che cosa si sta facendo lì. Ovviamente il morale è a terra, e non mancano le sofferenze perché tornare a casa è ormai diventato un sogno, ma ho visto che la Chiesa sta aiutando almeno a conservare una vita umana dignitosa. Ho visitato le tende, ho visitato le chiese e i palazzi in cui sono ospitati i rifugiati. La Chiesa sta lavorando molto. Ho visitato le chiese che sono state costruite per pregare, le scuole e la nostra clinica dove i preti e le suore si danno da fare per la comunità. Rimane vero che non possiamo rispondere a tutti i bisogni, non siamo un Paese del petrolio o un ricco Paese europeo, ma un piccolo contributo lo stiamo dando per rispondere ai bisogni di queste migliaia di persone. In Libano, per esempio, stiamo distribuendo degli aiuti umanitari e abbiamo aperto già da due anni una scuola con 850 bambini con un giardino per i cristiani iracheni, che io ho visitato prima di venire. Questa scuola ci costa 40 mila dollari al mese. Non possiamo promettere le stelle e ci sarà sempre gente insoddisfatta e che ci dice: “cosa fate per porre fine alla nostra Via Crucis. Perché non ci aiutate ad essere accolti dai Paesi europei?”. Questo noi non lo facciamo mai né lo possiamo fare, perché significherebbe aiutare a svuotare i nostri Paesi e le nostre terre dalle comunità cristiane che hanno vissuto lì per migliaia di anni. Ovviamente capisco le loro preoccupazioni perché questo è normale e non è facile.
Ci preoccupiamo specialmente per i giovani, e cerchiamo di provvedere con la scuola e con l’università, ma rimane il problema che hanno cominciato a perdere fiducia nel loro futuro. Ho celebrato la Pasqua con la nostra comunità siro-cattolica irachena. Era il sabato 26 di marzo nella chiesa che stiamo affittando. Abbiamo celebrato due messe una alle 18 e l’altra alle 20. E soprattutto per l’ultima messa la chiesa era stracolma e la gente arrivava fino in strada e in piazza e la maggior parte era formata da famiglie giovani con bambini. Questo è ciò che ci tormenta: come possiamo aiutarli a rimanere?
Capiamo perfettamente che la chiesa non può invitare le persone a lasciare le loro terre, tuttavia molte persone sono state obbligate ad abbandonare le loro case e si trovano in campi per rifugiati dove la loro vita è molto difficile. Il papa ha portato con sé 12 musulmani, voi come Patriarchi dell’Oriente, non potete fare pressione per far uscire i cristiani che comunque sono una minoranza in questi campi profughi?
Come sapete, coloro che sono stati cacciati dalla loro terra, per esempio dall’Iraq, la maggior parte si è rifugiata in Kurdistan e vive nelle tende, o in palazzi abbandonati o in appartamenti in affitto, di cui la Chiesa si fa in parte carico. Quindi, quelli che sono rimasti ancora nei loro Paesi non saranno mai accettati da fuori, ma quelli che si trovano fuori dall’Iraq, in Libano, in Giordania, cerchiamo di aiutarli. Tuttavia, noi non chiederemo mai alle ambasciate e ai consolati di dare loro i visti per abbandonare i Paesi perché questo sarebbe come una pubblicità molto negativa e significherebbe che la Chiesa sta incoraggiando l’emigrazione. Noi siamo facendo tutto il possibile ma ci sono casi difficili e drammatici.
Alcuni preti hanno cercato di aiutare alcuni iracheni ad ottenere i visti da Cipro per poter andare nella Repubblica Ceca. Erano circa un centinaio di persone che ora devono ritornare perché si sentono ingannate perché si pensa alla Repubblica Ceca come alla Germania oppure all’Olanda ecc. e ora vedono che la lingua e la vita è difficile ma comunque sono questioni di cui devono farsi carico i vescovi e il clero locali. Noi non possiamo interferire e dire: voi dovete fare questo o quell’altro perché loro conoscono meglio di noi la situazione.
Non potete come Patriarchi chiedere o fare pressione per fermare la guerra?
Noi dobbiamo essere pastori che proclamano la verità con carità e non dobbiamo fare i politici dicendo che i cristiani e i musulmani nel Medio Oriente hanno convissuto per 1400 anni nel pieno rispetto. Questo non è vero, altrimenti come mai assistiamo a questa diminuzione di fedeli nelle comunità cristiane? Anche in Turchia 100 anni fa c’erano cristiani, armeni e siri a centinaia di migliaia. Ecco adesso tutto è vuoto e allora perché non dire la verità? La comunità internazionale deve fermamente chiedere a questi politici o a questi Paesi di non mescolare religione e Stato.
Dopo la tragedia del corpo senza vita del bambino trovato sulla spiaggia turca, tutti quanti sono diventati umani e compassionevoli…. ma perché la comunità internazionale non interviene per dire all’Arabia Saudita: “avete tanto spazio e tanto petrolio e soldi perché non ospitate questi poveri che finiscono per annegare e non li ospitate in piccole città e dare loro da mangiare, li mandate a scuola e non li fate vivere degnamente, invece di lasciarli morire?”. E’ qualcosa veramente difficile da capire…
La nostra strategia è di dire la verità a tutti.
Forse la strategia della Arabia Saudita non è, dopotutto, aiutare questi musulmani perché hanno altri interessi…
Ma se voi siete occidentali, sinceri nelle vostre azioni, è questo che si dovrebbe dire. E non che “perché c’è il petrolio, siamo i migliori alleati” e ci fanno credere e fanno credere a tutti gli altri che il sistema saudita di governo sia migliore di quello siriano.
C’è un senatore della Virginia, Dick Black, che si è recato in Siria per una visita di tre giorni, ed è stato a Damasco, a Homs e a Palmira ed ha incontrato sia il presidente al-Assad, che il presidente del Parlamento ed ha dichiarato – è il primo americano eletto a dire la verità -: “Quello che è avvenuto in Siria non è un movimento nato dall’interno ma è qualcosa di dettato dall’esterno”. Tutte queste migliaia di mercenari come mai, in questo secolo, si accettano solo in questo Paese? Di solito i combattenti vengono dal Paese vicino come succede in Africa e Asia. Ma qui sono arrivati da tutto il mondo, e questo spiega tutta questa politica disonesta.
Noi speriamo che questo politico americano possa fare un po’ di eco nel suo Paese e che parli di questa ingiustizia: centinaia di migliaia di morti e feriti e milioni di rifugiati cacciati via dai loro Paesi. Questo è veramente un grande crimine e ci sono dei complici, non solo quelli che stanno uccidendo ma anche quelli che hanno pagato e finanziato e incitato e non sono onesti…
da Aleteia: [it.aleteia.org]
“L’Occidente sta alimentando tutte queste tragedie catastrofiche che vediamo accadere sotto i nostri occhi. Abbiamo detto molte volte che, in Siria, incitare alla violenza non poteva che condurre al caos. E il caos sicuramente sfocia nella guerra civile o viceversa. Ma il caos è anche il più grande nemico delle minoranze, specialmente delle minoranze cristiane sia in Siria che in Iraq”. Parole forti quelle lanciate al mondo intero dal patriarca della Chiesa siro-cattolica Mar Ignace Youssif III Younan, e raccolte da Aleteia.
Verità proclamate con coraggio, il coraggio di chi ha sofferto e soffre ancora nel vedere la sua comunità, e il suo Paese distrutti di fronte alla indifferenza del mondo.
In questo incontro, il Patriarca accusa l’Occidente e lo mette di fronte a una realtà duramente accettata.
Come è la situazione in Siria in questo momento? Cosa sta vivendo la sua Chiesa in questa fase del conflitto?
Il conflitto continua incessantemente. Tutte le parti in campo hanno le loro armi e i loro sostenitori. Però c’è una grande differenza tra le forze del governo – non del “regime”, perché la Siria ha un governo riconosciuto ed è membro delle Nazioni Unite – che vogliono difendere il suo popolo e gli altri che – comunque vogliamo chiamarli oppositori, ribelli o rivoluzionari – purtroppo stanno distruggendo il Paese.
Pochi giorni fa sono stato giorni ad Al-Qaryatain e a Palmira e ho constatato con i miei occhi la distruzione in quelle due città. Sono andato lì poiché ci sono due comunità una siro-ortodossa e una siro-cattolica, entrambe con una chiesa parrocchiale, e noi avevamo il monastero di Mar Elian che adesso è completamente distrutto. Tutte e due le chiese – in particolare quella ortodossa – sono state quasi rase al suolo. Poi sono andato a Palmira, doveva abbiamo una piccola chiesa che è stata distrutta insieme con la rettoria. Adesso la comunità internazionale si preoccupa dei monumenti archeologici di Palmira, che sono molto conosciuti nel mondo, però per più di 5 anni non c’è stato grande interesse nei confronti delle vittime innocenti. Specialmente per ciò che sta avvenendo adesso ad Aleppo e questo ci rattrista davvero molto.
E’ una situazione difficile anche quella dell’esodo. La sua comunità vede la possibilità di rimanere oppure …?
Non solamente per la mia comunità, ma per tutti i siriani è stata una ingiustizia. Noi cristiani siamo sicuramente una minoranza, abbiamo sofferto le persecuzioni e gli abusi, le uccisioni come gli altri però siamo i più deboli e non abbiamo nessun nemico né nello Stato né tra i ribelli. Non siamo d’accordo con coloro che stanno distruggendo il Paese e uccidendo il suo popolo… allo stesso tempo consideriamo complici tutti coloro che hanno incitato queste bande terroristiche e questi cosiddetti ribelli, perché secondo la legge penale colui che incita un assassino, un criminale deve anche lui essere accusato; e deve subire una punizione anche colui che sa e rimane indifferente. Questo l’ho detto durante un incontro a Torino, parlando della complicità dei politici occidentali: perché è certo che sapessero che, incitando alla violenza con il denaro del petrolio e la vendita delle armi, avrebbero finito per distruggere il Paese. Presto andrò ad Homs poiché abbiamo l’ordinazione di un nostro nuovo vescovo. Lì, la situazione regge ancora e si può andare perché l’area è controllata dal governo, ma più si va verso Aleppo e più le cose diventano difficili. E non sappiamo cos’altro accadrà dopo questi giorni.
Di fronte a questo dramma, i nostri lettori si chiedono cosa si può fare?
Se i vostri cari lettori in Occidente considerano che i Paesi dove vivono sono dei Paesi democratici, allora devono alzare la voce e dire ai loro governanti: state partecipando a un genocidio delle minoranze e specialmente dei cristiani perché per genocidio non si intende solo l’uccisione di tutti i membri di una comunità ma anche il costringerli a fuggire in tutto il mondo, sradicarli dalla terra nativa dei loro antenati e la distruzione di una cultura e una civiltà e una tradizione religiosa ben conosciuta perché noi siamo Chiese “sui iuris”, cioè dotate di una nostra storia anche se non siamo molto grandi. Questa è una cosa orrenda.
Allora i vostri lettori e lettrici devono capire che non devono accettare ciò che dicono i mass media e coloro che usano i loro poteri tra i politici. Non è più accettabile né permesso chiudere gli occhi davanti a queste atrocità che non sono ammesse nel XXI secolo. Vedere questa indifferenza ci rattrista ancora di più e ci fa soffrire.
Quindi bisogna riconoscere l’intervento di Putin?
I russi sono stati molto più seri nell’aiutare questo Paese da tanto tempo diviso e martoriato. E’ vero, quando sono stato a Palmira, erano i russi a difendere i siti archeologici. Ciò che ha fatto la Russia solo nel mese di Settembre scorso vale molto di più di quanto ha fatto l’Occidente negli ultimi due anni.
Abbiamo un altro esempio nell’Iraq che, secondo gli americani e gli occidentali, è un Paese avviato verso la democrazia. Allora perché non lo aiutano seriamente a porre fine a questo Daesh, allo Stato islamico? Si parla da tanti anni di fermare o eliminare questo califfato del terrore. A dire il vero, è ormai chiaro l’opportunismo imperante. E stretti tra Daesh e l’opportunismo occidentale, rimaniamo solo noi cristiani indifesi. Viviamo una situazione allarmante.
Una domanda che ci pongono i nostri lettori, specialmente di lingua araba: molti non hanno capito il gesto di Papa Francesco che, di ritorno dal suo viaggio Grecia, ha portato con sé 12 musulmani. Molti dei nostri lettori ci hanno detto: “ma noi siamo cristiani e non ci aiuta nessuno”… Come possiamo rispondere a queste persone?
Io capisco queste persone e anche la loro angoscia e capisco che ci sono dei momenti in cui la carità cristiana evangelica non viene ben compresa. Per me Papa Francesco è il successore di Pietro, il capo della Chiesa universale, cattolica e spinto dalla carità evangelica ha voluto mostrare a tutto il mondo che il cristianesimo non discrimina nessuno in base a religione, razza o colore della pelle.
D’altro canto io posso perfettamente capire le persone che si chiedono come mai e se incontrerò il Papa glie lo dirò: Santo Padre, non è prendendo 12 siriani tra coloro che soffrono e stavano annegando che risolve il problema, piuttosto preferiamo che Sua Santità prenda una vera decisione.
Credo che il Papa abbia incontrato Joe Biden, il Vice presidente americano. Occorre che il Papa dica chiaramente che questa politica adottata dai politici occidentali non è assolutamente giusta ed è contro la carità e la giustizia. Potevano invece fare in modo di riformare gradualmente i sistemi del governo. Non si può mica esportare la democrazia cosiddetta occidentale in Paesi dove esiste ancora un’amalgama di religione e Stato. In tutti i Paesi del Medio Oriente, eccetto il Libano, c’è questa fusione e questo significa che non si potrà mai avere una vera democrazia se continua questa fusione tra religione e Stato perché noi sappiamo bene che nell’Islam il Corano viene letto e interpretato alla lettera.
Quindi c’è chi dice: “ecco questa è la nostra religione”, però non dimentichiamo che ci sono dei versetti intrisi di violenza e che incitano alla violenza. E quindi ogni gruppo comprenderà questi versetti come vuole perché non c’è un’alta istanza religiosa che li mette in guardia. Qui siamo davanti a un problema di esegesi e certe cose vanno invece comprese bene.
Ecco uno dei risultati è che siamo davanti a uno Stato islamico che continua a commettere tutti questi orrori nel nome dell’Islam. Interpretano la religione come vogliono. Non tutti i musulmani sono terroristi, ma purtroppo i terroristi del XXI secolo finora sono stati tutti musulmani. Questo lo dobbiamo dire chiaramente e dobbiamo chiedere ai nostri confratelli musulmani di essere vigili. Personalmente ho sempre ribadito che i discorsi nelle moschee devono essere inviti alla convivenza e alla pace e non atti di accusa di infedeltà rivolti alle altre religioni.
Qual è stata, personalmente, la ferita più grande in questi anni di conflitto e cos’è che l’ha fatta piangere maggiormente?
Il ho vissuto e sperimentato sulla mia pelle il conflitto siriano perché vengo dalla provincia di Al-Hasakah, nel nord-est della Siria. E qualche mese fa quando il Daesh ha invaso i villaggi pacifici della regione del Khabour ed ha costretto gli abitanti a fuggire, sono stati rapiti circa 300/400 persone. Alcuni sono stati liberati, di altri non sappiamo ancora nulla.
In Iraq invece penso alla tragedia dei nostri fedeli che sono stati sradicati dalla piana di Ninive. Questo ci strazia il cuore. Soffriamo tanto perché sono stato da loro meno di tre settimane fa. Sono stato in Iraq, in Kurdistan, a Erbil, ed ho visitato quasi la maggior parte del Kurdistan per andare incontro ai nostri fedeli. Lì, la situazione diventa sempre più tragica. In questi anni sono state espulse circa 140 mila persone. Non sappiamo il numero esatto perché tanti si sono rifugiati in luoghi diversi: alcuni a Baghdad, altri a Basra. Invece per la nostra comunità abbiamo tutto documentato, e almeno 11 mila famiglie sono state espulse dalla piana di Ninive e da Moussol, e di queste 11 mila famiglie, meno di 7 mila sono rimaste. Le altre sono andate sia in Libano che in Giordania o in Turchia ed hanno attraversato, tra mille sofferenze, mari e oceani.
Parlando del dramma dei rifugiati, tanti cristiani dicono: “Ma la Chiesa non ci sta aiutando”, forse perché si limitano a fissare semplicemente ciò che hanno davanti ai loro occhi. Ci può spiegare in che modo la Chiesa sta fornendo un aiuto?
Posso capire i bisogni di ordine umanitario di questi profughi cacciati e sradicati, d’altro canto non si può dimenticare oppure non si può negare il fatto che le Chiese stanno fornendo il loro aiuto. Le Chiese non sono nazioni o Stati; non siamo Paesi in grado di donare milioni. Stiamo semplicemente facendo tutto il possibile.
Ero in Iraq, ed ho visto che cosa si sta facendo lì. Ovviamente il morale è a terra, e non mancano le sofferenze perché tornare a casa è ormai diventato un sogno, ma ho visto che la Chiesa sta aiutando almeno a conservare una vita umana dignitosa. Ho visitato le tende, ho visitato le chiese e i palazzi in cui sono ospitati i rifugiati. La Chiesa sta lavorando molto. Ho visitato le chiese che sono state costruite per pregare, le scuole e la nostra clinica dove i preti e le suore si danno da fare per la comunità. Rimane vero che non possiamo rispondere a tutti i bisogni, non siamo un Paese del petrolio o un ricco Paese europeo, ma un piccolo contributo lo stiamo dando per rispondere ai bisogni di queste migliaia di persone. In Libano, per esempio, stiamo distribuendo degli aiuti umanitari e abbiamo aperto già da due anni una scuola con 850 bambini con un giardino per i cristiani iracheni, che io ho visitato prima di venire. Questa scuola ci costa 40 mila dollari al mese. Non possiamo promettere le stelle e ci sarà sempre gente insoddisfatta e che ci dice: “cosa fate per porre fine alla nostra Via Crucis. Perché non ci aiutate ad essere accolti dai Paesi europei?”. Questo noi non lo facciamo mai né lo possiamo fare, perché significherebbe aiutare a svuotare i nostri Paesi e le nostre terre dalle comunità cristiane che hanno vissuto lì per migliaia di anni. Ovviamente capisco le loro preoccupazioni perché questo è normale e non è facile.
Ci preoccupiamo specialmente per i giovani, e cerchiamo di provvedere con la scuola e con l’università, ma rimane il problema che hanno cominciato a perdere fiducia nel loro futuro. Ho celebrato la Pasqua con la nostra comunità siro-cattolica irachena. Era il sabato 26 di marzo nella chiesa che stiamo affittando. Abbiamo celebrato due messe una alle 18 e l’altra alle 20. E soprattutto per l’ultima messa la chiesa era stracolma e la gente arrivava fino in strada e in piazza e la maggior parte era formata da famiglie giovani con bambini. Questo è ciò che ci tormenta: come possiamo aiutarli a rimanere?
Capiamo perfettamente che la chiesa non può invitare le persone a lasciare le loro terre, tuttavia molte persone sono state obbligate ad abbandonare le loro case e si trovano in campi per rifugiati dove la loro vita è molto difficile. Il papa ha portato con sé 12 musulmani, voi come Patriarchi dell’Oriente, non potete fare pressione per far uscire i cristiani che comunque sono una minoranza in questi campi profughi?
Come sapete, coloro che sono stati cacciati dalla loro terra, per esempio dall’Iraq, la maggior parte si è rifugiata in Kurdistan e vive nelle tende, o in palazzi abbandonati o in appartamenti in affitto, di cui la Chiesa si fa in parte carico. Quindi, quelli che sono rimasti ancora nei loro Paesi non saranno mai accettati da fuori, ma quelli che si trovano fuori dall’Iraq, in Libano, in Giordania, cerchiamo di aiutarli. Tuttavia, noi non chiederemo mai alle ambasciate e ai consolati di dare loro i visti per abbandonare i Paesi perché questo sarebbe come una pubblicità molto negativa e significherebbe che la Chiesa sta incoraggiando l’emigrazione. Noi siamo facendo tutto il possibile ma ci sono casi difficili e drammatici.
Alcuni preti hanno cercato di aiutare alcuni iracheni ad ottenere i visti da Cipro per poter andare nella Repubblica Ceca. Erano circa un centinaio di persone che ora devono ritornare perché si sentono ingannate perché si pensa alla Repubblica Ceca come alla Germania oppure all’Olanda ecc. e ora vedono che la lingua e la vita è difficile ma comunque sono questioni di cui devono farsi carico i vescovi e il clero locali. Noi non possiamo interferire e dire: voi dovete fare questo o quell’altro perché loro conoscono meglio di noi la situazione.
Non potete come Patriarchi chiedere o fare pressione per fermare la guerra?
Noi dobbiamo essere pastori che proclamano la verità con carità e non dobbiamo fare i politici dicendo che i cristiani e i musulmani nel Medio Oriente hanno convissuto per 1400 anni nel pieno rispetto. Questo non è vero, altrimenti come mai assistiamo a questa diminuzione di fedeli nelle comunità cristiane? Anche in Turchia 100 anni fa c’erano cristiani, armeni e siri a centinaia di migliaia. Ecco adesso tutto è vuoto e allora perché non dire la verità? La comunità internazionale deve fermamente chiedere a questi politici o a questi Paesi di non mescolare religione e Stato.
Dopo la tragedia del corpo senza vita del bambino trovato sulla spiaggia turca, tutti quanti sono diventati umani e compassionevoli…. ma perché la comunità internazionale non interviene per dire all’Arabia Saudita: “avete tanto spazio e tanto petrolio e soldi perché non ospitate questi poveri che finiscono per annegare e non li ospitate in piccole città e dare loro da mangiare, li mandate a scuola e non li fate vivere degnamente, invece di lasciarli morire?”. E’ qualcosa veramente difficile da capire…
La nostra strategia è di dire la verità a tutti.
Forse la strategia della Arabia Saudita non è, dopotutto, aiutare questi musulmani perché hanno altri interessi…
Ma se voi siete occidentali, sinceri nelle vostre azioni, è questo che si dovrebbe dire. E non che “perché c’è il petrolio, siamo i migliori alleati” e ci fanno credere e fanno credere a tutti gli altri che il sistema saudita di governo sia migliore di quello siriano.
C’è un senatore della Virginia, Dick Black, che si è recato in Siria per una visita di tre giorni, ed è stato a Damasco, a Homs e a Palmira ed ha incontrato sia il presidente al-Assad, che il presidente del Parlamento ed ha dichiarato – è il primo americano eletto a dire la verità -: “Quello che è avvenuto in Siria non è un movimento nato dall’interno ma è qualcosa di dettato dall’esterno”. Tutte queste migliaia di mercenari come mai, in questo secolo, si accettano solo in questo Paese? Di solito i combattenti vengono dal Paese vicino come succede in Africa e Asia. Ma qui sono arrivati da tutto il mondo, e questo spiega tutta questa politica disonesta.
Noi speriamo che questo politico americano possa fare un po’ di eco nel suo Paese e che parli di questa ingiustizia: centinaia di migliaia di morti e feriti e milioni di rifugiati cacciati via dai loro Paesi. Questo è veramente un grande crimine e ci sono dei complici, non solo quelli che stanno uccidendo ma anche quelli che hanno pagato e finanziato e incitato e non sono onesti…
di Rodolfo de Mattei –
Osservatorio Gender di Famiglia Domani
L’obiettivo dichiarato è la decostruzione degli stereotipi di genere, al motto di “sei come sei” e la promozione dell’indifferenza sessuale per la quale ogni studente deve sentirsi libero di costruire la propria soggettiva sessualità, identificandosi come maschio o femmina, o chissà cos’altro, a seconda del sesso percepito, al di là dell’irrilevante e “datato” sesso naturale e biologico.
in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, ricorrenza promossa dall’Unione europea che si celebra dal 2004 il 17 maggio di ogni anno, il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) ha inviato, con preghiera di massima diffusione, una circolare a tutte le sovraintendenze, ai dirigenti scolastici, alle associazioni dei genitori e studenti e alle consulte studentesche, invitando gli istituti di ogni ordine e grado a svolgere attività per contrastare fenomeni di violenza e “discriminazione omofobica“, con il fine di “rendere l’ambiente scolastico inclusivo di ogni differenza“.
“ Solo con l’educazione – si legge nel testo recante come oggetto, 17 maggio – Giornata internazionale contro l’omofobia, – si superano i pregiudizi e gli stereotipi ancora presenti nella nostra società; in tal senso, la scuola deve fornire strumenti, metodologie e deve attivare tutte le necessarie pratiche per interventi di prevenzione”.
La circolare rende noto come il Ministero responsabile dell’istruzione sia intenzionato a garantire il proprio totale supporto ad ogni tipo di iniziativa scolastica volta a favorire il pieno sviluppo dell‘identità di genere degli studenti. Il MIUR – si legge sempre nel testo diffuso il 17 maggio – intende infatti “supportare le istituzioni scolastiche fornendo agli insegnanti strumenti per il proprio aggiornamento e la conoscenza del contesto giovanile, ma anche agli studenti e alle famiglie spazi per potersi confrontare sulle delicate questioni legate all’identità di genere o a qualsiasi altra forma di violenza“.
Il documento presenta inoltre un nuovo servizio di supporto per comunicare fenomeni di bullismo in ambiente scolastico per il quale tutta la comunità scolastica “potrà avvalersi di un servizio di messaggistica al numero 345/3916485, attraverso cui segnalare casi e verificare (…) tutte le possibili forme di intervento, prevedendo un raccordo costante con l’amministrazione centrale e territoriale per verificare la possibilità di effettuare interventi direttamente in collaborazione con gli istituti scolastici stessi, anche in accordo con altri Enti e Associazioni maggiormente impegnate nella lotta alle discriminazioni“.
Ezio De Gesu, responsabile scuola di Arcigay, ha applaudito l’iniziativa del MIUR, commentando con le seguenti parole:
«Ringraziamo il Miur e la direttrice generale Giovanna Boda, che coordina il servizio per lo studente, l’integrazione e la partecipazione, per aver ricordato che la giornata del 17 maggio rappresenta l’opportunità per tutte le scuole italiane di sensibilizzare studenti, genitori ed insegnanti al contrasto del bullismo omofobico e transfobico».
Sulla stessa linea, Gabriele Piazzoni, segretario nazionale di Arcigay, che ha sottolineato la propria soddisfazione per la particolare attenzione riservata dalle Istituzioni alle istanze LGBT, dichiarando:
«Il segnale lanciato dal Miur è un’importante conferma di attenzione sul tema. Un segnale che si somma ad altri segnali istituzionali importanti, contenuti tanto nelle parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quanto in quelle della Presidente della Camera, Laura Boldrini. C’è da augurarsi che la comunione di intenti che registriamo in questa giornata dia impulso a un percorso concreto e efficace di contrasto a tutte le discriminazioni. Arcigay, da questo punto di vista, è pronta a giocare la sua parte».
Leggendo questa circolare, tornano alla mente le dichiarazioni del ministro Stefania Giannini la quale nel corso degli ultimi mesi ha più volte respinto indispettita le accuse di promuovere l’educazione gender all’interno delle scuole, arrivando a parlare di “truffa culturale”. Ebbene, il testo appena diffuso dal MIUR, racchiude perfettamente quelle che sono le linee guida per la promozione dell’ideologia gender all’interno delle scuole, utilizzando tutti i “vocaboli totem” e le parole chiave dell’armamentario genderista. L’obiettivo dichiarato è la decostruzione degli stereotipi di genere, al motto di “sei come sei” e la promozione dell‘indifferenza sessuale per la quale ogni studente deve sentirsi libero di costruire la propria soggettiva sessualità, identificandosi come maschio o femmina, o chissà cos’altro, a seconda del sesso percepito, al di là dell’irrilevante e “datato” sesso naturale e biologico. Questa sì, una vera e imperdonabile truffa culturale, ancora più grave, in quanto perpetrata dall’Istituto preposto all’Istruzione e all’Educazione, emblematicamente esplicitata – come si legge nel testo – dall’affermazione che con “l’educazione si superano i pregiudizi e gli stereotipi ancora presenti nella nostra società”. Un linguaggio volutamente ambiguo e criptico, finalizzato a promuovere subdolamente, all’insaputa delle famiglie, l’ideologia gender nelle scuole italiane.
http://osservatoriogender.famigliadomani.it/miur-promuove-lideologia-del-gender-nella-scuola-italiana/
di Rodolfo de Mattei -
Osservatorio Gender di Famiglia Domani
L’obiettivo dichiarato è la decostruzione degli stereotipi di genere, al motto di “sei come sei” e la promozione dell’indifferenza sessuale per la quale ogni studente deve sentirsi libero di costruire la propria soggettiva sessualità, identificandosi come maschio o femmina, o chissà cos’altro, a seconda del sesso percepito, al di là dell’irrilevante e “datato” sesso naturale e biologico.
in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, ricorrenza promossa dall’Unione europea che si celebra dal 2004 il 17 maggio di ogni anno, il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) ha inviato, con preghiera di massima diffusione, una circolare a tutte le sovraintendenze, ai dirigenti scolastici, alle associazioni dei genitori e studenti e alle consulte studentesche, invitando gli istituti di ogni ordine e grado a svolgere attività per contrastare fenomeni di violenza e “discriminazione omofobica“, con il fine di “rendere l’ambiente scolastico inclusivo di ogni differenza“.
“ Solo con l’educazione – si legge nel testo recante come oggetto, 17 maggio – Giornata internazionale contro l’omofobia, – si superano i pregiudizi e gli stereotipi ancora presenti nella nostra società; in tal senso, la scuola deve fornire strumenti, metodologie e deve attivare tutte le necessarie pratiche per interventi di prevenzione”.
La circolare rende noto come il Ministero responsabile dell’istruzione sia intenzionato a garantire il proprio totale supporto ad ogni tipo di iniziativa scolastica volta a favorire il pieno sviluppo dell‘identità di genere degli studenti. Il MIUR – si legge sempre nel testo diffuso il 17 maggio – intende infatti “supportare le istituzioni scolastiche fornendo agli insegnanti strumenti per il proprio aggiornamento e la conoscenza del contesto giovanile, ma anche agli studenti e alle famiglie spazi per potersi confrontare sulle delicate questioni legate all’identità di genere o a qualsiasi altra forma di violenza“.
Il documento presenta inoltre un nuovo servizio di supporto per comunicare fenomeni di bullismo in ambiente scolastico per il quale tutta la comunità scolastica “potrà avvalersi di un servizio di messaggistica al numero 345/3916485, attraverso cui segnalare casi e verificare (…) tutte le possibili forme di intervento, prevedendo un raccordo costante con l’amministrazione centrale e territoriale per verificare la possibilità di effettuare interventi direttamente in collaborazione con gli istituti scolastici stessi, anche in accordo con altri Enti e Associazioni maggiormente impegnate nella lotta alle discriminazioni“.
Ezio De Gesu, responsabile scuola di Arcigay, ha applaudito l’iniziativa del MIUR, commentando con le seguenti parole:
«Ringraziamo il Miur e la direttrice generale Giovanna Boda, che coordina il servizio per lo studente, l’integrazione e la partecipazione, per aver ricordato che la giornata del 17 maggio rappresenta l’opportunità per tutte le scuole italiane di sensibilizzare studenti, genitori ed insegnanti al contrasto del bullismo omofobico e transfobico».
Sulla stessa linea, Gabriele Piazzoni, segretario nazionale di Arcigay, che ha sottolineato la propria soddisfazione per la particolare attenzione riservata dalle Istituzioni alle istanze LGBT, dichiarando:
«Il segnale lanciato dal Miur è un’importante conferma di attenzione sul tema. Un segnale che si somma ad altri segnali istituzionali importanti, contenuti tanto nelle parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quanto in quelle della Presidente della Camera, Laura Boldrini. C’è da augurarsi che la comunione di intenti che registriamo in questa giornata dia impulso a un percorso concreto e efficace di contrasto a tutte le discriminazioni. Arcigay, da questo punto di vista, è pronta a giocare la sua parte».
Leggendo questa circolare, tornano alla mente le dichiarazioni del ministro Stefania Giannini la quale nel corso degli ultimi mesi ha più volte respinto indispettita le accuse di promuovere l’educazione gender all’interno delle scuole, arrivando a parlare di “truffa culturale”. Ebbene, il testo appena diffuso dal MIUR, racchiude perfettamente quelle che sono le linee guida per la promozione dell’ideologia gender all’interno delle scuole, utilizzando tutti i “vocaboli totem” e le parole chiave dell’armamentario genderista. L’obiettivo dichiarato è la decostruzione degli stereotipi di genere, al motto di “sei come sei” e la promozione dell‘indifferenza sessuale per la quale ogni studente deve sentirsi libero di costruire la propria soggettiva sessualità, identificandosi come maschio o femmina, o chissà cos’altro, a seconda del sesso percepito, al di là dell’irrilevante e “datato” sesso naturale e biologico. Questa sì, una vera e imperdonabile truffa culturale, ancora più grave, in quanto perpetrata dall’Istituto preposto all’Istruzione e all’Educazione, emblematicamente esplicitata – come si legge nel testo – dall’affermazione che con “l’educazione si superano i pregiudizi e gli stereotipi ancora presenti nella nostra società”. Un linguaggio volutamente ambiguo e criptico, finalizzato a promuovere subdolamente, all’insaputa delle famiglie, l’ideologia gender nelle scuole italiane.