Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins
Verso le vette della Santità Sacerdotale
* * *
RITIRO DEL MESE DI FEBBRAIO
IL SACERDOTE E LA FEDE
(parte prima)
* * *
Uno dei rimproveri più frequenti che Gesù soleva fare a quelli che lo avvicinavano era motivato dalla mancanza di fede. A tutti i suoi Apostoli troppo umanamente preoccupati del domani, o troppo spauriti dalla tempesta dice: Quid timidi estis modicae fidei? (Mat. 8, 26); Quid cogitatis inter vos, modicae fidei? (id. 16, 8). A S. Pietro che cammina sulle acque ed è colto da improvviso spavento per l'imperversare del vento: Modicae fidei, quare dubitasti? (id. 14, 31). Ai discepoli di Emmaus mesti, perchè dimentichi di una parola, che avrebbe dovuto essere tutta luce per essi: Re-gnuvn meum non est de hoc mundo (Ioan. 18, 36) dice mestamente: O stulti et tardi corde ad credendum! (Lue. 24, 25). A Tommaso che Per credere esige una prova tangibile: Quia vidisti me, Thomas, credidisti; beati qui nonviderunt et credìderunt! (Ioan. 20, 29).
Si rallegra al contrario con quelli che credono e attribuisce ogni potere alla docilità del loro spirito: Fides tua te salvum fecit (Mat. 9, 22) dice al cieco dopo averlo guarito e così Pure all'ammalata che gli ha toccato l'orlo della veste. e alla Cananea: O mulier, magna est fides tua: fiat tibi sicut vis (id. 15, 28) E finalmente da la certezza assoluta: Si habueritis fidem sicut granum sinapis... nihil impossibile erit vobis (id. 17, 19). — Omnia possibilla sunt credenti (Marc. 9, 22). E si potrebbero moltiplicare le citazioni.
Si tratta dunque di una virtù che deve starci a cuore in modo particolare. Per noi sacerdoti è stata l'oggetto di una speciale preghiera di Nostro Signore: Rogavi pro te ut non deficiat fides tua, et tu aliquando conversus, confirma fratres tuos (Luc. 22, 32). Meditiamola e convinciamoci seriamente che: 1° dobbiamo avere fede, 2° dobbiamo vivere di fede.
1. - DOBBIAMO AVER FEDE
Ne abbiamo la prova nelle pagine evangeliche sopra ricordate. Ma non è inutile approfondirle.
Il sacerdote, continuatore del Cristo, è o dev'essere perfetto religioso dì Dio come il Cristo. Ora S. Tommaso scrive 3): Religio habet duplices actus: quosdam quidem proprios et immediatos... sicut sacrificare, adorare...: alios autem actus habet, quos producit mediantibus virtutibus, quibus imperat. Fra queste virtù tiene il primo posto la fede.
Senza dubbio la fede, virtù teologale, precede la religione; l'epistola agli Ebrei lo fa notare: Credere enim oportet accedentem ad Deum, quia est (Hebr. 11, 6). Si crede in Dio prima di rendergli omaggio, ma gli si rende omaggio credendo in Lui, e l'atto più bello e nello stesso tempo più fecondo della nostra religione è l'atto di fede; con quest'atto pratichiamo profondamente l'adorazione in spiritu et veritate, voluta dal Padre.
Nell'atto di fede la ragione crede fermamente senza vedere, come e più ancora che se vedesse; essa s'immola così e onora la veracità di Dio, motivo del suo sacrificio, insieme agli altri attributi divini, oggetto della fede.
La fede è la nota distintiva del cristiano: Justus meus ex fide vivit (Hebr. 10, 38), il quale è perciò chiamato con il bel nome di fedele. E dev'esserlo in modo sovra eminente il sacerdote, cui S. Paolo scrive: Exemplum esto fidelium, in fide (Tim. 4, 12). — Tu autem, homo Dei, sectare... fidem (id. 6, 11).
S. Agostino asserisce che «la fede ci ha ordinati chierici e consacrati sacerdoti»4). Ecco dunque perché aspicientes in auctorem fidei, et consummatorem Jesum (Hebr. 12, 2), dobbiamo poter dire coll'Apostolo che possediamo la fede: fidem servavi.
Dobbiamo averla profonda, luminosa.
a) Profonda. — Il sacerdote è il depositario, il custode della fede: Labia sacerdotis custodient scientiam et legem requirentex ore ejus (Malac. 2, 17). Deve quindi possederla più di tutti, egli che a tutti dev'essere maestro: Forma facti gregis ex animo (Petr. 5. 3). L'adesione del suo intelletto dev'essere più fermarle sue cognizioni dogmatiche più solide, più estese. L'adesione più ferma dell'intelletto esige una corrispondenza generosa dell'anima alla grazia della fede; essa è una grazia, non lo si dimentichi, la prima delle grazie, punto di partenza, sorgente di tutte le altre. S. Tommaso dice: Homo participat cognitionem divinarti per virtutem fidei 5). E' una specie d'influsso divino operante una vera deificazione della nostra intelligenza, che vede le verità rivelate nella luce stessa in cui le vede Dio: Fides est habitus mentis, quo inchoatur vita aeterna in nobis.
E' oscura nel suo oggetto che è il mistero; è chiara nel suo motivo, che è la veridicità di Dio. Essa comunica all'anima una certezza che supera l'evidenza stessa dell'ordine naturale. L'atto di fede è essenzialmente, intrinsecamente sopranaturale, è esclusivamente opera della grazia di Dio.
Che richiede la corrispondenza a tanta grazia? S. Paolo traccia un vasto programma in due parole: Habentes, mysterium fldei in conscientia pura (1 Tim. 3, 9).
E anzitutto, prendendo tali parole ut sonant, è necessario aver l'anima molto pura. Quando caro concupisca adversus spiritum (Galat. 5, 17), attenti! Se le nubi si accavallano, l'atmosfera s'oscura; se le nebbie s'infittiscono dinanzi allo sguardo, non si vede più chiaro.
Ma se è necessaria la purità del cuore molto più lo è la purezza della mente. Essa è una vigile custode di ciò che potrebbe attenuare quanto S. Ilario di Poitiers chiama casta verginità della verità 6). L'Apostolo mette in guardia contro tale insidia: Profanas vo***** novitates devita (Tim. 6, 20). L'umiltà, la semplicità, la rettitudine del giudizio son riparo a tanto pericolo. Queste disposizioni intime non sono retaggio degli stolti, più curiosi che eruditi, più saccenti che sapienti; esse mantengono l’equilibrio nell'intelligenza e sono indizio di vero valore intellettuale.
Questa duplice purezza di mente e di cuore è frutto della preghiera, la quale rende la fede veramente profonda.
E' una grazia che bisogna implorare; è una specie di visione di Dio, a cui bisogna accostarsi; appello dell'anima, prostrazione dell'anima, che ogni sacerdote deve coltivare con premura. Se non diciamo: Domine, fac ut videam.— Adjuva incredulitatem meam — Adauge nobis fidem non perderemo forse la fede; ma che fede avremo?
Si badi: se dissipati, irriflessivi, andiamo innanzi in forza di un impulso lontanamente ricevuto, corriamo rischio di divenire formalisti e ci premuniamo male dalle infiltrazioni naturalistiche, le quali ci impediscono d'essere veri preti, ossia uomini superiori agli altri uomini deificati: Tu autem, homo Dei (1 Tim. 4, 12).
b) Luminosa. —Il prete non è un custode della fede, avaro del suo tesoro; tutt'altro! Ne dev'essere prodigo anzi, come le anime lo esigono: Legem requirent ex ore ejus (Malac. 2, 7); egli è stato inviato per questo: Evangelizare pauperibus misit me. Quindi il Maestro ci dice: Praedicate evangelium omni creaturae... qui crediderìt et baptizatus fuerit, salvus erit (Marc. 16, 15). A tal fine ci vuole luce: Vos estis lux mundi (Mat. 5, 14), — ut fili lucis sitis (Ioan. 12, 36).
E i suoi consigli sono essenzialmente pratici positivi. Quando dice che «la nostra luce deve risplendere dinanzi agli uomini», aggiunge: «affinchè vedano le vostre opere buone». Fede luminosa, fede irradiante: non è espressione vaga questa; si tratta delle opere buone!
Predichiamo e predichiamo con l'esempio: Verbo movent, exempla trahunt. Quanti ci vedono anche senza essere psicologi accorti, sanno distinguere fra prete e prete. Chi non ha sentito mai questa frase: «Oh, quello sì ci crede!».
Come se non ogni prete credesse!... Vè dunque un modo speciale dì dimostrare la nostra fede? Sì; mostriamo di crederci. S. Giovanni-Maria Vianney diceva soltanto queste parole: «Oh! figliuoli miei, amiamo tanto il buon Dio!» e tutti gli astanti ne erano commossi. Sì; v'è una particolare fisonomia creata dal contegno, dai modi, dalle parole, dai costumi che distingue l'uomo di fede. Guai! se qualcuno vedendoci dovesse esclamare: Quello fa il suo mestiere!
Predichiamo, e predichiamo con la parola. La predicazione è un dovere essenziale del prete: Oportet sacerdotem... praedicare. Ma del nostro insegnamento si deve poter dire: Verbum ipsius. quasi facula ardebat (Eccli. 48, 1). Accade talvolta di ascoltare delle prediche, che, pur essendo splendide nella forma, lasciano gli uditori freddi; se ne odono altre spoglie d'ogni artifizio, ma che penetrano nelle intelligenze come raggio di sole in andito oscuro e avvolgono i cuori quasi del caldo effluvio d'un focolare ardente. Nemo dat quod non habet; solo gli oratori che sono lucerna ardens et lucens (Ioan. 5,35). posseggono davvero la fede.