Da Joseph Ratzinger
(Papa Benedetto XVI)
"Perchè siamo ancora nella Chiesa",
Rizzoli 2008
PERCHE’ SONO ANCORA NELLA CHIESA
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In queste considerazioni è già data la risposta di principio alla domanda che ci siamo posti: sono nella Chiesa perché credo che, ora come prima e a prescindere da noi, dietro la “nostra Chiesa” vive la “ Sua Chiesa”, e che io non posso stare vicino a Lui se non rimanendo vicino e dentro la Sua Chiesa. Sono nella Chiesa perché, nonostante tutto, credo che nel profondo essa non sia nostra, bensì proprio “Sua”.
In termini molto concreti: malgrado tutte le sue debolezze umane, è la Chiesa che ci dà Gesù Cristo e solo grazie a essa noi possiamo riceverlo come una realtà viva, potente, che mi sfida e mi arricchisce qui e ora. Henri De Lubac ha espresso così questa circostanza: “Coloro che accettano ancora Gesù pur rifiutando la Chiesa, non sanno che in ultima analisi è da questa che essi ricevono Cristo? […] Gesù è per noi una persona viva; eppure senza la continuità visibile della sua Chiesa, sotto quale cumulo di sabbia non sarebbero stati sepolti non soltanto il suo nome e il suo ricordo, ma anche la sua influenza vitale, l’efficacia del vangelo e della fede nella sua divina persona? […] “Senza la Chiesa Cristo dovrebbe darsi alla fuga , disgregarsi, scomparire. E che cosa sarebbe l’umanità se si togliesse Cristo?”.
Questa ammissione elementare deve essere posta all’inizio: per quanto ci sia o ci sia stata infedeltà nella Chiesa, per quanto sia vero che essa ha costantemente bisogno di misurarsi su Gesù Cristo, non vi è alcuna contrapposizione definitiva tra Cristo e la Chiesa.
E’ attraverso la Chiesa che egli rimane vivo, superando la distanza della storia, ci parla oggi, ci è oggi vicino come nostro maestro e Signore , come nostro fratello che ci rende fratelli. Soltanto la Chiesa, dandoci Gesù Cristo, rendendolo vivo e presente nel mondo, facendolo rinascere continuamente nella fede e nelle preghiere degli uomini, dà all’umanità una luce, un sostegno e un criterio, senza i quali il mondo non sarebbe più concepibile.
L'altare della Cattedra di San Pietro a Roma
J. Card. Ratzinger
(da Immagini di speranza, San paolo 1999)
Chi, dopo aver percorso tutta la grandiosa navata centrale della basilica di San Pietro giunge finalmente all'altare che chiude l'abside, potrebbe aspettarsi una raffigurazione trionfale di san Pietro, sulla cui tomba è stata costruita questa chiesa. E invece nulla di ciò: la figura dell'Apostolo non appare tra le opere scultoree di questo altare. Al suo posto ci troviamo davanti a un trono vuoto, che sembra quasi librarsi, ma che in realtà è sostenuto dalle quattro figure dei grandi Padri della Chiesa d'Occidente e d'Oriente. La luce tenue, che giunge sul trono, proviene dalla finestra sovrastante, che è circondata da angeli sospesi nell'aria, che, a loro volta, conducono il flusso della luce verso il basso.
Che significato può avere questo complesso scultoreo? Che cosa ci dice? Mi pare che esso racchiuda una profonda interpretazione dell' essenza della Chiesa e, con essa, un'interpretazione del magistero petrino. Cominciamo dalla finestra, che con i suoi tenui colori raccoglie ciò che sta all'interno e lo apre verso l'esterno e verso l'alto. Essa collega la Chiesa con la creazione nella sua totalità; mediante la rappresentazione della colomba dello Spirito Santo interpreta Dio come la vera fonte di ogni luce. Ma ci dice anche un'altra cosa: la Chiesa stessa è, nella sua essenza, una finestra, lo spazio in cui il mistero trascendente di Dio si fa incontro al nostro mondo; essa rappresenta il farsi trasparente del mondo allo splendore della sua luce. La Chiesa non esiste per se stessa, non è una fine, ma un inizio che rinvia oltre sé e al di sopra di noi. Essa corrisponde alla propria essenza nella misura in cui diventa trasparente per l'altro da cui proviene e a cui conduce. Attraverso la finestra della sua fede, Dio entra in questo mondo e desta in noi il desiderio di ciò che è più grande. La Chiesa è arrivo e partenza: di Dio verso di noi, di noi verso Dio. Il suo compito è spalancare oltre se stesso un mondo che si chiude in se stesso, donargli quella luce senza la quale esso sarebbe inabitabile.